Donne di potere

IL CORREDO FUNERARIO DELLE SPOSE STRANIERE

IL DIADEMA IN ORO

A cura di Grazia Musso

Il diadema, in oro con intarsi in pietre semipreziose, è ornato dalle due teste di gazzella, simbolicamente analoghe al doppio cobra o alle due piume.

Questo diadema è composto da una fascia a “t” terminante con protomi feline, forse di leopardo.Un foro sulla punta dei musi permette ai nastri terminali di allacciarsi dietro al capo.Sei rosette divisorie applicate alla fascia sono decorate con corniole e pasta vitrea.

  • Nuovo Regno, XVIII Dinastia. Regno di Thutmosi III.
  • Oro, corniola, pasta vitrea turchese e blu
  • Lunghezza fascia cm. 48, larghezza testa di una gazzella c. 2,3
  • New York, The Metropolitan Museum of art., dono di George F. Baker e di Mr. e Mrs. Evrrit Macy. Inventario 26.8.99

Fonte:

  • I Faraoni a cura di Christiane Zeigler – Bompiani
  • Le Regine dell’antico Egitto a cura di Rosanna Pirelli – Edizioni W Hite Star

IL BRACCIALETTO DEI GATTI

A cura di Franca Loi

Questo largo bracciale, parzialmente ricostruito, in origine faceva di una coppia; è conosciuto come “braccialetto dei gatti ” in quanto è costituito da un rettangolo d’oro, sul quale sono incastonate le miniature di tre gatti (in origine erano cinque), due d’oro, uno di cornalina, con le zampe anteriori una sull’altra e quelle posteriori raccolte sotto la pancia.

Da ogni lato di questo rettangolo partono sette file di perline, non sempre complete di tutti i loro componenti originari: le file d’oro si alternano con altre di cornalina, lapislazzuli e vetro turchese e terminano con una barretta d’oro che funge da chiusura.

Sulla superficie interna ha incisi i cartigli e gli epiteti del Faraone Thutmose, segno che erano un suo regalo personale

Datate tra il 1479 e il 1425 A.C. – XVIII Dinastia – periodo Nuovo Regno –

Trovati a Wadi Gabbanat El – Qurud (Wadi D TOMBA 1) Tebe, Alto Egitto.

New York, The Metropolitan Museum of art.

LA COPPA LOTIFORME

A cura di Franca Loi

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Lord Carnarvon aveva disposto, nel suo testamento, che, qualora la vedova avesse voluto cedere la sua collezione di antichità avrebbe dovuto offrire la prelazione al British Museum, e, in seconda battuta, al Metropolitan di New York, delegando Carter affinché si occupasse delle trattative.

Aveva inoltre disposto che un oggetto fosse donato al British Museum, un altro all’Ashmolean Museum e questo frammento di coppa blu con il cartiglio di Thoutmosis III che vedete nella foto al Metropolitan Museum de New York.

E così questa coppa lotiforme, alta 7,5 cm d del diametro di 8,6 cm, bordata d’oro, divenne di proprietà del MET nel 1923.

Il loto è legato alla rinascita e veniva considerato dagli Egizi come il fiore primordiale e il simbolo della nascita dell’astro divino, che, terminata la sua corsa, si rifugiava nel loto per rituffarsi nelle onde. E il ciclo ricomincia ogni giorno e ogni notte, dalla notte dei tempi. Il loto era anche utilizzato per rappresentare l’Alto Egitto, così come il Basso Egitto era rappresentato dal papiro. Le due piante sono state istituite come piante araldiche dell’Egitto e sono spesso presentate legate, per significare l’unione delle due terre. Davanti in mezzo al petalo centrale di questa pianta altamente simbolica, si trova il cartiglio di Thoutmosis III con questa formula incisa :”Le dieu accompli, Menkheperrê, doué de vie !”

Il gambo e il piede della coppa mancavano, ma il Museo li restaurò restituendole l’aspetto originario ; oggi il restauro è stato eliminato e l’oggetto è stato posto su di un plexiglass trasparente.

Questo lascito di Lord Carnarvon è infinitamente prezioso soprattutto per due motivi principali: per la sua fattura eccezionale ed innovatrice per quest’epoca (vers 1479-1425 avant J.-C.) (vetro che imita il turchese, fino a quel momento sconosciuto ovunque nel mondo) e per la sua provenienza: la tomba delle tre spose straniere di Thoutmosis III

IL VASETTO PER COSMETICI

A cura di Franca Loi

Questo delizioso vasetto per cosmetici ha un’altezza di 8,6 cm – 9 cm con il coperchio – e un diametro al massimo di 6,7 cm.

Con il suo ventre generoso e arrotondato, il collo abbastanza lungo e largo, il piede leggermente concavo, è particolarmente gradevole alla vista. È lavorato in una pietra, di un verde tenue che il tempo sembra aver patinato. Herbert Eustis Winlock lo ha analizzato come un “calcare verde smaltato” mentre, per il Metropolitan Museum of Art di New York, è “un materiale vetroso invecchiato, difficile da identificare con certezza”. Il collo è ricoperto, per tutta la sua altezza, da una foglia d’oro che ne riveste anche l’orlo e finirà all’interno del contenitore. La copertina piatta che lo ricopre, adattandosi perfettamente, gli fa eco con il suo sottile bordo in foglia d’oro.

L’insieme è di una delicatezza e di un “prezioso” estetismo. In “La tomba di tre mogli straniere di Thutmosi III”, Christine Lilyquist chiarisce la sua condizione. Riporta:

“Alcune crepe all’esterno del vaso, in particolare alla base; nonché una colorazione marrone chiaro, principalmente sotto la fessura orizzontale (non visibile all’interno). All’interno, la superficie è parzialmente caduta; e rimane, in fondo, un residuo di polvere azzurra”.

Questo vasetto conteneva una crema per addolcire? Un unguento per calmare? Una sostanza da profumare? Il prodotto doveva essere prezioso, raro e costoso… Fin dall’antichità l’uso di unguenti, balsami e oli profumati è stato diffuso tra le classi agiate della società. Queste sostanze profumate avevano anche una vocazione sacra e svolgevano ovviamente un ruolo primordiale nel rituale dell’imbalsamazione.

Christine Lilyquist specifica in particolare che: “Tutti i contenitori di questo tipo sono considerati vasi per la conservazione degli unguenti a causa dei resti che contengono” e aggiunge: “Sebbene l’unguento sia senza dubbio arrivato in Egitto e trasportato in Egitto in ceramica, i vasi di pietra erano preferiti per la tomba “.

Le iscrizioni sono incise sul corpo e sulla copertina. Ecco la traduzione di ciò che è sul ventre:

“Viva l’Horus, toro potente che appare a Tebe, il dio compiuto, padrone del Doppio Paese (cioè delle Due Terre), il re dell’Alto e del Basso Egitto, Menkheperrê, Figlio del Sole, Djehoutymès-Neferkheperou (cioè Thutmose III), dotato di vita, stabilità e vigore come Re, eternamente! ” mentre in copertina si legge: “Il dio compiuto, Menkheperrê, dotato di vita!”

Questo vaso proviene – così come un gran numero di altri modelli abbastanza simili – dalla tomba delle “mogli straniere” del faraone Thutmose III. Menhet, Mertet e Menouay furono, come spiega Christian Leblanc nel suo “Queens of the Nile”: “Date in sposa a Thutmose III, a tutte e tre fu concesso il titolo di ‘moglie reale’. Lungi dall’essere semplici favorite, la loro presenza a la Corte testimoniava soprattutto le nuove alleanze politiche instaurate dopo le spedizioni militari del Re”.

Fonti:

LO SPECCHIO

A cura di Grazia Musso

Nuovo Regno, XVIII Dinastia, regno di Thutmosi III. Argento con foglia d’oro. Lunghezza cm 30. New York, The Metropolitan Museum of Art, Fletcher Fund Inventario 26.8.97

Le sepolture reali del Medio Regno e dell’epoca Tarda hanno rilevato dischi in argento sicuramente più preziosi rispetto al rame o al bronzo che comunemente venivano impiegati dagli egizi come superficie riflettente.

Il manico in legno, originariamente rivestito di foglia d’oro, presenta la forma di un papiro sul quale sono applicate due teste di giovenca rappresentanti la dea Hathor, la bellezza e la sensualità erano legate alla dea e a tutto ciò che le sue prerogative significavano: fecondità e rinascita.

Sulla parte frontale si trova il cartiglio con il nome di intronizzazione di Thutmosi III (Men-kheper-Ra).

Fonti:

  • Testi tratti da: I Faraoni a cura di Christiane Zeigler – Bompiani. Pag. 462
  • Bibliografia: Winlock 1984, 49f, TAV. 29 sinistra C. L.
  • Le Regine dell’antico Egitto a cura di Rosanna Pirelli – Edizioni W Hite Star pag. 236.

COPRI PARRUCCA

A cura di Grazia Musso

Questo pregiato copri-parrucca, faceva parte di uno dei corredi, delle regine.

È costituito da oltre centocinquanta dischi d’oro, abilmente assemblati fra loro e snodati, impreziositi da pietre dure, diaspro, corniola e vetro, sono uniti alla sommità a un ovale in oro massiccio.

Metropolitan Museum, New York.

Fonte: Le regine dell’antico Egitto a cura di Rosanna Pirelli – Edizioni W Hite Star, pag. 235

VASETTO PORTA COSMETICI

A cura di Grazia Musso

Nuovo Regno, XVIII Dinastia, regno di Thutmosi III
Alabastro egiziano e oro
Altezza coperchio incluso cm 9, 8
New York, The Metropolitan Museum of Art, Fletcher Fund 26.8.31 a-b

Questo vasetto con coperchio, conteneva probabilmente un unguento. La forma è singolare: il lungo ed esile collo indica che il contenuto doveva essere liquido e facile all’evaporazione.

Un cartiglio reca il nome di intronizzazione di Thutmosi III.

