EVOLUZIONE DELL'ARCHITETTURA FUNERARIA, Luce tra le ombre

LE PIRAMIDI A GRADONI

Secondo Erodoto, la fondazione di Menfi come capitale delle Due Terre, fu una delle più grandi imprese del leggendario Menes fondatore della I Dinastia. Ragionevolmente, si può concordare che un’amministrazione centralizzata potesse essere condotta in maniera ottimale nel luogo strategicamente più rilevante dell’epoca, vale a dire il punto di congiunzione ideale tra l’Alto Egitto (la Valle) ed il Basso Egitto (il Delta).

A Saqqara Nord è presente la necropoli ufficiale della regione menfita, la prima per le inumazioni regali assieme a quella di Umm el-Qaab, nei pressi di Abydos.

Poco a ovest di Menfi, presso il margine settentrionale della piana di Saqqara e non lontano dal luogo dove circa mezzo millennio più tardi Djoser avrebbe edificato il complesso della piramide a gradoni, Aha eresse la sua tomba a mastaba (denominata S 3357 e scoperta nel 1936 dall’archeologo britannico W.B. Emery), caratterizzata da una sovrastruttura modanata e da una fossa per barca. Da allora, i successori della I Dinastia seguirono questo esempio promuovendo lo sviluppo della necropoli di Saqqara Nord. L’egittologo tedesco Hans Wolgang Müller , con argomentazioni convincenti, documentò che le maggiori mastabe di Saqqara (contraddistinte dalla tecnica di modanatura tipica del Basso Egitto), dovevano essere considerate cenotafi (vale a dire “tombe vuote”) dei re protodinastici, mentre le sepolture che le circondavano appartenevano a membri della famiglia reale e a funzionari di alto rango. I veri sepolcri di questi sovrani, invece, si trovavano ad Abydos, nella necropoli di Umm el-Qaab.

Le tombe dei primi re della II Dinastia non sono state ancora localizzate, ma un’iscrizione sulla spalla di un sacerdote cultuale della III Dinastia, Hetepdfjef, elenca i nomi di Horo dei primi tre re di quel periodo: HotepsekhemwyNeb[i]ra (o Raneb) e Ninetjer, suggerendo che la loro sepoltura si trovasse nella necropoli di Saqqara. In effetti, le gallerie sotterranee di due grandi tombe, scoperte poco a sud del complesso di Djoser, nell’area della piramide di Unas (ultimo re della V Dinastia), potrebbero appartenere a Hotepsekhemwy (oppure a Raneb) e a Ninetjer. Inoltre, la stele funeraria di Raneb (Immagine n. 1), rinvenuta a Saqqara lascerebbe supporre che questo sovrano fu sepolto proprio lì.

La stele di Raneb, quasi certamente, fu rinvenuta nella zona di Menfi, l’antica capitale egizia. Questo ha portato a ipotizzare che la sua tomba si trovasse nella vicina necropoli di Saqqara, dove sono stati rinvenuti sigilli di giare recanti il nome del re (© Foto https://www.metmuseum.org/art/collection/search/545799)

Khaeskhemwy fu l’ultimo re del Periodo Arcaico e si fece seppellire ad Abydos. Il suo successore*, Djoser Netjerikhet (Immagine n. 2), quasi certamente fondatore della III Dinastia, segnò l’avvento di un’era di novità e progresso sia nel campo delle arti e dell’architettura, sia in quello della scrittura e dell’amministrazione. Ispirato dalla sua forza innovativa, questo sovrano fu capace di erigere un immenso complesso funerario sul plateau di Saqqara che gli consentisse di perpetuare nell’Aldilà le cerimonie che avevano caratterizzato la sua vita terrestre.

Immagine n. 2 Particolare della famosissima statua assisa di Djoser in calcare dipinto. Fu rinvenuta nel serdab in pietra del tempio funerario di Saqqara. Gli occhi, lavorati con pietre semipreziose, sono andati perduti, ma la maestà dell’aspetto è espressa dalla massiccia parrucca, dalla barba cerimoniale e da copricapo nemes. Museo Egizio del Cairo (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 87)

Questa straordinaria concentrazione di edifici, una vera e propria città nella necropoli, è considerata come la prima realizzazione monumentale costruita interamente con pietra da taglio. La piramide che la domina, inoltre, è la prima che presenta queste caratteristiche. Il possente recinto che delimita la tomba e i suoi edifici di culto insistono su un’area di circa 15 ettari, vale a dire delle dimensioni colossali e assolutamente fuori del comune per un complesso funerario (Immagine n. 3).

Immagine n. 3 Veduta aerea del complesso di Djoser a Saqqara (© ph Label News. Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 26)

*Le liste dei re di Abydos e del Canone di Torino collocano Nebka (il cui nome di Horus, Sanakht, sembrerebbe a lui collegato) prima di Djoser, mentre la lista di Saqqara colloca Nebka dopo Djoser e Sekemkhet. Lo prove archeologiche,infine, mostrano che il fondatore della III dinastia fu molto probabilmente Djoser.

La III Dinastia fu l’ “Età della Piramide a Gradoni”, un’ epoca in cui l’impulso verso la conquista della magnificenza conobbe un’accelerazione impressionante. Gli “architetti” di Djoser e dei suoi successori posero le solide basi che avrebbero condotto alla costruzione delle grandi piramidi durante le successive dinastie dell’Antico Regno. Possiamo senz’altro definire questo periodo come la prima “Età dell’oro” della lunghissima storia egizia.

Dai manufatti superstiti coevi apprendiamo che Djoser (Immagine n. 4) era chiamato Netjerikhet: è questo, infatti, il nome con cui viene identificato nelle statue e nei rilievi rinvenuti sotto la Piramide a Gradoni, nonché nella relativa tomba sud*. In realtà, il nome proprio con il quale è molto più noto ai nostri giorni, compare per la prima volta nel famoso Papiro Westcar, risalente al Medio Regno.

Immagine n. 4 In questo piedistallo i piedi del re Djoser poggiano sui nove archi (i tradizionali nemici dell’Egitto); i tre uccelli-rḫyt (upupe) rappresentano il popolo. A sinistra del nome di Horo del sovrano, Netjerikhet, figurano il nome e i titoli del suo architetto Imhotep. Museo egizio del Cairo. (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 89)

Dai canoni regi di epoca ramesside (Abydos, Saqqara e Torino) in poi, Netjerikhet fu identificato unicamente con il nome Djoser. Colui che compilò il Canone Regio di Torino ne scrisse il nome con inchiostro rosso (anziché nero) per evidenziarne l’importanza; ciò lascia presupporre che il suo regno all’epoca, fosse considerato come il punto di partenza di una nuova era. Infine, Manetone, il famoso storico e sacerdote egizio, vissuto nel III secolo a.C. lo cita come Tosorthros.

Nella lista di Saqqara, Djoser viene indicato come primo re della III Dinastia, mentre i Canoni di Abydos e di Torino indicano Nebka come suo predecessore e, quindi, fondatore della stessa. Oggi, le evidenze archeologiche – in particolare il rinvenimento da parte di Günter Dreyer di sigilli d’argilla recanti il nome di Horo Netjerikhet nella tomba di Khasekhemwuy, ultimo sovrano della II Dynastia – permettono di attribuire, con ragionevole sicurezza, il ruolo di capostipite a Djoser. Probabilmente, Nebka deve essere identificato con un altro sovrano il cui nome di Horo, Sanakht, compare in due rilievi scolpiti nei pressi delle miniere di turchese nella penisola del Sinai (Immagine n. 5) e in alcuni sigilli rinvenuti nel tempio funerario di Djoser. Inoltre, una menzione di Nebka, anche questa proveniente dal Papiro Westcar, lo posiziona chiaramente tra Djoser Snefru, fondatore della IV Dinastia.

Immagine n. 5 Rilievo del Sinai che mostra lo Horus Sanakht che uccide un nemico. Londra, British Museum

Quando furono posate le prime fondazioni del complesso di Saqqara, nulla lasciava presagire ciò che sarebbe diventato. Sicuramente, Djoser aveva già dato prova di possedere un’ambizione smisuratamente maggiore rispetto a quella dei suoi processori accordando al suo “architetto” l’utilizzo integrale della pietra, ma, probabilmente, l’idea di una sepoltura destinata a rappresentare e favorire l’ascesa al cielo del re fu concepita in un secondo momento. Ad ogni modo, allo scopo di realizzare una tomba reale che dominasse tutto il complesso, furono concepite nuove forme e strutture; queste vengono tradizionalmente attribuite a Imhotep **, il “grande responsabile degli artigiani”, leggendario architetto (e non solo) che più tardi sarà elevato al rango di divinità (Immagine n. 6) .

Immagine n. 6 Una delle rappresentazioni tipiche di Imhotep lo ritrae assiso mentre srotola un papiro, per dare risalto alla sua condizione di saggio. Il copricapo a calotta gli conferisce l’aspetto del dio Ptah, considerato suo padre. I suoi piedi, calzati con sandali, poggiano su una piccola base quadrata con inciso il nome di Imhotep e del dedicante, Pediamun, figlio di Bes e Irteru. Museo Egizio del Cairo, Epoca tarda, ca. 664-332 a.C (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 88)

Bisogna essere davvero dotati di un’immaginazione fuori dal comune per farsi un’idea di come potesse apparire questo gioiello architettonico il giorno dei funerali del re: una muraglia di cinta bianca, resa abbagliante dalla politura della pietra calcarea, si stagliava al centro di un scenario che all’epoca doveva essere piuttosto simile a quelle delle savane africane odierne; gli edifici di culto colpivano per la ricchezza dei soggetti dipinti i cui vividi colori aggiungevano alla trasposizione sulla pietra degli elementi vegetali l’illusione della vita terrena in un regno immobile quale quello dedicato ai morti (Immagine n. 7).

Immagine n. 7 Ricostruzione del complesso di Djoser (©Franck Monnier et Paul François, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 27)

L’esplorazione moderna del monumento ebbe inizio solo a partire dal XIX secolo quando, nel 1924, iniziò lo scavo sistematico del sito sotto la direzione dell’egittologo britannico Cecil Mallaby Firth che, resosi conto dell’enormità del progetto si fece affiancare, a partire dal 1926 da un giovanissimo architetto e archeologo francese rispondente al nome di Jean-Philippe Lauer. Quest’ultimo, dopo la scomparsa di Firth, avvenuta nel 1931, riprese il cantiere in collaborazione con James Edward Quibell fino al 1935. A partire da quell’anno ne assunse, infine, la direzione. Lo studio del complesso l’avrebbe tenuto occupato per tutta la sua vita ed in modo così pregnante da lasciare un’impronta indelebile su questo sito prestigioso.

