C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

SANKHKARE MENTUHOTEP III 

(HORO SANKTAUEF)

Di Piero Cargnino

Alla morte di Mentuhotep II sale al trono il figlio Mentuhotep III, figlio della “Grande Sposa Reale” Tem la quale si fregiava del titolo di “Madre del doppio Re”. Dopo il lungo regno del padre (51 anni) si ritiene che il nuovo sovrano si trovasse già in età avanzata e che il suo regno sia durato circa 12 anni (sei o sette secondo alcuni) durante i quali la vita tornò a svolgersi pacificamente nel rispetto della Maat. Cambiò due volte il suo praenomen, dapprima si chiamò Sankhkare e, successivamente Nebtawyre  “Colui che abbellisce l’Anima di Ra”.

Sono poche le notizie che conosciamo del suo breve regno, tra queste si sa che fece riaprire la pista carovaniera diretta al Mar Rosso e promosse la ripresa dei commerci con la terra di Punt, località presumibilmente situata sulle sponde somale di cui non si conosce l’esatta localizzazione. Iscrizioni rinvenute nello Wadi Hammamat citano la fine della guerra con Hieracleopolis e la riunificazione delle Due Terre grazie a questo faraone.

Confermano inoltre che Mentuhotep III, intorno all’ottavo anno di regno, disponendo ora anche della forza degli uomini del Delta, inviò verso la terra di Punt una spedizione composta da 3000 uomini forti agli ordini dell’amministratore Henenu. La spedizione partita da Coptos diretta verso il Mar Rosso durante il tragitto scavò 12 pozzi per favorire eventuali altre spedizioni e, soprattutto debellò la regione dai ribelli che la infestavano. Giunsero fino a Punt dove fecero provvista di incenso, gomme e profumi, al ritorno fecero tappa nello Wadi Hammamat per estrarre e trasportare il blocco per il sarcofago del sovrano.

Lo Uadi assunse in seguito grande importanza sia per le numerose cave presenti che per le sue miniere, gli egizi lo chiamarono “Valle di Rohanu” e costituì una delle principali vie verso il Mar Rosso e la mitica terra di Punt.

La composizione della sua famiglia costituisce per lo più un mistero, si ritiene, pur senza averne la certezza, che sia stato il padre del suo successore Mentuhotep IV. Su questo c’è ancora oggetto di dibattito;  si sa che la madre di Mentuhotep IV fu la regina Imi, quello che non si sa con certezza e se la regina Imi sia stata una moglie dell’harem di Mentuhotep III.

Nonostante la breve durata del suo regno fu promotore di diversi progetti di costruzione tra i quali il suo tempio a Deir el-Bahari nei pressi di quello di suo padre, che però non fu mai completato. Sankhkare Mentuhotep III fece erigere anche un tempio a Thoth Hill dedicato al dio Montu-Ra, il tempio, in mattoni di fango, fu costruito su un più antico tempio arcaico. Le rovine del tempio furono scoperte solo nel 1904 da George Sweinfurth. In seguito ci lavorò Petrie nel 1909 ma solo per pochi giorni. Tra il 1995 e il 1998 si interessò al sito, in modo sistematico, una spedizione ungherese guidata da Gyozo Voros per l’Università Eotvos Lorand di Budapest.

Il tempio arcaico, sottostante quello di Mentuhotep III,  potrebbe risalire al 3000 a.C. circa e sarebbe il più antico tempio costruito sulla riva occidentale del Nilo a Luxor, questo era sconosciuto già prima degli scavi di Voros. La collina dove sorgono i templi è circondata da burroni desertici e l’antico percorso che porta al tempio è difficile da salire.

Per quanto riguarda il suo complesso funerario non è stato trovato alcun riferimento. Da alcune iscrizioni parrebbe che Mentuhotep III sia stato sepolto in una camera scavata nella roccia. Suscita un notevole interesse una raffigurazione nello Wadi Hammamat dove Mentuhotep III è rappresentato nell’atto di offrire bevande al dio itifallico Min di Coptos. La didascalia racconta che un giorno, in presenza del sovrano, una gazzella con il suo cucciolo si fermò improvvisamente di fronte ad una grande roccia e la osservò con notevole interesse. Mentuhotep III interpretò il fatto come un segno divino, ordinò dunque che da quella roccia, indicata dalla gazzella, venisse scolpito il suo sarcofago.

Fonti e bibliografia:

  • Guy Racket, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, Torino, 2006
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, (Einaudi, Torino, 1997), Oxford University Press, 1961
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999
  • Sergio Donadoni, “Le grandi scoperte dell’archeologia”, Istituto Geografico De Agostini, 1993
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Mursia, 2012 Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi” Newton & Compton editori, 2002
C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

IL FANTASMA DI NEBUSEMEKH

Di Piero Cargnino

In ogni cultura, sotto diversi aspetti, l’uomo è sempre stato attratto dalle storie di fantasmi e spiriti. L’origine di queste storie si perde nella notte dei tempi ed a queste non erano esenti neppure gli antichi egizi.

Dopo aver riunito vari frammenti di ostrakon, oggi conservati in diversi musei sparsi per l’Europa, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Louvre di Parigi, il Museo Archeologico Nazionale di Firenze con l’ultimo frammento, ritrovato nel 1905 a Deir el-Medina da Ernesto Schiaparelli e conservato al Museo Egizio di Torino, è stato possibile ricostruire, almeno in parte, questa ghost story di oltre 3000 anni fa.

Si racconta che un giorno un uomo si recò dal Sommo Sacerdote di Amon, Khonsuemheb a el-Karnak, e gli raccontò che, avendo trascorso la notte accanto ad una tomba nella Necropoli di Tebe nella Valle dei Re, mentre dormiva  fu svegliato e tormentato da uno spirito che gli chiedeva aiuto. Il Sacerdote riuscì ad evocare lo spirito che si presentò come Nebusemekh, (o Niutbusemekh), figlio di Ankhmen e Tamshas. Spiegò che era morto 800 anni prima e che in vita era stato un ufficiale militare sotto il faraone Rahotep, nonché sovrintendente dei tesori reali. Nel corso dei secoli però la sua tomba era crollata ed ora lui era condannato a vagabondare irrequieto nell’Aldilà. Il testo narra inoltre che Khonsuemheb promette allo spirito di rendergli giustizia e di aiutarlo a trovare la pace. Lo spirito però rimane scettico al riguardo perché il Sommo Sacerdote non è il primo a promettergli tale pace.

A questo punto della storia sorgono alcuni  problemi di traduzione ma tutto lascia supporre che lo spirito non trovi pace e sia irrequieto perché la sua tomba non è più stata ritrovata e quindi più nessuno è andato a portargli offerte e ad onorarlo. Khonsuemheb si offre allora di costruirgli una nuova tomba e di fornire allo spirito una bara dorata con ziziphus, una pianta che cresce sotto forma di cespuglio o albero spinoso, un tentativo per placare la sua irrequietezza e renderlo pacifico. Finita la tomba, il Sacerdote manda dieci dei suoi servitori a fare offerte quotidiane nella nuova tomba. Il fantasma però si lamenta che quest’ultima idea non è di alcuna utilità in quanto quella non è la sua vera tomba.

Khonsuemheb, sconfortato si siede accanto al fantasma, piangendo e volendo condividere lo sfortunato destino dello spettro, invia quindi tre uomini a cercare la tomba. E la storia purtroppo si ferma qui, non sono stati, per ora, ritrovati altri ostrakon che ci rivelino il finale.

Secondo alcuni si può supporre che la tomba del fantasma possa trovarsi  vicino a quella del faraone Montuhotep II, a Deir el-Bahri, sulla sponda occidentale del Nilo, proprio di fronte alla città di Luxor. Infatti l’epoca nella quale Nebusemekh, il fantasma, dice di essere morto, cade proprio nell’estate del XIV anno di regno del faraone Montuhotep II. Si presume quindi che, ritrovata e restaurata la tomba,  Khonsuemheb lo abbia comunicato allo spirito il quale finalmente poté godersi il meritato riposo eterno.

Questa è certamente una storia dell’Antico Egitto come è solamente un’ipotesi il finale scritto migliaia di anni fa. Storica invece è la figura del Sommo Sacerdote, la cui tomba, molto ben conservata, è stata scoperta nel 2014 da una missione giapponese della Waseda University, proprio nella necropoli tebana. L’egittologa inglese Rosalie David spiega che gli antichi Egizi credevano che la personalità umana avesse molte sfaccettature, un concetto probabilmente sviluppato all’inizio del Vecchio Regno. Nell’esistenza terrena, una persona era un’entità completa e, se avesse condotto una vita virtuosa, avrebbe potuto anche accedere a una molteplicità di forme nell’altro mondo ma solo se veniva ricordato in questo. In alcuni casi, queste forme potevano essere utilizzate per aiutare coloro che il defunto desiderava sostenere o, in alternativa, per vendicarsi dei suoi nemici.

Fonte: Web, Archaeus, Storia e antropologia sul fenomeno dei fantasmi

C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

MENTUHOTEP II (HORO SAMTAWY)

Di Piero Cargnino

Il Medio Regno nel quale Manetone fa confluire due dinastie, la XI e la XII, in realtà ha inizio solo alla fine della XI dinastia con la riunificazione dell’Egitto ad opera di Mentuhotep II, figlio di Antef III, che regnò dal 2061 al 2010 a.C. circa. L’XI dinastia inizia nel Primo Periodo Intermedio o, meglio, in quella fase in cui si fa più aspra la rivalità fra Tebe ed Eracleopoli. I tre Antef che precedono Mentuhotep II hanno gettato le basi e preparato la strada al loro successore.

Sono molti gli studiosi che considerano la nascita del Medio Regno con l’avvento di Mentuhotep II. A Tebe ora è lui a regnare, con lui ha inizio una lunga lotta per sottomettere i governatori della regione del Delta, lotta che durerà fino al suo 40° anno di regno e terminerà con la riunificazione delle Due Terre sotto un unico sovrano.

A lungo si è dibattuto su quale fosse la corretta identità di questo faraone a causa del fatto che per ben tre volte cambiò il suo nome. In un primo momento, senza però adottare il titolo di “Re dell’Alto e Basso Egitto”, assunse il nome di Horo Seankhibtawy. Poi, dopo aver represso una rivolta nei distretti tiniti nel 14° anno di regno, lo cambiò in Netjerihedjet per cambiarlo nuovamente in Samatatwi.

Con l’avvenuta riunificazione dell’Egitto e la sua incoronazione mutò ancora il suo nome in Horo Nebhepetre.

Mentuhotep II fissa la sua residenza a Tebe, la “Città dalle 100 porte”, (Pi-Amon, o Wast, o Niwt per gli egiziani), dove la divinità più importante era Montu, dio della guerra, ma pure un’altra divinità fino ad allora poco conosciuta che diverrà di gran lunga la più famosa, Amon.

Gli anni bui del Primo Periodo Intermedio hanno stravolto l’antica concezione religiosa secondo la quale solo al faraone è riservata l’oltretomba, l’immortalità è adesso raggiungibile da tutti. Mentuhotep II si dedicò alla riorganizzazione dell’amministrazione statale con l’obiettivo primario di indebolire il potere dei nomarchi locali ed il conseguente rafforzamento del potere centrale. L’Egitto era stremato dal lungo periodo passato e richiedeva riforme urgenti per risollevarsi.

Mentuhotep II favorì la nascita di un ceto commerciale e riaprì le cave di pietra di Assuan, dello Uadi Hammamat e di Hatnub. A Tebe fece giungere alti funzionari ed artisti specializzati, in gran parte da Menfi, e presto si giunse ad una rinnovata concezione artistica in cui la letteratura godette di un momento di particolare fioritura. Nascono nuovi generi letterari e la lingua raggiunge la massima purezza ed eleganza. L’egiziano che studiamo ancora oggi è quello scritto e parlato nel Medio Regno, la lingua classica per eccellenza.

