DALLA PREISTORIA AL PREDINASTICO
Di Ivo Prezioso
L’Antico Egitto ci affascina per i suoi stupefacenti monumenti e per il lascito di una nutrita documentazione scritta che copre un arco temporale di oltre tre millenni. Questa straordinaria ricchezza di evidenze, assieme ad una durata così lunga da far sì che le origini si perdano nella notte dei tempi, ci fa quasi pensare che questa straordinaria civiltà irrompa nella storia già perfettamente compiuta nei suoi aspetti più peculiari. In realtà, tutto ciò è il risultato di un lunghissimo percorso intrapreso svariati millenni prima e che solo da (relativamente) poco gli archeologi hanno cominciato ad indagare. Gli antichi annali ci forniscono informazioni su una sequenza di sovrani che rimonta sino alla I Dinastia, mentre la regalità del periodo precedente viene attribuita agli spiriti dei defunti ovvero a governanti i cui nomi (ma non l’esistenza) erano stati dimenticati da tempo. Si è reso necessario, quindi, cominciare ad occuparsi della preistoria egizia, vale a dire di quella lunghissima fase di formazione, caratterizzata dall’assenza di documentazione scritta, che è nota come Periodo Predinastico.
Nel 1895, durante l’esplorazione del tempio di Seth a Naqada (una località dell’Alto Egitto), Flinders Petrie si imbatté quasi per caso in una necropoli costituita da oltre 2000 tombe, contenenti ceramiche ed oggetti del tutto diversi da quelli fino ad allora osservati. Il primo a rendersi conto dell’antichità dei reperti fu l’archeologo francese Jaques de Morgan, ma si deve a Petrie l’assiduo studio del materiale che lo portò ad elaborare un sistema di datazione relativa (ben prima che le tecniche con il carbonio 14 ne permettessero una assoluta) grazie al quale concluse che quegli oggetti appartenevano ad un’epoca antecedente all’uso della scrittura. L’ondata di interesse che ne scaturì condusse all’esplorazione di oltre 65 aree cimiteriali predinastiche nell’Alto Egitto. Queste ci raccontavano, tra l’altro, dell’evoluzione di un concetto di sopravvivenza ultraterrena che divenne sempre più evidente allorché, da semplici fosse scavate nella sabbia, le inumazioni evolvevano da sepolture contenenti feretri di vimini a veri e propri sepolcri rivestiti con mattoni crudi. Tuttavia, gli scavi nelle necropoli non chiarirono come quel popolo di contadini e mercanti fosse poi riuscito a dar vita ad uno dei primi Stati nazionali al mondo e ad acquisire quelle conoscenze che gli avrebbero più tardi consentito di erigere monumenti straordinari come le piramidi che ancora oggi sono lì a stupire anche il più distratto dei visitatori. Questa carenza di informazioni ha avuto per conseguenza il fiorire di una moltitudine di teorie fantasiose circa la fondazione della civiltà egizia: si va dall’invasione di una enigmatica “Razza Dinastica”, all‘intervento di emissari della mitica civiltà perduta di Atlantide o di entità aliene, giusto per citarne qualcuna. Fortunatamente, gli scavi che si sono succeduti nelle necropoli, negli insediamenti dell’Alto e del Basso Egitto, nonché in aree remote del deserto del Sahara hanno aggiunto nuovi tasselli di conoscenza, cominciando a colmare le lacune di cui si diceva. Le recenti scoperte, infatti, non solo hanno mostrato le evidenze di uno sviluppo culturale indigeno, ma hanno permesso di datare le origini della civiltà egizia ad un’epoca molto più antica di quanto si fosse mai supposto in precedenza.
Durante gli anni ‘70 del secolo scorso, Fred Wendorf e Romuald Schild studiarono i resti lasciati da persone che in un remoto passato vissero in una località situata in pieno deserto, circa un centinaio di chilometri ad ovest di Abu Simbel, ed oggi conosciuta col nome di Nabta Playa (Immagine n. 1).