* Si tratta di una struttura, piuttosto enigmatica, situata nella parte meridionale del recinto piramidale. È dotata di gallerie ipogee simili a quelle che si trovano sotto la piramide stessa e contiene una camera sepolcrale che è, però, troppo piccola per ospitare una sepoltura.

** Per ulteriori approfondimenti sulla straordinaria figura di Imhotep:

Secondo l’egittologo tedesco Dietrich Wildung, Imhotep iniziò, con tutta probabilità, ad esercitare già all’epoca di Khasekhemwuy e morì sotto il regno di Huni, l’ultimo re della III Dinastia; non era di nobili origini (era forse figlio di un modesto architetto di nome Kanofer) e neanche, sempre secondo l’archeologo teutonico, vi sono prove assolutamente certe che fu mai innalzato alla carica di visir. Nondimeno, acquisì un’enorme fama non solo come architetto, ma anche come medico, scrittore e sapiente che, nel corso del tempo, non fece altro che accrescersi. Nel Nuovo Regno questo “genio” dell’antichità, fu considerato “patrono degli scribi” e nel Canone di Torino è menzionato quale “figlio di Ptah”, prima indicazione della sua antica reputazione di semidio che si sarebbe più tardi, in epoca saitica, trasformata in una vera e propria deificazione. La sua fama rimase invariata anche in epoca tolemaica (Immagine n.8) come attesta un’iscrizione scolpita sull’isola di Sahel, a sud di Aswan, in cui si fa menzione di Djoser e del suo famoso architetto (Immagine n. 9).

Immagine n. 8 Rappresentazione, d’epoca tolemaica, del saggio Imhotep. Museo del Louvre, E4216 (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 30)

L’ ingegnosità di questo “Leonardo da Vinci” ante litteram, è contraddistinta tanto dall’utilizzo intensivo e innovativo della pietra per costruzioni (per la verità, la Pietra di Palermo, cita l’edificazione di un tempio con tali caratteristiche alla fine della II Dinastia, ma nulla prova che sia mai stato completato) quanto dalla geniale intuizione di sovrapporre forme nuove e tradizionali nell’edificazione dello straordinario complesso funerario di Djoser.

Immagine n. 9 La famosa “Stele della carestia”. Si tratta di un’epigrafe scolpita, quasi sicuramente in epoca tolemaica (332-31 a.C.) sull’isola di Sahel, nei pressi di Aswan. In essa si racconta una storia ambientata durante il 18° anno di regno di Djoser. Il sovrano è estremamente preoccupato dal fatto che da sette anni il Nilo non esondava, provocando grave siccità, con relativa penuria di raccolti e conseguente malcontento del popolo. Il re chiede pertanto aiuto al suo gran sacerdote Imhotep, affinché riuscisse a scoprire il luogo di nascita di Hapy, la divinità fluviale direttamente identificata con il grande fiume. La storia si conclude con il successo di Imhotep e con l’emissione di un editto da parte del re in cui concede il tempio di Khnum ad Elefantina, con tutti i suoi averi, oltre ad una parte dei tributi provenienti dalla Nubia (© ph. Morburre – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=64990839

Il sito funerario di questo sovrano fu progettato su un’area soprelevata del plateau di Giza, in prossimità della grande necropoli dei dignitari della II Dinastia, al fine di poterlo erigere in posizione dominante rispetto all’antica capitale Menfi. Le mastabe sovrapposte, che diedero vita alla famosa piramide a gradoni, furono costruite su un’altura che sovrastava di qualche metro l’intero distretto. La presenza di notevoli dislivelli costrinse i costruttori a colmare le varie depressioni con circa 400.000 mc. di materiali di risulta costituiti da pietrisco, scarti da taglio, sabbia e argilla, per potere innalzare la piattaforma del complesso al medesimo livello del piano di sepoltura. Al limitare del terrapieno fu costruito un immenso muro di cinta a nicchie, di pianta rettangolare, lungo 544,90 metri da nord a sud e 277,60 metri da est a ovest: un perimetro, dunque, di 1645 metri! Questa colossale recinzione, probabilmente frutto di un successivo ingrandimento, era fiancheggiata da una quindicina di false-porte ad anta doppia delle quali soltanto una, quella posizionata sul lato est nei pressi dell’angolo sud-orientale (l’ingresso attuale), fu lasciata aperta al fine di permettere la comunicazione verso l’esterno. Fu ripreso, per questo elemento architettonico il motivo decorativo a “facciata di palazzo” tipico delle mastabe e dei recinti funerari del Periodo Arcaico, ma segnando una rottura con quel tipo di schema a nicchie grazie alla realizzazione di forme più essenziali e stilizzate e, soprattutto, rinunciando alla vivace colorazione.

Immagine n. 10 L’ ingresso al complesso di Djoser (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 29)

L’unico ingresso della struttura, situato vicino all’angolo sud-est della cinta muraria (Immagine n. 10), si apriva su un corridoio che attraversava la parete da parte a parte. Una volta superato questo passaggio, quasi tutto era solo finzione scenografica. Si entrava, infatti, in un magnifico portico che si dirigeva verso ovest, fiancheggiato su entrambi i lati da una ventina di false colonne nervate, alte 6,60 metri e addossate a muri disposti a pettine. Queste non avevano alcuna funzione di sostegno per il tetto in quanto tale compito era svolto dalle pareti di collegamento, di cui costituivano le terminazioni ornamentali (Immagini n. 11-12).

Immagine n. 11 Il colonnato di ingresso visto dal cortile interno (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 29)
Immagine n. 12 Particolare del colonnato di ingresso in cui è chiaramente visibile la funzione esclusivamente ornamentale delle false colonne. (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 29)

L’imponente complesso di Djoser (Immagine n. 13), con la maestosa presenza della Piramide a Gradoni, aveva lo scopo di celebrare la natura divina del re defunto. Questo sito monumentale indica chiaramente che l’unificazione delle Due Terre era ormai saldamente acquisita, così come testimoniato dall’ impiego di differenti elementi architettonici caratteristici sia dell’Alto sia del Basso Egitto, combinati insieme in maniera armonica ed equilibrata.

Immagine n. 13 Panoramica di Saqqara Nord. La Piramide a Gradoni domina l’enorme complesso del re. (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 94-95)

Le numerose strutture presenti nell’enorme recinto rappresentano una selezione di tutti gli elementi essenziali alla vita ultraterrena del sovrano: la Tomba Sud con la relativa cappella di culto, le Cappelle per la festa “heb-sed” e il Tempio “T”, il Tempio funerario e il “serdab”, i Padiglioni del Sud e del Nord e, infine la stessa Piramide (Immagini n.14-15).

Immagine n. 14 Ricostruzione del complesso della Piramide a Gradoni (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 94)
Immagine n. 15 Pianta del complesso (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 95)

I tunnel ipogei, scavati sotto la piramide, i cosiddetti tumuli occidentali, i granai settentrionali e i due altari erano concepiti per assicurare un perenne approvvigionamento al defunto, ma anche il colonnato di accesso, così come ogni altro elemento presente, aveva la sua precisa funzione (ad esempio, le due edicole del cortile sud segnalavano le mete del percorso della corsa cerimoniale che il re doveva ripetere in eterno). In buona sostanza, l’intero complesso fu concepito per essere il luogo in cui sovrano avrebbe avuto la sua eterna dimora nell’Aldilà e dalla quale avrebbe continuato ad esercitare le sue funzioni di “Signore delle Due Terre”.

L’appassionata devozione alle tradizioni, che aveva contraddistinto la mentalità egizia sin dai primordi, conobbe un ulteriore impulso durante la III Dinastia e gli spettacolari esiti del regno di Djoser, ne rappresentarono senza dubbio l’apice. Uno sviluppo così rimarchevole deve essere stato dettato da una possente e consolidata credenza religiosa. Secondo l’egittologo tedesco Werner Kaiser, la maggior parte degli elementi del complesso fu costruita seguendo la più pura tradizione dell’Alto Egitto, sul modello delle recinzioni funerarie di Abydos. In realtà, nessuno è in grado di determinare quale fosse l’origine della tradizione di quella località. I tumuli fittizi all’interno delle recinzioni di Peribsen e Khasekhemwy, presenti in quel sito, erano, probabilmente collegati alla Collina Primordiale della teologia Eliopolitana, così come il sistema di modanatura di alcune mura di recinzione dell’Alto Egitto ad Abydos e a Hierakonpolis (attribuibili al regno di Khasekhemuy) può essere senz’altro collegato alla tradizione del Basso Egitto i cui esempi sono rintracciabili a Saqqara così come in tanti altri siti del nord.

In ogni caso, Il complesso di Djoser è l’esempio lampante della consolidata unificazione culturale, oltre che politica, dell’Antico Egitto alle soglie dell’Antico Regno: Da quel momento in poi ci sarà soltanto un’unica tradizione egizia.

Ritornando alla descrizione del complesso funerario, vale la pena ricordare che a sud del colonnato si rinvennero alcuni frammenti di statue scolpite con l’effigie di Djoser, uno dei quali recava il nome e i titoli del “gran maestro dei lavori” Imhotep. Questo maestoso viale conduceva direttamente al cortile sud, uno spazio di 175×108 metri delimitato dalla piramide a nord e da muri con leggere rientranze sui suoi altri tre lati. Come uniche costruzioni vi si trovavano un altare disposto ai piedi della piramide e, di fronte, due edicole a forma di delle quali si conoscono alcune raffigurazioni presenti negli appartamenti funerari. Sembra, come già accennato in precedenza, che queste piccole costruzioni fungessero da punti di riferimento attorno ai quali il sovrano poteva compiere ripetutamente una corsa rituale ispirata alle feste giubilari dette “feste-sed”. Un secondo cortile di questo tipo, ma di dimensioni ben più modeste, si apriva a est della piramide. Anche qui erano presenti due piccole edicole che, in questo caso presentavano la forma di una D. Un ulteriore spazio a cielo aperto si trovava più a sud, a est del cortile meridionale. Di forma slanciata, disposto lungo un asse nord-sud, era delimitato sui lati est e ovest da due serie di cappelle addossate e sostenute da un basamento rialzato. Ciascuna era dotata di un piccolo cortile e di una scala in pietra che conduceva a una nicchia che serviva ad ospitare una statua. La copertura era a volta, per la maggior parte di esse, e le facciate presentavano colonnine scanalate. Si trattava, in ogni caso, di opere fittizie prive di ogni allestimento interno. Di fronte, altre cappelle, di dimensioni minori, presentavano una decorazione più sobria, senza colonne, né scale. Una piattaforma in pietra con doppia scalinata d’accesso troneggiava nella parte meridionale di questo cortile. Le caratteristiche comuni con il doppio padiglione reale raffigurato più volte sulle etichette dei vasi del periodo arcaico suggeriscono che qui venisse simbolicamente celebrata la capacità del re di regnare per sempre. Questo è il motivo per cui questo cortile è stato battezzato “cortile dello heb-sed (Immagine n. 16).