Mentuhotep II si dedicò anche alla politica estera provvedendo alla difesa della regione del Delta del Nilo rendendone sicuri i confini orientali ed occidentali. Scese in Nubia, che nel frattempo si era proclamata indipendente e la riconquistò. Sempre a sud Mentuhotep II iniziò l’espansione dell’Egitto superando la prima cateratta per garantirsi lo sfruttamento delle miniere d’oro della Nubia e quelle di Berenice Pancrisia oltre al controllo dell’oasi di Kurkuk.

Dopo molto tempo finalmente ripresero nuovamente le spedizioni commerciali a sud verso Punt, anche grazie alla riapertura della pista commerciale che da Coptos conduce al Mar Rosso. Altre spedizioni si diressero a nord, verso il Libano per procurare legno di cedro. Documenti giunti fino a noi parlano di campagne militari di Mentuhotep II contro le tribù nomadi libiche, i Temehu e i Tenehu e contro gli Amu della Terra di Djahi, i  Setjetiu e i Mentju, popolazioni nomadi della penisola del Sinai.

Tra le mogli del sovrano ricordiamo la regina Tem ma poi sposò anche Neferu, forse una sorella. Mentuhotep II scelse per erigere la sua tomba un pendio roccioso, sulla riva occidentale del Nilo, vicino all’odierna Deir el-Bahari.

Il suo complesso funerario, che egli chiamò “I luoghi (di culto) di Mentuhotep risplendono”, esce da tutti gli schemi precedenti. Gli egittologi concordano solo su un punto, il complesso unisce in se sia elementi delle “tombe-saff, (sepolcri la cui facciata è costituita da file, (saff in arabo), di pilastri), sia elementi dei complessi piramidali.

Henri Edouard Naville e Henry Hall indagarono il complesso per quattro anni, dal 1903 al 1907, Il Metyropolitan Museum di New York incaricò Herbert Winlock di effettuare degli scavi che si protrassero dal 1911 al 1931 ma, come i precedenti, non vennero mai completati. Bisognerà aspettare il 1968, quando il gruppo dell’Istituto archeologico tedesco del Cairo, sotto la guida di Stefan Arnold,  riprenda gli scavi.

Il complesso funerario di Mentuhotep II consisteva in un tempio a valle, i cui resti si trovano oggi sotto i campi sul bordo della valle del Nilo, una lunga rampa cerimoniale e la struttura a terrazze sovrapposte del tempio funerario, la cui parte occidentale è direttamente ricavata nella roccia. La rampa, scoperta, era costeggiata ad intervalli regolari, da statue del sovrano in forma osiriaca. Il tempio funerario si stagliava, coi suoi pilastri di calcare, sullo sfondo della parete rocciosa piena di crepacci, mentre una larga rampa dava accesso al tempio. La rampa si presentava contornata sui due lati da un bosco con file di sicomori e tamerici piantati artificialmente.

Il suo complesso sepolcrale, da lui chiamato “I luoghi (di culto) di  Mentuhotep risplendono”, per il periodo rappresenta un’innovazione in quanto consiste in uno dei primi esempi di architettura del Medio Regno a Tebe ovest di fronte al Grande tempio di Amon di Deir el-Bahari. La falesia tebana ne costituisce lo sfondo del complesso così come per altri templi tra i quali spicca quello della regina Hatshepsut. Ho detto che costituisce un’innovazione in quanto il tempio di Mentuhotep II è il primo caso di transizione dal classico complesso piramidale dell’Antico Regno a quello che sarà il “Tempio di Milioni di Anni” con tomba ipogea del Nuovo Regno.

In questo caso si tratta dell’unione della caratteristica tomba a “Saff” con la mastaba sormontato il tutto dal tumulo primordiale della II dinastia. Scoperto da Lord Frederik Dufferin nel corso di molte missioni svoltesi tra il 1859 ed il 1869 il quale però lo attribuì ad una necropoli. Fu Howard Carter a scoprire il cenotafio nel 1899 ed a pubblicarne il resoconto nel 1901. A differenza di quello di Hatshepsut, abbastanza simile ma di dimensioni più ridotte si trova in cattive condizioni.

Ora andiamo a visitare l’intero complesso cercando di capire come è composto. Secondo l’egittologo Herbert Winlok il complesso a terrazze venne eretto in tre fasi, mentre secondo Arnold in quattro: a) l tempio a valle, di cui oggi non rimane nulla poiché si trova sepolto sotto i campi, b) la rampa cerimoniale scoperta e costeggiata da statue del sovrano in forma osiriaca e c) il tempio vero e proprio formato da terrazze sovrapposte e da una camera funeraria sotterranea.

La facciata orientale del terrazzamento inferiore, con la cosiddetta “Aula a pilastri inferiore”, era costituita da un portico con due file di pilastri diviso a metà dalla rampa di accesso al primo terrazzamento le cui pareti erano decorate con scene di battaglia a rilievo. Una rampa, molto ampia, contornata sui due lati con file di sicomori e tamerici, dava accesso alla prima terrazza e quindi al tempio vero e proprio.

La terrazza si componeva di tre parti, il nucleo centrale in argilla indurita stava a rappresentare il colle primigenio formato da un corpo murario cubico. Intorno, sui quattro lati, si trovava un ambulacro colonnato a sua volta delimitato sui lati nord, sud ed est da un portico a pilastri, la cosiddetta “Aula a pilastri superiore”, costituita da due file di pilastri in calcare. La parte anteriore dei pilastri era interamente ricoperta da bassorilievi che rappresentavano il sovrano con delle divinità e numerose iscrizioni.

All’ambulacro colonnato si accedeva dall’ala orientale dell’aula in corrispondenza dell’asse principale del complesso. L’ambulacro era sostenuto da centoquaranta colonne ottagonali che si ergevano su tre file, ad ovest solo su due. Una scarsa illuminazione proveniva solo dai lucernari presenti nel muro esterno.

Sul lato occidentale della terrazza centrale, dietro agli edifici principali, sono state rinvenute sei tombe a pozzo scavate nel fondo roccioso, sormontate da cappelle costruite con blocchi di calcare con false porte e statue cultuali. Si tratta delle tombe delle regine e principesse della famiglia di Mentuhotep II, Aashait, Henhenet, Kawit, Kemsit, Sadeh e Mayet. Le indagini portano a presumere che siano morte più o meno nello stesso periodo forse per una disgrazia o una epidemia.

Aashait, dalla cui carnagione marrone si deduce che fosse nubiana, il cui rango era palesato sul suo sarcofago dorato, vantava tra gli altri il titolo di “Amata Sposa del Re”, lei e altre tre delle sei donne furono regine e la maggior parte di loro, secondo Arnold, sarebbero tutte appartenenti alla categoria delle “Sacerdotesse di Hathor”, dea protettrice della necropoli tebana. Callender invece pensa abbiano fatto parte dell’Harem di Mentuhotep II in qualità di garanti delle alleanze che il sovrano si sforzava di mantenere per rendere stabile la situazione politica e mantenere unito il paese. Il sarcofago in calcare di Aashait è un manufatto di notevole pregio.

All’interno il corpo della regina giaceva in un sarcofago di legno mentre dalla tomba proviene anche una statua lignea della regina, il tutto è conservato al Museo Egizio del Cairo. Dalla tomba di un’altra moglie, Kawit, fu rinvenuto un sarcofago in calcare con stupendi rilievi, anch’esso oggi si può ammirare al Museo Egizio del Cairo.

In un secondo tempo il complesso di Mentuhotep II venne ampliato verso ovest, al livello della terrazza centrale, formando il cortile colonnato aperto, la sala ipostila, formata da ottantadue colonne ottagonali ed il tempio rupestre, (speos). Lo Speos si trovava nella parte più occidentale del complesso ed era formato da un ambiente stretto e lungo con il soffitto a volta in blocchi di calcare ed il pavimento in arenaria.

Qui fu scoperta una statua del dio Amon assiso ed altri strumenti per il culto delle varie divinità, Amon, Month, Osiride e Hathor. Nella terza parte scenderemo nell’ipogeo ed esamineremo le varie supposizioni avanzate dagli egittologi sia sulla forma che sul significato, soprattutto religioso, del monumento funerario di Mentuhotep II

Proseguiamo nell’esplorazione del tempio funerario di Mentuhotep II e andiamo a visitare l’ipogeo. Superato l’ingresso un corridoio discendente, con soffitto a volta,, lungo alcune dozzine di metri, conduce alla camera funeraria. Indagato da Naville nel 1906 poi da Arnold nel 1971 il corridoio presenta numerose nicchie sulle pareti laterali dove erano collocate seicento figure in legno che riproducono modelli di botteghe, panifici ed imbarcazioni che appartenevano al corredo funerario.

La camera funeraria è costruita in granito con il soffitto a doppio spiovente. Gran parte della camera era occupato da una cappella in alabastro il cui accesso avveniva da una porta di legno a doppio battente. L’assenza di un sarcofago al suo interno venne interpretata da Naville come trattarsi di una camera simbolica per il Ka reale. Arnold arrivò ad una diversa conclusione rifacendosi ad un’altra scoperta curiosa.

Nel 1899, Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamon, stava facendo una cavalcata nella parte anteriore del cortile del complesso di Mentuhotep II quando all’improvviso il cavallo inciampò in qualcosa, sceso per controllare che il cavallo non si fosse ferito, Carter fece una straordinaria scoperta, davanti a lui si presentò un ingresso che accedeva al sottosuolo. In seguito a quell’episodio gli arabi lo chiamarono poi, “Bab el-hussan”, (Porta del cavallo).

Dapprima si presentava come un fossato a cielo aperto poi continuava in un corridoio in mattoni crudi con il soffitto a volta. Carter si inoltro all’interno e, ad una profondità di circa 17 metri scoprì una porta sigillata da un muro di mattoni largo 4 metri. Alle spalle dello sbarramento il passaggio continuava per un tratto verso ovest per poi piegare a nord nella parte terminale. Nel punto in cui il passaggio svoltava Carter scoprì un pozzo profondo circa 2 metri con sul fondo i resti di una cassa di legno sulla quale era riportato il nome di Mentuhotep. Il corridoio continua fino ad un altro pozzo sul pavimento del quale si trova l’ingresso alla camera funeraria situata sotto il tempio.

All’interno furono rinvenuti i resti di un sarcofago vuoto e privo di iscrizioni, oggetti in ceramica e ossa di animali probabilmente offerti in sacrificio. Ma la sorpresa fu il ritrovamento di un oggetto più prezioso di tutti, avvolta in tele di lino fine, una statua di calcare policromo che raffigurava un uomo assiso. La statua raffigura Mentuhotep II con la corona del Basso Egitto, questa è diventata uno dei più celebri reperti custoditi al Museo del Cairo e contrassegnata con la sigla JR 36.1957.

E qui la conclusione cui arrivò Arnold, questa sarebbe una tomba simbolica costruita forse in occasione di una festa sed di Mentuhotep II. Sulla terrazza superiore del monumento, secondo Naville, avrebbe spiccato una piccola piramide, Arnold obiettò che, in assenza di almeno un frammento di roccia che presentasse un’inclinazione tipica delle piramidi, sulla sommità del tempio ci sia stata una massiccia costruzione rettangolare con una bassa terrazza di coronamento, il tutto a rappresentare in forma stilizzata il colle primigenio. Stadelmann avanzò un’ulteriore ipotesi, sull’ultima terrazza avrebbe trovato posto una collinetta di sabbia con alberi, secondo la sua rielaborazione il tutto avrebbe rappresentato una fusione del colle primigenio e della tomba di Osiride dio dei morti.

Indipendentemente dalle varie supposizioni persistono ancora molti dubbi motivati da un’altra importante scoperta, un documento risalente ad oltre mille anni dopo. Come noto a seguito dei crescenti episodi di saccheggio di tombe, i sovrani cercarono di porvi rimedio ordinando periodiche ispezioni alle varie tombe.

Dal Papiro Abbot, risalente all’epoca di Ramesse IX, apprendiamo:

<< Diciottesimo giorno del terzo mese della stagione dell’inondazione, nel sedicesimo anno del regno del sovrano dell’Alto e Basso Egitto, il signore dei due paesi Neferkare Stepenre.……..che viva a lungo, che goda di buona salute e sia prospero……..figlio di Ra……..Ramesse Miamun……piramidi, tombe.…….visitate dagli ispettori……..>>.

