C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

RAMSES II – IL DECLINO E LA MORTE

Di Piero Cargnino

Ma gli anni passavano anche per il sovrano, tranquilli ed in pace, anche se intorno al suo trentunesimo anno di regno ebbe modo di preoccuparsi a causa del verificarsi di un forte terremoto nella regione tebana e in Nubia, le scosse causarono il crollo di parte di una statua del faraone assiso nella facciata del suo tempio di Abu Simbel, la cosa sicuramente creò sgomento e dispiacere anche perché la riparazione del danno apparve subito molto ardua, avrebbe implicato un enorme lavoro, sempre che fosse stato possibile. Probabilmente non lo fu quindi venne deciso di lasciare il tutto come era. Alcuni danni minori invece furono discretamente riparati ma il suo torso e la sua testa rimasero per sempre a terra dove giacciono ancora oggi.

Ramses II compì settant’anni nel quarantaseiesimo anno del proprio regno, vista la breve aspettativa di vita degli antichi Egizi significa che si erano già avvicendate quasi due generazioni dall’epoca della battaglia di Qadesh ed il popolo non la ricordava neanche più. Ma il vecchio faraone resisteva, ai cinquant’anni di regno ritenne che fosse il caso di aggiungere qualche epiteto a quelli già numerosi che vantava, in onore del dio sole Ra si autonominò “Dio Signore di Eliopoli”, l’antica Iunu, centro del culto di Ra. Ora Ramses II si volle identificare con lo stesso Ra legandosi sempre più al dio, per questo aggiunse anche l’epiteto di “Grande Anima di Ra-Horakhti”.

Ormai circondato dall’aura di splendore divino che si era venuta a creare attorno a lui:

Gli anni che passavano e che logoravano il fisico del faraone non intaccarono mai la situazione politica esistente e la burocrazia continuava a funzionare all’ombra del sovrano, l’esatto contrario di ciò che era successo mille anni prima con il faraone centenario Pepi II (vedi Papiro di Ipuwer). Era un”epoca in cui abbondavano politici di grande valore (come servirebbe oggi) scusate la postilla.

Come abbiamo già accennato Ramses II non andava tanto per il sottile riguardo alla celebrazione delle feste dei giubilei, “heb-Sed” (come d’altronde altri sovrani prima di lui) infatti ne celebrò ben quattordici. Con il fisico che si ritrovava possiamo pensare che fino ad una certa età non fu per lui difficile superare le lunghe e complesse liturgie richieste ma dopo i sessant’anni la cosa dovette essere un po’ più complessa per lui, si dice che soffrisse di “devastanti forme di arteriosclerosi” e di una dolorosa forma di “spondiloartrite anchilosante”, debilitazioni che, nonostante la dura fibra del sovrano, che lo rendeva ostinato e orgoglioso, difficilmente gli permisero di affrontare da solo tutti i vari riti, certamente fu aiutato in modo particolare dal devoto, ed ormai anch’egli maturo, figlio Merenptah.

Secondo l’egittologa francese Christiane Desroches Noblecourt, una delle più autorevoli partecipanti al restauro della mummia di Ramses II, gli ultimi anni di vita videro il faraone afflitto dalle diverse patologie ed in uno stato pressoché vegetativo:

Dovette godere fino all’ultimo del rispetto e dell’affetto da parte della sua grande famiglia, Non si ha notizia di complotti di corte tra i famigliari per accaparrarsi la successione al trono, tutti coloro che avrebbero potuto avanzare pretese gli premorirono pertanto Ramses aveva già provveduto almeno dieci anni prima della sua morte a nominare principe ereditario il suo tredicesimo figlio Merenptah, nato da Isinofret, che fu sempre vicino al padre particolarmente nei momenti finali del suo regno, svolse in pratica le funzioni di reggente.

Alla morte di Ramses II gli successe al trono come sovrano dell’Alto e Basso Egitto. All’età di 93 anni, dopo 67 anni di regno, il vecchio faraone salpò sulla barca solare di Ra e questo onore oltre che a donargli gloria gli dava anche la sicurezza nel periglioso viaggio attraverso l’Occidente, verso la Duat per raggiungere i Campi Iaru.