Immagine n. 16 Cortile dello “heb-sed”. Si riconoscono, in primo piano, le cappelle e il palco del doppio chiosco reale (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 30)

Poco più a nord del cortile dello heb-sed, due grandi costruzioni rettangolari con copertura a volta, situate nell’ angolo nord-orientale della piramide, dominavano la zona orientale del complesso. La loro facciata, rivolta a sud, come quelle delle cappelle occidentali del “cortile della festa sed”, era fiancheggiata da colonnine scanalate (Immagine n. 17).

mmagine n. 17 Il doppio chiosco reale rappresentato nelle scene della festa sed, in questo caso ripresa dal tempio solare di Abu Ghorab, risalente alla V dinastia. (© Friedrich W.F. von Bissing, 1923. Immagine tratta da Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 31)

Molto si è dibattuto e scritto in merito a questi due padiglioni, ma la loro precisa funzione sembra ancora sfuggire ad una precisa collocazione. Siccome nei pressi furono rinvenuti frammenti di alcune stele con incisi i nomi delle principesse Hetefernebty e Inetkaes (Immagine n. 18), Cecil M. Firth ipotizzò che si trattasse della loro tomba.

Immagine n. 18 Una delle stele di confine del cortile meridionale del complesso di Djoser reca il nome di Horo del re di fronte al feticcio di Anubi, oltre ai nomi e ai titoli delle due dame reali Hetefernebty e Inetkaes. I segni in alto menzionano Anubi come “Signore della terra consacrata (la necropoli)”. Chicago, Oriental Institut Museum (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 86).

Ma, dal momento che non vi si rinvenne alcuna traccia di sepoltura, il suo successore Jean-Philippe Lauer accantonò in fretta questa congettura, lasciando il posto ad un’interpretazione di carattere squisitamente simbolico. Basandosi esclusivamente sulle tracce archeologiche rinvenute in situ, l’egittologo si convinse che in quel luogo furono erette due “case”, quella “del Sud” e quella “del nord”, le quali rappresentavano rispettivamente l’Alto e il Basso Egitto. Questo punto di vista fu ampiamente condiviso dalla comunità scientifica, finché le esplorazioni e i rilievi geofisici, svolti durante gli anni 2000, dalla missione lettone diretta da Bruno Deslandes, non rimisero in discussione questa teoria.

Esistono due pozzi molto profondi localizzati a circa venti metri da ciascuna delle due “case”, entrambi esplorati a suo tempo da Jean-Philippe Lauer che aveva raggiunto due locali oblunghi nei quali aveva rinvenuto null’altro che frammenti di vasellame. Ciò gli fece concludere che doveva trattarsi di depositi per le offerte. Tuttavia, le investigazioni più recentisuggeriscono che una lunga galleria, completamente ostruita, potrebbe dipartirsi dal fondo di ciascun pozzo per dirigersi fin sotto la piramide, a nord degli appartamenti attribuiti alle principesse e ai figli del re. Il carattere squisitamente funerario dei complessi che comprendono i padiglioni nord e sud, sarebbe in tal caso avvalorato (Immagine n. 19). Se l’esistenza di queste gallerie sarà confermata, resterà solo da determinare se appartengano effettivamente alle principesse Hetefernebty e Inetkaes oppure ad altri membri dell’entourage reale.

Immagine n. 19 Mappa del reticolo di sotterranei del complesso di Djoser. In tratteggio, le possibili gallerie rilevate dalla missione lettone nel 2007 (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 32)

Il nome del complesso funerario di Djoser“ķbḥw-nṯrw” (“libagione degli dèi”), sembrerebbe suggerire che la sala ipostila con le sue 40 colonne incassate, possa aver contenuto rappresentazioni delle divinità dei nomoi dell’Alto e del Basso Egitto. Comunque, anche se così non fosse, è rimarchevole notare che queste stesse divinità sono raffigurate nei cortili degli heb-sed associati alle cappelle presenti in entrambe le zone del paese.

La tomba di Anedjb (mastaba 3038)*, è stata anche proposta come prototipo della Piramide a Gradoni ed inoltre, è riscontrabile una certa affinità tra la planimetria del tempio funerario di Djoser e il luogo di culto adiacente al lato settentrionale della mastaba 3505 di Saqqara che, secondo alcuni appartenne a Qa’a, l’ultimo sovrano della I Dinastia, ma che il rinvenimento di una grande stele in calcare con relative iscrizioni di nomi e titoli, la farebbero con tutta probabilità attribuire al suo funzionario Merka, gran sacerdote e profeta di Neith.

* vedi, https://laciviltaegizia.org/…/tombe-della-i-e-ii-dinastia/)

Il tempio funerario era addossato al lato settentrionale della piramide. Una piccola costruzione chiusa, contenente una statua a grandezza naturale del re, precedeva l’ingresso sul suo lato orientale. Siamo in presenza del “serdab”; due orifici circolari, praticati nella parete a livello degli occhi della statua, permettevano al defunto di godere delle offerte che gli venivano fornite quotidianamente (Immagine n. 20).

Immagine n. 20 Orifici forati nel muro del serdab permettevano al re di beneficiare delle offerte funerarie quotidiane. (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 31)

Una volta mostratisi agli occhi del sovrano divinizzato, i sacerdoti penetravano nel tempio per poi avviarsi in un corridoio tortuoso che conduceva ai diversi ambienti dell’edificio cultuale: camere per le abluzioni e due cortili centrali affiancati da portici dotati di colonne scanalate. La più occidentale di queste sale ospita attualmente l’accesso agli appartamenti funerari.

Il motivo per cui il programma di edificazione della Piramide a Gradoni sia stato modificato diverse volte è ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi i quali, spesso, non concordano neppure sulle fasi delle modifiche del progetto. Si può ipotizzare, a grandi linee, che inizialmente fu costruita una mastaba a pianta quadrata allineata, approssimativamente, ai punti cardinali e che l’architetto stesse già maturando l’idea di realizzare una costruzione a gradoni, in quanto questa struttura iniziale fu ingrandita sui quattro lati con un’aggiunta un po’ più bassa. Un’ulteriore appendice, di livello ancora inferiore, fu quindi realizzata lungo il lato est, dando il via al successivo stadio costruttivo che portò alla trasformazione della tomba reale in una piramide a quattro gradoni, corredata di un piccolo tempio funerario situato appena più a nord. Fu durante questa fase che sul lato orientale di questo edificio fu realizzato il “serdab” descritto in precedenza. Successivamente, questa prima struttura scalare fu ulteriormente ampliata fino a raggiungere la definitiva forma piramidale a sei gradoni, alta 62,5 metri, rivestita con calcare di Tura e poggiante su una base divenuta di 121×109 metri, a seguito di due ampliamenti a nord e a ovest.

Sotto la piramide si estende una singolare rete di gallerie e di piccole camere che si sviluppa per una lunghezza totale di alcuni chilometri (Zahi Hawass ne calcola lo sviluppo complessivo in 5635 metri). Il complesso è caratterizzato da un pozzo profondo 27 metri contenente al centro una camera sepolcrale in granito (Immagine n. 21).

Immagine n. 21 Il pozzo centrale della Piramide a gradoni, come illustrato in questo spaccato, è concluso in basso dalla camera sepolcrale ed è circondato da un vero e proprio dedalo di gallerie e camere. (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 96-97)

Quest’ultimo ambiente fu costruito in funzione di sarcofago e misura 1,6×2,9 metri. La galleria orientale conserva l’ornamento a piccole mattonelle blu invetriate, a imitazione di stuoie di canne, e tre rilievi in calcare incorniciati da iscrizioni con il nome e i titoli del re (Immagine n. 22).

mmagine n. 22 Nicchia decorata con bassorilievi e mattonelle di faïence turchese, al cui interno si vede Djoser, vestito con gli abiti della festa “sed”, impegnato nella corsa simbolica. Le mattonelle turchesi (il colore della rinascita per gli antichi egizi) erano ottenute fondendo cristalli di quarzo (© Maurizio Damiano, Egitto, vol. 1 pagg. 54-55).

Un enorme massiccio costeggiava l’ala occidentale della cinta muraria. La sua configurazione tripartita era dominata al centro da una lunga sovrastruttura con tetto a volta, la cui forma ricorda molto da vicino quella della “tomba sud”, di cui ci occuperemo più avanti. Al di sotto si estendono diversi chilometri di tunnel sotterranei.

Centinaia di magazzini, disposti a spina e collegati a tre gallerie centrali, si sviluppano da nord a sud, per una lunghezza di oltre 300 metri. Tre pozzi, alle estremità e al centro, collegavano questo sistema all’aria aperta. Poiché la roccia friabile e argillosa minacciava di crollare in molti punti, non è stato possibile portare a termine l’esplorazione di questo immenso labirinto.

Tale tipologia di magazzini è ubicata lungo il lato nord della cinta muraria laddove un’ampia massicciata formava una terrazza rialzata a livello del cammino di ronda. Erano caratterizzati da una serie di muri divisori che ne ripartiva il volume interno e si trattava, probabilmente, di simulacri di granai disposti al di sopra dei magazzini sotterranei. Vi si è rinvenuto, infatti, un ammasso di orzo, mentre nelle gallerie sottostanti sono stati ritrovati pane e frutta. Queste provvigioni vanno sicuramente messe in relazione con il grande altare situato vicino all’asse centrale del terrazzamento.

Una scalinata conduce dal cortile ovest del tempio funerario settentrionale alle fondamenta della piramide e Il particolare orientamento dell’entrata del monumento suggerisce che quest’ultimo sia il risultato di una ben precisa pianificazione: il “ba” del sovrano dimorava perennemente nel cielo settentrionale tra le “stelle che non tramontano mai” (ossia le stelle circumpolari), sicché una siffatta collocazione del tempio funerario, o della cappella che lo sostituiva, permetteva ai sacerdoti di comunicare, durante il compimento delle cerimonie rituali, con l’aspetto vitale dell’anima del sovrano, il “ba”, per l’appunto.

Alcune delle undici fosse sottostanti la piramide furono utilizzate come luoghi di sepoltura per alcuni membri della famiglia reale ed in esse sono stati rinvenuti alcuni sarcofagi di alabastro e il sarcofago ligneo di un fanciullo morto all’apparente età di circa otto anni. Nelle gallerie degli altri pozzi furono immagazzinati oltre 40.000* vasi di pietra al fine di garantire al monarca il costante ed imperituro rifornimento di offerte (Immagini nn. 23-24-25).