Nel documento il complesso di Mentuhotep II viene espressamente definito come una piramide. Malgrado ciò i dubbi rimangono anche perché il Papiro Abbot nomina come piramidi anche altre tombe dell’XI dinastia che in realtà non lo sono affatto.

Graffiti risalenti al Nuovo Regno scoperti nei dintorni, che si riferiscono alla tomba di Mentuhotep II, ricordano una terrazza sormontata da un obelisco con tanto di pyramidion. Il tutto nasce probabilmente da un equivoco, in passato, descrivendo la tomba di un sovrano gli scribi usavano accostare al nome il determinativo che designa la piramide, è probabile che la cosa sia continuata anche quando la tomba del sovrano non era più una piramide.

Comunque sia è innegabile che la forma così originale di questo monumento abbia ispirato gli architetti posteriori. Ciò è testimoniato dal fatto che circa mezzo secolo dopo, proprio vicino a quello di Mentuhotep II, sia stato realizzato il tempio a terrazze della regina Hatshepsut della XVIII dinastia.

Nel 2014, a soli 150 metri dal tempio di Seti I di Abydos, è stata scoperta una cappella funeraria in pietra calcarea, le iscrizioni in essa trovate confermano che trattasi di una cappella del faraone Nebhepetre Mentuhotep II dedicata a Khenti-Amentiu, antica divinità di Abydos.  Le foto di “Luxor Times Magazine” sono pubblicate su autorizzazione de “Il Fatto Storico” rilasciata il 27.04.2021), “Una cappella egizia di Mentuhotep II ad Abydos”, 15 luglio 2014

Fonti e bibliografia:

  • Guy Racket, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, Torino, 2006
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, (Einaudi, Torino, 1997), Oxford University Press, 1961
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Mursia, 2012
  • Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi” Newton & Compton editori, 2002
C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

LA SAGA DEGLI ANTEF

Di Piero Cargnino

Alla morte di Mentuhotep I gli succede il figlio primogenito Antef I (Horo Sehertawy) che si può considerare a tutti gli effetti il primo sovrano della  XI dinastia il quale si fregerà del titolo di “Re dell’Alto e Basso Egitto”, ossia di faraone.

Antef I si scontrò subito con il nomarca di Hierakompolis, il principe Ankhtifi, fedele al sovrano di Heracleopolis Magna. Si è venuti a conoscenza di questo personaggio e di altre notizie relative a questo periodo grazie alla scoperta della sua tomba a El-Moalla la quale reca inciso sulle pareti una specie di autobiografia che lo stesso  Ankhtifi fece incidere.

Fedele al sovrano di Heracleopolis Kaneferra (probabilmente uno dei vari Neferkara heracleopolitani), era in lotta contro la neonata XI dinastia di Antef I. Nella sua  vanagloriosa biografia, Ankhtifi tesse le lodi del suo operato in qualità di nomarca di Hierakompolis omettendo ovviamente di citare la sua eventuale sconfitta ad opera di Antef I, non solo ma la conclude affermando trionfalmente di “aver ridonato vita ai nomoi di Hierakonpolis, Edfu, Elefantina ed Ombos”. Con la vittoria su Ankhtifi e la conquista dei governatorati a sud di Tebe, Antef I si annette anche le città di Coptos e di Dendera capoluoghi del 5° e 6° nomos dell’Alto Egitto proclamandosi quindi faraone. Pare che abbia regnato non più di 16 anni e che la sua tomba sia quella trovata ad el-Tarif nella necropoli tebana detta il “cimitero degli Antef”.

Alla sua morte gli successe al trono il fratello minore Antef II che continuò la lotta contro gli heracleopolitani guidati da Uakhara Khen, in effetti non si trattò di una vera guerra ma più che altro di scaramucce di confine intervallate da periodi di pace. In tali periodi Antef II si dedicò ad opere di costruzione e al restauro di templi. E’ citato da diverse fonti quali il “Papiro Abbott”, dove il suo nome compare come “Sa Ra Intef aha” (figlio di Ra, Antef, grande come suo padre),  e nella “Sala degli Antenati” di Karnak.

Secondo gli studiosi regnò per 49 anni ma la sua stele funeraria fu eretta in occasione del suo 50º anno di regno (?). Su di un’altra stele vengono menzionate le sue vittorie nella conquista dell’Alto e Medio Egitto, si tratta della famosa “Stele dei cani”, oggi conservata al Museo Egizio del Cairo (CGC 20512), che riporta le sue conquiste di Abido e Thinis.

A sud sono stati rinvenuti reperti col suo nome nel santuario del nomarca Hekaib ad Elefantina dove è stata pure ritrovata una statua dove compare con indosso il mantello della festa zed. Alla sua morte anch’egli venne quasi sicuramente sepolto nel “cimitero degli Antef” dove sono state trovate le due stele citate sopra.

Il Papiro Abbott riporta che, a seguito di un’ispezione delle tombe reali voluta da Ramesse IX, quasi mille anni dopo, la tomba di Antef II era ancora inviolata.

Arriviamo dunque all’ultimo degli Antef, il terzo, figlio di Antef II, che successe al padre quando si trovava già in tarda età adottando il nome di “Hor nakht-nebtep-nefer” (forte, Signore del buon inizio) anche se “il buon inizio” (la riunificazione delle Due Terre) avverrà solo con il regno di suo figlio Mentuhotep II.

Non conosciamo a fondo gli avvenimenti che caratterizzarono il suo regno; da alcuni testi si evince che durante il suo regno ci fu una grande carestia che però Antef III affrontò con decisione e la superò grazie alle sue capacità organizzative. Menzionato ad Elefantina per la donazione, al tempio locale di Satis di un portale in arenaria e per la sua opera di restauro della tomba rupestre del nomarca Hekaib che si trovava in rovina.

Di lui si possiedono poche rappresentazioni più che altro realizzate dal figlio che gli succedette al trono. In un graffito scoperto nello Uadi Scatt el-Rigal nei pressi del Gebel Silsila viene raffigurato con la moglie Iah ed al figlio Mentuhotep II. Nel tempio di Montu a Tod si trova una rappresentazione di Mentuhotep II insieme ai tre Antef che lo precedettero.

Il suo regno fu breve, Antef III regnò solo 8 anni e fu sepolto probabilmente nella necropoli tebana nel “cimitero degli Antef” ad el-Tarif. A questo proposito voglio accennare ad un particolare che forse non tutti conoscono, tutti e tre gli Antef furono sepolti in particolari tombe dette a “Saff” che consistono in ipogei caratterizzati da una facciata a pilastri con uno o più ingressi. Dopo l’ingresso esterno si estendeva un cortile recintato lungo un centinaio di metri, delimitato dalla facciata a pilastri dalla quale si accedeva alle varie stanze funerarie interne. Pare certo che la tomba di Antef III comprendesse anche una piramide, oggi distrutta che si chiamava “Saff el-Kisasiya”.

Fonti e bibliografia:

  • Guy Racket, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, Torino, 2006
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, (Einaudi, Torino, 1997), Oxford University Press, 1961
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999 Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Mursia, 2012
C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

UN DIFFICILE INIZIO

Di Piero Cargnino

Inizia così il Medio Regno, la fase della storia dell’Egitto che corrisponde ad una ripresa dello stato unitario dopo il caos del Primo Periodo Intermedio che per quasi due secoli ha segnato lo sfaldamento del potere centrale e la frammentazione del paese.

Manetone inserisce in questo periodo due dinastie di sovrani la XI e la XII dinastia. Con i primi due sovrani del Medio Regno il controllo dello stato è caratterizzato da lotte intestine che vedono contrapposti i principi tebani, fautori dell’unificazione dei territori sotto la loro autorità centrale, ai governatori Heracleopolitani.

Da Tebe il governatore Inyotef (o Intef X dinastia) esercita il suo potere su gran parte dell’Egitto, a sud fino ad Assuan e a nord fino a Coptos. Molti lo considerano il capostipite della XI dinastia, in effetti non lo è anche se il suo nome compare nella “Sala degli Antenati” dell’Akh-Menu, il Tempio di Milioni di Anni di Karnak fatto erigere da Thutmose III (posizione 13) 600 anni dopo per onorare le sue origini. Infatti nella Sala, il nome di Inyotef non compare racchiuso nel cartiglio tipico dei faraoni ma con il titolo di “iry-pat-haty-a” (Principe ereditario e Governatore).

Molto probabilmente Inyotef è da identificare con la statua in postura da scriba che Sesostri I (XII dinastia) fece erigere e che riporta l’iscrizione “Realizzata dal Re dell’Alto e Basso Egitto Kheperkara come monumento per suo padre, il principe Intef il Grande (o il Vecchio) nato da Iku” oggi conservata al Museo del Cairo (CG 42005).

Vediamo ora la prima parte della XI dinastia che, come abbiamo detto, viene da molti studiosi considerata come un’appendice del “Primo Periodo Intermedio”.

Alla morte di Inyotef gli succede il figlio, Mentuhotep I in qualità di nomarca principe di Tebe (2137 a.C.). Mentuhotep I vero capostipite della XI dinastia è un fiero sostenitore di una politica indipendentista dagli avversari heracleopolitani della IX dinastia, continuerà la politica del padre Inyotef.

Non risulta che Mentuhotep I si sia mai fregiato del titolo di “Re dell’Alto e Basso Egitto”, in epoche successive gli venne attribuito un nome Horo del tutto generico, “Tepia” (l’antenato) e con il suo nomen racchiuso in un cartiglio, compare nella “Sala degli Antenati” e  Thutmose III lo onorerà col padre Inyotef.

Anche se non ufficialmente faraone, Mentuhotep I fu il primo a portare un nome teoforo, ovvero contenente un nome divino, associato a Montu, dio guerriero del quarto nomo dell’Alto Egitto, con l’intento di assicurarsi la protezione divina.

Nella tomba di Hekaib, nomarca del distretto di Elefantina, vennero rinvenuti decine di manufatti come statue e stele relative a vari sovrani tra cui i resti di una statua di Mentuhotep I, fatta realizzare probabilmente da Antef II  sulla quale compare il titolo di “Padre degli dei”, da ciò si pensa che sia stato il padre di Antef  I e di Antef II.

L’egittologo Alan Gardiner ritenne di aver individuato il nome di Mentuhotep nella posizione 5,12 del Canone reale. Forse il suo scopo iniziale, per la situazione esistente in Egitto a quei tempi, era solo quello di affermare la propria sovranità sui territori che si erano venuti a creare sotto l’autorità tebana. Ad un certo punto però Mentuhotep I inizia la sua espansione contro Heracleopolis i cui sovrani si erano appropriati del titolo appartenuto ai sovrani di Menfi di “Re dell’Alto e Basso Egitto” anche se dovrà passare ancora del tempo prima che l’Egitto torni ad essere interamente riunificato. Cosa che avverrà soprattutto ad opera dei faraoni, “Horo Wah-ankh” (Antef II) e “Horo Samtawy” (Mentuhotep II) che porranno così definitivamente fine al Primo Periodo Intermedio inaugurando l’inizio del Medio Regno.

Questi due faraoni riconquistarono le regioni del delta del Nilo, che erano state occupate dalle popolazioni libiche e da quelle del Sinai, riunificando così l’intero Egitto. La gestione e organizzazione vere e proprie di questo nuovo regno arriverà poi solo con la XII dinastia che acquisì appieno la necessità di dare unità politica all’Egitto anche, e soprattutto, ridimensionarono il potere dei vari nomarchi che, privi di un controllo centrale avevano causato rivolte e instabilità; ora essi vennero sottoposti a rigidi controlli da parte di ispettori inviati direttamente dai faraoni. Venne instaurata una sorta di organizzazione feudale al fine di accontentare in tal modo la nobiltà provinciale e la loro voglia di potere. Il Medio Regno divenne  quindi nuovamente un periodo di stabilità politica duratura.