Bibliografia: Winlock 1948,52g TAV 30.7 C. L.. Testo e fotografia tratte dal libro “I Faraoni” a cura di Christiane Zeigler – Bompiani – pag. 462

BRACCIALE IN ORO

A cura di Grazia Musso

Questo massiccio ornamento in oro è di raffinata fattura, ed è intarsiato con corniola e vetro, al suo interno sono incisi i nomi di Thutmosi III.

Spesso su un gioiello appariva il nome del sovrano, piuttosto che quello della donna a cui apparteneva; il nome, essendo inciso all’interno, non era visibile quando il bracciale veniva indossato.

Nuovo Regno, XVIII Dinastia Regno di Thutmosi III

Oro, corniola, pasta vitrea

Lunghezza cm. 7,2

New York, The Metropolitan Museum of Art, Roger Fund, inv. 26.8.130

Bibliografia: Winlock 1948,31 If, TAV 17 C. L.

Fonte :I Faraoni a cura di Christiane Zeigler – Bimpiani Pag. 461

VASO STRANIERO

A cura di Grazia Musso

Questo vaso è stato probabilmente importato dall’Asia occidentale e potrebbe essere stato portato in Egitto da una delle mogli straniere di Thutmose III come parte della sua dote.

La forma, che ha una base a bottone, ora mascherata da foglia d’oro su restauro in gesso.

Frammenti di vasi di maiolica vitrea, con un simile motivo variegato, sono stati trovati nel sito di Nuzi, l’odierna Yorgan Tepe, in Iraq, che fiorì nel regno di Mitanni durante il XV e XIV secolo a. C.

La lavorazione del vetro sembra abbia avuto origine in Mesopotamia e sia stata importata in Egitto all’inizio della XVIII Dinastia.

Gli artisti egizi producevano la maiolica, una sostanza legata al vetro, da più di mille anni e hanno rapidamente imparato anche l’arte della lavorazione del vetro.

Metropolitan Museum, XVIII Dinastia – Regno di Thutmosi III

Altezza 20,2 cm. Diametro 7 cm. Maiolica Vitrea, oro. Edward S. Harkness Gift 192626.7.1175

Fonte: https:/mmetmuseum.org

VASO PER LIBAGIONI DI MENUWAI

A cura di Grazia Musso

Nuovo Regno, XVIII Dinastia, regno di Thutmosi III
Argento, altezza cm 19,5 – New York, The Metropolitan Museum of Art Inventario 18.8.21a-b

Questo è uno dei tre vasi rituali trovati nella tomba, uno per ogni sposa straniera.

Quando queste donne non egizie morirono, furono mummificate e sepolte con lo stesso corredo funebre che si trova nelle tombe di regine egizie.

L’iscrizione su questo recipiente recita: “Dato come benedizione del re alla moglie del re, Manuwai, giustificato”

Il nome straniero può essere visto nella colonna di testo a sinistra, scritto foneticamente in geroglifici. Il materiale è la fattura testimoniano il rispetto che il sovrano nutriva per queste spose.

Bibliografia: Winlock 1948, 60f, TAV. 36 C. L.

Fonte:

VASO IN DIORITE

A cura di Grazia Musso

C’è una serie di barattoli porta cosmetici, decorati con una lamina d’oro, associati al corredi funerari delle tre mogli straniere di Thutmose III.

La maggior parte di questi vasi sono incisi con il cartiglio del re, contrassegnandoli come doni reali. L’iscrizione qui incisa recita: “Il buon Dio, Menkheperre (Thutmose III), ha dato la vita”.

Questo vasetto , contenitore per kohl, è alto 10,5 cm, è realizzato in diorite e foglia d’oro.

Metropolitan Museum of Art di New York

Fonte:

I SANDALI D’ORO

A cura di Grazia Musso

Tre magnifici paia di sandali, realizzati in foglia d’oro, esposti al Metropitan Museum of Art di New York con i riferimenti 26.8.147 a,b. – 26.8.147a,b – 26.8.148.a,b.

Si assomigliano molto e la loro bellezza, la loro eleganza, la loro femminilità affascinano!

Prendono principalmente la forma del modello più usato, in pelle o fibre vegetali intrecciate. Guardiamo i particolari: i bordi anteriore e posteriore delle suole sono leggermente arrotondati, sul davanti, al centro a circa 4 cm dall’estremità inizia il “filo”, abbastanza sottile, che serve a separare l’alluce dalle altre dita. È unito ad una larga fascia, che risulta essere composta da due parti uguali e larghe che ricoprono gran parte del collo del piede.

Queste fasce iniziano, rimpicciolendosi, a fissarsi verso la parte posteriore della suola all’altezza del tallone.

Il “tacco” della suola è ornata da una rosetta a trenta petali mentre su tutto il perimetro corrono linee parallele.

Questi sandali sono destinati esclusivamente ad un uso funerario, per accompagnare il defunto nel suo viaggio.

JeanYouotte cita:

“nei testi funerari è spesso espressa la preoccupazione di dare al defunto la possibilità di muoversi sui suoi piedi. Elemento di conforto, i sandali, il cui uso era prescritto per lo svolgimento di certi rituali ed erano una parte importante del corredo funerario”.

Il corredo funebre che accompagnava Menhet Meret è Menouay testimonia il loro rango è il rispetto che era loro dovuto.

Metropolitan Museum of Art, New York

https://www.metmusrum.org/art/collection /search/548796

GLI AMULETI DEL CUORE

A cura di Luisa Bovitutti

Il cuore non veniva rimosso nel corso della mummificazione perché gli egizi lo consideravano la sede della memoria, del pensiero e delle emozioni.

Affinché il defunto potesse raggiungere l’Aldilà, esso doveva pesare quanto la piuma di Maat, il che significava che era privo di colpe; per questo si poneva sul petto della mummia un amuleto a forma di scarabeo in pietra verde, sul quale era inciso l’incantesimo del libro dei morti 30B, che invitava il cuore a non testimoniare contro il defunto durante il giudizio di Osiride.

Nelle immagini gli amuleti preparati per le tre regine; invece di uno scarabeo, la regina Menhet ebbe un amuleto a forma di cuore (a destra in alto); l’amuleto a sinistra appartenne a Manuwai (questo scarabeo è scolpito in modo incredibile….), quello a destra in basso a Mertet.

FONTI:

https://www.google.com/search…

https://www.metmuseum.org/art/collection/search/553290?searchField=All&sortBy=Relevance&ft=tuthmosis+III+wives+foreigners&offset=120&rpp=20&pos=131i

I VASI CANOPI

A cura di Luisa Bovitutti

Ciascuna delle tre mogli del sovrano è stata sepolta con quattro vasi canopi, all’interno dei quali venivano conservati gli organi interni rimossi nel corso della mummificazione (polmoni, fegato, stomaco ed intestino).

Non tutti si sono conservati. Il vaso sopra, che mi sembra quello realizzato con maggiore perizia, appartenne a Manuwai e reca un’invocazione alla dea Neith ed al dio minore Imsety.

A sinistra il canopo di Maruta; a destra quello di Manhata, che reca un testo che pone il suo contenuto sotto la protezione di Duamutef, uno dei quattro figli di Horus.

FONTI:

I COLLARI

A cura di Luisa Bovitutti

Nel Nuovo Regno l’élite ed i reali egizi amavano indossare larghi collari, chiamati Usekh o Wesekh, realizzati in oro con intarsi di pietre dure, oppure più semplicemente in maiolica o in vetro colorato per imitare le pietre semipreziose: blu chiaro per turchese, blu scuro per lapislazzuli, nero per ossidiana e rosso per corniola.

Anche le tre mogli straniere di Thutmose III seguivano la moda di corte: nella loro tomba furono rinvenuti questi due collari, oggi custoditi al MET di New York.

Il collare rappresentato qui sotto, realizzato in oro, corniola, ossidiana e vetro, era un dono del sovrano, come testimonia il suo nome inciso sul retro dei terminali a testa di falco.

L’altro, anch’esso in oro e pasta vetrosa, aveva una chiara valenza beneaugurale, in quanto è costituito da una serie di “nefer”, il segno geroglifico che significa “buono” o “bello”.

FONTI:

OGGETTI VARI

A cura di Luisa Bovitutti

Il pettorale a forma di avvoltoio con le ali spiegate raffigurante la dea Nekhbet e l’ampio collare con terminali a testa di falco adornavano probabilmente le mummie ed erano tradizionali emblemi funerari.

Nella tomba vennero rinvenuti anche diverse paia di orecchini molto pesanti, che mi ricordano quelli a rocchetto di Bulgari, che andavano di gran moda una decina di anni fa (diam. 3,5 × L. cm. 2 × L. 4,9 cm quelli più grandi; diam. 3,4 × L. 2 × L. 4,8 cm i più piccoli) ed il magnifico pendente costituito da tante piccolissime palline d’oro (diam. 1,6 cm).

Infine abbiamo la cintura composta da elementi in oro e lapislazzuli che rappresentano conchiglie stilizzate simbolo di fertilità. Purtroppo non ho trovato una fotografia migliore.

FONTI:

Donne di potere

LA TOMBA DELLE TRE SPOSE STRANIERE DI THUTMOSIS III

A cura di Luisa Bovitutti

Menhet, Menwi e Mertet erano tre mogli secondarie del Faraone Thutmosis III, probabilmente siriane, che furono sepolte insieme in una tomba scavata nella roccia in fondo al Wadi Gabbanat el-Qurud, sulla riva occidentale del Nilo di fronte a Luxor, nella zona a sud-ovest di Malqatta in cui si trovano anche la tomba che Hatshepsut si era fatta scavare durante il regno di Thutmosis II e quella di sua figlia Neferura (a Sikket Taqet Zaid Wadi).Come quella di Hatshepsut e di Thutmosis III nella Valle dei Re, anche questa sepoltura è stata ricavata allargando una fessura delle alte falesie che circondano la zona ed è posta a circa 10 metri dal suolo. Essa consiste in un’unica camera non decorata con la base di circa 5 X 7,5 metri ed altezza variabile tra m. 1,5 ed oltre 2 metri, e venne scoperta ancora intatta nell’agosto 1916 dagli abitanti di Gurna, che la saccheggiarono.