Immagine n. 23 Il cosiddetto vaso dello “heb-sed”, realizzato in alabastro e alto 18 cm., fu ritrovato nelle gallerie sotterranee della piramide. Il corpo e l’ansa del reperto mostrano un podio fiancheggiato da due rampe di scale, con il doppio padiglione del giubileo regale (heb-sed, appunto) e due troni. L’insieme è sostenuto dal segno “heh”, che simboleggia i milioni di anni. Museo Egizio del Cairo (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 98)

La maggior parte di questi reperti reca iscrizioni che riportano i nomi di quasi tutti i sovrani della I e II dinastia, in qualche caso anche raggruppati in ordine di successione. Su una ciotola litica proveniente da uno di questi magazzini si legge addirittura il nome di Narmer, segno evidente che Djoser riteneva di estrema importanza circondarsi di oggetti che evocassero la continuità della regalità divina dei sovrani sia nella dimensione terrena che in quella ultramondana. Inoltre, sembrerebbe che il suo intento fosse quello di voler essere il primo a legittimare la propria regalità raccogliendo una simile lista di re nella propria residenza per l’eternità. Curiosamente, sorprende il fatto che in nessuno di questi manufatti sia iscritto il suo nome: le gallerie hanno infatti restituito soltanto un sigillo di argilla recante il nome di Horo del monarca, Netjerikhet.

Immagine n. 24 questo imponente altare di alabastro è uno dei due scoperti da Mariette a nord del tempio funerario di Djoser. È stato datato alla II Dinastia, ma è probabile che entrambi siano stati utilizzati per il suo culto funerario. I due leoni sono un motivo squisitamente egizio. Museo Egizio del Cairo (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 98-99)

Il crollo parziale delle sezioni di muratura a est e a sud della Piramide ne ha rivelato le strutture interne permettendo, in tal modo, di ricostruire la storia del monumento. Il fatto che le varie modifiche al progetto inziale non abbiano mai contemplato demolizioni, ma solo aggiunte successive, ne ha facilitato la comprensione in modo tale che il grande egittologo francese Jean-Philippe Lauer (Parigi, 7/5/1902-Parigi, 15/5/2001) poté, individuarne i vari stadi.

Immagine n. 25 Questi tre vasi risalenti alla III Dinastia, rappresentano tre delle tipologie dei recipienti rinvenuti nella Piramide a Gradoni. Museo Egizio del Cairo. (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag.99)

In primo luogo, fu data alla tomba la forma di una mastaba (stadio M1). I costruttori tracciarono una base quadrata di 63 metri di lato ed innalzarono l’edificio fino ad un’altezza di 8,40 metri utilizzando una muratura in pietra calcarea locale legata con una malta d’argilla, il tutto disposto in corsi orizzontali. Il monumento fu successivamente rivestito con blocchi di calcare fine accuratamente posizionati, per uno spessore di 2,60 metri (Immagine n. 26). Si procedette successivamente alla smussatura dei blocchi di rivestimento in modo da conferire alle facciate esterne un’inclinazione di 8°30′ rispetto alla verticale.

Immagine n. 26 Ripresa della facciata orientale della Piramide a Gradoni nella quale si intravede la muratura della mastaba iniziale (© Missione lettone di Saqqara, in Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 33)

L’innovazione non riguardava, quindi, l’aspetto, ma solo il materiale di costruzione: si abbandonava il tradizionale uso del mattone in favore di quello della pietra. A partire da questo stadio gli operai iniziarono a scavare gallerie e fosse, tra cui un grande pozzo centrale per realizzare la cripta, i suoi annessi e le tombe secondarie. All’esterno, su lato orientale, fu realizzata una serie di pozzi profondi oltre 33 metri, ciascuno dei quali conduceva ad una galleria orizzontale.

La sovrastruttura si poteva dire completata allorché fu apportata la prima modifica.

La prima modifica al progetto iniziale comportò l’aumento della dimensione di base che fu cinta da un involucro dello spessore di 4 metri, sempre disposto in strati orizzontali e costituito da blocchi del medesimo materiale. La superficie dell’edificio fu così portata a 71×71 metri (Stadio M2). Questa prima trasformazione dimostra chiaramente che la realizzazione di una piramide non era ancora stata presa in considerazione. Si decise,poi, per qualche motivo, di ampliare la struttura verso est aggiungendo una muratura di 8,5 metri di spessore (Stadio M3). Degli undici pozzi scavati in questo punto, i sei più a sud (numerati da VI a XI) furono colmati, mentre i primi cinque furono prolungati in modo da poter attraversare la sovrastruttura di M3. Nei pozzi III, IV e V furono rinvenuti basamenti di stele disposti davanti al rivestimento della mastaba, il che costituisce un chiaro indizio che lo scopo fosse quello di officiarvi dei culti regolari e che quindi, fino a quel momento, nulla lasciava presagire l’evoluzione verso ulteriori cambiamenti. Questo ampliamento non era ancora stato completato quando l’architetto cambiò nuovamente idea.

A questo punto, fu adottata una tecnica di costruzione completamente nuova addossando una sezione di muratura contro la facciata della mastaba M3 con fondamenta inclinate, questa volta, di 15°-17° rispetto al piano orizzontale. Questo procedimento, assolutamente innovativo, presentava un duplice vantaggio: in primo luogo, liberava i muratori dall’ onere del taglio obliquo dei blocchi di rivestimento; in secondo luogo, dotava la struttura di un sostegno equivalente a quello di un contrafforte avvolgente. Questa sezione, che è ancora visibile alla base del lato est della piramide, ha uno spessore di 2,90 metri e la base di questo edificio (Stadio P1) ora copriva un’area di 85 metri per 77. Appare molto probabile che, a questo punto, l’intenzione fosse quella di innalzare una piramide a quattro gradoni. Ma, un ulteriore ripensamento avrebbe finito per dare al monumento una dimensione completamente diversa. Si provvide ad ampliare considerevolmente la base dell’edificio, allargandola sia verso nord sia verso ovest, per costruirvi sezioni a corsi inclinati, addossati gli uni contro gli altri, fino a formare un nucleo centrale (Immagine n. 27).

Immagine n. 27 Pianta e sezione della Piramide a gradoni di Djoser, in cui sono molto bene evidenziati i diversi stadi della costruzione del monumento. Dalla mastaba originaria (M1) passando per il successivo ampliamento della stessa (M2 e M3) sino all’evoluzione verso la prima piramide a 4 gradoni (P1) e alla definitiva realizzazione a 6 gradoni (P2). (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 33)

Le nuove strutture non furono posate per accrescimento, ma per stratificazione dal basso verso l’alto; disposte a coppie, finirono per formare una sorta di scala di sei gradoni la cui sagoma è ancora oggi chiaramente distinguibile

Il tutto fu rifinito con un bel rivestimento in calcare fine, di cui rimangono solo alcuni blocchi sparsi; inoltre, l’inclinazione dei corsi addolciva visivamente il profilo dei gradoni di questa gigantesca scalinata.

Al termine dei lavori questa prima piramide presentava una base rettangolare di 109 metri da nord a sud e 121 metri da est a ovest, per innalzarsi fino a oltre 60 metri. (Immagini n. 28).

Immagine n. 28 La Piramide a Gradoni come appare oggi, ripresa da nord-ovest (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 32)

L’ipogeo di Djoser è costituito da due parti distinte: quella dedicata al re, che si estende sotto l’area centrale della piramide, e quella dedicata ai figli e alle principesse della famiglia reale, caratterizzata da undici gallerie situate nella parte più orientale e poste ad un livello inferiore rispetto agli appartamenti funerari del sovrano.

Quando furono gettate le prime fondamenta della mastaba, gli egizi scavarono un enorme pozzo a sezione quadrata di 7 metri per lato, nel quale avevano previsto di allestire la tomba reale. Per permetterne l’accesso, fu scavato un tunnel verso nord che terminava in una trincea a cielo aperto, in cui poter continuare a circolare e poi per essere utilizzata in previsione dei funerali. Siccome Il pozzo raggiunse successivamente una profondità di 28 metri, il tunnel fu notevolmente ampliato fino a raggiungere un’altezza di 15 metri e lo spazio aperto, dopo essere stato in gran parte riempito con muratura a vista, fu trasformato in una china che, attraverso la facciata nord della piramide, sbucava all’interno del tempio funerario (Immagine n. 29).

Immagine n. 29 Ricostruzione in 3D del reticolo di gallerie della Piramide a Gradoni. Gli accessi rappresentati in verde e in rosso-arancio sono quelli risalenti all’epoca saitica. (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 34)

Grazie a dati georeferenziati molto precisi, raccolti di recente dalla missione lettone guidata da Bruno Deslandes, è stato possibile stabilire che la discesa termina sul versante nord dell’ultima fase di costruzione. Questo accesso, ostruito in maniera così perfetta da non essere mai stato precedentemente rilevato, non fu certamente chiuso prima del completamento dei lavori, come si pensava, ma rimase in servizio fino al funerale.

Un altro ingresso (quello che oggi utilizzano i turisti) ha origine nel cortile occidentale del tempio funerario: attraversa un lungo fossato, per poi raggiungere, sotto forma di un corridoio sotterraneo che si biforca e si divide più volte, il pozzo centrale. Ci sono, però, tutte le evidenze per ritenere che questo elemento sia stato realizzato molto dopo la III dinastia, probabilmente nel periodo saitico (circa 664-525 a.C.). Gli egizi di quell’epoca scavarono altrove una vasta galleria con pilastri partendo dal cortile sud, per raggiungere la parte superiore del pozzo, al fine di svuotarlo completamente; una volta raggiunto il sarcofago e gli ingressi dei corridoi adiacenti, studiarono la struttura sotterranea e riposizionarono le gallerie orientali che erano state utilizzate come tombe per i parenti del re.

Quando fu ritrovato dagli archeologi il pozzo centrale si presentava completamente dissotterrato, con una copertura a forma di cupola che lasciava intravedere le cavità interne della mastaba M1 (Immagine n. 30). La particolare disposizione del tipo a volta, faceva sì che i blocchi si sostenessero a vicenda, dando così l’impressione di reggere l’intera massa della piramide; le pietre a rischio di crollo, inoltre, erano puntellate da una possente struttura realizzata con travi in legno di cedro. Quest’ultima aveva già mostrato segni di instabilità allorché, nel 1992, un terremoto finì per danneggiarla seriamente provocando la caduta di travi e pietre della mastaba.