Si tratta di un sito che al giorno d’oggi è tra i più aridi al mondo, ma che in un lontano passato aveva un aspetto del tutto differente. Tra l’ 8500 e il 4500 a.C. la prevalenza di un clima molto più umido permise lo sviluppo di un ambiente costituito da savane erbose e laghi stagionali, detti appunto “playa”, in cui trovarono sostentamento per oltre quattromila anni diverse società pastorali. Dalle indagini svolte sono emerse le prove di uno stile di vita neolitico autoctono che riguardano sia la produzione di alimenti (e non solo la semplice raccolta), sia l’invenzione autonoma della ceramica. È interessante notare che per l’epoca in questione tali evidenze, almeno sino ad oggi, non sono emerse lungo la valle del Nilo, sicché è verosimile pensare a queste antiche genti come ai “primi egizi”. Ancora più impressionante è il fatto che siano stati capaci di costruire strutture in pietra attraverso le quali espressero le loro conoscenze religiose e che attestano, in modo del tutto inaspettato, i primi tentativi di un’organizzazione sociale già ne 5000 a.C.
A Nabta, gli indizi dell’esistenza di rituali su vasta scala sono rintracciabili in una serie di costruzioni che con tutta probabilità costituirono un centro cerimoniale regionale dove ogni anno si radunavano vari gruppi per celebrare l’arrivo delle piogge. All’uopo, fu realizzato un calendario con lastre di arenaria disposte in circolo al fine di osservare l’alba del solstizio d’estate, un evento che assumeva particolare importanza, in quanto segnava l’inizio della stagione umida (Immagini n. 2 – 3).


Inoltre, furono costruiti allineamenti megalitici realizzati con grandi pietre alte fino a 2,5 metri prelevate da cave distanti almeno un chilometro. Tali megaliti erano disposti a raggiera rispetto ad un punto centrale e sistemati in tre gruppi che, presumibilmente, dovevano essere allineati con stelle e costellazioni come Sirio e Orione che molto più tardi avrebbero assunto un rilievo di enorme importanza nella cosmologia egizia.
Nel centro cultuale erano presenti anche otto tumuli contenenti i resti di bovini sacrificati e una trentina di misteriose “strutture complesse” (Immagine n. 4), formate da un grande anello di massi eretti intorno ad una lastra centrale, che sovrastavano buche molto profonde.

In una di queste era stata sepolta una pietra accuratamente modellata, con lati lisci ed orli affilati, che a ragion veduta potrebbe essere considerata come la più antica forma di scultura egizia conosciuta (Immagine n. 5).

Le dimensioni delle pietre, alcune delle quali pesanti alcune tonnellate, dimostrano che la realizzazione di questi monumenti richiese un notevole investimento di risorse fisiche, organizzative, di tempo, nonché di abilità e suggeriscono la presenza di capi che, oltre a controllare e dirigere le risorse umane, avvertirono l’esigenza di dare vita ad un’ architettura cerimoniale pubblica per garantire il perpetuarsi del ciclo cosmico in maniera non troppo dissimile da quanto avrebbero fatto 2000 anni dopo i costruttori delle piramidi. La recente scoperta delle sepolture di Nabta, alcune delle quali contenenti ricchi corredi consistenti in gioielli, ceramiche e tavolozze di pietra simili a quelle dei primi abitanti sedentari della Valle del Nilo, consente di concludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che già esistessero contatti tra quei pastori e i loro vicini. D’altra parte, ci è del tutto ignoto quali caratteristiche abbia assunto l’interazione tra i gruppi, allorquando l’inaridimento progressivo rese la località inabitabile, innescando un flusso migratorio verso il grande fiume. Dalle evidenze emerse sui primi insediamenti lungo il corso del Nilo, appare molto probabile che già fosse avvenuto un mescolamento di varie influenze sfociato nella concretizzazione di una cultura distinta.
Per maggiori approfondimenti su sito di Nabta playa, consiglio la lettura del pregevole post di Luisa Bovitutti a questo link: https://laciviltaegizia.org/2021/01/11/nabta-playa/
Nel Basso Egitto, l’area occupata dal delta del Nilo, le condizioni climatiche e le influenze antropologiche erano completamente diverse. Tutto ciò portò allo sviluppo di una cultura caratterizzata da una produzione ceramica, da un’architettura e da credenze così dissimili da suggerire che la tipica definizione dell’Egitto come paese delle “Due Terre”, avesse connotazioni che andavano ben oltre la semplice nozione geografica o l’amore per la simmetria. Le testimonianze al riguardo delle pratiche cultuali del Basso Egitto, sono molto scarse e si limitano sostanzialmente ad una notevole testa in creta rinvenuta a Merimde (Immagine n. 6), una località sita nella parte occidentale del Delta.