Finalmente l’Egitto si trova ad attraversare uno dei periodi più prolifici della sua storia, tornano ad affermarsi i grandi faraoni che intraprendono la riorganizzazione dello stato, favoriscono la ripresa dell’economia, agevolati in questo dalla fine della terribile carestia che ha caratterizzato gran parte del precedente periodo, questo contribuisce al risanamento delle finanze pubbliche e offre una spinta a nuove mire espansionistiche. Vediamo ora nel dettaglio i regni dei faraoni del Medio Regno.

Fonti e bibliografia:

  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche” – Bompiani, Milano 2003
  • Guy Racket, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, Torino, 2006
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, (Einaudi, Torino, 1997), Oxford University Press, 1961
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Mursia, 2012
C'era una volta l'Egitto

IL PRIMO PERIODO INTERMEDIO

E VENNE IL CAOS

Di Piero Cargnino

Il cosiddetto “Primo Periodo Intermedio” copre gli anni della storia egiziana che vanno indicativamente dal 2160 al 2055 e ad esso segue il Medio Regno. A questo proposito va detto che molti studiosi suddividono la XI dinastia considerando i faraoni Mentuhotep I e Antef I, II e III ancora facenti parte di questo periodo intermedio ed inserendo i faraoni Mentuhotep II Nebhepetra,  Mentuhotep III Sankhkara e Mentuhotep IV nel Medio Regno.

Il “Primo Periodo Intermedio” è una macchia nella gloriosa epoca delle grandi piramidi, l’Antico Regno egizio. Segna il completo sfaldamento, non solo del potere centrale, quello dei grandi faraoni costruttori delle imponenti piramidi, dell’età dell’oro, quell’età che vide la prosperità dell’Egitto, ma anche di un lungo periodo di relativa tranquillità vissuta dal popolo, lavoratore, ma sempre rispettoso della Maat.

Già a partire dalla V dinastia assistiamo ad una lenta, ma progressiva, decadenza del potere centrale del faraone con un conseguente incremento di quello dei governanti locali. I nomarchi si preoccupavano del loro territorio sganciandosi sempre più dall’autorità centrale al punto che la loro carica divenne ereditaria riducendo ancor più l’influenza regale.

Con l’avvento della VI dinastia le cose continuarono via via a peggiorare fino a giungere ad un punto cruciale alla fine del lungo regno di Pepi II, cosa che potrebbe aver avuto come conseguenza la mancanza di eredi legittimi perché magari premorti al padre. L’ascesa al trono di Nitokris, ancorché si sia realmente verificata, confermerebbe l’assenza di legittimità o scarsa idoneità degli eventuali pretendenti al trono. Quello che segue è un lungo periodo della durata di circa due secoli, non è tanto il fatto che venga messa in discussione l’istituzione faraonica in quanto tale ma ciascun governatore segue una propria linea di potere e questo porta al manifestarsi di fermenti sociali che porteranno l’Egitto ad essere preda di disordini, di anarchia a livello provinciale e, forse, anche di invasioni straniere. Il decadimento della regalità centrale, accelerato in questo anche dalle numerose e continue incursioni dei beduini ormai fuori controllo, fece si che si ingenerasse un clima di disordini incontrollabile che ci è stato tramandato, in molti papiri interessanti redatti, in epoche successive, dagli scribi su incarico dei sovrani della XII dinastia. E’ ovvio che la lettura di questi scritti va fatta con cautela nel senso che la gravità della situazione, in essi descritta, è sicuramente frutto di esagerazioni tendenti a mettere in risalto, ingigantendola un po, la grande opera di pacificazione dei faraoni del Medio Regno. L’intento era sicuramente quello di celebrare la restaurazione dell’ordine e della stabilità. In realtà non si ha neppure la certezza che questo clima di rivoluzione abbia interessato l’intero Egitto, di questo periodo non si conosce quasi nulla. Menfi diventa solo più una capitale simbolica ed il potere si frammenta in più parti.

Vediamo ora di capire qualcosa nel groviglio di dinastie e faraoni che si sono succeduti in questo oscuro periodo. Il Primo Periodo Intermedio si può suddividere in tre parti,

1) VII e VIII dinastia durante le quali avviene lo sfaldamento completo dello stato unitario.

2) IX dinastia, nasce un nuovo centro di potere nell’Alto Egitto, nella capitale del XX nomo, Ha-Ninsu, (Heracleopoli).

3) X dinastia, caratterizzata da lotte intestine dove i principi di Tebe prevalgono sugli Heracleopolitani e fondano le basi per la riunificazione dell’Egitto che avverrà solo con la XI dinastia dando inizio al Medio Regno.

Manetone ci descrive la VII dinastia come un periodo di grande anarchia dove, a suo dire regnarono settanta re per settanta giorni, cosa che concorda con le varie liste dei re nel riconoscere, per la VII dinastia appunto, l’avvicendamento di circa settanta re, con sede a Menfi. In assenza di riscontri storici che lo confermino dobbiamo immaginare che la cifra di settanta re e di settanta giorni sia puramente simbolica. Per l’VIII dinastia, conosciuta soltanto dalle liste reali, un numero preciso non è possibile farlo, si pensa dai 18 ai 27 re alcuni dei quali avrebbero regnato contemporaneamente, ciascuno sul proprio territorio. La lista di Abydo riporta 17 nomi, quella di Saqqara non fa alcun cenno del Primo Periodo Intermedio e il Canone di Torino in quel punto è illeggibile. Giulio Sesto Africano, citando Manetone scrive: <<…..ventisette re di Menfi che regnarono per 146 anni….…>>. Eusebio da Cesarea parla di cinque re che regnarono un secolo. Dati inconfutabili in quanto non esistono reperti archeologici che testimoniano se è vero o falso.

In un papiro di epoca posteriore, “Le lamentazioni di Ipuwer”, si legge che in quel periodo spadroneggiavano sugli egiziani dei non ben identificati “asiatici”. Qualcuno avanzò anche l’ipotesi che all’inizio dell’VIII dinastia si fosse formato un regno indipendente nell’Alto Egitto sotto il nomarca di Copto che sarebbe durato circa quaranta anni. Nel 1946 l’egittologo W. C. Hayes dimostrò che questa dinastia copta non è mai esistita.

Per quanto riguarda la X e la XI dinastia, spesso associate con il nome di “eracleopolitana”, l’identificazione dei sovrani di una o dell’altra dinastia è resa ancor più difficile dal ripetersi di nomi identici. Poco attendibile è ritenuta la frase di Manetone riportata da  Giulio Sesto Africano quando afferma: <<…..diciannove re di Eracleopoli che governarono per 409 anni..…>>. Nel sud, soppiantati i re menfiti, i nomarchi di Tebe raggrupparono intorno a loro i nomoi meridionali sotto il dominio di una ancora più energica famiglia di principi guerrieri, quattro dei quali portavano il nome di Antef.

Possiamo solo immaginare la ricaduta che questi eventi ebbe sul popolo abituato a vivere nel rispetto della Maat avendo alle spalle la sicurezza di uno stato sempre presente ed attento alle loro necessità personificato nella figura del sovrano, il Faraone, unica garanzia del rispetto della Maat. Caddero le certezze, i principi fondamentali sui quali poggiava la loro concezione del mondo, la fine dell’Ordine Eterno che gli Dei donarono loro fin dalla creazione.

Una causa che potrebbe aver influito almeno in parte sul peggioramento delle condizioni sociali, avvenuta intorno al 2300 a.C., sarebbe attribuibile alla conclusione del cosiddetto “Subpluviale neolitico”, ovvero una lunga fase climatica caratterizzata dalle frequenti piogge sull’Africa nordorientale. La conclusione di tale periodo ebbe come conseguenza l’inaridimento del clima, causa questa della diminuzione dei pascoli, inaridimento delle fonti ed insabbiamento dei campi. La cosa comportò una diminuzione delle risorse alimentari obbligando la popolazione di quelle zone a risalire la valle del Nilo causando così una rivoluzione economico-sociale senza precedenti.

L’Egitto sembra essere tornato all’epoca preistorica, con un raggruppamento di nomoi al nord, nel Medio Egitto, (dinastia eracleopolitana), di cui conosciamo alcuni re, (Kheti I, II e III e Merikara), e uno a sud, a Tebe, con a capo gli Antef.

Si giunse presto a uno scontro e la situazione rimase a lungo confusa tra alterne vicende di vittorie e sconfitte da entrambe le parti, fino a quando, nel 2060 a.C., troviamo l’Egitto nuovamente unito sotto Mentuhotep I, discendente dei governatori tebani che governavano i nomoi del sud; da questa data si fa iniziare il Medio Regno. La maggior parte degli studiosi concorda nel valutare da duecento a duecentocinquanta anni la durata del periodo intercorso da Nitocris alla fine del regno di Mentuhotep I, la loro opinione però è poco più di una congettura. Dopo questa prima carrellata proviamo ora ad immergersi nel “Primo Periodo Intermedio” cercando qua e la le poche notizie che riusciamo a reperire.

Innanzitutto va detto che sarebbe comunque ingiusto attribuire a Nitocris (ancorché sia realmente esistita) o ad uno degli ultimi sovrani, la responsabilità del caos che si venne a creare. In realtà la VI dinastia si è indebolita a poco a poco e, principalmente durante il lungo regno di Pepi II, un’evoluzione negativa, che, in assenza di documentazione certa difficile da cogliere, ha portato l’Egitto alla crisi.

Abbiamo esaminato a grandi linee quell’epoca della storia egizia che va sotto il nome di “Primo Periodo Intermedio”, per avere un’idea un po’ più chiara proviamo ora ad immergerci nelle oscure e poco conosciute vicende che ne hanno caratterizzato la storia.

Con la caduta dell’Antico Regno viene a mancare ogni fonte di notizie certe sugli avvenimenti che si susseguirono per quasi due secoli dove infuriarono le lotte intestine fra i vari nomarchi generando il caos tra la popolazione che si trovò priva di quella certezza, garantita da Maat. Di questo periodo ci viene incontro, per raccontarci, con una incerta precisione, la letteratura. Ho volutamente detto incerta in quanto le opere che sono giunte a noi non sono coeve del periodo ma successive, volute dai faraoni che riunificarono il paese e, come già detto, sicuramente ingigantite per mettere ancor più in risalto i loro meriti ed enfatizzare le loro vittorie. Noi esaminiamo queste opere con senso critico e cerchiamo di trarne le dovute conclusioni 

Di questo periodo ce ne parla il già citato Ipuwer che racconta questo periodo di devastazione dello stato e la drammatica situazione di quell’epoca:

<<……il paese girava come sul tornio di un vasaio, si impoverì e subì il saccheggio, il sovrano fu rovesciato dai poveri, gli uomini morivano di fame e l’Egitto cadde in mano agli asiatici……>>.

Altri testi di letteratura che ci tramandano notizie di questo periodo li troviamo particolarmente nelle “lamentazioni”, negli “Insegnamenti” e nelle “Profezie”.

Le lamentazioni: <<……. sono tutto sommato affini agli insegnamenti, ponendosi come scopo la conservazione dell’etica, ma assumendo talvolta un sapore tra il profetico e l’apocalittico…….>>.

Neferti profetizza:

<<…….questo paese è distrutto, non c’è nessuno che si prenda cura di lui, nessuno che ne parli, nessuno che versi lacrime. Come sarà questo paese? Il disco solare sarà coperto…….>>.

Come abbiamo detto in precedenza nelle sue “lamentazioni” Ipuwer parla della venuta in Egitto di popoli asiatici cosa che venne profetizzata anche da Neferti:

<<…….il vento del sud si opporrà al vento del nord: il cielo non apparterrà più a un solo vento, un uccello straniero deporrà l’uovo nelle paludi del Delta, farà il nido vicino agli uomini e la gente lo farà avvicinare amandolo…….>>, (Paola Buzi, Profezia di Neferti (I Periodo Intermedio / Medio Regno).

Gli “Insegnamenti per il re Merikara”, consistono in un lungo testo dove il faraone Kheti II, della X dinastia (2135-2040 a.C.), dispensa una serie di ammonimenti e di consigli al figlio Merikara che dovrà succedergli. Il testo è molto interessante perché, forse senza volerlo, descrive il difficile clima politico del tempo.