Immagine n. 30 La cripta di Djoser vista dall’alto del pozzo funerario (© Artiom Gizun, immagine tratta da “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte” di Franck Monnier, pag. 35)

Gli studi della missione lettone a Saqqara, incaricata di procedere alla verifica dello stato dei luoghi, hanno messo in evidenza che i poderosi rinforzi in cedro risalivano all’epoca di Djoser (avevano dunque la veneranda età di oltre 4.600 anni!) e che erano già stati sottoposti ad un intervento di consolidamento in epoca romana.

I lavori per la messa in sicurezza sono stati portati a termine di recente ed i turisti possono di nuovo accedere agli appartamenti in tutta tranquillità (Immagine n. 31).

Immagine n. 30 Turisti scattano fotografie nella cripta di Djoser, dopo che i recenti lavori di consolidamento ne hanno permesso la riapertura (© ph. REUTERS/MOHAMED ABD EL GHANY)

La cripta funeraria del re fu collocata sul fondo del pozzo e costituisce un ibrido tra un sarcofago ed una camera funeraria: non corrisponde infatti alle dimensioni classiche dell’uno o dell’altra e nemmeno alle loro rispettive concezioni. È alta 4 metri ed è costituita da quattro assise di grossi blocchi in granito; internamente misura 2,96 metri di lunghezza, 1,65 metri di larghezza, per un’altezza di 1,65 metri. Si ebbe, inoltre, cura di lasciare sul soffitto un’apertura circolare di un metro di diametro per potervi introdurre il feretro del re defunto. Questo orificio fu quindi sigillato con una grossa pietra di granito del peso di 3,5 tonnellate. Tuttavia, ciò non scoraggiò i violatori di tombe che riuscirono nell’intento di svuotare l’intero contenuto della sepoltura, disgregando i blocchi disposti intorno alla chiusura.

Allorché si decise di occultare la mastaba del progetto originario sotto una piramide, si dovette provvedere, prima di tutto, a colmare completamente il pozzo centrale; ma, siccome rimaneva di fondamentale importanza mantenere l’accesso alla cripta, fu realizzata, al di sopra della sua apertura, una camera di manovra che è andata distrutta, ormai, da lungo tempo.

Nelle sue vicinanze, così come pure nei corridoi di accesso, furono rinvenuti frammenti di ossa e di pelle. I primi furono ritrovati da Henrich von Minutoli nel 1821, che dichiarava di aver raccolto parti di una mummia (scomparse, purtroppo, durante un naufragio); altri furono recuperati da Battiscombe Gunn nel 1926 e ancora, poco dopo, da Jean-Philippe Lauer, la cui maggiore scoperta fu un piede sinistro mummificato. Si suppose, allora che tutti questi resti umani appartenessero al corpo di Djoser, finché negli anni Novanta, non furono analizzati con le tecnologie più avanzate disponibili. Ne risultò che tutti i campioni erano databili al I millennio a.C. ad eccezione dello scheletro di una giovane donna, ritrovato in una delle gallerie a pozzo, che poteva quasi sicuramente risalire al regno di Djoser, se non addirittura ad un’epoca leggermente anteriore.

Da ciascuno dei quattro angoli alla base del pozzo si dipartono quattro gallerie che penetrano orizzontalmente nella roccia (Immagine n. 32): quelle situate rispettivamente a nord, sud e ovest si dirigono verso i magazzini disposti a dente di pettine, mentre quella orientale conduce verso ambienti decorati.

Immagine n. 32 In questo particolare della base del pozzo che conduce alla cripta di Djoser sono chiaramente visibili, sulla destra, due degli accessi (credo si tratti di quelli nord ed est) alle quattro gallerie di comunicazione(© Artiom Gizun, immagina tratta da “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte” di Franck Monnier, pag. 35)

Quando si provvide al riempimento del pozzo tutti questi passaggi di comunicazione divennero inutilizzabili, per cui furono sostituiti da cunicoli estemporanei che partivano da nord. Mentre le pareti dei magazzini furono lasciate allo stato grezzo, quelle degli appartamenti situati a est furono parzialmente rifiniti con blocchi di calcare disposti accuratamente: si tratta delle cosiddette “camere blu” dalle quali è stata estratta una cornice incisa e intarsiata con maioliche blu, oggi esposta al museo di Berlino (Immagine n. 33).

Immagine n. 32 Falsa porta incrostata di faïence blu (©Missione lettone di Saqqara, immagina tratta da “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte” di Franck Monnier, pag. 36)

Sono quattro gli ambienti di questo tipo presenti; tutti furono decorati con motivi che imitavano intrecci di canne e ricoperti da numerose piastrelle blu ingegnosamente incastrate e fissate con fili vegetali e tenoni perforati. Sormontati da cornici ad arco, ornati da pilastri Djed, alcuni pannelli inquadrano nicchie con stele. In particolare, la sala più meridionale, presenta alcune stele finemente incise in leggero rilievo che mostrano il re mentre celebra cerimonie o visita i santuari dell’Alto e del Basso Egitto. Queste scene rappresentano chiaramente i riti della festa “sed“che Djoser doveva perpetuare, attraverso gli edifici riprodotti a tale scopo, nella sua tenuta funeraria (vedi immagine n. 22).

La parte orientale della distribuzione sotterranea consiste in una sequenza di undici gallerie (numerate da I a XI) il cui pozzo di accesso fu allestito lungo la facciata orientale della mastaba iniziale. L’ampliamento corrispondente allo stadio M3 dei lavori costrinse i costruttori ad occultare i sei tunnel più a sud (quelli da VI a XI) e a prolungare i cinque più settentrionali (da I a V) attraverso aggiunte di muratura. Tutti i pozzi, infine, furono definitivamente resi inaccessibili allorquando si cominciarono a elevare le assise della piramide. Un’eccezione, tuttavia, è rappresentata della galleria I che fu collegata al cortile esterno per mezzo di una ripida rampa nella quale vennero accuratamente intagliati dei gradini. Questa via di accesso fu, molto probabilmente, opera dei costruttori stessi preoccupati di riservarsi una via di accesso ai pozzi e alle gallerie che erano stati ricoperti dall’edificio.

Le gallerie da I a V sono tutte tombe legate alla cerchia familiare del sovrano e si estendono ognuna verso ovest per una trentina di metri, con una leggera deviazione verso nord a fine percorso per quattro di esse, allo scopo di evitare il pozzo centrale. Rivestimenti in legno ricoprivano un tempo le pareti, ad eccezione della galleria III, più ampia e più alta delle altre, le cui pareti erano rivestite in pietra calcarea squisitamente lavorata e con giunzioni accuratamente rifinite. Hanno restituito numerosi frammenti di sarcofagi d’alabastro tra cui due basamenti nella galleria II e due sarcofagi nella galleria V, uno dei quali ospitò il corpo di un fanciullo della presumibile età di circa 8 anni (Immagine n. 34). Scoperti nel 1933, questi cinque tunnel, in realtà, avevano già ricevuto la visita degli Egizi di epoca saitica e poi, più tardi, quella dei romani che pensarono di collegarli tra loro per mezzo di cunicoli.

Intravedendo dei vasi di pietra attraverso la roccia friabile, verso la parte terminale della galleria V, Jean-Philippe Lauer comprese che doveva esistere a sud una rete di gallerie parallele a questa: si aprì dunque un passaggio e, una dopo l’altra, ne scoprì sei praticamente identiche a quelle descritte.

Nessuna di queste fu mai destinata ad ospitare sepolture, ma furono utilizzate come depositi, nei quali furono accumulati circa 40.000 vasi di pietra di ogni tipo, tutti risalenti alle prime due dinastie e di cui si è già parlato nella parte sesta di questo argomento.

All’estremità meridionale del recinto si trova una sepoltura sussidiaria: si tratta della cosiddetta “tomba sud” (Immagine n. 34) che alcuni considerano come il prototipo delle piramidi di culto edificate accanto a quelle reali a partire dalla IV dinastia e per tutto l’arco temporale che va dall’ Antico al Medio Regno.

Immagine n. 34 La “tomba sud” del complesso di Djoser vista dal cortile. (©Franck Monnier, “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pag. 37)

La costruzione possiede una sua propria cappella, ubicata a nord della struttura, le cui facciate sono decorate con leggere rientranze e sormontate da un superbo fregio costituito da cobra uraei per proteggerne la sommità o, come sostiene Robert K. Ritner, per illuminarla in quanto pensata per “rifulgere nell’oscurità”; simboleggiano, in pratica, la nuova vita in quanto manifestazioni dell’occhio risplendente del di sole “Írt-Rˤ” (Immagini n. 35-36).

Immagine n. 35 La cappella funeraria della tomba sud presenta un muro modanato decorato sulla sommità con un fregio di cobra in atteggiamento di attacco. Tali raffigurazioni simboleggiavano la speranza in una nuova vita (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 100)

La camera sepolcrale in granito della tomba sud fu realizzata, analogamente a quella presente al di sotto della Piramide a Gradoni, sul fondo di un pozzo che misura 7×7 metri e profondo 28 metri; è però molto più piccola della sua controparte (1,60×1,60 metri), risultando, pertanto, inadatta ad accogliere un adulto.

Una particolare importanza rivestono i vani ipogei della tomba decorati con mattonelle in faïence blu, corrispondenti a quelle dell’appartamento reale. La distribuzione sotterranea della tomba presenta numerose somiglianze con quella della Piramide a Gradoni, in particolare la discesa, il grande pozzo funerario, la struttura della cripta e gli appartamenti sotterranei, la cui pianta è del tutto simile anche se le dimensioni sono molto più ridotte. Il suo accesso discendente, che ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione e nel trasporto dei pesanti blocchi di granito, ma soprattutto nel garantire la comunicazione nei giorni del funerale, fu liberato solo nel XX secolo.

Immagine n. 36 In primo piano, il fregio costituito da urei e sullo sfondo la Piramide a Gradoni (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 100-101)

Il grande pozzo, che come già detto in precedenza, ha le stesse dimensioni del pozzo centrale della Piramide, presenta sul fondo una cripta alta 3,20 metri, costituita da quattro assise di blocchi in granito. Un orificio di forma cilindrica che attraversava il soffitto permise, all’epoca, l’introduzione degli elementi funerari e, così come avvenne nella Piramide, anch’esso fu sigillato con un elemento circolare di granito; ciononostante, i ladri dell’antichità si erano già fatti strada per saccheggiare la tomba scavando un cunicolo verticale nel pozzo.