Tuttavia, le poche necropoli che sono state portate alla luce rivelano con chiarezza che la vita ultraterrena non richiedeva l’impiego di grandi quantità di beni da portare nella tomba. Dal momento che qualche vaso e una conchiglia erano sufficienti a costituire il corredo funebre, risulta molto difficile distinguere i livelli di ricchezza e, di conseguenza, ricostruire un quadro della società del Delta.
Nella Valle del Nilo, le fertili terre caratterizzate da una flora da una fauna lussureggianti, incoraggiarono la sedentarizzazione delle popolazioni nomadi che, beneficiando di un clima favorevole e di inondazioni rigeneratrici, diedero un decisivo impulso alla produzione agricola. Quest’ultima si rivelò così generosa che i raccolti ben presto superarono i bisogni vitali. Pertanto, durante il IV millennio a.C. ci fu un continuo fiorire di comunità, ben presto agglomeratesi in città-stato, che commerciavano attivamente e, parallelamente, si organizzarono per registrare, proteggere e ridistribuire i beni prodotti: fu l’alba della nascita di un sistema amministrativo e dei primi tentativi di scrittura. In ogni regione si originò una gerarchia composta da un’élite rappresentata a sua volta da un capo e si elaborarono prove e rituali finalizzati all’individuazione della personalità più adatta a proteggere la comunità. Man mano che invecchiava, il capo clan doveva regolarmente dimostrare di essere in grado di poter esercitare la sua autorità; un’autorità che progressivamente passò dalla “selezione naturale” alla trasmissione per via ereditaria. Questi processi di legittimazione furono rapidamente codificati e diedero vita ad una tradizione solenne che fu adottata per tutto il corso dell’epoca faraonica, conosciuta come festa “sed”, le cui più antiche descrizioni son già presenti nelle prime tombe reali.
Nell’Alto Egitto, le pratiche funerarie predinastiche riflettono la stratificazione sociale. La semplice fossa ricoperta di materiali leggeri, fu sostituita, per i più ricchi, da sepolture di dimensioni più grandi, celate da strutture realizzate in terra o mattoni. Ciò dimostra che gli abitanti della Valle, diversamente da quelli del Delta, avevano già pienamente sviluppato, e ne erano ferventi sostenitori, la credenza che il defunto avesse il diritto ed il potere di portare con sé sia la propria ricchezza, sia il suo status sociale. Il notevole sforzo compiuto nella realizzazione delle tombe destinate alla minoranza elitaria, documenta chiaramente la differenziazione della società in capi e sudditi sin dal 4000 a.C. e il ritrovamento di un vaso decorato, scoperto non molto tempo fa ad Abydos da una spedizione tedesca, ne fornisce un’ulteriore evidenza. Su di esso è infatti rappresentata una scena che mostra un re di grandi dimensioni e riccamente abbigliato nell’atto di minacciare con una mazza letale un gruppo di prigionieri legati. E’ il più antico esempio ad oggi noto di un’iconografia che ricorrerà per millenni nell’arte egizia e che trova, probabilmente, la sua rappresentazione arcaica più spettacolare nella famosissima Tavolozza di Narmer* (Immagini n. 7-8), scoperta nel 1897 a Hierakonpolis.