Grande interesse suscita anche il “Dialogo di un uomo stanco di vivere”, risalente al Medio Regno, e contenuto nel cosiddetto “Papiro n. 3024”, un rotolo lungo 3 metri e mezzo scritto in ieratico ed oggi conservato presso il Museo di Antichità Egizie di Berlino. Il periodo cui si riferisce è incerto, si pensa al tempo della XII dinastia (1900 a.C.). E’ un testo unico  nel suo genere dal quale emerge la spiritualità di un popolo permeato dal culto dei morti e dalla fede incrollabile nell’aldilà, testimonia la grave caduta dei valori fondamentali per il popolo, l’uomo conversa con il suo Ba (anima) ed arriva persino a mettere in dubbio l’esistenza della vita dopo la morte nonché la fede negli Dei.

Oltre alla letteratura notizie del tempo ci arrivano anche dalle poche iscrizioni presenti nelle tombe private. Dalla tomba rinvenuta a Moalla, nell’Alto Egitto, appartenuta al governatore provinciale Ankhtifi, apprendiamo che nel paese era grande la sofferenza e la povertà ed il popolo era denutrito. Ankhtifi contribuì con il suo esercito all’affermarsi del potere nel nord dell’Egitto dopo la caduta dell’VIII dinastia del regno menfita.

Ankhtifi fondò un regno al nord con capitale Ehnasija (Nennisut in egiziano e Herakleonpolis Magna in greco) mentre i suoi avversari si concentrarono a sud nell’Alto Egitto stabilendosi a Uaset (Tebe). Nuovamente diviso in due, l’Egitto si trovò ad affrontare una nuova guerra fratricida fra il nord, che almeno inizialmente riscosse maggior successo riuscendo a penetrare nell’Alto Egitto fino alla tredicesima provincia di Assijut.

Tebe fece appello a tutta la sua forza ed una battaglia dopo l’altra riuscì a conquistare tutta l’area tra Elefantina e Koptos. Con l’avvento al trono del faraone tebano Antef II la vittoria definitiva arrise alle truppe tebane che riconquistarono il Basso Egitto nonostante i tentativi, non riusciti, degli avversari di coinvolgere nella lotta i capitribù nubiani che, approfittando del disfacimento del potere centrale, si erano resi indipendenti. Come pare logico pensare la situazione che si era venuta a creare durante il Primo Periodo Intermedio, con le gravi ripercussioni economiche e sociali, non favorì certamente la creazione di particolari complessi  monumentali ne tanto meno tombe reali di una certa importanza o piramidi.

Per quanto riguarda le tombe dei sovrani di questo periodo fino ad oggi non ne sono state individuate nessuna, fonti coeve, decisamente scarse, raccontano che alcuni sovrani vennero tumulati in piramidi che però non sono mai state trovate. Certamente esistevano le tombe dei sovrani del tempo ma la breve durata del loro regno non avrà certamente permesso di erigere grandi edifici e per di più quei pochi dovevano essere di piccole dimensioni e costruite con materiale molto degradabile che non permise di durare a lungo. La solita disputa tra egittologi vede alcuni che ritengono che la necropoli di questi sovrani fosse situata a Saqqara nord nei pressi della piramide di Teti, altri secondo cui la necropoli si trovasse a Nennisut nel Medio Egitto. Una missione spagnola che ha recentemente condotto scavi in zona non ha finora trovato tombe ne piramidi. Davvero un brutto momento per la civiltà egizia il Primo Periodo Intermedio.

Oltre a tutte le disgrazie causate dai potenti, il popolo egizio si trovò a dover affrontare un altro nemico, il clima. In quel periodo si verificarono una serie di avversità climatiche che forse l’Egitto non si era mai trovato ad affrontare prima. La pioggia, prima benefica e sufficiente, cessò ed un prolungato periodo di carestia aggravò la situazione di crisi persistente già fin dall’inizio della VI dinastia. Le copiose inondazioni del Nilo non riempivano più i campi e la siccità, che avanzava sempre più, metteva in serie difficoltà l’agricoltura che non si era mai trovata ad affrontare una simile situazione. Il sistema economico statale entrò in crisi, gli scarsi raccolti dovettero essere redistribuiti alla popolazione per le loro necessità alimentari.

La situazione già così instabile non fece che peggiorare e i governatori locali ne approfittarono per accrescere il loro potere a discapito di quello centrale. Uno di questi regni despotici si formò a Tebe e da qui riuscì ad imporsi su tutto il territorio egiziano. Come se non bastasse, apprendiamo da alcune fonti storiche, che in quel tempo si aggiunsero incursioni da parte di tribù di beduini e di asiatici cosa che il potere centrale non era più in grado di fronteggiare. Il glorioso esercito egiziano non esisteva più, ciascun nomarca aveva il suo e non si preoccupava degli altri nomoi.

Per quanto riguarda i faraoni della VII e VIII dinastia si conosce praticamente nulla, alcuni studiosi azzardano a dire che la capitale era ancora a Menfi ma la cosa era puramente simbolica. Con la fine della VIII e l’inizio della IX dinastia troviamo un Egitto diviso in tre parti: al nord si sono installati gli invasori asiatici approfittando della situazione per estendere il proprio controllo sul territorio africano; al centro resiste la vecchia capitale Menfi dove si affermerà poi la provincia di Eracleopoli; al sud i principi di Tebe iniziano a raggruppare i territori vicini sotto il proprio controllo.

Con il passaggio tra la IX e la X dinastia assistiamo al rafforzamento dei governatori locali che, acquistato sempre più potere, si riuniscono e da Eracleopoli impongono il loro potere su tutto il nord fino al delta del Nilo e a sud fino ad Asyùt. A questo punto, come la storia ci insegna, tra due potenze vicine non può che scatenarsi una guerra. Quanto cruenta fu non lo sappiamo ma tale fu.

Alla fine la vittoria arrise alle truppe tebane che riunificarono l’Egitto sotto un unico sovrano. E l’unico sovrano fu Mentuhotep I nel 2060 a.C. circa. Con l’avvento al trono di Mentuhotep I si chiude questo brutto periodo per l’Egitto ed ha inizio il “Medio Regno”. Ma ormai l’Egitto non è più lo stesso, questo periodo ha segnato profondamente la civiltà egiziana, non solo per i danni e le distruzioni subite ma per quanto questo abbia influito dal punto di vista intellettuale e ideologico.

La perdita di quei valori acquisiti nel corso dei secoli che offrivano al popolo la sicurezza sociale ed economica ingenerò una visione pessimistica del mondo che si riflette nella letteratura dell’epoca. Caddero determinati valori imperanti in passato, le credenze funerarie, un tempo privilegio esclusivo del faraone, vennero meno in forza di una democratizzazione che portò anche i privati cittadini a pretendere lo stesso trattamento.

Cercando di analizzare sempre più a fondo le sparute notizie che si riesce a recuperare, torniamo ad appoggiarci al nostro informatore più prolisso sulla civiltà egizia, Manetone. Nei suoi Aegyptiaca, scritti su commissione di Tolomeo II Filadelfo intorno al 300 a.C., ci fornisce la maggior parte delle informazioni sulla cronologia dei sovrani dell’Antico Egitto. Di lui conosciamo quasi nulla, nessuno dei suoi scritti è giunto sino a noi se non per interposta persona.

Il primo che ce ne parla è lo scrittore giudaico Flavio Giuseppe nella sua opera “Contra Apionem” del 94 d.C. Dopo Flavio Giuseppe parlano di Manetone, Sesto Africano, Eusebio da Cesarea ed altri, per cui è da ritenere che la sua opera abbia subito chissà quante manipolazioni. Fu Manetone che, avendo a disposizione molti documenti, si dedicò alla scrittura della storia antico egizia e già la sua precisione ci lascia alquanto dubbiosi avendo egli scritto circa 2000 anni dopo gli eventi che ci interessano. In ogni caso dai raffronti con le informazioni reperite da altre fonti, possiamo delineare un quadro sufficientemente attendibile.

Manetone suddivise i regni dei sovrani egizi in 33 dinastie, suddivisione che, nonostante qualche incertezza, è adottata ancora oggi. Il Primo Periodo Intermedio comprende le dinastie dalla VII all’inizio della XI e, come più volte ripetuto è un periodo oscuro della storia antico egizia del quale conosciamo ben poco. Vediamo ora quel poco per ciascuna dinastia.


Proviamo ora ad addentrarci nel dedalo delle dinastie dalla VII alla XI citate da Manetone delle quali non conosciamo nulla dal punto di vista archeologico e ci basiamo quasi esclusivamente sulle notizie che ci ha tramandato lo storico greco.

VII DINASTIA

Sesto Giulio Africano che trattò l’opera di Manetone in forma epitoma riporta le già citate affermazioni dello storico: <<……settanta re di Menfi regnarono per settanta giorni…..>>.  Eusebio di Cesarea interpreta la frase in modo diverso: <<……. cinque re di Menfi regnarono per 75 giorni……>>. Va però detto che ne la lista reale di Abido ne quella  di Saqqara trattano la VII dinastia, quella di Saqqara salta addirittura subito alla XI dinastia. Ancor meno ci viene in aiuto il Canone Reale di Torino che in questo punto si presente  molto danneggiato, nonostante ciò alcuni studiosi asseriscono che sarebbero riportati cinque nomi del tutto illeggibili. Secondo una parte degli studiosi questa dinastia sarebbe addirittura inesistente.

VIII DINASTIA

Anche di questa dinastia non siamo in possesso di riscontri archeologici certi. Manetone ci parla di <<…….76 re di Menfi che regnarono per 146 anni…….>>. La lista di Abydos elenca 17 sovrani che si sarebbero succeduti sul trono nei 30 anni della VIII dinastia. Pare che i nomi di alcuni di questi siano stati riscontrati su dei sigilli. Sesto Giulio Africano riporta: <<…….ventisette re di Menfi che regnarono per 146 anni……>>. Giorgio Sincello, storico bizantino, riporta quanto scrisse Eusebio in proposito: <<……cinque re che regnarono un secolo………>>. Per quanto ci è permesso di sapere, tenuto conto delle diverse affermazioni, possiamo ritenere che molti di questi sovrani possano aver regnato contemporaneamente su parti diverse dell’Egitto. Ufficialmente la capitale è ancora Menfi  mentre quella amministrativa è ad Abido. Ufficialmente i nomarchi di Eracleonpoli si dichiarano ancora sottomessi a Menfi anche se in realtà regnano incontrastati sul XX distretto dell’Alto Egitto come i principi di Tebe sul loro territorio. Per quanto riguarda il Basso Egitto, principalmente il Delta, Ipuwer, nelle sue lamentazioni, cita le scorribande che compiono gli “asiatici” contro la popolazione locale senza che alcuno intervenga. 

IX  DINASTIA

Anche per questa vale quanto detto per le precedenti, non disponiamo di fonti attendibili se non di qualche notizia molto frammentaria. Le scarse, ancorchè dubbie, notizie di cui disponiamo ci provengono dal solito Manetone citato in forma epitoma da Eusebio di Cesarea:

<<……..19 re di Eracleopoli, che regnarono 409 anni. Akhthoes, il primo di questi, più terribile di quanti siano mai stati prima causò malanni a tutti quelli che erano in Egitto ma dopo cadde vittima della pazzia e fu distrutto da un coccodrillo……..>>.

Si può pensare che la capitale di questa dinastia fosse Heracleopolis Magna senza però avere il controllo completo sull’Egitto. Manetone ci riporta i nomi di alcuni dei re di questa dinastia: Akhthoes (o Kheti I), gli assegniamo il numero I tenendo conto che i sovrani conosciuti  di questo periodo, con lo stesso nome sono almeno sette. Dapprima nomarca di  Heracleopolis Magna in seguito si attribuì i titoli della regalità. Di lui troviamo riscontro in un bacile di rame che riporta il suo nome e dalla citazione di Eusebio di cui sopra. Neferkara III anch’egli un effimero regnante che ci è noto solo dal Canone Reale.

Si pensa che potesse essere un principe di Heracleopolis Magna che viene citato nei “testi di Ankhtifi” come Neferkara Meribra, una vera e propria autobiografia scoperta nella tomba di Ankhtifi, appunto, scoperta a el-Moalla.