Anche per la tomba sud fu realizzata una camera di manovra al di sotto dell’apertura per poterne assicurare la chiusura dopo lo svolgimento dei funerali. Una via di comunicazione prosegue in pendenza e diritta verso est per arrivare agli appartamenti veri e propri dove, esattamente come nella sua controparte settentrionale, troviamo le stanze e i corridoi riccamente decorati da pannelli intarsiati di maiolica blu (cui si faceva cenno poco sopra), con arcate sostenute da pilastri Djed o che circondano stipiti incisi con i protocolli dello Horus Netjerikhet (Djoser). Sono ugualmente presenti delle stele false-porte che mostrano il sovrano intento a compiere riti che riprendono i temi rappresentati sotto la Piramide a Gradoni e, per di più, è evidente che questi ambienti, contrariamente a quelli della tomba principale, furono portati a termine. Le iscrizioni ritrovate all’ interno, inoltre, permettono di attribuirne l’appartenenza a Djoser, non essendovi inciso altro nome oltre al suo.

Si è molto dibattuto sulle ragioni dell’esistenza di questa tomba.

Herbert Ricke suggerisce che fosse destinata all’inumazione del “ka” e la assimila a quelle piccole piramidi satellite situate nell’angolo sud-orientale delle piramidi della V e VI dinastia per le quali, però, non c’è ancora alcuna prova che abbiano svolto una tale funzione. Jean Philippe Lauer, invece, in ragione delle sue dimensioni, ipotizzò che si trattasse di una cripta per i vasi canopi, oppure di un cenotafio, secondo un punto di vista che, all’epoca, tendeva ad attribuire le tombe thinite di Saqqara ed Abydos ai medesimi sovrani e che le prove archeologiche e i numerosi studi successivi, hanno definitivamente smentito.

*a tal proposito si veda lo splendido post di Luisa Bovitutti al seguente link: https://laciviltaegizia.org/2024/08/05/la-tomba-a-sud/

È stata avanzata più volte l’ipotesi che la recinzione a nicchie del complesso di Djoser non fosse altro che una imitazione delle mura di Menfituttavia neppure si può escludere che riproducesse il muro di cinta di un palazzo del Basso Egitto del Periodo Arcaico dal momento che i blocchi di pietra con cui è stata edificata presentano lo stesso formato dei mattoni crudi utilizzati in passato. (Immagini n. 37-38).

Immagine n. 37 Il muro di recinzione modanato e l’ingresso del complesso di Djoser probabilmente imitano la facciata di un palazzo in mattoni crudi del Basso Egitto (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 104-105).

Per contro, è molto più difficile spiegare perché il muro di recinzione sia dotato di 14 porte fittizie a fronte di un unico ingresso effettivo. Una possibile ipotesi potrebbe essere ricondotta al fatto che il dio Ra, con il quale il sovrano si identificava nell’Aldilà, lo si riteneva titolare di 14 “ka”, tanti quanti erano i luoghi sacri “iat” (nicchie destinate ai personaggi sacri o benedetti nella vita futura) del Mondo Ultraterreno. In tal caso anche il re avrebbe avuto i suoi 14“ka”, ognuno dei quali bisognevole di una falsa porta. Un’altra ammissibile spiegazione potrebbe trovare riscontro nel mito di Osiride, il cui cadavere fu tagliato dal fratello Seth in 14 parti che furono disperse e poi sepolte in altrettante località disseminate per tutto l’Egitto. Ad ogni modo resta il fatto che il numero sette (così come pure i suoi multipli) fu sempre considerato un numero sacro: Ra, per esempio, oltre ai 14 “ka”, possedeva anche 7 “ba”.

Immagine n. 38 In questa ampia veduta panoramica, ripresa da sud-est, la Piramide a Gradoni compare insieme a tutti gli altri elementi del complesso di Djoser Egitto (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 102-103).

La sala rettangolare a otto colonne incassate che segna l’estremità del colonnato di ingresso (Immagine n. 39) sarebbe connessa, secondo Ali Radwan, con la pratica di distinguere gli ospiti della festa “heb-sed” in categorie basate sullo “status” dove il re vivente e le persone più importanti accedevano dall’ingresso centrale, le altre da quelli ubicati a destra o a sinistra. Siccome l’egittologo tedesco Eberhard Otto (Dresda, 1913 – Heidelberg, 1974) considerava la celebrazione di questo festival come una cerimonia di tradizione puramente menfita, ne concluse che all’interno del complesso di Djoser l’influenza cultuale del Basso Egitto fosse assolutamente predominante. Del resto, l’incoronazione a Menfi rivestì un carattere di straordinaria importanza per tutta la lunga storia egizia, addirittura sino all’epoca di Alessandro Magno.

Immagine n. 39 Il colonnato di ingresso termina in un atrio ipostilo a otto colonne, per consentire agli spettatori della festa “heb-sed” di usare passaggi diversi a seconda della condizione sociale (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 104).

Il cosiddetto tempio “T” è una costruzione molto particolare che può essere considerata alla stregua di un piccolo palazzo oppure di una sacrestia in cui il re avrebbe avuto la possibilità di cambiare le insegne (in particolare la corona bianca e quella rossa) durante la festa, oppure come un “Palazzo per la statua del re”.

Una piccola cappella situata all’estremità nord-occidentale del cortile per lo “heb-sed” contiene un basamento con quattro paia di piedi che sono ciò che resta di statue ormai perdute e sulla cui identificazione sono state avanzate svariate ipotesi. Quella più condivisa dagli studiosi sostiene che rappresentassero Djoser e la regina madre Nymaathep accanto a due dame: la regina Hetephernebtye la principessa Inetkaes. L’egittologo tedesco Rainer Sadelmann ipotizzò che i soggetti fossero il sovrano, AnubiHetephernebty e Inetkaes, mentre Jean-Philippe Lauer riteneva che Djoser fosse ritratto due volte (una con la corona rossa e l’altra con quella bianca) ed al suo fianco ci fossero Hetephernebty e Inetkaes. Ali Radwan propende, infine, per una statua del re raffigurato con la doppia corona, affiancato dalla dea Hathor e da Hetephernebty e Inetkaes.

Immagine n. 40 In questa veduta del cortile heb-sed appaiono tutti gli elementi: la piattaforma meridionale e i resti delle cappelle sud (muro occidentale) e di quelle nord (muro orientale), il padiglione reale. Il cosiddetto tempio “T” è l’edifico ubicato presso l’angolo sud-occidentale del cortile (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 106-107).

La rappresentazione antropomorfa degli dèi risale all’alba della storia egizia ed anche nel caso di Djoser alcuni frammenti provenienti dalla cappella reale di Heliopolis mostrano il dio Geb raffigurato in forma umana. Inoltre, Hathor, considerata simbolicamente come sua madre e moglie, assumeva un ruolo preminente durante le cerimonie del giubileo.

Il piccolo tempio (o cappella) posto presso l’angolo nord-occidentale del cortile dello “heb-sed”, fu visto da Ricke come un sacrario per il dio Khentiamentu (il “Primo degli Occidentali”), mentre Lauer vi ravvisava una cappella del re e delle due dame regali. È tuttavia proponibile anche l’ipotesi che servisse per il culto del sovrano defunto nella sua funzione di guida per i sudditi dell’Aldilà (Immagini n. 39-40-41).

Immagine n. 41 Qui sono illustrate in dettaglio (in alto) e in veduta panoramica (in basso) le ricostruite cappelle sud. Sorgono lungo il muro occidentale del cortile dello “heb-sed” che contiene la piattaforma sulla quale Djoser si assise in trono in occasione dell’incoronazione come re dell’Alto e del Basso Egitto(© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 107).

I due padiglioni del nord e del sud rappresentano, secondo l’egittologo inglese I.E.S Edwards (1909-1996), i due santuari nazionali dell’Alto (Hierakonpolis) e del Basso (Buto) Egitto. L’altare a forma di zoccolo, ritrovato nel cortile dell’edificio meridionale, lascia supporre che entrambe le costruzioni fossero destinate alla celebrazione di riti cerimoniali. Ali Radwan, invece, preferisce considerarli come tombe simboliche dei sovrani predinastici dell’Egitto meridionale i “Baw” di Neken) e di quelli dell’Egitto settentrionale i “Baw” di Buto), ossia dei mitici antenati di tutti i re egizi. L’origine del fregio kheker che adorna le facciate dei due padiglioni (Immagini n. 42-43-44) la si può far risalire al regno di Aha ed in particolare ad una piccola placca in avorio rinvenuta a Naqada in cui viene raffigurato sopra una costruzione occupata da tre funzionari stanti.

Immagine n. 42 Veduta d’insieme in cui si può osservare il padiglione nord (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 108-109).
Immagine n. 43 Veduta frontale del padiglione nord che mostra la relativa facciata e l’entrata del breve corridoio curvo (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 109).
Immagine n. 44 Relativamente ben conservata, la facciata del padiglione sud presenta alcune parti di colonne scanalate e il cosiddetto fregio kheker che sovrasta l’entrata (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 109).

Il serdab (Immagine n. 45) è dotato di un proprio cortile e non fu realizzato all’interno del vicino tempio funerario; pertanto, è molto probabile che la statua di Djoser, contenuta al suo interno, fungesse da sostituto del re defunto per mettere in evidenza la sua natura divina anche come monarca dell’Aldilà: si tratterebbe, in questo caso, di una delle prime attestazioni di divinizzazione di un re egizio.

Immagine n. 45 La cappella del “serdab” sorge poco a est del tempio funerario di Djoser. Nel cortiletto prospiciente si officiavano cerimonie di fronte alla statua del re divinizzato (© Ali Radwan, “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 108).

Nell’ambito del complesso della Piramide a Gradoni, Djoser era, senza alcun dubbio, equiparato al rango del dio sole, come attesta il “nome d’ oro” (Rˁ-nwb) iscritto alla base del simulacro; ciò indica esplicitamente che la statua ricopriva la funzione di sostituto e rappresentante del sovrano.

Nel muro di cinta settentrionale sorge una cappella isolata posta di fronte alla Piramide, che contiene un altare intagliato nella roccia. Un tempo si riteneva che questo edificio fosse un tempio solare oppure un podio dotato di un baldacchino e due troni utilizzato dal re per la celebrazione di riti cerimoniali. Oggi, invece, si è propensi a supporre che fosse utilizzato solo per la raccolta di offerte e che fosse collegato con la parte settentrionale della recinzione.

In tutto il complesso di Djoser è ancor oggi possibile ammirare gli straordinari esiti della maestria di Imhotep, le cui vette più elevate consistettero nella creazione di una nuova architettura in pietra che imitava fedelmente i precedenti materiali da costruzione (mattoni crudi, legno, canne, stuoie ecc.).