Questo straordinario reperto, rinvenuto insieme ad un centinaio di altri oggetti di arredamento templare, suggerisce che la città fosse una capitale dell’Egitto primordiale. La scoperta di una raffinatissima testa aurea raffigurante il dio falco Horus e le splendide statue in rame del re Pepi I, datate alla VI dinastia, vale a dire di circa un millennio posteriori, attestano la lunghissima ed ininterrotta venerazione per il sito e per Horus, suo patrono. Tuttavia, per comprendere la portata ed il vero significato del sito dovettero trascorrere altri settant’anni, allorché la Spedizione di Hierakonpolis, diretta dagli archeologi statunitensi Walter Ashlin Fairservis e Michael Allen Hoffman, cominciò ad indagare non nel tumulo del tempio, ma nel retrostante deserto dove fu scoperto il più grande insediamento predinastico preservatosi lungo il corso del Nilo. Esteso per oltre quattro chilometri, il sito documenta chiaramente di essere stato un importantissimo centro regionale di potere e la capitale di un regno arcaico che aveva raggiunto il suo apice circa 500 anni prima della comparsa di Narmer. Nel 3600 a.C. questa città doveva essere una capitale raffinata e vivace dove già erano rintracciabili le origini di molti aspetti che avrebbero più tardi caratterizzato la civiltà egizia. Avendo conservato tutti gli elementi fondamentali di una città, vale a dire templi, case, zone industriali, edifici amministrativi, discariche, necropoli e così via, Hierakonpolis, è il sito che può fornirci più informazioni di qualunque altro sugli sviluppi avvenuti durante il periodo arcaico**.
Qui le tombe più sontuose potevano già essere decorate come nel caso della Tomba 100*** (Immagine n. 9), risalente ad un’epoca compresa prudenzialmente tra il 3500 e il 3200 a.C., anche se analisi eseguite al carbonio C14 su alcune conchiglie ritrovate all’interno della tomba hanno fornito la sbalorditiva data del 3685 a.C.

Gli scavi e gli studi condotti in aree selezionate del sito hanno permesso di ricostruire con notevole precisione lo stile di vita dell’epoca. Tra le rocce delle zone suburbane artigiani specializzati produssero un elegante vasellame rosso con la bocca nera (Immagine n. 10) destinato sia all’uso domestico, sia alle nascenti esigenze funerarie, mentre altri vasai si occupavano della realizzazione di comuni vasi da cucina destinati alla clientela del vicinato.

* Approfondimenti su questo splendido reperto sono disponibili all’indirizzo:
https://laciviltaegizia.org/2021/02/23/la-tavolozza-di-narmer/
** Una vasta esposizione sugli scavi tuttora in corso nel sito predinastico di Hierakonpolis è disponibile al seguente indirizzo:
https://laciviltaegizia.org/…/i-siti-predinastici…/
*** Per quanto riguarda la Tomba 100 rimando al bellissimo post della nostra cara Franca Loi al seguente indirizzo: https://laciviltaegizia.org/…/la-tomba-100-di…/
Nel 1985 è stato scoperto un vasto complesso templare nel centro predinastico della città di Hierakonpolis. Sono poche le tracce che ne attestano l’antica importanza, ma la scala e la natura dei rinvenimenti indicano che si trattava di un centro cerimoniale (Immagini n. 10b-11).


Gli scavi hanno portato alla luce un grande cortile ovale (di almeno 40 x 14 metri), circondato da muri di legno e mattoni. Quattro enormi fosse per pali, sul lato occidentale del cortile, fungevano da alloggiamento per le alte colonne di legno che formavano la facciata di un edificio monumentale, molto probabilmente un sacrario costruito con stuoie e pennoni. La presenza di solchi poco profondi nel suolo lascia supporre che la parte retrostante dell’edificio era formato da tre camere, come nei templi posteriori. Ciò che si è conservato, ben si accorda con le raffigurazioni protodinastiche dell’archetipo di sacrario dell’Alto Egitto, che ritraggono una struttura a volta composta di pilastri e graticci, conformata a imitazione di un animale accovacciato, completo di coda e corna (Immagine n. 12).