Secondo altri studiosi invece si tratterebbe sarebbe stato un principe che avrebbe comandato l’esercito che combattè contro Antef I che governava Edfu e Tebe.

Kheti II il cui nome potrebbe essere quello riportato in modo quasi illeggibile nella colonna 4 posizione 21 del Canone Reale e, forse, da un graffito che potrebbe voler dire Kheti ([s3]) [figlio] di Neferkara. Senen……di questo sovrano è leggibile solo la prima parte del nomen sul Canone Reale alla colonna 4 posizione 22. Meri……anche di questo sovrano conosciamo solo parte del nomen. Stesso discorso vale per l’ultimo nome che si riesce ad interpretare solo in parte, Shed……

X DINASTIA  

Per la X dinastia il discorso si ripete, Manetone cita:

<<……diciannove re di Eracleopoli che regnarono per 185 anni……..>>.

Una cosa è certa, i sovrani della X dinastia si sovrappongono ai primi re tebani della XI dinastia. Si potrebbe ipotizzare che, a questo punto, sia eracleopolitani che tebani nelle loro lotte si siano dedicati ad intraprendere un tentativo di riunificazione dell’Egitto. Si tratta di una mera ipotesi non suffragata da alcun elemento di valutazione.

XI DINASTIA

Come già accennato in precedenza l’XI dinastia viene ufficialmente inserita nel Medio Regno pur trattandosi, almeno per i primi due sovrani, di una sorta di appendice del Primo Periodo Intermedio.

La storia che riguarda questi primi due sovrani, Mentuhotep I e Antef I si riassume nelle lotte atte al ricongiungimento dell’Egitto sotto un unico sovrano. Dalla Lista di Karnak si apprende che nessuno dei due sovrani assunse mai il titolo di “Re dell’Alto e Basso Egitto” che confermasse la loro sovranità sull’intero Egitto. Titolo che, seppure in modo del tutto simbolico, era passato da Menfi a Eracleopoli.

La lotta per la sovranità sulle Due Terre vide la vittoria dei tebani sugli eracleopolitani ad opera di Horo Wah-ankh (Antef II) mentre Horo Samtawy (Mentuhotep II) completò la vittoria con la riconquista delle terre del Delta occupate dai libici e della penisola del Sinai. Finalmente, dopo oltre due secoli, l’Egitto era nuovamente unito e, pronto alla rinascita, entrava in quello che viene chiamato Medio Regno.

LA TOMBA MONUMENTALE DI KHUI

Per la scarsità delle fonti pervenute non è agevole distinguere nettamente la IX e X Dinastia,che regnarono, sul finire del Primo Periodo Intermedio, dal nuovo centro di aggregazione presso la capitale del XX nomo dell’Alto Egitto, Ha-Ninsu, (Eracleopoli in greco, nome attuale Ihnasya el-Medina), e che, come già detto, vengono comunemente chiamate “eracleopolitane”.

Nei precedenti articoli abbiamo già spiegato le varie e poco attendibili notizie che ci sono pervenute dai vari Manetone, Giulio Sesto Africano ed Eusebio di Cesarea, così come quelle reperibili dal Canone di Torino, unico documento che parla di questo periodo ma con grosse lacune. Come già accennato negli articoli precedenti, per quanto riguarda le tombe dell’intero Primo Periodo Intermedio regna la più grande incertezza in quanto non sono state trovate sepolture reali che si possano datare a questo periodo. Ad eccezione della piramide distrutta di Qakara Ibi, una sola tomba di rilievo è stata rinvenuta a Dara, località del Medio Egitto nei pressi dell’odierna Manfalut, ad una trentina di chilometri da Assyut dove si trova una necropoli di quell’epoca. Dagli scavi dell’archeologo francese Raymond Weill, nella seconda metà degli anni 40, sono emerse le rovine di un grande edificio di cui non è chiaro se trattasi di una piramide o di una mastaba a gradoni. Le indagini di Weill si rivelarono però poco soddisfacenti e non contribuirono a sciogliere il dilemma.

La tomba (o piramide) è orientata all’incirca nella direzione nord-sud e presenta una pianta quadrata con gli angoli arrotondati, la sottostruttura ricorda stranamente la grande mastaba in mattoni della III dinastia che si trova a Beit Challaf.

L’ingresso è situato a nord e da accesso ad un lungo corridoio orizzontale, dapprima aperto, per poi immettersi in un tunnel discendente con il soffitto a volta. La camera, rivestita con blocchi di calcare rozzamente lavorati, venne saccheggiata in passato e completamente devastata, al suo interno non è stato trovato alcun segno di sepoltura. I resti sono così pochi e malridotti per cui è difficile stabilire se la situazione sia da attribuirsi al saccheggio o se invece al fatto che non sia mai stata completata in origine. La parte esterna comprende una copertura larga circa 35 metri mentre l’interno era probabilmente riempito di sabbia e pietrisco. In assenza di alcunché risulta difficile stabilire chi fu il proprietario della tomba. Dagli scavi nelle tombe vicine è stato trovato un cartiglio che riporta il nome di quello che potrebbe essere stato un sovrano locale chiamato Khui. Con questo chiudiamo anche noi il Primo Periodo Intermedio e ci avviamo a quello che sarà il “Medio Regno”.

Fonti e bibliografia:

  • Paola Buzi, “La letteratura egiziana antica. Opere, generi, contesti”, Ed. Carocci, 2020
  • Letteratura e poesia dell’antico Egitto. Edda Bresciani, Einaudi  2020
  • Paola Buzi, “La letteratura egiziana”, Dispense per la parte monografica dei corsi di Egittologia e Civiltà Copta  Egittologia avanzato I, 2020/2021
  • Alessandro Roccati, “Sapienza Egizia, Brescia. La letteratura educativa in Egitto durante il II millennio a. C.”, ed. Paideia, 1994
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • W. S. Smith, “Il regno Antico in Egitto e l’inizio del Primo periodo intermedio”, il Saggiatore, 1972
  • Mark Lehner, ”The Complete Pyramids”, Londra, Thames & Hudson, 2008
  • Miroslav Verner,, “Il mistero delle piramidi”, Newton & Compton editori, 1998
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Laterza,  Bari, 2008
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei Faraoni”, Milano, Mursia, 1976; 2005
  • Sergio Donadoni, “Testi religiosi egizi”, Milano, TEA, 1988
  • David Henige, “How long did Pepy II reign?”, in GM, 2009  Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, traduzione di Ginetta Pignolo, Milano, Einaudi, 1989
  • Guy Racket, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, Torino, 2006
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, (Einaudi, Torino, 1997), Oxford University Press, 1961
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999
C'era una volta l'Egitto

LE ULTIME COMPARSE DI UNA FINE INGLORIOSA

Di Piero Cargnino

Secondo il Canone di Torino, prima del tracollo definitivo della VI dinastia, avrebbero regnato ancora altri tre re, dopo Nitokris, di cui viene riportato il nome e ad essi seguono altri due posti vuoti. Cinque sovrani sicuramente insignificanti tanto da non essere neppure ricordati tutti. Secondo alcuni i due posti vuoti nel Canone potrebbero riferirsi a due “sovrani”, Ity e Imhotep, i cui nomi sono stati trovati iscritti nello Wadi Hammamat, che è possibile che fossero contemporanei alla VI dinastia. Va detto tra l’altro che questi ultimi cinque potrebbero inserirsi già negli inizi del Primo Periodo Intermedio e, come tali, essere solo dei governatori effimeri che cercarono invano di imporsi e conquistare un potere che ormai non esisteva più.

NEFERKA BAMBINO

Dopo il cartiglio del re il determinativo Neferka, ka significa appunto bambini starebbe forse ad indicare che trattasi di un sovrano fittizio, inserito nel Canone forse per errore nella trascrizione. A causa dell’ormai avanzato stato di sfaldamento in cui versava il potere centrale sovrastato da quello dei nomarchi è possibile che questo, ed altri sovrani coevi, abbiano regnato in contemporanea su diverse regioni dell’Egitto. Come già è già stato a proposito della regina Nitokris, ci troviamo in assenza di riscontri archeologici.

NEFER  (o NUFE)

Altro sovrano presente solo nel Canone di Torino, precisamente nella posizione 4.10 (ossia al decimo posto della quarta colonna) con il nomen di Nufe. Inutile dire che non  esistono documentazioni archeologiche che ne attestino la reale esistenza della quale non si sa nulla. Con ogni probabilità, anche in questo caso si tratterebbe di eccesso di zelo degli estensori del Canone che avrebbero inserito nella lista nomarchi tra i più potenti che però abbiano governato solo sul loro governatorato.

IBI  (KAKARA)

Per quanto riguarda questo sovrano oltre ad essere citato solo nel Canone di Torino, non conosciamo nulla. Pare però che, dal punto di vista archeologico, sia a lui attribuita una piccola piramide molto degradata e mal conservata presso Saqqara.

La piramide pare avere il maggior grado di inclinazione di tutte le altre, 61°. Data le sue piccole dimensioni e la particolare struttura interna, si pensa che in origine fosse una piramide di qualche regina che poi venne usurpata da Ibi. Sulle pareti  della camera funeraria sono incisi i “Testi delle piramidi”. Di Ibi è stato pure rinvenuto un graffito sulle rocce a Tumas in Nubia.

(ITY E IMHOTEP)

Come detto sopra il nome di questi due sovrani, trovati iscritti nello Wadi Hammamat e possibile contemporanei della VI dinastia, secondo alcuni studiosi potrebbero essere quelli che mancano nei due posti vuoti del Canone Reale.

Con questi effimeri sovrani, più che altro governatori locali, si chiude così definitivamente sia la VI dinastia che l’Antico Regno, l’Età dell’Oro.

Fonti e bibliografia:

  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2000
  • Martin Gardiner, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Jhon Wilson, “Egitto – I Propilei”, Monaco di Baviera 1961 (Arnoldo Mondadori, Milano 1967
  • W. S. Smith, “Il regno Antico in Egitto e l’inizio del Primo periodo intermedio”, il Saggiatore, 1972
C'era una volta l'Egitto

GLI ULTIMI DUE SOVRANI EFFIMERI DELLA VI DINASTIA

Di Piero Cargnino

Come già più volte detto, per molti studiosi la VI dinastia, e con essa l’Antico Regno, si considera chiusa con Pepi II per quanto riguarda il potere centrale. Il Papiro Regio di Torino ne elenca ancora cinque oltre a due posti vuoti. Vediamoli nel dettaglio riportando quelle scarse notizie che possediamo.

MERENRE II DJEFAEMSAF

Secondo molti studiosi la VI dinastia si chiude con Pepi II, ciò è vero solo in parte. Sappiamo che dopo Pepi II salì al trono un figlio di Pepi II e della regina Neith, Merenra II (Merenra Djefaemsaf) il quale però non ha lasciato molto di se. A chiudere effettivamente la VI dinastia sarà poi la sua sorellastra Nitokerty, (Nitokris).

La fine della VI dinastia e con essa il tramonto dell’Antico Regno aleggiava già da tempo con la lenta, ma progressiva perdita di potere e autorità da parte del faraone a causa dell’aumentato potere dei nomarchi e del clero. Il decadimento dell’autorità centrale, ma soprattutto il regno straordinariamente lungo di Pepi II, avrebbe fatto si che l’erede al trono morisse prima del sovrano o che fosse giunto al trono in età avanzata e privo dell’energia necessaria a mantenere saldo il potere.

Con la morte di Pepi II al trono delle Due Terre salì suo figlio, Merenra II che si trovava già molto avanti negli anni a causa del lungo regno del padre. La durata del regno di questo sovrano, del quale  non si conosce praticamente nulla, fu sicuramente molto breve. Senza energia né una chiara visione politica, incapace di esercitare l’autorità di cui era investito e che tollerò la decadenza delle istituzioni e i disordini, favorì la tendenza centrifuga dei nomarchi dell’Alto Egitto che si rafforzò ulteriormente. La mancanza di interventi decisi, ove necessario, permise ai beduini del Sinai di riprendere le loro scorrerie nelle terre del Delta.