Anche se nel complesso monumentale mancano colonne indipendenti, quelle incassate, fascicolate o scanalate e, ancor di più, le semicolonne papiriformi, costituiscono i primi esempi del genere espressi dall’architettura egizia. Tutto ciò finì per diventare un modello per le generazioni a venire non solo per l’uso della pietra come unico materiale da costruzione, ma anche, e soprattutto, per la perfezione raggiunta con la nuova tecnica, nonostante l’utilizzo di schemi del tutto tradizionali. Per citare un esempio, basti pensare che i rilievi della tomba sud furono fedelmente riprodotti in epoca saitica (ben duemila anni dopo!).

I lavori nel sito, iniziati da Cecil Mallaby Firth (1878-1931) e James Edward Quibell (1867-1935), furono proseguiti e in larga misura completati da Jean Philippe Lauer (1902-2001). Per anni questo appassionato egittologo francese si è dedicato all’esaltante ed impegnativo compito del restauro dei diversi elementi architettonici ritrovati sparsi all’intorno del sito, oltre che alla loro collocazione nella posizione originaria: gli esiti sono stati eccellenti ed il suo progetto di ricostruzione si è rivelato essere il più ambizioso e, con tutta probabilità, il meglio riuscito nella storia dei lavori sul campo in Egitto. Verrebbe quasi da pensare che Djoser, sia stato molto fortunato ad avere due architetti totalmente dediti a lui: Imhotep durante il corso della sua vita e Lauer a distanza di oltre 4500 anni.

Fonti:

  • Ali Radwan ne “ I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg.86÷110
  • Franck Monnier ne “L’Univers Fascinant des Pyramides d’ Égypte”, pagg. 26-43
EVOLUZIONE DELL'ARCHITETTURA FUNERARIA, Luce tra le ombre

I RECINTI FUNERARI REALI DI ABYDOS E HIERAKONPOLIS

Le tombe reali della I e II dinastia a Umm-el Qaab, nei pressi di Abydos, furono scavate interamente da Petrie tra il 1900 e il 1902 e la loro enorme rilevanza apparve chiara sin dal primo momento. A partire dalla fine del secolo scorso, gli scavi di Günter Dreyer, hanno aggiunto nuove conoscenze e consentito la localizzazione di tombe di sovrani persino più antiche. Tuttavia i recinti reali di Abydos, situati a circa un chilometro e mezzo a nord della necropoli, presentano degli aspetti ancora dibattuti dagli archeologi.

Dal 1982 queste strutture sono state analizzate con attenzione sempre crescente e soggette a nuovi scavi ed indagini sotto l’egida del Pennsylvania Yale-Institute of Fine Arts, della Abydos Expedition condotta dalla New York University, diretta da W.K. Simpson e David O’Connor, e dall’ Abydos Early Dinastic Project diretto da David O’ Connor e Matthew Adams. Il secondo team, in particolare ha focalizzato il suo impegno nella localizzazione e nello scavo definitivo di tutte le rovine ancora inesplorate ricorrendo anche all’uso di esami magnetici.

Immagine n. 1 Nell’angolo meridionale di Shunet el-Zebib è parzialmente visibile il muro perimetrale. I danni subiti dalla struttura sono evidenti, ma è in atto un programma di conservazione (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 78-79).

I recinti di Abydos sono strutture costruite per i sovrani della I e II dinastia sepolti a Umm el-Qaab. Definiti talvolta dagli studiosi, come “Talbezirke” ( vale a dire “luoghi della valle” oppure “palazzi funerari”) mostrano di essere stati elementi di importanza pari alle tombe stesse e possono essere ragionevolmente considerati come i diretti antenati dei successivi complessi piramidali. Uno di questi recinti, il più tardo, costruito per il re Khasekhemwy (Immagini 1-2-3) alla fine della II Dinastia si presenta ancora come un’ imponente struttura ed è chiamato localmente “Shunet el-Zebib”. In alcuni punti il muro in mattoni crudi si avvicina all’altezza originaria che, probabilmente raggiungeva gli 11 metri, e circoscrive un’ area di circa un ettaro. Tutte le altre strutture, raggruppate nelle vicinanze, anch’esse realizzate in mattoni, sono gravemente danneggiate e spoglie sicché possono essere studiate e rivelate solo attraverso gli scavi.

Immagine n. 2 La modanatura della facciata nord-orientale della recinzione di Khasekhemwuy (Shunet el-Zebib) è ancora in buono stato di conservazione (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 78-79).

Il recinto di Khasekhemwy è il più grande monumento del Periodo Protodinastico ad essersi conservato ancora eretto (un’altra sua cinta muraria la ritroviamo a Hierakonpolis, ma misura circa la metà) e fu esplorato per la prima volta su mandato di Auguste Mariette negli anni 60 del 1800, ma non si riuscì a determinarne né la datazione, né la funzione. Nel 1903, l’archeologo inglese E.R. Ayrton lo attribuì a Khasekhemwy e poco lontano localizzò una recinzione di Peribsen, il suo predecessore. Suggerì, inoltre, che un terzo recinto, nei pressi di un villaggio copto ancora oggi esistente, risalisse all’ Epoca Protodinastica. Gli studi condotti su quanto ne rimane, però, fanno propendere per una datazione più tarda.

Immagine n. 3 Una diversa inquadratura del recinto di Khasekhemwy ripresa da Sylvie Favre Brian (©Franck Monnier “L’Univers Fascinant des Piramides d’Égypte”, pag. 24)

Tra il 1911 ed il 1914 l’ egittologo inglese Thomas Eric Peet rinvenne le tracce di un altro recinto associato a sepolture sussidiarie molto simili a quelle che circondavano le tombe reali della I dinastia a Umm el-Qaab.

Nel 1922 Petrie confermò che si trattava di una cerchia di mura associata alla regina madre Merneith e rinvenne a nord-ovest di questa due immensi rettangoli concavi contenenti tumulazioni accessorie risalenti ai re Djer e Djet. Inoltre, a sud-ovest del recinto di Merneith trovò un’ altra probabile recinzione che prudenzialmente chiamò “Mastaba occidentale”.

Fino al 1986 sul sito non furono eseguite altre esplorazioni, ma nel 1966 Barry Kemp aveva suggerito che la “Mastaba occidentale” fosse effettivamente un recinto e che non si poteva escludere l’esistenza di ulteriori mura in mattoni all’interno dei rettangoli sepolcrali di Djer e Djet. Fondamentalmente d’accordo con lui, Werner Kaiser, nel 1969, propose che gli eventuali recinti potessero essere stati eretti in legno e stuoie anziché in mattoni. Entrambi gli studiosi, cui si associò anche Günter Dreyer, erano comunque concordi sul fatto che le recinzioni dimostrassero che le tombe reali di Umm el-Qaab erano inumazioni e non cenotafi come qualcuno ancor oggi sostiene. In seguito, l’attività dell’ Abydos Early Dinastic Project ha permesso di ampliare considerevolmente le nostre conoscenze sui recinti di Abydos. E’ stato, infatti, localizzato il settore nord-ovest (caratterizzato dalla presenza di una porta monumentale) del recinto di Peribsen, del tutto ignorato dai primi scavatori; acquisita la conferma dell’esistenza della cinta in mattoni di Djer econseguentemente, dell’altra appartenuta a Djet. Inoltre, è stato definitivamente accertato che la “Mastaba occidentale” è a tutti gli effetti una recinzione muraria.

Immagine n. 4 Mappa del sito nel primo periodo dinastico (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 80).

Nel 2001 ha preso il via l’indagine magnetica dell’intera area che ha rapidamente condotto all’emozionante scoperta di ulteriori due recinti. Appare quindi chiaro che per ogni tomba reale di Umm el-Qaab fu realizzata una cinta lontana, nell’area che oggi viene indicata come “Necropoli Nord”. Questa localizzazione pone tali edifici decisamente più vicini all’antica città, al margine della piana fluviale, rispetto alle tombe vere e proprie realizzate nell’area desertica (Immagini 4-5-6).

Immagine n. 5 Localizzazione dei recinti del primo periodo dinastico (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 81).

A Hierakonpolis, il recinto di Khasekhem (il primo nome di Khasekhemwy), esplorato solo sporadicamente in passato, è stato oggetto di studio sistematico da parte di Renée Friedman. Diversamente da quelli rettangolari di Abydos, presenta una pianta quadrata ed occupa un’area di circa 0,49 ettari; in alcuni punti conserva ancora un’altezza di 11 metri. Qualunque fosse il suo scopo è improbabile che contenesse una tomba del sovrano a Hierakonpolis, della quale non è mai stata ritrovata traccia.

Immagine n. 6 I muri e l’interno del recinto di Aha, qui ripreso da nord-ovest,furono scavati in misura consistente già nell’antichità. La cappella interna è visibile in lontananza. Sullo sfondo si distingue Shunet el-Zebib, mentre a destra si osserva il muro di un cimitero cristiano moderno, sovrapposto all’angolo occidentale della struttura di Aha (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 81).

I re della II dinastia precedenti a Peribsen, furono inumati a Saqqara e non ad Abydos e si suppone che le loro tombe fossero completate da recinti separati dei quali, tuttavia, non è stato possibile datarne con certezza i ruderi che potrebbero anche appartenere ai complessi piramidali edificati dopo quello di Djoser.

Le vestigia del recinto di Khasekhemwy ad Abydos sono sorprendenti, ma essendo antiche di oltre 4600 anni, cominciano a mostrare segni di instabilità e minacciano di crollare.

Immagine n. 7 Il recinto di Khasekhemwy a Hierakonpolis (© http://www.hierakonpolis-online.org/inde…/explore-the-fort).

Grazie alla concessione della United States Agency for International Development Fund, tramite l’Egyptian Antiquieties Project dell’ American Research Center in Egitto, sono state messe in atto le iniziative intese a documentare, stabilizzare e conservare questo grande monumento.

Nel 1991, inaspettatamente, si rinvennero dodici enormi fosse per barche (altre due furono localizzate nel 2000), disposte in fila all’esterno del versante nord-orientale della tomba di Khasekhemwuy (Immagini n. 8-9).

Immagine n. 8 In primo piano si possono osservare i resti di alcune fosse per barca situate a nord-est di Shunet el-Zebib, visibile sullo sfondo (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 82-83).

Databili alla I dinastia, questi elementi costituiscono un ulteriore importante collegamento tra Abydos, i monumenti reali protodinastici e i ben più tardi complessi piramidali. Anche questi ultimi, infatti, sono talvolta contraddistinti dalla presenza di “tombe” per barche oppure di cavità che ne richiamano la forma. Ad Abydos, ora lo si può asserire con certezza, queste installazioni sono del tutto simili, se non completamente identiche, nella configurazione e nel contenuto; inoltre, una vera barca di legno, lunga circa 23 metri era mantenuta in assetto da una trincea scavata poco al di sotto della superficie del deserto.