A conferma che le continue ricerche nel sito apportano nuove conoscenze, bisogna precisare che con gli scavi del 2009, le precedenti ricostruzioni di quest’area sono state riviste: i quattro enormi pali e gli otto più piccoli (disposti su 2 file) che insistevano in quest’area non vengono più attribuiti ad un santuario come si era supposto, ma sono ora ritenuti, piuttosto, parte di un imponente ingresso sulla corte. Ad ogni modo, si riteneva, per tradizione, che il modello di grande sacrario della Valle, fosse quello di Hierakonpolis, pertanto è probabile che il complesso rinvenuto fosse proprio quel santuario che, rielaborato in pietra, molto più tardi, nel complesso della Piramide a Gradoni di Saqqara, rimase un prototipo per i millenni a venire.
Poco fuori le mura, sono stati rinvenuti laboratori specializzati nella produzione di vasi in pietra di eccellente qualità ed altri manufatti utilizzati per le offerte, a dimostrazione che l’associazione fra artigiani e templi non fu una novità dinastica. Un’altra caratteristica che contraddistingue Hierakonpolis è quello di essere uno dei pochi siti ad oggi noti, in cui siano state rinvenute necropoli separate per i diversi gruppi sociali. Sul versante meridionale, infatti si estende il vasto cimitero degli operai contraddistinto da fosse rivestite con stuoie ed un corredo funerario ridotto ad uno o due vasi, raramente di più. Ciononostante i defunti venivano acconciati nel migliore dei modi, come evidenzia l’utilizzo di henné, di capelli posticci e di toupet di lana di pecora. L’impiego di resine e, in alcuni casi, di pezze di lino intorno alla testa, alle mani e ad alcuni organi interni rivela la crescente preoccupazione per la conservazione del corpo, e può essere interpretato come uno dei primi tentativi nello sviluppo della mummificazione.
Anche in altri siti dell’Alto Egitto le sepolture dell’élite divenivano sempre più grandi e complesse, come dimostra la Tomba U-j a Umm el-Qa’ab (ca. 3150 a.C.) nei pressi di Abydos che includeva non meno di dodici camere nelle quali furono deposti oggetti d’offerta e circa settecento giare di vino proveniente dalla Palestina (Immagine n. 13).

Sappiamo, da diverse fonti, che esistevano almeno tre principali centri di potere nell’Alto Egitto predinastico – Hierakonpolis, Naqada e Abydos – oltre ad un numero non quantificabile nel Basso Egitto. Alla fine del Periodo Predinastico, nell’epoca che oggi viene definita “Dinastia zero”, la posizione politica di Hierakonpolis, per ragioni ignote, cominciò a cambiare. La natura bellicosa di diversi documenti di questo periodo, come ad esempio la “Tavolozza del campo di Battaglia”*, dimostra che la guerra, sia simbolicamente, sia letteralmente, costituiva un aspetto rilevante per l’acquisizione e il mantenimento del potere, ma non era l’unico dal momento che un ruolo non secondario lo giocavano anche fattori ambientali e geografici ed anche le tecniche politiche e la diplomazia. Scolpita nella roccia in una località nel deserto nota come Gebel Tjauty, ad ovest dell’antica Tebe, è stata scoperta da John e Deborah Darnell, una scena che ci offre una testimonianza di quest’ epoca turbolenta. Rappresenta una processione trionfale che sembra commemorare la conquista di Naqada da parte di una coalizione di regnanti di Abydos e Hierakonpolis che utilizzarono le piste del deserto per aggirare il nemico. Dopo la caduta di Naqada e l’unificazione della Valle l’obiettivo successivo fu il controllo del Basso Egitto, anche se le testimonianze in tal senso non vanno oltre la sostituzione della particolare cultura del Delta con le architetture, ceramiche e credenze tipiche dell’Alto Egitto. Comunque sia stata raggiunta l’unificazione delle Due Terre, l’evento restò indelebilmente scolpito nell’immaginario egizio, come testimonia il fatto che l’ incoronazione di ogni re prevedeva un rituale di ripetizione dell’evento. Benché i loro nomi si fossero perduti nella notte dei tempi, l’eredità bimillenaria degli antenati non fu mai dimenticata. Le fondamenta gettate nel Predinastico sarebbero rimaste per sempre nel cuore della civiltà egizia, costituendo la base per il suo sviluppo futuro.
* Un bellissimo approfondimento sulla Tavolozza del Campo di Battaglia e su altre Tavolozze predinastiche, a cura di Luisa Bovitutti, lo trovate al link: https://laciviltaegizia.org/…/19/le-palette-predinastiche/
Fonti: Renee Friedman, il Periodo Predinastico ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 54-60.
Franck Monnier “L’Univers Fascinant des Piramides d’Égypte”, pagg. 22-25.