Secondo Erodoto Merenra II venne spodestato durante una congiura di palazzo organizzata da un gruppo di nobili forse guidati proprio dalla sorellastra dello stesso Merenra, Nitokerty, (Nitokris). Secondo archivi di età ramesside Merenra II regnò due anni, un mese e un giorno, anche se alcuni ricercatori gli assegnano un regno più lungo, dai sei ai dodici anni. Pare che la sua mummia si stata profanata già poco tempo dopo la sua morte. Il suo nome compare solo nella lista reale riportata sul Papiro Regio di Torino.

LA REGINA NITOKRIS

Fu la prima donna ufficialmente faraone ed assunse il potere verso il 2184 a.C.. Indubbiamente altre donne prima di lei esercitarono il potere supremo ma non vengono ricordate in nessuna lista reale. Al contrario della regina Khentkaus, della quale è stato ritrovato un monumento colossale, faraonico, ma non si ha notizia di alcun titolo esplicito, per Nitokris invece esiste la certezza del titolo reale ma ancora non è stato trovato alcun monumento.

Secondo Eratostene il nome Nitokris significava “Atena è vittoriosa” e non era lontano dalla realtà. In lingua egizia Nitokris significava “Neit-iqeret”, traducibile con “Neith eccellente”, (Neith è il modello egizio dell’Atena greca). Ancora una volta la dea Neith è la protettrice di una donna importante.

Di lei si conosce molto poco, non è menzionata in alcuna iscrizione originale dell’Egitto antico e non esistono monumenti col suo nome anche se alcuni studiosi ritengono che il suo nome corrisponda ad un nome, praticamente illeggibile, presente nella lista di Abydos. Secondo altri il suo nome potrebbe essere quello di “Nitokerty o Nitiqreti” che compare in un frammento del Papiro Regio di Torino, ascrivibile alla XIX dinastia, che sarebbe stato erroneamente collocato fra i re della VI dinastia. Sono state effettuate analisi microscopiche che confermerebbero trattarsi in realtà di una trascrizione imprecisa del nome Netjerkara, altrimenti chiamato Nitokerty Siptah, della VII dinastia presente nella lista di Abydos come successore di Merenra II. Altri egittologi propendono per il fatto che la regina Nitokris non sia mai esistita.

Rimane il fatto che Eusebio di Cesarea, riportando un testo di Manetone, racconta:

<< Una donna, Nitokris, regnò; aveva più coraggio degli uomini della sua epoca ed era la più bella di tutte le donne, bionda, con le gote rosa. Si dice che abbia fatto costruire la terza piramide >>.

Una bellezza similmente decantata ci porta agli altisonanti titoli delle regine dell’Antico Regno.

<<………..Grande nell’amore, dal bel viso incantevole, dal fascino sovrano, che soddisfa la divinità con la sua bellezza, dalla voce bellissima, colei il cui profumo riempie il palazzo, la Signora delle Due Terre ……….>>.

Una bellezza che supera quella della Regina d’Egitto, una bellezza che compete ad una Regina-Faraone. Sesto Giulio Africano, riportando una parte degli Aigyptiaka di Manetone, afferma che  Nitokris non solo sarebbe esistita ma addirittura sarebbe colei che fece costruire la “terza piramide” di Giza. Questa “terza piramide” viene identificata con quella di Micerino alla quale Nitokris prestò grande attenzione sino al punto da farla restaurare. Nulla di tutto ciò è provato.

Dove sia stata sepolta però rimane un mistero, una tradizione vuole che sia stata sepolta proprio nella “terza piramide” ed il suo corpo abbia riposato in un sarcofago di basalto blu.

Sulla sovrana circola una leggenda di epoca tarda, dovuta ad Erodoto, della quale però non esiste traccia nei documenti egizi. Secondo il racconto di Erodoto, Nitokris era la moglie di un re (Merenra II) che venne assassinato da dei cospiratori. Quest’atto spregevole però non permise loro di regnare; i cospiratori chiesero quindi, alla sventurata Nitocris di governare, in modo che la discendenza legittima non si interrompesse. La regina accettò e divenne quindi faraone, la sua sete di vendetta venne così agevolata dalla sua posizione di sovrana. Salita al trono Nitokris si apprestò a vendicare il marito e fratellastro, racconta Erodoto nelle sue “Storie”:

<< Successe al trono del fratello, re Merenra II, che fu assassinato. Per vendicarlo, insieme ai colpevoli, fu pronta a uccidere numerose persone innocenti >>.

Nitokris fece costruire una grande sala sotterranea ed appena ultimata la fece approntare ed offrì un sontuoso banchetto ai cospiratori per celebrare la loro vittoria. Nel bel mezzo del banchetto fece aprire un condotto che riversò acqua all’interno della camera fino a riempirla e i traditori morirono tutti annegati. In seguito Nitokris si suicidò chiudendosi in una camera dove c’erano numerosi bracieri e morì soffocata. Un drammatico racconto orientale privo però di qualsiasi fondamento storico. Con la morte di Nitokris termina ufficialmente la VI dinastia, termina anche l’età dell’oro dell’Antico Regno, dei grandi faraoni costruttori delle imponenti piramidi. Termina un lungo periodo di relativa tranquillità e si para all’orizzonte un periodo confuso di crisi istituzionale, quello che viene chiamato il “Primo Periodo Intermedio”.

Fonti e bibliografia:

  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Einaudi, Torino 1997
  • Federico A. Arborio Mella – L’Egitto dei Faraoni – Mursia, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Editori Laterza, Bari 2008
  • Christian Jacq, “Le donne dei faraoni”, Mondadori, Milano 1997
  • Giulio Farina, “Il papiro dei re”, Editore G. Bardi, Roma, 1938 W. S. Smith, “Il regno Antico in Egitto e l’inizio del Primo periodo intermedio”, il Saggiatore, 1972
C'era una volta l'Egitto

LE PIRAMIDI DELLE REGINE DI PEPI II

Di Piero Cargnino

NEITH

Sicuramente era una caratteristica della famiglia dei Pepi quella di valorizzare le proprie mogli, ovviamente non tutte, ma almeno quelle che dovevano essergli più care.

Pepi II fu in un primo tempo ritenuto figlio di Pepi I in seguito al ritrovamento di vari sigilli reali della VI dinastia e blocchi di pietra (l’ultimo dei quali individuato nel Tempio funerario della regina Ankhesenpepi II, madre certa di Pepi II). Si pensa che la regina abbia sposato anche Merenre I, dopo la morte di Pepi I, questo emerge anche dall’elencazione dei titoli assegnati a Ankhesenpepi II: “Sposa del Re-della Piramide di Pepi I”, “Sposa del Re-della Piramide di Merenre”, “Madre del Re-della Piramide di Pepi II”. Pare dunque chiaro che Pepi II fosse figlio di Merenre I, quindi, nipote abiatico di Pepi I.

Come accennato nel precedente articolo andremo ora a visitare le piramidi minori delle mogli di Pepi II. Anche questo faraone volle costruire, per almeno tre delle sue mogli, non delle semplici piramidi ma dei veri e propri complessi piramidali corredati ciascuno da un tempio funerario e da una cinta muraria.

Il più antico dei tre complessi è quello della regina Neith sorella di Merenre. Forse figlia di Pepi I e della regina Ankhesenpepi I, in questo caso risulterebbe sorellastra e cugina di suo marito Pepi II, il nome Neith gli venne assegnato in onore dell’omonima dea della guerra, della caccia e della tessitura.

Neith fu una delle mogli principali di Pepi II e forse madre di Merenre II, Una leggenda racconta che sarebbe stata anche la madre dell’enigmatica regina Nitocris. La regina, in quanto principessa, poteva vantare numerosi titoli quali: “Figlia del Re”, “Prima Figlia del Re del Suo Corpo”, “Prima Figlia del Re del Suo Corpo di Mennefer Meryra”, “Principessa ereditaria”. In quanto sposa del faraone potè aggiungerne altri: “Sposa del Re”, “Amata Sposa del Re di Menankh-Neferkara”, “Grande di lodi”, “Grande dello Scettro-Hetes”, “Colei Che vede Horus e Seth”, “Attendente di Horus”, “Consorte e Amata delle Due Signore” (le dee Nekhbet e Uadjet), “Compagna di Horus”. Come Madre del Re significa che suo figlio divenne faraone.

Delle tre piramidi delle mogli di Pepi II, quella di Neith è la più grande. Il suo complesso funerario è ubicato nell’angolo nord-ovest della piramide di Pepi II, include un piccolo tempio funerario e una piramide accessoria. La piramide è formata da un nucleo di tre gradoni in tutto simile a quello della piramide reale. All’entrata del complesso si trovavano due obelischi completamente coperti di iscrizioni.

L’ingresso si trovava nel pavimento del cortile a metà della parete settentrionale della piramide. Anche qui un corridoio discendente terminava in uno sbarramento in blocchi di granito rosa per poi proseguire in orizzontale. Questo presentava un ulteriore sbarramento prima dell’ingresso alla camera funeraria posta in corrispondenza dell’asse verticale della piramide.

La camera funeraria aveva il soffitto piatto decorato con stelle, la parete del sarcofago era splendidamente decorata a facciata di palazzo mentre le altre tre pareti erano ricoperte con i “Testi delle piramidi”.

Come abbiamo avuto modo di dire in altra occasione, si tratta di una rarità trovare i Testi della piramidi nella camera sepolcrale di una regina in quanto erano prerogativa del sovrano, in assoluto la prima regina a fregiarsene fu la madre di Pepi II, la regina Ankhesenpepi II. Il sarcofago, in granito rosso, conteneva al suo interno alcuni resti della mummia della regina e la cassa con i vasi canopi. Ovviamente la tomba fu profanata fin dal passato e la mummia disfatta per recuperare i preziosi amuleti in essa contenuti, i pochi resti ritrovati furono conservati un tempo presso la Facoltà di Medicina di Kasr el-Aini. Nella camera furono rinvenuti inoltre numerosi frammenti di vasi in alabastro e diorite appartenenti al corredo funerario della regina. Un piccolo serdab si trovava ad est della camera.

Durante i suoi scavi l’egittologo Gustave Jéquier scoprì, in una fossa poco profonda all’angolo sud-est della piramide, sedici modelli lignei di imbarcazioni, sepolte fra la piramide di Neith e quella accessoria. Un ritrovamento eccezionale per quantità, varietà e stato di conservazione. Le barche, facenti parte del corredo della regina, erano legate al culto funerario ed all’idea del viaggio che il defunto doveva compiere per raggiungere l’aldilà.

IPUT II

Iput II, forse figlia di Merenre I, fu sorellastra e moglie di Pepi II. Data la sua appartenenza alla famiglia reale poteva fregiarsi dei titoli di “Figlia del Re” e “Prima figlia del Re” ai quali si aggiungeva quello di “Principessa ereditaria”. Divenuta regina moglie di Pepi II aggiunse i titoli di “Sposa del Re”, “Sposa del Re, sua amata”, “Amata sposa del Re Pepi Neferkara Menankh” e “Colei che vede Horus e Seth” (non dovrei averne dimenticato nessuno) infatti, stranamente, fra tutti i suoi titoli salta all’occhio un fatto curioso, mancava il titolo di “Regina madre”.

Durante la VI dinastia tutte le spose reali, anche se i loro figli non diventarono mai faraoni, ottennero una piramide per tomba con il proprio tempio sulle pareti del quale spiccavano i nomi ed i titoli della regina. Il complesso funerario di Iput II, che doveva ricalcare quella di Neith, comprendeva una piramide ed un Tempio sepolcrale annesso, eretto su un pozzo a forma di L nei pressi della piramide di Pepi II. Si accedeva attraverso una porta in granito rosa con ai lati due obelischi sempre di granito rosa sui quali erano riportati il nome e i titoli della regina.

Osservando il complesso oggi purtroppo ci si trova in presenza di un ammasso di macerie riconoscibile solo per le dimensioni limitate ed una parte del paramento della camera funeraria costruito con materiale di pessima qualità. La camera sepolcrale si presenta anch’essa con le pareti interamente ricoperte dai Testi delle piramidi mentre il sarcofago, forse realizzato in granito rosa, non è mai stato ritrovato.