La piantina della riva occidentale del Nilo di fonte a Luxor

L’area dove si trova la tomba, il cui ingresso è la fenditura che si trova più o meno al centro, e la fenditura vista dal basso. Ancora oggi si tratta di una zona difficilmente accessibile.

Gli oggetti di legno e le mummie si erano irrimediabilmente danneggiati per l’umidità filtrata nella tomba a causa delle piogge torrenziali penetratevi nel corso dei millenni, mentre gli oggetti d’oro e di pietra furono venduti dai gurnawis sul mercato antiquario ed acquistati da Howard Carter (finanziato da Lord Carnarvon) ed in seguito dal Metropolitan Museum di New York, ove sono tuttora esposti….

CHISSA’ SE MR. CARTER CI VORRA’ RACCONTARE COME HA FATTO A RECUPERARE TUTTO QUESTO BEN DI DIO…. CREDO CHE AVRA’ AVUTO A CHE FARE CON PERSONAGGI NON PROPRIO LIMPIDISSIMI…..

Gli oggetti recuperati inducono ad ipotizzare che Thutmosis III avesse fatto predisporre per le tre donne dei corredi funerari identici, costituiti dai loro gioielli personali tra i quali l’incredibile ornamento da portare sulla parrucca che Grazia ha pubblicato a corredo del suo post, uno specchio, un nemset d’argento, coppe di alabastro e pietra, talvolta bordate d’oro.

Le loro mummie indossavano probabilmente sandali e guaine in oro per le dita delle mani e dei piedi e una corona con rosette e teste di gazzella sulla fronte.

Un anello sigillo con il cartiglio di Thutmosis III trovato nella tomba

FONTI:

Donne di potere

LE SPOSE STRANIERE DEL FARAONE

A cura di Grazia Musso

A completamento della rubrica sulle “donne di potere lungo le rive del Nilo” è doveroso un breve accenno alle spose straniere dei faraoni, che dopo le nozze assumevano un nome egizio.

Le fonti documentano che già durante la V dinastia il faraone Sahure accolse a Menfi una principessa di Biblos alla quale concesse il titolo di Seconda sposa reale; nel medio regno pare che una principessa egizia avesse sposato un re di Biblos; Apophis, re degli Hyksos era sposato all’egizia Herit, che fu probabilmente un’antenata di Amenhotep I.

Fu soprattutto nel nuovo regno che l’espansione territoriale dell’Egitto determinò l’ingresso nell’harem del sovrano di molte principesse orientali, che portavano con sé il proprio seguito introducendo a corte nuove conoscenze e usanze.

Alcune erano ragazze giovani, figlie di vassalli, che venivano inviate al faraone in segno di sottomissione e lealtà; Amenhotep III ricevette dalle città-stato della regione di Gaza ben quaranta donne.

Altre invece, il cui padre era un re importante, giungevano in Egitto per siglare accordi ed alleanze attraverso un matrimonio diplomatico con il sovrano egizio; in questo caso i due re, diventati consuoceri, si rivolgevano vicendevolmente con l’appellativo di “fratello”.

In nessun caso però avveniva il contrario (almeno fino alla fine del Nuovo Regno): una principessa egizia non veniva mai data in moglie a un sovrano straniero, come è sottolineato da una lettera di Amenhotep III a un re babilonese che ne aveva fatto richiesta:

“Dalle origini, la figlia di un re egizio non è mai stata data in matrimonio ad alcuno (straniero)”.

Sono famose le tre spose siriane di Thutmosis III, la cui tomba venne rinvenuta non lontano dalla Valle delle Regine, ed è altresì noto che Thutmosis IV sposò una principessa mitannica, figlia di Artatama, suo alleato contro gli Ittiti, loro comuni nemici. Le informazioni sui successivi matrimoni diplomatici della XVIII dinastia provengono da fonti non egizie e dalle Lettere di Amarna, ovvero dalla corrispondenza diplomatica intrattenuta da Amenhotep III e da Akhenaton con altri sovrani del Vicino Oriente.

Amenhotep III consolidò l’alleanza firmata dal padre Thutmose IV con il regno di Mitanni sposando Gilukhipa, sorella del re Shuttarna II; il matrimonio fu commemorato con l’emissione di uno serie di scarabei e la sposa arrivò in Egitto con il suo seguito di ben 317 donne; alla morte di Shuttarna, il Faraone, già anziano e malato, scrisse al suo successore Tushratta chiedendogli la mano della figlia Tadukhipa (che alcuni studiosi pensano possa essere Kiya), per mantenere saldi i legami tra i due popoli, ma morì prima dell’arrivo della principessa, che venne in seguito inserita dell’harem di Akhenaton insieme ad una principessa babilonese.Il Re sposò anche una figlia di Tarhuna-Radu re di Arzawa, una di Kurigalzu II, re di Babilonia, e più tardi anche quella del suo successore: secondo una tavoletta cuneiforme trovata negli archivi di Amarna, l’harem di questo faraone sarebbe arrivato a ospitare circa 356 donne straniere.

Anche Ramses II sposò le figlie del re di Babilonia, di un governante del nord della Siria e due principesse ittite, per siglare la pace con Hattusili III dopo un lungo periodo di ostilità: intorno all’anno 34 del suo regno (1246 a.C.) il re ittita inviò in Egitto la sua primogenita, nata dalla famosa regina Pudukhepa, con un carico d’oro, argento, gioielli, animali e in schiavi (in un papiro, scoperto da Flinders Petrie, è elencato il suo corredo) mentre lo sposo, in cambio, versò per lei un’ingente dote.

Arrivata in Egitto, ella – di cui non si conosce il vero nome – venne chiamata Maathorneferura (“Quella che vede Horus, forza creatrice di Ra) e assunse, probabilmente su richiesta del proprio padre, il titolo di Grande Sposa Reale, che rappresentava un onore rarissimo per una straniera.

La Stele del Matrimonio, che commemora il matrimonio fra Ramses II e Maathorneferura, figlia del re ittita Hattusili II

A quell’epoca Nefertari era già morta e l’arrivo di questa principessa venne celebrato con la cosiddetta Stele del matrimonio, della quale si conservano varie copie sul muro meridionale esterno del tempio di Abi Simbel, a Karnak e ad Elefantina:

«La figlia del re ittita è stata presentata a Sua Maestà […] Sua Maestà ha contemplato la bellezza dei lineamenti di lei, prima tra le donne, e i grandi l’hanno onorata come se fosse una dea […] Le è stato assegnato il nome egizio di Sposa reale Maathorneferure, lunga vita alla figlia del grande re ittita e della grande regina ittita».

La regina visse principalmente a Pi-Ramses o nell’harem di Medinet el-Ghurab, situato all’ingresso dell’oasi del Fayyum, ed ebbe dal sovrano anche una figlia chiamata Neferure; il suo nome appare citato pochissime volte anche perché, probabilmente, morì poco dopo il parto.

Intorno al quarantesimo anno di regno, il faraone sposò la sorella Maathorneferure ed immortalò le loro nozze nel tempio di Abusir; negli ultimi anni del regno di Ramses II questa regina governò l’Egitto unitamente a Bintanath e Meritamon.

La stele C 284 del Louvre, scoperta a Karnak, fu redatta durante la XXI o la XXII Dinastia, è una lontana eco del matrimonio della principessa ittita e di Ramses II in quanto vi sono ricordati “i diciassette mesi di viaggio di una principessa venuta da un lontanissimo paese, il Bakhtan”; l’Hatti era molto più vicino, ma il narratore, forse, ha un po’ esagerato.

Da quel poco che si può ricostruire sulla base dei documenti a nostra disposizione, lo status di queste principesse, una volta giunte in Egitto, doveva essere agiato ma non sfarzosissimo. In un caso, il re babilonese Kadamashman Enlil inviò ad Amenhotep III una lettera dove chiedeva informazioni sulla propria sorella. È probabile che molte di loro venissero inserite nelle attività produttive dell’harem, soprattutto quelle tessili, mentre altre potevano essere assegnate alla gestione dei palazzi appartenenti al faraone.

FONTI:

Cleopatra, Donne di potere

CLEOPATRA

Scultura romana di Cleopatra VII al Antikensammlung Museum, Berlino (Ph. by Sailko, CC by 3.0, via Wikimedia Commons)

A cura di Patrizia Burlini

La regina Cleopatra…una donna che ha oltrepassato la storia per entrare nel mito. La grande seduttrice, l’arrivista senza scrupoli, l’infedele: la fama prevalentemente negativa di Cleopatra è stata fortemente influenzata dalla propaganda romana, ma fu proprio così? Cleopatra fu certamente un’abile politica, una donna volitiva che riuscì a mantenere il potere in un clima fortemente ostile (e maschilista) per vent’anni.

Statua di Cleopatra in basalto nero. Museo dell’hermitage , Pietroburgo, inv. 3936
https://www.hermitagemuseum.org/wps/portal/hermitage/news/news-item/news/1999_2013/hm11_3_13/?lng=

Cleopatra Tèa Filopàtore (in greco antico Κλεοπάτρα Θεὰ Φιλοπάτωρ), o Cleopatra VII, nacque nel 70 o 69 a.C ad Alessandria d’Egitto e fu l’ultima regina egizia, periodo tolemaico, regnante dal 52 a.C fino alla sua morte, avvenuta nel 30 a.C.