Per la sua dipartita Ramses II, il Grande, scelse la città che aveva creato lui stesso, Pi-Ramses. Scrive l’egittologo britannico Kennet Kitchen:

Non esistono descrizioni delle circostanze inerenti la morte del sovrano, la notizia era talmente grave per tutto il popolo egizio che bisognava diffonderla prima possibile, messaggeri risalirono il Nilo in piena rischiando non poco per portare la notizia fino a Tebe. Tra il popolo si diffuse la desolazione, la maggior parte degli egizi non aveva  conosciuto altri sovrani all’infuori di Ramses II. Seguirono i rituali settanta giorni prescritti dopo di che ebbero inizio le cerimonie preparatorie per la mummificazione. Qui riscontriamo un episodio curioso, dopo essere imbalsamato il cuore venne posto in modo sbagliato, dalla parte destra. Ultimati i vari riti la mummia di Ramses II venne trasportata sulla barca regale del figlio Merenptah, scortata da un’enorme flotta lungo il Nilo fino a Tebe, nell’Alto Egitto. Giunti nella Valle dei Re il corteo, dopo il rito “dell’apertura della bocca”, eseguito dallo stesso Merenptah, il corpo del sovrano venne deposto nei sarcofagi, che dovettero essere preziosissimi, nella tomba KV7. Io sono sicuro che di li a poco in cielo si accese una grande e luminosa stella accanto a quella di Nefertari.

Ultimata l’imbalsamazione il corpo del Grande Ramses II venne posto nei suoi sarcofagi e trasportato nella Valle dei Re dove lo attendeva la sua tomba. Possiamo immaginare il corteo che lo accompagnò, pianti e disperazione tra la gente e chissà quante prefiche che si strappavano i capelli e gli abiti e si cospargevano il capo di cenere. C’è da credere che la disperazione del popolo sia stata sincera, accentuata ancor più dalla credenza diffusa che il mondo sarebbe finito con la morte del Grande Faraone. Non credo di aver esagerato nella descrizione, viene spontaneo credere che dopo 67 anni sul trono a governare con magnanimità il suo popolo, questo gli avrà tributato tutti gli onori più che meritati.

La tomba di Ramses II era conosciuta fin dall’antichità ancorché intasata dai detriti che si erano accumulati in così tanti anni durante i quali, per di più, deve aver subito almeno dieci alluvioni, come risulta dai rilievi stratigrafici. Il risultato fu un notevole rigonfiamento delle pareti con il conseguente distacco di gran parte delle decorazioni parietali, infatti quando nel 1828 Ippolito Rossellini la visitò con la spedizione franco-toscana espresse la convinzione che la tomba non fosse mai stata completamente terminata. In precedenza la tomba fu individuata e mappata dal vescovo anglicano, viaggiatore e antropologo Richard Pococke nel 1737/38, fu poi nuovamente visitata dagli studiosi al seguito della spedizione di Napoleone nel 1799. Ma fu solo nel 1844, con Karl Richrd Lepsius che iniziarono i primi scavi che proseguirono poi con Harry Burton nel 1913/14.

Nel 1938 Charles Maystre effettuò una serie di rilievi epigrafici. Passaro quarant’anni finché venne nuovamente scavata nel 1978 dal Brooklyn Museum e nel 1993 venne inserita nel Theban Mapping Projet che provvide a scavarla ulteriormente fino al 2002 con Christian Leblanc.

La planimetria della tomba si presenta assai complessa, nella descrizione mi limiterò all’indispensabile rimandando i più esigenti alle foto planimetriche che seguono. L’ingresso presenta due rampe di scale che danno su un breve corridoio dal quale una terza scalinata porta ad un altro corridoio che sbuca in un’anticamera ed in una sala a pilastri, su un lato della stessa, attraverso una breve scalinata si accede ad un’altra sala con quattro pilastri. Attraverso altri due corridoi assiali si giunge in una stanza che conduce alla camera sepolcrale, anche questa sorretta da quattro pilastri quadrangolari.

Ai lati, in modo non simmetrico, si trovano quattro stanzette. Sugli angoli di fondo della camera sepolcrale due accessi immettono in altre due camere sorrette da due pilastri ciascuna, da una di queste si accede ad una terza identica, tramite un vestibolo.

