Donne di potere, Hatshepsut, XVIII Dinastia

LA “DAMNATIO MEMORIAE” DI HATSHEPSUT

Horus e Thot purificano Hatshepsut (la sagoma è stata cesellata), Karnak

La questione della presunta damnatio memoriae di Hatshepsut è molto interessante e le posizioni espresse dagli egittologi non sempre sono concordi.

Dopo l’uscita di scena di Hatshepsut ed in particolare con Thutmosis III ed Amenhotep II le sue statue di Deir el-Bahari furono frantumate ed i blocchi gettati in una cava, le sue immagini vennero erase o sostituite con altre di oggetti ed i suoi cartigli furono parzialmente scalpellati dai monumenti e dai testi relativi ad eventi ufficiali del suo regno o sostituiti con quelli dei suoi successori o dei suoi predecessori Thutmosis I e II.

Rilievo di Hatshepsut cesellato, Deir El Bahari 

Non sono stati rinvenuti documenti ufficiali che spieghino il motivo di tale proscrizione, e per risolvere questo enigma gli studiosi hanno elaborato diverse ipotesi, che vedono come principali indiziati Thutmosis III o il suo successore Amenhotep II, od ancora il clero di Osiride.

La più suggestiva di esse, seguita da Gardiner, da Cimmino e dagli egittologi più risalenti è quella che attribuisce la responsabilità di tali devastazioni a Thutmosis III, il quale, vissuto per anni all’ombra della matrigna usurpatrice, dopo essersi liberato della sua presenza ingombrante si sarebbe vendicato di lei cancellandola dalla storia.

Rilievo di Hatshepsut cesellato, Deir El Bahari 

Altri, tra i quali lo studioso canadese Donald Redford, ritennero più semplicemente che egli, figlio di una moglie secondaria di Thutmosis II, avesse voluto ribadire la sua legittimazione al trono ricollegandosi direttamente ai thutmosidi che lo precedettero ed escludendo la grande Hatshepsut dalla linea dinastica, tanto che il nome di lei non compare nella lista degli antenati che egli fece realizzare nel tempio di Karnak.

In realtà dalle fonti si apprende che Hatshepsut non prevaricò mai il giovane sovrano ma ne rispettò sempre il ruolo regale esercitando con saggezza le sue mansioni di reggente e facendosi carico dell’educazione politico-militare di costui per prepararlo a svolgere al meglio i suoi compiti di governo.

Ella lo fece rappresentare sui monumenti da solo o accanto a lei ma in posizione assolutamente paritetica (si vedano, ad esempio, i rilievi della Cappella rossa) e con il tempo gli attribuì incarichi non puramente rappresentativi ma di grande responsabilità, tanto che come comandante supremo delle forze armate guidò l’esercito egizio in vittoriose campagne di conquista dimostrando in seguito notevoli doti militari che gli sono valse l’attuale soprannome di “Napoleone d’Egitto”.

Statua di Hatshepsut a cui è stato scalpellato il volto. Met Museum 

Un’altra ipotesi, proposta come la più verosimile dall’egittologa Christiane Desroches Noblecourt, individua il principale artefice del tentativo di damnatio memoriae di Hatshepsut nel clero di Osiride, il quale, nulla opponendo Thutmosis III, avrebbe punito la sovrana per aver ridimensionato il plurimillenario culto del dio dei morti (e di conseguenza il potere dei suoi sacerdoti), rivalutando in particolare quello di Amon, al punto da identificarsi come sua divina figlia.

Infine alcuni studiosi ritengono che il vero fautore della damnatio memoriae di Hatshepsut fu Amenhotep II, anch’egli figlio della sposa minore Merira Hatshepsut, che si sarebbe trovato a misurarsi con un pretendente al trono che rappresentava gli Ahmosidi, alla quale Hatshepsut era legata per parte di madre (della cui esistenza, peraltro non v’è prova alcuna).

I cartigli di Hatshepsut, un tempo affiancati a quelli di Thutmosis III sono stati scrupolosamente abrasi (Tempio di Deir El Bahari)

Per confermare il proprio ruolo di erede si sarebbe sostituito alla matrigna in molte raffigurazioni, tagliando ogni legame con tale linea dinastica, scegliendo al di fuori della famiglia le spose reali (delle quali non è pervenuto neppure il nome) e ridimensionando il loro potere per evitare che potessero esercitare la reggenza.

La dottoressa J. Tyldesley, infine, e così altri, hanno più semplicemente spiegato che i successori di Hatshepsut ne avrebbero oscurato il ricordo per evitare che altre donne, seguendo il suo glorioso esempio, si sentissero legittimate ad esorbitare dal ruolo attribuito loro dalle regole dinastiche per attribuirsi prerogative reali, senza rispettare la Maat ed infrangendo una tradizione che prevedeva che il sovrano fosse un uomo, al limite affiancato da una grande sposa reale.

FONTI:

  • Christiane Desroches Noblecourt, La regina misteriosa, Milano 2003
  • Matteo Rubboli per Vanilla Magazine, Hatshepsut, la regina che divenne faraone
  • Federica Ruggero per Historicaleye.it, Hatshepsut figlia del re, sorella del re, sposa del dio, grande sposa reale.
  • Alan Gardiner, La civiltà egizia, Torino 1997
  • Franco Cimmino, Hasepsowe e Tuthmosis III, Milano 1994
  • Christian Jacq, Le donne dei Faraoni, Milano 1996

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