Cleopatra era figlia di Tolomeo XII, di origini ellenistiche, discendente di Tolomeo I, militare e guardia del corpo di Alessandro Magno, di cui era amico d’infanzia, e alla cui morte si proclamò re d’Egitto, fondando la dinastia tolemaica. Cleopatra aveva quindi certamente origini macedoni da parte di padre ma la madre rimane ad oggi sconosciuta. Secondo lo storico Strabone , Cleopatra era una figlia illegittima del sovrano. Secondo altre teorie la madre di Cleopatra era egizia, forse una sacerdotessa, e tale teoria spiegherebbe il legame inusuale -per le abitudini tolemaiche – di Cleopatra con la cultura egizia. Secondo la testimonianza di Strabone, Tolomeo XII ebbe infatti solamente una figlia legittima, Berenice IV (da Cleopatra VI), mentre gli altri figli furono illegittimi: Cleopatra, Arsinoe IV, Tolomeo XIII e Tolomeo XIV.

Busto abitualmente identificato con Cleopatra, British Museum, Londra

Dopo una breve coreggenza con il padre, alla di lui morte, avvenuta Nel 51 a.C., e all’età di soli 18 anni, salì al trono assieme al fratello minore, Tolomeo XIII, di 10 anni. Contrariamente alle consuetudini e nonostante le pressioni della corte, che spingeva affinché fossero i ministri esperti a gestire il potere, Cleopatra non si mostrò affatto docile e gestì sempre il potere in prima persona, rendendo i fratelli dei semplici comprimari. Capendo l’importanza di controllare il popolo egizio, si adoperò per avvicinarsi ad esso, restaurando i fasti dei tempi faraonici, in cui il faraone era l’incarnazione stessa della divinità. Cleopatra era dotata di una straordinaria capacità di apprendere e parlare le lingue (si dice che conoscesse almeno 8 lingue) e, a differenza dei Tolomei che parlavano soltanto il greco, si esprimeva fluentemente in egiziano e copto. Si presentava quindi ai suoi sudditi come la perfetta incarnazione della dea Iside, grazie ad un’abilità e fiuto politico che nessuno della sua famiglia poteva vantare. Eccelleva nella retorica, conosceva le tragedie e commedie greche, conosceva le basi di astronomia, geometria, aritmetica e medicina. Secondo Plutarco, non era bella ma affascinante, oltre a molto colta.

Il giovane fratello Tolomeo XIII era certamente molto più manovrabile di Cleopatra e quindi era sorretto dai poteri di corte, e fu così che la lotta intestina che nacque da questo conflitto di potere costrinse Cleopatra a rifugiarsi assieme alla sorellastra Arsinoe in Siria, dove cominciò a radunare un esercito. Nel frattempo giunse in Egitto Gneo Pompeo Magno, in guerra con Giulio Cesare. Il consigliere di Tolomeo, Potino, lo fece uccidere con l’intento di guadagnarsi l’appoggio di Giulio Cesare, ma fu un errore. Giulio Cesare in qualità di console fece ritornare Cleopatra in Egitto, dove fu nominata nuovamente co-regnante con Tolomeo, mentre ad Arsinoe e Tolomeo XIV venne dato il regno di Cipro.

Tetradracma da Ashkelon, 49 a.C., busto diademato di Cleopatra VII con gli “anelli di Venere”, British Museum, Londra.

Cleopatra, allora 21enne, era determinata a gestire da sola il potere e divenne l’amante di Cesare. Tolomeo si alleò quindi con la sorella Arsinoe dando vita ad una guerra civile che causò gravissimi danni, tra cui la perdita per sempre della famosa Biblioteca di Alessandria. Tolomeo fu sconfitto nella battaglia del Nilo, dove morì annegato nel 47 a.C. Arsinoe fu catturata e portata da Cesare in trionfo a Roma nel 46 a.C. Per la sua giovane età fu risparmiata ed esiliata nell’Artemision di Efeso. Cleopatra tuttavia non la perdonò e successivamente la fece uccidere, a soli 27 anni, tramite Marco Antonio nel 41 a.C. : non poteva correre il rischio di ulteriori minacce al suo potere.

Un busto di Caio Giulio Cesare e la ricostruzione della villa di Cesare a Trastevere, gli Horti Caesaris che Cleopatra trasformò in una corte durante il suo soggiorno romano

Cleopatra seguì Cesare a Roma, nella sua villa a Trastevere, gli Horti ai piedi del Gianicolo, dove rimase con il figlio nato dalla loro relazione, Tolomeo Filopàtore Filomètore Cesare (meglio conosciuto con il nomignolo dispregiativo di Cesarione) fino al momento dell’assassinio del grande condottiero, avvenuto nel 44 a C. La permanenza di Cleopatra a Roma per ben 19 mesi creò grande scompiglio e pettegolezzi. La regina era detestata da alcuni letterati come Cicerone e Ovidio. Tutti sapevano: Giulio Cesare si divideva tra la fedele moglie Calpurnia e Cleopatra, la dissoluta seduttrice che le matrone romane detestavano e criticavano ma allo stesso tempo imitavano nella moda e nei modi. Fu Cleopatra ad introdurre a Roma il culto della dea Iside e una statua con le sue sembianze nei panni di Iside fu fatta posare da Cesare nel tempio di Venere. Alla morte di Cesare, constatato che il figlio era stato escluso dal testamento, Cleopatra fortemente delusa ritornò ad Alessandria, dove poteva studiare l’evolversi della situazione in sicurezza.

Busto di Cleopatra, marmo, Centrale montemartini, Roma, inv. MC1154
Dicono di lei

Dione Cassio:

“era splendida da vedere e da udire, capace di conquistare i cuori più restii all’amore, persino quelli che l’età aveva raffreddato”

Plutarco:

“Si dice che la bellezza non sia stata la sua unica peculiarità a stupire chi la vide, ma una irresistibile attrazione, e la figura della persona, legata alla sua conversazione interessante. Grazia naturale si sviluppava nelle sue parole, sempre stimolanti. Quando parlava, il suono della sua voce dava piacere. La sua lingua era come uno strumento a corde, rispondeva, senza aiuto, alla maggior parte delle persone Etiopi, o a Trogloditi, Ebrei, Arabi, Siriani, Medi e Parti. Si dice che lei sapesse molte altre lingue, mentre il re i suoi predecessori non avevano preso la briga di imparare e alcuni avevano dimenticato il macedone. Aveva una voce dolcissima simile ad uno strumento musicale con molteplici corde in qualunque idioma volesse esprimersi; era piccola, esile e spregiudicata”

STRATEGIA O VERO AMORE?

Poco dopo il ritorno in Egitto, il fratello e correggente di Cleopatra, Tolomeo XIV, morì, forse fatto avvelenare dalla regina.

Cleopatra nominò quindi il figlio Tolomeo XV (Cesarione), di soli tre anni, come correggente. Nel frattempo Marco Antonio si era liberato dei Cesaricidi, Bruto e Cassio, era diventato capo dell’Oriente e necessitava di finanziamenti e di un’alleanza politica e strategica con l’Egitto. Convocò quindi Cleopatra a Tarso, in Turchia. Anche Cleopatra aveva bisogno dell’alleanza con Roma per consolidare il suo trono, ma si fece desiderare: non rispose alle lettere, finché Marco Antonio non fu costretto ad inviare un messaggero di persona ad Alessandria. Solo allora Cleopatra accettò l’incontro e si avviò a Tarso. Il suo ingresso trionfale, su una barca tutta d’oro, nei panni di Afrodite, circondata da ancelle vestite da Grazie, è passato alla storia.

Antonio e Cleopatra, l Lawrence Alma-Tadema, 1885, collezione privata
In questo quadro è rappresentato il momento dell’incontro della Regina a Tarso.
Plutarco sull’incontro tra Antonio e Cleopatra a Tarso.
“Durante il cammino ricevette molte lettere da Antonio e dai suoi amici che la sollecitavano ad affrettarsi, ma lei non ne tenne alcun conto e derise a tal punto il romano che risalì il fiume Cnido a bordo di un battello con la poppa d’oro e le vele di porpora spiegate, spinto da remi d’argento al suono di flauti, cetre e zampogne. La regina era coricata sotto un baldacchino intessuto d’oro, vestita e acconciata come le Afroditi dipinte nei quadri, mentre diversi schiavetti, simili ad amorini, le facevano vento. Allo stesso modo alcune delle sue schiave più belle, vestite da Nereidi e da Grazie, stavano al timone o sui pennoni. Al passaggio della nave, dai molti incensieri accesi si spargevano verso le rive del fiume fragranze preziose. Lungo le prode gli abitanti non solo la accompagnarono fin dalla foce, ma uscirono anche dalla città per poterla vedere. Antonio sedeva in tribunale, nella piazza del mercato, ma la gente andò incontro alla regina e finì per lasciarlo solo. Si sparse allora la voce che Afrodite fosse giunta nel tripudio generale ad incontrare Bacco per il bene dell’Asia. Antonio mandò ad invitarla a pranzo, ma Cleopatra gli chiese di venire lui da lei. Come atto di cortesia e di cordialità egli obbedì. Nei quartieri della regina trovò addobbi superiori ad ogni descrizione; in particolare venne colpito dalla quantità di luci, che ardevano in ogni dove, appese al soffitto o collocate sul pavimento, disposte e ordinate ora a formare quadrati ora cerchi, in modo tale da costituire uno spettacolo davvero magnifico e suggestivo”.
Socrate di Rodi:
“Per il suo incontro con Antonio in Cilicia, Cleopatra organizzò in suo onore un superbo banchetto, apparecchiato con vasellame d’oro lavorato e decorato da pietre preziose. Alle pareti vi erano stoffe intessute anch’esse d’oro e d’argento. Dopo aver fatto predisporre dodici tavoli, lo invitò a prendere posto assieme agli amici più intimi. Antonio era come sopraffatto a vedere quelle meraviglie, ma la regina sorrise con calma e gli disse che tutto quello che aveva dinnanzi era un dono per lui. Gli chiese poi di pranzare con lei l’indomani, sempre in compagnia dei suoi ufficiali ed amici. In questa seconda occasione preparò un banchetto ancora più sontuoso. Le stoviglie adoperate il giorno precedente, al confronto con le nuove, erano povera cosa; tutto venne poi egualmente donato ad Antonio […]. Il quarto giorno la regina spese la somma di un talento per comprare delle rose. Il pavimento della sala del convito venne cosparso di fiori per l’altezza di un cubito e tutto l’ambiente era coperto da festoni e ghirlande”
Una delle innumerevoli ricostruzioni del volto dì Cleopatra. Non c’è certezza che questo sia il suo vero volto

Ancora una volta, la Regina aveva colpito nel segno. Gli storici ci hanno tramandato il racconto di queste giornate dove gli egizi ed i romani facevano a gara per superarsi nello sfoggio di ricchezze. Naturalmente fu Cleopatra ad avere la meglio. È bene ricordare che questa non fu la prima volta in cui i due si incontrarono. Marco Antonio aveva già conosciuto Cleopatra a Roma quando lei era quattordicenne e forse già allora era rimasto affascinato da questa donna straordinaria, che allora era solo una fanciulla, mentre ora una donna consapevole dei propri mezzi. A novembre del 41 a.C. Antonio si recò ad Alessandria, da cui ripartì nel 40 lasciando Cleopatra incinta dei loro due gemelli. Giunse in Siria e da lì parti per l’Italia, dove nel frattempo era morta la moglie Fulvia, e dove firmò la pace con Ottaviano, suggellandola con le nozze con la di lui sorella, Ottavia, da cui ebbe nel frattempo due figli.