La tomba, senza dubbio una fra le più grandi della Valle dei Re, si estende per quasi 900 metri quadrati e, come detto sopra, nonostante le alluvioni subite che hanno prodotto parecchi danni alle decorazioni parietali che si sono frammischiate con i vari strati di detriti, molte di esse sono ancora visibili. Nella Camera funeraria si possono ancora ammirare capitoli del “Libro delle Porte”, le pareti delle scale e dei corridoi presentano capitoli dell’ “Amduat”, delle “Litanie di Ra” e del “Libro della vacca celeste” compreso nei “Libri dei Cieli”. Nell’anticamera sono rappresentati molti capitoli del “Libro dei Morti” nei quali compare la cerimonia dell’ “Apertura della bocca”.

La tomba, oggi identificata con la sigla KV7 subì numerosi saccheggi già fin dall’antichità, solo pochi anni dopo la morte del sovrano e quello che doveva essere un imponente corredo funebre venne asportato e disperso fra i molti saccheggiatori. Nel “Papiro dello sciopero”, redatto sotto Ramses III, viene già citato un tentativo di intrusione da parte dei ladri. Fu solo durante la XXI dinastia che venne deciso di trasferire la mummia di Ramses II nella tomba KV17 dove giaceva suo padre Seti I. In seguito, sempre durante la XXI dinastia, l’Egitto si trovò ad attraversare un periodo di turbolenze politico-sociali durante il quale abbondavano i saccheggi alle tombe reali. Per contrastare questo fenomeno venne deciso di effettuare verifiche periodiche al fine di dissuadere i saccheggiatori.

Per poter seguire al meglio la situazione si ritenne opportuno riunire le mummie in una grande tomba più facile da controllare. Allo scopo venne scelta la tomba del Primo Profeta di Amon, Pinedjem II e di sua moglie Neskhons (secondo alcuni la tomba sarebbe in realtà appartenuta alla regina Inhapi, forse una moglie di Ahmose I). La tomba è la DB320 a Deir el-Bahari (la famosa cachette o Royal cache) dove vennero trasferite le mummie di oltre cinquanta faraoni tra i più famosi, tra questi anche le mummie di Seti I e Ramses II che vennero rinvenute nel 1881.

La mummia di Ramses II al Museo Egizio del Cairo

La mummia venne trasferita in seguito al Museo Egizio del Cairo dove era conservata in un’apposita sala con le altre mummie. Negli anni ’70 gli egittologi del Museo del Cairo si accorsero che la mummia si stava rapidamente deteriorando a causa della lunga esposizione in vetrine non sigillate, soggetta quindi all’aria, all’umidità e ai parassiti, pericolose minacce per un corpo disseccato preservatosi per millenni grazie all’avvolgimento in bende e al clima secco del deserto. Per correre ai ripari era necessario intervenire con apposite apparecchiature, cosa che era possibile solo se la mummia veniva trasferita a Parigi. All’inizio la cosa parve complicata ma, su sollecitazione di numerosi egittologi, tra cui Christiane Desroches Noblecourt, venne raggiunto un accordo tra il Presidente della Repubblica francese Giscard d’Estaing ed il suo omologo egiziano Anwar al-Sadat per trasportare la mummia a Parigi con un aereo militare. Da notare che, rispettosamente, all’arrivo a Parigi venne organizzata una processione funebre, dedicata alla mummia del faraone, alla quale vennero riservati gli onori militari come ad un Capo di Stato straniero.

Fonti e bibliografia: 

  • Franco Cimmino, “Ramesse II il Grande”, Milano, Tascabili Bompiani, 2000,
  • Sergio Pernigotti, “L’Egitto di Ramesse II tra guerra e pace”, Brescia, Paideia Editrice, 2010
  • Kenneth Kitchen, “Il Faraone trionfante. Ramses II e il suo tempo”, Bari, Laterza, 1994,
  • Edda Bresciani, “Ramesse II”, Firenze, Giunti, 2012
  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Manfred Claus, “Ramesse il Grande”, Roma, Salerno Editrice, 2011
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Henry James, “Ramesse II”, Vercelli, White Star, 2002
  • Mohamed Nasr, Mario Tosi, “La tomba di Nefertari”, Bonechi, 1997
  • Christian Leblanc, Alberto Siliotti, “Nefertari e la valle delle Regine”, Giunti, 1993
  • Elvira D’Amicone, “Nefer: la donna dell’Antico Egitto”, Federico Motta Editore, Milano, 2007
  • Claire Lalouette, “L’impero dei Ramses”, Roma, Newton & Compton, 2007
  • Anna Maria Donadoni Roveri, Alessandro Roccati, Enrica Leospo, “Nefertari. Regina d’Egitto”, La Rosa, 1999

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