Il sito venne scavato all’inizio del XX secolo dall’archeologo svizzero Gustave Jéquier. Gli scavi interessarono anche il tempio funerario dove venne rinvenuto un sarcofago di granito che risultò essere appartenuto ad un’altra moglie di Pepi II, la regina  Ankhesenpepi III, la cosa suscitò molti interrogativi, primo fra tutti rimane il mistero se questa regina sia stata sepolta già in origine nel complesso di Iput II o se il suo sarcofago venne qui trasportato durante i torbidi del Primo Periodo Intermedio. Il coperchio del sarcofago mostrava tracce di un’iscrizione che sul momento apparvero illeggibili. Ricoverato al Museo del Cairo (JE 65908) venne per lungo tempo dimenticato. In epoca più recente gli archeologi Michel Baud e Vasil Dobrev sono tornati ad esaminare l’iscrizione sul reperto. Con l’utilizzo di una sofisticata tecnica fotografica sono riusciti a ricostruire parzialmente l’iscrizione. La sua traduzione si è rivelata particolarmente difficile e dubbia, ma una parziale decifrazione è stata compiuta con successo. Ancorché tutt’ora incerta, la decifrazione ha permesso di stabilire che Usekara regnò effettivamente all’inizio della VI dinastia,  la durata del suo regno fu di circa quattro anni, ma che il suo nome fu poi cancellato dai monumenti a causa di una damnatio memoriae all’epoca del faraone Pepi I.

UDJEBTEN

La terza moglie, per la quale Pepi II fece costruire un complesso funerario, fu la regina Udjebten la quale sicuramente rivestì un ruolo meno importante di altre, infatti gli venne riservato un complesso un po’ più piccolo dotato comunque di una piramide, un tempio funerario ed una piccola piramide cultuale.

Anche per lei non si lesinò certo nell’assegnargli titoli nobiliari, poteva vantare di essere “Colei che vede Horus e Seth”, “Grande dello Scettro-Hetes”, “Sposa del Re”, “Amata Sposa di Menankh Neferkara”, “Attendente di Horus”, “Consorte dell’Amato dalle Due Signore” (le dee Nekhbet e Uadjer). Anche per lei non compare mai il titolo di “Figlia del Re”, usuale per le figlie del faraone, ma semplicemente “Principessa ereditaria”. Se ne deduce pertanto che, pur appartenendo alla famiglia reale, non fu una sorella o sorellastra di Pepi II come Neith e Iput II.

Il complesso funerario della regina Udjebten includeva la piramide principale, un tempietto mortuario e una annessa piramide accessoria finalizzata al culto circondato da muri perimetrali. La struttura della sua piramide era in tutto simile a quella delle altre due piramidi delle regine. Lo stato di devastazione in cui la rinvenne Jéquier era tale che addirittura risultò difficile riconoscere il nucleo centrale. Tuttavia Jéquier riuscì a trovare un blocco del paramento che venne riconosciuto come quello su cui poggiava il Pyramidion. Grazie ad una circostanza fortunata scoprì nel tempio funerario un’iscrizione che attestava che il pyramidion in origine era rivestito con lastre di oro.

Tra le cose trovate c’era un enorme blocco di basalto che faceva parte della saracinesca di sbarramento. Ancorché neppure Udjebten vantasse il titolo di “Regina madre”, durante gli scavi Jéquier scoprì un frammento dell’iscrizione di un decreto che tutelava il culto della regina. Dai miseri resti della camera funeraria è emerso che le pareti erano ricoperte con i testi delle piramidi di cui sono rimasti 84 frammenti

Fonti e bibliografia:

  • Mark Lehner, ”The Complete Pyramids”, Londra, Thames & Hudson, 2008
  • Miroslav Verner,, “Il mistero delle piramidi”, Newton & Compton editori, 1998
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Laterza,  Bari, 2008
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei Faraoni”, Milano, Mursia, 1976; 2005
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Milano, Bompiani, 2003
  • Sergio Donadoni, “Testi religiosi egizi”, Milano, TEA, 1988
  • David Henige, “How long did Pepy II reign?”, in GM, 2009  Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, traduzione di Ginetta Pignolo, Milano, Einaudi, 1989
C'era una volta l'Egitto

LA PIRAMIDE DI NEFERKARA PEPI II

Di Piero Cargnino

Siamo quasi alla fine della VI dinastia ma ancor più alla fine del cosiddetto “Antico Regno”

Pepi II, (Neferkara, Phiopis, Piopi, Horo Netjerkhau), salì al trono dopo Merenre I. Figlio, secondo alcuni, di Pepi I e della regina Ankhesenpepi II. Ma qui esistono diverse interpretazioni, dagli annali registrati sulla “Pietra di Saqqara meridionale”, tenuto conto della durata del regno di Pepi I, risulterebbe che Pepi II sia nato 5 anni dopo la morte di Pepi I.

Da sigilli reali della VI dinastia e da blocchi di pietra, scoperti durante gli scavi del 1999-2000, provenienti dal Tempio funerario della regina Ankhesenpepi II, madre di Pepi II, si evince che la stessa regina sposò poi, in seconde nozze,  anche Merenre I. Da qui si potrebbe dedurre che Pepi II fosse figlio di Merenre I e nipote abiatico di Pepi I. Secondo Manetone quello di Pepi II fu il regno più lungo della storia,

<< Cominciò a regnare a sei anni e continuò fino a cento anni >>,

mentre il Canone Reale di Torino gliene attribuisce 90. Anche qui i pareri sono discordanti, la più antica fonte scritta risalente al regno di Pepi II è datata “Anno dopo il 31º censimento (del bestiame), 1° mese di Shemu, 20º giorno”, dal Graffito Hatnub n°7, (Spalinger, 1994), quindi, se è stata rispettata la cadenza biennale, corrisponderebbero a 62 anni di regno.

Alcuni egittologi ritengono che non abbia regnato per più di 64 anni. Secondo Jürgen von Beckerath, Manetone commise un errore nella lettura dei documenti a sua disposizione peraltro risalenti a due millenni prima, stessa cosa per il Canone di Torino, redatto sotto Ramses II, vissuto un millennio dopo Pepi II. L’egittologo austriaco Hans Goedicke,  pensava di aver ravvisato un “Anno del 33º censimento del bestiame” in un decreto di Pepi II per il culto funerario della regina Udjebten ma nel 1988 ebbe a ricredersi riscontrando che l’anno di riferimento in quel testo era il 24°. Secondo altri studiosi, discordi, il mancato ritrovamento, finora, di documenti posteriori a quelli già scoperti non esclude categoricamente che Pepi II abbia regnato più a lungo, dal momento che la fine del regno di Pepi II segnò un rapido tracollo delle fortune dei faraoni dell’Antico Regno che vennero subito dopo di lui.

Di Pepi II si parla nei “Testi delle piramidi”, formula n. 555,

<< È uscito Pepi da Buto. È abbigliato come Horus, è addobbato come le Due Enneadi. Si leva Pepi come re, si innalza egli come Upuaut………il suo scettro amaes è nel suo pugno………La madre di Pepi è Iside………E’ sano Pepi, è sana la sua carne, è sana la sua veste………Egli sale al cielo come Mentu…….>>.

Sfogliando un testo ho trovato un episodio riguardante Pepi II che, salito al trono in età giovanissima, come tutti i bambini si appassionava tantissimo nell’ascoltare i racconti di coloro che avevano compiuto viaggi in paesi lontani per tornare carichi di merci e oggetti preziosi. Un personaggio riuscì in modo particolare a stimolare la fantasia di Pepi, Harkhuf governatore di Elefantina. Harkhuf guidò almeno quattro spedizioni dall’Alto Egitto fino a Yam, ma ciò che più appassionò Pepi fu quando, di ritorno dalla quarta missione, riportò un “nano danzante” (un pigmeo). Pepi ne fu a tal punto entusiasta che inviò una lettera ad Harkhuf dicendo:

<<…….Torna alla corte subito, devi portare con te questo nano che hai preso……..per la danza del dio, per rallegrare ed allietare il cuore del Re dell’Alto e Basso Egitto Neferkara, che viva in eterno……..la Mia Maestà desidera vedere questo nano ancor più dei doni dal Sinai e da Punt……..la Mia Maestà farà per te una cosa più grande di quanto venne fatto al tesoriere del dio, Burded, al tempo di Isesi……..>>.

La cosa rappresentava un enorme onore per Harkhuf  il quale non mancò di riprodurla integralmente sulla facciata della propria tomba.

Pepi II, per il suo complesso piramidale, scelse un luogo ubicato sul bordo meridionale della necropoli di Saqqara e lo chiamò “La vita di Pepi è duratura”. Esso riveste un ruolo particolare nell’architettura egizia, fu l’ultimo ad essere costruito nella migliore tradizione dell’architettura dell’Antico Regno.

Gaston Maspero, seguendo sempre il cammino di Perring, entrò nella sottostruttura nel 1881, senza però approfondire più di tanto la sua ricerca. Chi approfondì lo studio del monumento fu Gustave Jéquier, egittologo svizzero, nelle sue campagne condotte tra il 1926 e il 1932. Fu lui a scoprire nelle vicinanze della piramide di Pepi II le piramidi delle mogli Neith, la madre del successore di Pepi II, Iput II e Udjebten. Solo queste tre mogli ebbero ciascuna una piramide minore e un tempio funerario accanto al complesso sepolcrale di Pepi II.

Nei pressi della rampa cerimoniale Jéquier portò alla luce una piccola piramide di un oscuro sovrano dell’VIII dinastia, Ibi, (tratteremo questa piramide in un articolo successivo). Anche la piramide di Pepi II era formata da piccoli pezzi di calcare cementati con malta argillosa mentre il paramento fu realizzato con pregiato calcare bianco.

Inspiegabilmente la piramide fu oggetto di un ampliamento successivo. A lavori ultimati venne aggiunta attorno alla piramide all’altezza del terzo strato di blocchi una fascia in muratura larga circa 7 metri, in questo modo la cappella nord fu inglobata e sparì. L’ingresso, come in uso fin dall’epoca di Djedkare, era a nord e dava accesso ad un cunicolo dapprima discendente che sbucava in un vestibolo nel quale sono stati rinvenuti frammenti di vasi in alabastro e diorite e la lama dorata di un piccolo coltello. Subito fuori dal vestibolo il cunicolo diventa orizzontale e dopo alcuni metri si trova una barriera composta da tre macigni di granito a caduta, le pareti della parte orizzontale del corridoio erano interamente ricoperte dai “Testi delle piramidi”, così pure le pareti dell’anticamera e della camera funeraria mentre sul soffitto, dalla classica forma a triplice capriata formata da enormi lastroni in calcare,  risplendevano le stelle.

Solo la parete occidentale dietro al sarcofago presentava una decorazione a facciata di palazzo. Sul sarcofago in granito nero una scritta in geroglifico riportava il nome ed i titoli del faraone. Il coperchio si trovava su due monconi in muratura fra il sarcofago e la parete, la mummia di Pepi II non è mai stata trovata. All’interno del recinto del complesso funerario si trova la piccola piramide cultuale in corrispondenza dell’angolo su-est. Appena fuori dalla cinta muraria del complesso si trovano: nell’angolo a nord-ovest la piramide della moglie reale Iput II ad ovest e quella dell’altra moglie reale Neith a nord. La piramide di un’altra moglie reale, Udjebten, si trova nell’angolo sud-est, verso sud quasi di fronte alla piramide cultuale.

Fonti e bibliografia:

  • Mark Lehner, ”The Complete Pyramids”, Londra, Thames & Hudson, 2008
  • Miroslav Verner,, “Il mistero delle piramidi”, Newton & Compton editori, 1998
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Laterza,  Bari, 2008
  • Sergio Donadoni, “Testi religiosi egizi”, Milano, TEA, 1988
  • David Henige, “How long did Pepy II reign?”, in GM, 2009 
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei Faraoni”, Milano, Mursia, 1976; 2005
  • George William Murray, “Harkhuf’s Third Journey”, The Geographical Journal, 1965 Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, traduzione di Ginetta Pignolo, Milano, Einaudi, 1989