Nel 39 Antonio volle chiudere la partita con i Parti e si recò ad Antiochia dove incontrò nuovamente Cleopatra e riconobbe così i due gemelli, Cleopatra Selene e Alessandro Helios, che non aveva mai visto prima. Non sappiamo in che termini si svolse quest’incontro. Secondo la propaganda romana Cleopatra rinfacciò a Marco Antonio il matrimonio con Ottavia ma c’è da chiedersi se una politica così scaltra e navigata come Cleopatra potesse veramente scandalizzarsi per quello che era evidentemente un matrimonio politico…

Marco Antonio. Busto di Marmo. Museo Vaticani, Roma
Foto: Oronoz / Album

Nel frattempo, a Roma, Ottaviano, ormai ai ferri corti con l’ex alleato, cercava di screditare presso l’opinione pubblica Antonio, indicandolo come un traditore completamente in balia delle arti magiche della Regina e opponendo alla dissolutezza e immoralità di quest’ultima, le virtù della sorella Ottavia, moglie esemplare e tradita da Antonio. Ottavia fu effettivamente una donna molto bella e saggia, che in seguito mostrò grande abnegazione nei confronti dell’ormai ex marito.

Nel 36 a.C. Antonio iniziò la guerra contro i Parti a cui Cleopatra aveva contribuito con navi e denaro. Si trattava dì un’operazione difficile, con poche speranze dì riuscita, e forse Cleopatra vi contribuì più per assecondare l’amante e padre dei suoi figli che per una ponderata scelta politica. Cleopatra nel frattempo, incinta del terzo figlio di Antonio, Tolomeo Filadelfo, fece ritorno ad Alessandria dove poco dopo diede alla luce il figlio. La spedizione contro i Parti fu un fallimento e Antonio si ritirò.

Statua di regina tolemaica, probabilmente Cleopatra VII, I secolo a.C. (New York, Metropolitan Museum of Art).
I tre urei sul capo sono un forte indicatore della possibile attribuzione dì questa statua a Cleopatra

Dopo una campagna contro l’Armenia, Antonio fece prigioniera la famiglia reale che fu fatta sfilare ad Alessandria nel suo trionfo, un vero e proprio affronto per Roma e le sue tradizioni e che gli procurò molte dure critiche.

Al trionfo seguirono le cosiddette “donazioni di Alessandria”: Cleopatra, vestita da Iside, fu proclamata “Regina dei Re” e sovrana d’Egitto, Libia, Cipro e Celesiria, mentre Cesarione “Re dei Re” e co-regnante; anche gli altri due figli maschi ebbero il titolo di “Re dei Re”.

Fu forse in quell’occasione che fu celebrato il matrimonio tra Cleopatra e Marco Antonio, nonostante Antonio fosse ancora sposato con Ottavia. A Roma intanto la propaganda filo augustea dipingeva Cleopatra come una seduttrice che aveva ammaliato Antonio con le arti magiche, una donna che voleva distruggere Roma, mentre Antonio era accusato di aver ormai perso il senno. …/… continua

La bellissima e saggia Ottavia

Marmo – ca. 40 a.C.
Inv. No. 121221.
Roma, museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme

Plutarco (Vita di Antonio, XXXI):“… (Ottavia) era, come tutti dicevano, una donna meravigliosa. Aveva perso da poco il marito Caio Marcello ed era vedova. Anche Antonio, dopo la morte di Fulvia, lo era, almeno in apparenza: infatti, pur non negando di essere l’amante di Cleopatra, non voleva però ammettere di essersi sposato con lei. Su questo punto egli ragionava ancora bene e dentro di sé combatteva il suo amore per l’egiziana. Tutti perciò si prodigavano per combinare questo matrimonio sperando che Ottavia, che univa alla sua grande bellezza, serietà ed intelligenza, una volta sposata ad Antonio e da lui amata come lo meritava una donna sua pari, avrebbe appianato le contese tra i due rivali ed avrebbe portato ad una fusione dei due partiti. Anche i due contendenti lo pensavano. Perciò, appena essi furono arrivati a Roma, si celebrarono le nozze di Ottavia con Antonio, nonostante che la legge non ammettesse un secondo matrimonio prima che fossero passati dieci mesi dalla morte del primo marito. Ma una decisione del Senato permise loro di non attendere tutto quel tempo.” 

Dicono di lei

Plutarco sull’incontro tra Antonio e Cleopatra a Tarso.

“Durante il cammino ricevette molte lettere da Antonio e dai suoi amici che la sollecitavano ad affrettarsi, ma lei non ne tenne alcun conto e derise a tal punto il romano che risalì il fiume Cnido a bordo di un battello con la poppa d’oro e le vele di porpora spiegate, spinto da remi d’argento al suono di flauti, cetre e zampogne. La regina era coricata sotto un baldacchino intessuto d’oro, vestita e acconciata come le Afroditi dipinte nei quadri, mentre diversi schiavetti, simili ad amorini, le facevano vento. Allo stesso modo alcune delle sue schiave più belle, vestite da Nereidi e da Grazie, stavano al timone o sui pennoni. Al passaggio della nave, dai molti incensieri accesi si spargevano verso le rive del fiume fragranze preziose. Lungo le prode gli abitanti non solo la accompagnarono fin dalla foce, ma uscirono anche dalla città per poterla vedere. Antonio sedeva in tribunale, nella piazza del mercato, ma la gente andò incontro alla regina e finì per lasciarlo solo. Si sparse allora la voce che Afrodite fosse giunta nel tripudio generale ad incontrare Bacco per il bene dell’Asia. Antonio mandò ad invitarla a pranzo, ma Cleopatra gli chiese di venire lui da lei. Come atto di cortesia e di cordialità egli obbedì. Nei quartieri della regina trovò addobbi superiori ad ogni descrizione; in particolare venne colpito dalla quantità di luci, che ardevano in ogni dove, appese al soffitto o collocate sul pavimento, disposte e ordinate ora a formare quadrati ora cerchi, in modo tale da costituire uno spettacolo davvero magnifico e suggestivo”.

Socrate di Rodi:

“Per il suo incontro con Antonio in Cilicia, Cleopatra organizzò in suo onore un superbo banchetto, apparecchiato con vasellame d’oro lavorato e decorato da pietre preziose. Alle pareti vi erano stoffe intessute anch’esse d’oro e d’argento. Dopo aver fatto predisporre dodici tavoli, lo invitò a prendere posto assieme agli amici più intimi. Antonio era come sopraffatto a vedere quelle meraviglie, ma la regina sorrise con calma e gli disse che tutto quello che aveva dinnanzi era un dono per lui. Gli chiese poi di pranzare con lei l’indomani, sempre in compagnia dei suoi ufficiali ed amici. In questa seconda occasione preparò un banchetto ancora più sontuoso. Le stoviglie adoperate il giorno precedente, al confronto con le nuove, erano povera cosa; tutto venne poi egualmente donato ad Antonio […]. Il quarto giorno la regina spese la somma di un talento per comprare delle rose. Il pavimento della sala del convito venne cosparso di fiori per l’altezza di un cubito e tutto l’ambiente era coperto da festoni e ghirlande”

Fonti e bibliografia:

Donne di potere, XIX Dinastia

IL GRAN CANCELLIERE D’EGITTO BAY

UN’EMINENZA GRIGIA ALLA CORTE DEGLI ULTIMI SOVRANI DELLA XIX DINASTIA.

A cura di Luisa Bovitutti, Grazia Musso e Nico Pollone

Ricostruiamo la storia di un uomo che con i suoi intrighi ha raggiunto le più alte vette del potere per poi finire miseramente i suoi giorni, forse distrutto dalla sua ambizione.

LE ORIGINI ED I PRIMI ANNI DELLA SUA CARRIERA

Bay salì alla ribalta durante il regno di Sethi II e rivestì un ruolo politico determinante nella fase finale della XIX Dinastia.

Le sue origini sono oscure, probabilmente era asiatico, forse siriano, perché egli stesso si definiva qr nrS mHy, “uno straniero da quella terra del nord”, che indicherebbe la sua provenienza dal Vicino Oriente; ma l’interpretazione è ambigua, e l’espressione potrebbe anche significare semplicemente “un visitatore dalla terra del Nord” ossia MHw, la regione del Delta; l’unica informazione certa che si può trarre dalle fonti, quindi, è che non era di origini tebane e non veniva da Tebe.

Egli viene generalmente identificato nel personaggio chiamato Iarsu (o Irsu, Arsu, Yarsu) del quale si fa menzione nel Grande Papiro Harris I, che Ramses III fece redigere per celebrare se stesso e suo padre Sethnakht, a suo dire fu scelto proprio dagli dei come restauratore dell’ordine in Egitto dopo il periodo di anarchia coinciso con gli ultimi anni della XIX Dinastia e con lo strapotere di ” un certo siriano” di nome Yarsu.

Ramses III così si esprime:

Ascoltate: che io possa informarvi delle cose buone che ho realizzato mentre ero re del popolo.

La terra d’Egitto era sottosopra e ogni uomo era privato dei suoi diritti.

Per anni era mancato un potere centrale e il paese d’Egitto era nelle mani dei capi e dei governanti delle città, in lotta tra loro.

In seguito venne Yarsu (Bay), un certo siriano che prese il potere.

Egli rese tutto il paese suo tributario; unì i suoi compagni e saccheggiò i possedimenti altrui.

Essi fecero gli dei simili agli uomini, e nessuna offerta fu presentata nei templi.

Ma quando gli dei si determinano alla pace, per riportare la terra al suo consueto ordine stabilirono che fosse sovrano di ogni terra, sul loro grande trono, il loro figlio, che uscì dalle loro membra, Userkhara-Setepenra Meritamon, vita, prosperità e salute, Figlio di Ra, Sethnakht, Merenre-Meriamon, vita, prosperità e salute.

Egli era Kepri-Shet quando è in collera; riportò l’ordine sulla terra che era stata ribelle ; uccise i i ribelli che erano nella terra d’Egitto ; purificò il Grande Trono d’Egitto; fu Sovrano, vita, prosperità e salute, delle Due Terre, sul Trono di Atum. Ha riportato sulla dritta via coloro che avevano deviato.

Ogni uomo conosceva suo fratello….. ha riconsegnato i templi alle divinità e sono ricominciate le consuete offerte”.

Bay comincio’ la sua carriera probabilmente con Ramses II o Merenptah ed il suo primo incarico ufficiale potrebbe essere stato quello di sacerdote nel tempio di Heliopolis, dove è stata trovata una sua statuetta; sotto Sethy II è attestato come scriba e maggiordomo del re (portava i titoli di sS nswt e wdpw nswt), ruoli che in questo periodo erano frequentemente ricoperti da Siriani.

Soffitto della tomba di Siptah, la KV47
IL “CREATORE DI RE”

Durante il regno di Siptah, per ragioni sconosciute, lo status ed il potere di Bay crebbero in modo considerevole: scomparve la precedente titolatura ed egli acquisì il ruolo estremamente prestigioso di “Unico Compagno, Grande Cancelliere di tutta la Terra” (imy-r xtmty n tA r Dr. f), che gli conferì poteri immensi, analoghi a quelli della reggente Tausert.

In due occasioni ed in particolare su di una stele rinvenuta ad Assuan egli si presentò anche come “colui che ha posto il re sul trono di suo padre” ( LD 202c – titolo normalmente esclusivo del re o delle divinità), rivendicando per sé il merito di avere aiutato Siptah a farsi riconoscere come erede di Sethi II, senza tuttavia fornire ulteriori dettagli su come ciò sarebbe avvenuto.

Le poche immagini esistenti di Bay lo mostrano in piedi dietro Siptah, in una posizione insolita per i canoni artistici dell’epoca ; è chiaro che facendosi rappresentare in questo modo voleva accreditarsi come protettore del sovrano.

Ma davvero egli ebbe il ruolo attribuitosi?

Gli studiosi non concordano sull’identità del padre di Siptah. Cyril Aldred in particolare ritiene che egli fosse figlio di Amenmesse ed unico discendente diretto di Merenpt ( alcuni pensano che potesse essere suo figlio) per cui legittimo erede di Sethi II : in questo caso la successione sarebbe verosimilmente avvenuta senza scossoni, anche senza l’appoggio di colui che sarebbe poi diventato Gran Cancelliere.

Altri pensano invece che Siptah nacque da Sethi II e dalla concubine siriana Tiaa e che divenne principe ereditario dopo la morte di Sethi-Merenptah, il figlio primogenito della Grande Sposa Reale Tausert.

A questo proposito si è ipotizzato che Bay fosse il fratello o un parente stretto della moglie secondaria del faraone e ciò spiegherebbe la sua incredibile parabola ascendente, gli sforzi che profuse per porre suo nipote Siptah sul trono al quale aspirava anche Tausert ed il motivo per cui gli venne attribuito un ruolo così dominante sui monumenti reali.

L’interpretazione è verosimile ( ma del tutto sfornita di prove), laddove si osserva che il Gran Cancelliere non poteva contare su alleanze potenti a corte , in quanto non era né nobile, né tebano e doveva misurarsi con ben altri personaggi influenti, come ad esempio il visir o i rappresentanti delle più elevate gerarchie del clero, tra i quali spiccava Bakenkhonsu, sommo sacerdote di Amon.È comunque indubbio che Bay trasse notevoli vantaggi personali dall’appoggio garantito a Siptah, il quale divenne re a soli dodici anni ed aveva problemi di salute: il Gran Cancelliere infatti assunse il nome di Ramesseo – Khamenteru, come se fosse egli stesso diventato faraone ed affiancò la reggente Tausert nel governo del Paese (alcuni ricercatori ipotizzano addirittura che ne fosse l’amante). In ogni caso ebbe il pieno controllo sul tesoro d’Egitto ed acquisì a corte una posizione così elevata da essere ritratto su vari monumenti nelle stesse dimensioni del re e della regina : tale circostanza è senza precedenti, in quanto ” l’arte” ufficiale egizia prevedeva che il faraone venisse ritratto in scala maggiore rispetto a ogni altro personaggio, con l’unica eccezione delle divinità.

Esempi di questa particolare iconografia si trovano nel tempio di Amada in Nubia: sul portale Siptah. Tausert è Bay sono raffigurati tutti e tre con le medesime dimensioni.

Lo stipite del tempio di Amada: a sinistra Bay, a destra con i sistri, Tausert
L’UOMO VENUTO DAL NULLA DIVENTA “PORTATORE DEL FLABELLO DEL RE” E ” MESSAGGERO DEL RE IN SIRIA E IN NUBIA”

Una volta conquistato il posto a fianco di Siptah, il Grande Cancelliere Bay ampliò a dismisura il suo potere già notevole.

Sul rilievo del pilastro 16, lato meridionale, del tempio di Buhen è definito “portatore del flabello alla destra del re” (titolo solitamente riservato ai figli del sovrano) e “messaggero del re in Siria e Nubia”, su di un pilastro nel lato nord è rappresentato Siptah che compie libagioni alla dea Bastet e dietro di lui si nota la figura di un flabellifero dal nome illeggibile, ma che probabilmente è Bay in quanto porta i titoli già descritti.

Analoga raffigurazione si ha presso lo Speos di Horemheb a El Silsila.

In effetti una tavoletta rinvenuta nell’archivio della casa del mercante Urtenu a Ras Shamrs in Siria, sito corrispondente all’antica Ugarit, riporta un frammento di una lettera inviata da un tal ” Beya capo delle truppe del grande re della terra d’Egitto”, ad Ammurapi, l’ultimo re di Ugarit, il cui regno era devastato dalle razzie dei pirati.

Lo Speos di Horemheb – Gebel El Silsila

Gli studiosi, ed in particolare Itsmar Singer, pensano che Beya sia Bay, in ragione dell’indiscutibile assonanza dei nomi ( tra l’altro inconsueti, il che induce ad escludere un’omonimia) ed in considerazione del fatto che non è documentato nessun altro capo delle truppe; sebbene questo titolo non sia altrimenti attestato per il Gran Cancelliere, non bisogna dimenticare che egli cadde in disgrazia e che i suoi avversari politici cercarono di cancellarlo dalla storia, per cui è possibile che ulteriori richiami siano stati distrutti. Queste fonti dimostrano che Bay gestiva i rapporti diplomatici con Ugarit ed aveva assunto il controllo degli affari esteri egizi; tali rapporti privilegiati con il sovrano straniero, con il quale egli intratteneva una corrispondenza diretta, sono del tutto insoliti ed è possibile che gli siano stati delegati questi compiti delicatissimi proprio per le sue origini siriane e la sua conoscenza della lingua in uso in quei paesi.

Il ruolo di portavoce del re è ribadito anche da un rilievo scolpito nella stele ad Assuan ( LD III, 202 c) Bay è descritto come “scacciatore di menzogne e presentatore di verità”, titolo normalmente riservato al solo sovrano.

Siptah manifestò il suo grande favore nei confronti del suo più importante funzionario concedendogli il grande privilegio (in passato riservato solo a Yuya e Tuya, genitori della regina Tiye) di costruire la propria tomba (KV13), nella Valle dei Re, accanto a quella propria ed a quelle di Sethi II e di Tausert; Hartwig Altenmuller, che l’ha scavata, ha dimostrato che essa aveva le caratteristiche di un ipogeo regale e dimensioni analoghe a quella della reggente e solo di poco inferiori a quella del giovane sovrano; dalle iscrizioni su alcune giare di vino di Siptah, inoltre, si apprende che benefica a del culto funerario del faraone.

A ciò si aggiunga che in ognuno dei depositi di fondazione del tempio funerario che Siptah si era fatto costruire a Tebe vicino al Ramesseo, sono stati trovati un blocco di arenaria con i titoli e il nome di Bay (U. C. 1436 – Petrie Museum – Londra) ed una collezione di oltre 100 oggetti appartenenti al cancelliere, questo potrebbe significare che egli aveva una cappella funeraria all’interno del tempio del suo re.

IL BLOCCO DI ARENARIA CON IL NOME DI BAY NEL DEPOSITO DI FONDAZIONE DEL TEMPIO FUNERARIO DI SIPTAH

Il tempio funerario di Siptah sorgeva sulla riva occidentale del Nilo di fronte a Luxor ed era posto tra il tempio di Tuthmosis III ed il Ramesseum; oggi rimangono solo le trincee di fondazione ed uno strato di pietra al loro interno, e non è possibile stabilire se venne distrutto dopo la morte del giovane sovrano, oppure se non fu mai terminato, restando così fermo ad un primo stadio della costruzione. Sul retro c’era una piccola cappella in muratura destinata al culto del re.

Nelle immagini, i resti del tempio ed il blocco di arenaria con il nome di Bay (le due infiorescenze di canna e l’animale con le corna sopra di esse) trovato nel deposito di fondazione; a sinistra di esso un altro blocco con i cartigli di Siptah.

LA CADUTA

La parabola ascendente di Ay si interrompe in modo assai brusco nell’anno 5 del regno di Siptah, quando fu condannato a morte e giustiziato per ordine dello stesso sovrano, così come si evince da un ostracon scoperto e pubblicato nel 2000 da Pierre Grande dal titolo “L’execution du chancellier Bay” ( O IFAO 1864′ 2000).

Il recto del reperto, infatti, è un annuncio pubblico fatto agli operai del villaggio di Deir El-Medina che recita:

“Anno 5, III Shemu, 27°. Oggi lo scriba della tomba, Paser, è venuto ad annunciare:” Il Faraone, Vita, Prosperità, Salute – ha ucciso il grande nemico Bay “.

Regicidi è assassini politici non erano infrequenti nell’antichità, ma l’epurazione di Bay ha certamente destato grande scalpore lungo le rive del Nilo, non solo presso il popolo, ma anche nelle stanze del potere, dove tutti quelli che lo avevano appoggiato devono aver tremato temendo di essere trascinati a loro volta nella rovina.

Il nome di Bay fu rimosso dalla sua tomba, che venne lasciata incompleta e che fu usurpata molti anni dopo da Montuherkhepshef, un principe della XX Dinastia figlio di Ramses IX; inspiegabilmente, tuttavia, furono risparmiati quei rilievi pubblici che lo raffiguravano.

Cosa effettivamente sia successo non è dato sapere; è certo che, liberatosi di lui, Tausert divenne l’unica detentrice del potere e alla morte prematura del figliastro assunse il ruolo di Sovrano delle Due Terre.

FONTI:

Chi desidera sapere qualche cosa in più sull’archivii di Urtenu, guardi questo interessante articolo: https:www Archaeology.org/issues/430-2107/ features/9752-ugarit-bronze-age-archive

Donne di potere, Gioielli

LA COLLANA DI TAUSERT

A cura di Luisa Bovitutti

 METà AL CAIRO E METà A NEW YORK!

Nella “tomba d’oro” (KV56) furono trovati anche le sferette e gli elementi decorativi che componevano una delicata collana della regina Tausert; essi sono stati realizzati in filigrana, saldando anellini di filo d’oro nelle forme desiderate; ogni sferetta è costituita da ben dodici anellini.

In base alla normativa che disciplinava la divisione dei reperti tra l’Egitto ed il finanziatore degli scavi, metà di essi rimase al Museo del Cairo, mentre l’altra metà fu attribuita a Davis, che la donò al Metropolitan Museum di New York.

Due motivi decorativi finirono non si sa come sul mercato antiquario e furono acquistati a Luxor da Lord Carnarvon; nel 1926 la sua vedova, Lady Almina, li vendette al Metropolitan.

Nell’impossibilità di sapere come fosse l’originaria composizione del monile, i due musei riassemblarono gli elementi in modo differente.

Nelle foto: a sinistra la collana di New York, a destra quella del Cairo

Donne di potere

TAUSERT

A cura di Grazia Musso

GRANDE SPOSA REALE E POI REGGENTE

Alla morte di Ramses II, avvenuta verso il 1212 a. C., gli succedette l’anziano Merenptah che regnò per una decina d’anni.

Dopo di lui sali’ al trono suo figlio Sethi II ( il cui regno potrebbe essere stato inframmezzato da quello di Anenmose) che sposò tre regine.

La prima fu Takhat II, che sembra non gli abbia dato eredi, la seconda Tausert, figlia della dama Takhat e forse di Merenptah stesso (è quindi nipote di Ramses II), che gli diede un figlio chiamato come il padre Sethy-Merenptah, che purtroppo morì prima di succedergli e fu il figlio della terza moglie, il principe Ramses-Siptah, che divenne faraone grazie all’appoggio del potentissimo Gran cancelliere Bay ” che ha stabilito il sovrano sul trono di suo padre”.

Bay era probabilmente Siriano, nonostante la sua origine straniera era diventato l’eminenza grigia del palazzo, ottenendo nel tempo i titoli di Tesoriere e di Gran Cancelliere dell’intero paese con il privilegio di avere una tomba nella Valle dei Re (KV 13)dopo essere partito con il ruolo di semplice scriba e maggiordomo reale di Sety II.

La leggimità del giovane re non sembra sia stata messa in dubbio in quanto i graffiti lasciati dai funzionali egiziani in Nubia si riferiscono a lui. Tuttavia era ancora un ragazzino ed aveva problemi fisici (la sua mummia porta I segni inequivocabili della poliomielite), per cui la reggenza del paese venne assunta dalla matrigna Tausert, mentre Bay continuò a svolgere il suo ruolo di consigliere.

Dopo tre anni Siptah, cambiò il nome che aveva assunto salendo al trono, Ramses – Siptah, in Merenptsh-Siptah, si liberò di Bay, facendolo giustiziare, come si evince da un testo in ieratico redatto su un Ostracon trovato a Deir El-Medina nel quale si legge: ” Anno 5, III Shemu, 27°. Oggi scriba della tomba, Paser è venuto ad annunciare:” Il Faraone – Vita. Prosperità, Salute – ha ucciso il grande nemico Bay” “.

L’anno successivo il faraone morì appena ventenne e fu sepolto nella Valle dei Re ( KV 47) lasciando una situazione pesantemente critica perché i Popoli del Mare premevano ai confini ed una grande siccità affliggeva ed impoveriva l’Egitto determinando il nascere di pericolose bande di ladri e diaperati.

Coppa della regina Tausert

Nuovo Regno, XIX Dinastia

Oro – Altezza cm 9,5, diametro dell’oro cm 8, diametro della base c. 4,3

Tell Basta (Bubasti)

Il Cairo, Museo Egizio – JE 39872 = CG 53260

Questo delicato calice d’oro a forma di loto, utilizzato per bere, apparteneva a Tausert.È costituito da due pezzi saldati: il fiore di loto e il gambo, uno stelo di papiro capovolto.

Il cartiglio racchiude il nome della regina, sormontato dalle penne e dal disco solare.

Fonte: I Faraoni a cura di Christiane Zeigler – Bompiani

Bibliografia : Griggs 1985, ( cat. 25). M. S.

Reggente e poi signora delle Due Terre

Siptah non aveva eredi e il trono faceva gola a molti, in particolare ai vertici delle gerarchie militari nel Basso Egitto, al sommo sacerdote di Amon nell’alto Egitto ed al vicere’ in Nubia; Tausert tuttavia, scomparso Bay che era il suo contendente più accreditato, non si lasciò sfuggire l’occasione per prendere il potere assoluto sulle Due Terre, proclamandosi sovrano ed assumendo il nome reale di Sitre Meritamon Tausert, cioè ” Figlia di Ra, Amata da Amon, la potente”, divenne altresì definita “l’amata da Mut”, ” colei che possiede la bellezza in quanto re, come Atum”, ” la fondatrice dell’Egitto”, ” colei che piega i paesi stranieri”, “la sovrana della terra amata”, “l’amata da Amon”, “l’eletta da Mut”.

Manetone la cita come re “Thuoris” attribuendo un regno di sette anni, che computa anche la corregenza con Siptah.

Governò da sola per nemmeno due anni ( dal 1191 al 1190 a. C.), regalando all’Egitto un periodo, seppur breve, di pace e relativa prosperità, durante il quale evitò di organizzare campagne militari, riallacciò i rapporti commerciali con la Palestina e Nubia, realizzò numerose opere architettoniche, tra le quali il suo tempio funerario nei pressi del Ramesseum, delle quali rimangono tracce a Tebe, Abydos, Ermopoli, Menfi, Amarna e Eliopoli.

Sono state trovate placche con il suo nome nel Delta e il suo cartiglio compare su gioielli dell’epoca di Sethy II.

Nella zona di Bubasti fu trovato un tesoro con vasi d’oro e d’argento che recano il suo nome. Esistono sue iscrizioni a Serabit el Khadim e Timna nel Sinai, dove sfruttò le miniere di turchese, in Palestina e nel tempio di Amada.

L’opposizione nei suoi confronti tuttavia fu quasi immediata ad opera del generale Setnakh, forse appartenente ad un altro ramo della famiglia ramesside, il quale controllava l’esercito ed evidentemente mal tollerata di essere governato da colei che riteneva, insieme a Bay, la causa del l’anarchia è delle difficoltà in cui si dibatte a il paese.

È comunque un dato di fatto che dal 1186 a. C. Tausert scomparve per lasciare il trono a Setnakh, che regnò fino al 1183 a. C.

Questo sovrano e suo figlio Ramses III descrissero il tramonto della XIX Dinastia come un’epoca caotica ed oscura ( il papiro Harris li glorifica come restauratori dell’ordine e della grandezza dello stato) e cancellarono la memoria di Tausert, Siptah e Bay, tanto che che nel bassorilievo che raffigura la processione dei predecessori di Ramses III, che fece realizzare a Medinet Habu, egli ed il padre figurano come diretti successori di Merenptah.

Le poche informazioni disponibili in relazione a questo periodo permettono solo di fare ipotesi in merito alla successione al trono reale del generale non si sa se vi fu un colpo di stato militare o se riuscì a scalzare Tausert per mezzo di intrighi di palazzo.

È anche possibile che nel corso del regno di quest’ultima il paese fosse già governato da Sethakht, il quale vinse la lotta per la successione dopo la sua morte.

Per lungo tempo si pensò che il nuovo faraone avesse distrutto anche la mummia della regina per cancellare il suo nome dalla storia, ma recentemente si è ritenuto che possa essere la “Donna sconosciuta D” rinvenuta nel marzo 1898 da Victor Loret nel Nascondiglio della tomba di Amenhotep II ( la KV 14), la mummia giaceva nel coperchio rovesciato di un sarcofago preparato per Setnakh e si trovava accanto ai resti di Siptah.

LA SEPOLTURA

La costruzione della tomba ( KV 14) venne iniziata da Sethy II, continuò sotto Siptah e quando Tausert sali’ al trono fece ampliare i corridoi e l’ingresso è fece realizzare una seconda camera sepolcrale per renderla degna del suo nuovo status di sovrano. Alcune scene presentano Siptah accompagnato da Tausert, ma successivamente il nome di Siptah fu martellato e sostituito con quello di Sethi II.

Alla sua morte vi fu inumata, ma Ramses III la usurpo’ per il padre Setnakh, utilizzando poi per sé la KV 11 che si era fatto costruire.

Nei primi corridoi Tausert viene raffigurata insieme a Siptah e dopo la morte di quest’ultimo ne sostituì i cartigli con quelli di Sethy II.

Le immagini che la raffigurano davanti alle divinità furono in seguito adattate per Sethakht, o addirittura sostituite con quelle del suo successore Ramses III.

Il sarcofago di Tausert è stato ritrovato nella tomba KV 13. Il sarcofago è in granito rosa, lunghezza 2.75 m e altezza 1,91, decorato con un gruppo di immagini raffiguranti le quattro divinità protettrici e i quattro figli di Horus, nonché iscrizioni e inviti e preghiere per i morti.

Il sarcofago è stato trovato dall’archeologo tedesco Hartwig Altenmuller nella tomba di Bay, KV13, che si trova vicina alla tomba della regina. Era stato utilizzato dal figlio di Ramses II, il principe Mentuhetkhepeshef.

Fonti:

Donne di potere

MERITAMON: “COLEI IL CUI VOLTO E’ SPLENDIDO”

A cura di Grazia Musso

Meritamon era figlia di Ramses II e di Nefertari e nacque probabilmente quando il faraone Sethi I era ancora in vita.

Fu definita:

  • Principessa ereditaria
  • Sovrana dell’harem di Amon Ra
  • Sovrana dell’Alto e Basso Egitto
  • Sorella del re
  • Moglie preferita del re
  • Figlia del re
  • Grande Sposa Reale
  • Signora delle Due Terre
  • Sacerdotessa di Hator
  • Colei che riempie il piazzale con l’odore del suo profumo
  • Lei che sta vicino al suo Signore come Sothis é vicino ad Orione
  • Danzatrice rituale di Horus
  • Padrona del sistro
  • Suonatrice del menat di Hathor
  • L’amata del suo Signore
  • L’amata del Signore delle Due Terre
  • Colei la cui fronte è perfetta e indossa l’ureo.

Le sue tracce più significative si trovano nell’alto Egitto, a Tebe ed ancor di più ad Akhmim dove ricoprì il ruolo importante nel clero di Min anche prima di diventare Grande Sposa Reale, in quanto fin da piccola venne educata ai suoi futuri compiti religiosi; nel tempio di Luxor è menzionata come Cantatrice di Hathor.Dopo la morte della madre, intorno all’anno 26 del regno di Ramses II, Meritamon divenne Grande Sposa Reale con la sua sorellastra Bintanath I, la figlia maggiore della regina Isisnofret.

Bintanath

Alcuni studiosi ritengono che abbia avuto una figlia da Ramses II, chiamata Henoutmira, che intorno all’ anno 34 o 38 del regno, a circa sedici anni di età, divenne a sua volta moglie reale del padre.

Dopo la terza decade del regno di Ramses II si perdono le tracce di Meritamon, in quanto non si sono più rinvenute sue raffigurazioni e in un colosso del sovrano, trovato ad Hermopolis e risalente all anno 53 accanto a lui compaiono solo due Grandi Spose Reali: Bintanath I e Henoutmira ; peraltro non si sa molto neppure della data della sua morte.

Meritamon venne sepolta nella tomba QV68, costituita da un corto corridoio, un vestibolo ed una stanza principale che contiene diverse scene in cui compaiono molte divinità ; nella prima stanza si innestano due piccoli annessi e una cripta, mentre la seconda ha una nicchia nella parete di fondo.

Sul suo sarcofago di granito rosso, oggi conservato a Berlino vi è questa iscrizione:” L’Osiride, Figlia del Re, Grande Sposa Reale, Signora delle Due Terre, Meritaton”.

Il 4 aprile 2021 la sua mummia è stata traslata dal vecchio Museo Egizio al nuovo Museo Nazionale della Civiltà Egiziana.

Ella è rappresentata in diverse statue: la più nota è quella in calcare chiamata ” La regina Bianca”, trovata nel 2896 nel Ramesseum da William Flunders Petrie ed è identificata solo nel 1981, quando venne rinvenuta ad Akhmim una statua recante il suo nome ed estremamente somigliante.

La sovrana compare anche sulle pareti del Tempio Grande di Abu Simbel insieme alla principessa Nefertari e la regina madre Mutemuia, inoltre le grandi statue di Nefertari che decorano la facciata del Piccolo Tempio di Abu Simbel sono affiancate da piccole statue della principessa Meritamon e di sua sorella Henouttawi.

Sempre ad Abu Simbel è stata rinvenuta una stele del Vicere” di Nubia Heqanakht, che nel registro superiore la mostra insieme a Ramses II, mentre a Luxor è rappresentata accanto al padre, in due colossi che lo rappresentano. Analoga raffigurazione si ha in una statua rinvenuta a Pi-Ramses ed in un’altra trovata ad Akhmim, nella quale è raffigurata insieme alla sorella Bintanath accanto alle gambe del padre.

Un’altra colossale statua di Meritamon in granito è stata recentemente rinvenuta nel santuario di Bastet a Bubastis.

La misteriosa Regina Bianca

Per molti anni questa regina è rimasta misteriosa, poiché la statua era senza nome; così il suo tempio dove fu trovata, presso il Ramesseum, venne detto della “Regina Bianca”.

William Flindes Petrie, durante gli scavi del 1895-1896, scoprì questa bellissima statua, nella periferia nord del Ramesseum. Tuttavia di recente ad Akhmim una statua gemella, ma con il nome intero ha svelato il mistero: si tratta della principessa Meritamon.

La statua è alta 76 cm. e larga 44 cm. è realizzata in pietra calcarea bianca brillante, impreziosita con colorature.

Il bellissimo volto è sormontato da una folta parrucca tenuta ferma da un diadema con un modio circondato da cobra in posizione eretta.

È adornata da grandi orecchini, un braccialetto e una collana formata da diverse file di perline il cui menat è tenuto dalla mano sinistra.

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Fonte:

Donne di potere, Hatshepsut, Obelischi

L’OBELISCO DI HATSHEPSUT

A cura di Grazia Musso

L’obelisco si trova a Karnak, di fronte al quinto pilone. La colonna centrale di geroglifici contiene la titolatura di Hatshepsut ;un’iscrizione in basso ha trentadue linee (distribuite sui quattro lati) che riportano i titoli della regina; essa stessa spiega le ragioni per cui ha voluto gli obelischi ; ne racconta l’erezione a Karnak e le caratteristiche, fra cui spicca la copertura del piramidon , fatta di brillante elettro, una lega d’oro e d’argento. Si notino anche, in alto, le due colonne di decorazione ai lati dell’iscrizione centrale; vi si vede Hatshepsut in atto di offrire ad Amon.

Fonte : Antico Egitto di Maurizio Damiano.

Donne di potere, Nefertari

La lettera di Nefertari a Pudukhepa, moglie di Khattushili III

A cura di Grazia Musso

Sappiamo che unitamente alla corrispondenza intercorsa tra Ramses II e il sovrano hittita Khattushili III ( 1265-1237) è che ha portato alla stesura del celebre trattato di pace, anche tra le regine, l’egizia Nefertari e la hittita Pudukhepa, fu scambiata una ricca corrispondenza.

Pudukhepa sposò Khattushili verso il 1265 a. C.. Ultima regina hittita di cui ci sia giunta notizia, essa mantenne il ruolo di Regina Regnante anche durante l’intero periodo del regno del figlio Tudhaliya IV ( 1237 – 1209), e morì in tarda età, nel regno del nipote Shubbiluliuma II. È considerata la più importante figura femminile della storia hittita, in campo politico e spirituale.

Segno di questo peso politico è il fatto che il suo sigillo compariva anche sulla tavoletta d”argento contenente la versione hittita del trattato di pace tra Ramses II e Khattushili III, che la cancelleria del regno anatolico aveva fatto consegnare al faraone egizio.

Nel 1906, grazie agli Scavi condotti dall’archeologo tedesco Hugo Winckhler ( 1863 – 1913) a Boghazkoi, rivelatasi poi essere stata l’antica capitale hittita Hattusha, presso l’ansa del fiume Halys, in Anatolia, vennero alla luce migliaia di tavolette d’argilla cotta. Molte di queste erano incise con caratteri cuneiformi ma in un linguaggio ancora sconosciuto : la lingua hittita. Sarà l’assirologo ceco Bedrik Hozny (1879 – 1952), tra il 1914 e il 1917, che riuscirà a decifrare e tradurre la lingua hittita, risultata essere una lingua indoeuropea.

Una di queste tavolette contiene una lettera scritta dalla regina Nefertari alla regina hittita Pudukhepa nella quale, con un linguaggio molto formale, viene ribadito lo stretto legame di amicizia esistente tra le due famiglie regnanti.

Fonte :https://mediterraneoantico.it