Immagine n. 9 In questa mappa sono illustrate le quattordici fosse per barca che furono dedicate all’anonimo proprietario del recinto della “Mastaba Occidentale” (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 82).

Le imbarcazioni, accuratamente inserite in una muratura di mattoni crudi, sporgevano di circa 50 centimetri rispetto al livello del suolo. Raggiunta poi la sommità del natante, la cavità che ne derivò fu colmata anch’essa con mattoni e all’estremità fu aggiunta una muratura a contrafforte. Di conseguenza la fossa, estesa longitudinalmente per 26,3 metri, finì per risultare notevolmente più lunga del natante stesso. Tutta la parte superiore veniva poi intonacata e imbiancata. L’aspetto finale delle sovrastrutture ricalcava il profilo della barca che ospitavano, mentre il contrafforte ne rappresentava la “prua” o la “poppa”.

La fila di quattordici fosse doveva quindi apparire, nel suo insieme, come una flotta ormeggiata nel deserto; impressione ulteriormente rafforzata dalla presenza di un piccolo masso posto su alcune di esse come ad indicare un dispositivo di ancoraggio o di ormeggio (Immagine n. 10).

Immagine n. 10 Due fosse rivelano la prua o la poppa delle imbarcazioni inumate. Degno di nota è il piccolo masso sulla sagoma a sinistra. Probabilmente era un’ancora oppure una pietra di attracco (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 83).

Fosse simili sono presenti anche in associazione con le tombe d’élite della I dinastia a Saqqara e a Helwan, ma in numero di solo una per sepolcro e di solito più piccole e meno elaborate di quelle di Abydos. Queste inumazioni navali, risalgono alla stessa epoca del recinto della Mastaba Occidentale, il cui proprietario regale rimane ancora oscuro ed in ogni caso risultano essere più antiche del recinto di Khasekhemwuy, che fu eretto 200 anni dopo, se non di più.

Nel 2000 è stata riportata alla luce parte di un imbarcazione al fine di poter analizzare i problemi relativi allo scavo e alla conservazione e per cominciare ad indagare sulla struttura stessa delle barche. Il segmento rinvenuto ha rivelato che gran parte del fasciame si trova in situ, ma si presenta estremamente fragile, mentre il resto è stato degradato dagli insetti xilofagi (Immagine n. 11). Tuttavia, l’esperta consulente Cherl Ward, poté facilmente stabilire che le tavole erano assemblate tra loro per mezzo di funi intrecciate che passavano attraverso occhielli ricavati nel legno.

Immagine n. 11 Primo piano della fossa per barca n. 10 parzialmente scavata: parte del fasciame è ancora intatta anche se i pozzi intrusivi lo hanno distrutto su entrambi i lati (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 83).

Le imbarcazioni non sono provviste né di ponte né di castello, ma la ricercatrice è convinta che fossero funzionali e non semplicemente dei giganteschi modelli: dotate di scafi bassi e affusolati, un equipaggio composto da una trentina di rematori sarebbe stato in grado di farle navigare velocemente.

Le barche di Abydos costituiscono un elemento di enorme importanza per gli archeologi in quanto hanno abbondantemente raddoppiato il numero di vascelli in legno rinvenuti in Egitto e sono inoltre, le più antiche imbarcazioni al mondo, finora scoperte (Immagine n. 12) .

Immagine n. 12 Pianta di una tipica imbarcazione non scavata. Sebbene frammentario, a causa di distruzioni successive, lo scavo manitene la forma di imbarcazione. All’interno è visibile (linee più scure) il profilo dello scafo di legno.

Nonostante l’incompletezza delle testimonianze disponibili, appare chiaro che i recinti di Abydos avessero una funzione preminentemente funeraria e che, per quanto riguarda il loro aspetto, mutarono relativamente poco nel corso degli oltre 300 anni in cui si svolse il Periodo Protodinastico.

Le connessioni con le contemporanee tombe di Umm el-Qaab e con le sepolture supplementari associate entrambe alla I dinastia, indicano chiaramente il loro utilizzo in questo ambito. Sia i cortigiani e i servitori sacrificati, sia le barche sepolte rientrano in quella tipica concezione riconducibile all’idea di un proseguimento delle mansioni da svolgere in favore del sovrano tanto nel contesto della tomba stessa, quanto nell’ambito del recinto.

Le tombe di Umm el-Qaab databili alla I e alla II dinastia si differenziano per la loro planimetria, ma molto probabilmente, tutte erano ricoperte da una sovrastruttura costituita da un tumulo di sabbia e ghiaia, racchiuso da mura di contenimento in mattoni o pietra (come nel caso di Khasekhemwuy) e affiancato a sud-est da una cappella. In pratica, allorquando si dava avvio alla realizzazione di una tomba, iniziava anche la costruzione di un recinto nella Necropoli Nord.

Alcuni sepolcri, forse addirittura tutti, venivano dotati di una cappella utilizzata per il culto del defunto.

Con il passare del tempo, i recinti si diffusero su un’ampia area (estesa all’incirca per 10 ettari) non occupata da altre tombe se non da quelle supplementari che venivano disposte ordinatamente attorno ad alcune (o forse tutte) recinzioni della I dinastia. Queste seguono invariabilmente lo stesso modello, anche se si notano cambiamenti nei dettagli architettonici che sembrano indicare, più che altro, trasformazioni nella pratica dei rituali; le dimensioni possono differire, ma resta comunque del tutto simile la loro planimetria. Il recinto di dimensioni minori è quello di Aha, scoperto nel 2001 ed esteso su una superficie di 0,07 ettari, quello di Merneith e la “Mastaba Occidentale” occupano mediamente circa 0,18 ettari, quelli di Djer Peribsen 0,55 ettari, mentre la cinta di Khasekhemwuy, la più grande, ricopriva un’area di 1,07 ettari. Tutti si presentano sostanzialmente omogenei nella loro forma rettangolare e seguono l’orientamento da nord-ovest a sud-est; inoltre in tutte le facciate esterne si aprono delle nicchie che ricalcano uno schema virtualmente identico, costituito da semplici incavi su tre facciate ed uno più articolato e complesso a nord-est o, in qualche caso ad est. Ciascun recinto disponeva di un accesso presso gli angoli nord ed est ed alcuni erano dotati di ingressi aggiuntivi. Le pareti erano sempre intonacate con fango, tranne quelle dell’edificio di Khasekhemwuy che presentano un ulteriore rivestimento di intonaco biancoE’ stata, inoltre, accertata la presenza di una cappella nei recinti di Aha, DjerPeribsen Khasekhemwuy ubicata invariabilmente nella metà sud-orientale della cinta.

L’accesso ad est, relativamente più elaborato, era dotato di una sala interna che permetteva l’ingresso al recinto: veniva lasciata sempre aperta ed era situata abbastanza vicino alla cappella. Durante la I dinastia, questo elemento doveva essere considerato molto importante: lo dimostra il fatto che, mentre le tombe sussidiarie erano collocate ad una certa distanza, quelle più grandi, e presumibilmente di maggior prestigio, erano raggruppate nelle sue immediate vicinanze.

Alcuni particolari sembrano indicare che le variazioni occorse nel rituale con il passare del tempo, abbiano determinato cambiamenti nelle forme architettoniche. Durante la I dinastia, infatti, l’accesso nell’angolo settentrionale si caratterizzava per una pianta molto semplice e veniva sigillato poco dopo il completamento del recinto in modo da prendere l’aspetto di una nicchia molto profonda orientata verso l’esterno. Fu utilizzato solo per un breve periodo ed era probabilmente correlato ai rituali che si svolgevano nella metà nord-occidentale della cinta. Nei recinti della tarda II dinastia, invece, l’ingresso nord divenne più elaborato: era profondamente incassato, dotato di una sala interna e, apparentemente, non veniva sigillato. Tutto ciò suggerisce che il passaggio settentrionale avesse acquisito una maggiore rilevanza e, probabilmente, fu utilizzato per ripetuti ingressi rituali.

Per gran parte del Periodo Protodinastico, la cappella ubicata presso l’ingresso orientale fu di modeste dimensioni e relativamente semplice. I tempietti dei recinti di Aha Peribsen erano dotati di solo tre camere con pianta quasi del tutto identica e, come quello, Djer avevano una dimensione di 86,5 metri quadrati. La cappella di Khasekhemwuy era, invece, decisamente più grande, misurando ben 290,7 metri quadrati, e conteneva undici o più sale, il che lascia supporre che al suo interno vi si svolgevano cerimoniali molto più sofisticati rispetto a quelli praticati nelle cappelle precedenti. Quello che doveva accomunare questi tempietti è la natura dei riti incentrati, plausibilmente, su un’immagine del sovrano defunto.

Il recinto di Khasekhemwuy, caso unico per Abydos, era circondato da un muro perimetrale più basso rispetto a quello principale, dando così origine ad un corridoio scoperto tutto intorno al monumento, utilizzato ragionevolmente anch’esso per i rituali (Immagine n. 13) .

Immagine n. 13 Particolare del muro sud-occidentale e perimetrale di Shunet el-Zebib (©I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Connor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 80-81).

Un elemento sorprendente, emerso dalle indagini, è costituito dal fatto che si sono trovate prove che tutti i recinti di Abydos venivano abbattuti. E’ probabile che questa demolizione fosse l’atto finale del rito funebre celebrato per il sovrano (oppure conseguenza dell’ inizio della costruzione della cinta per il re successivo) e che rappresentasse una sorta di “sepoltura” simbolica al fine di assicurare che sia il recinto sia la relativa cappella, esattamente come i servitori e le barche, restassero completamente ed eternamente disponibili per il possessore defunto.

La cinta di Khasekhemwuy fu, invece, lasciata intatta forse perché molto più imponente delle altre, il che bastava a garantirne l’ imperitura fruizione (Immagine n. 14).

Immagine n. 14: Una suggestiva immagine dello Shunet el-Zebib il recinto della Seconda Dinastia del re Khasekhemwy (circa 2700 a.C.) guardando verso nord al tramonto, 1988. Foto di David O’Connor © North Abydos Expedition (ex Penn-Yale-IFA), per gentile concessione del Penn Museum.

L’altro recinto di Khasekhemwuy, eretto a Hierakonpolis, presenta notevoli diversità: simile per quanto riguarda il muro perimetrale, ha una pianta quadrata e non rettangolare, è dotato di una cappella posta in posizione centrale anziché verso l’estremità meridionale e, inoltre, possiede solo un accesso invece di due. Infine, le iscrizioni presenti dimostrano che ospitava un culto dedicato al re, ma non esplicitamente funerario (Immagine n. 15).

Immagine n. 15: Il recinto di Khasekhemwy, noto anche come forte di Hierakonpolis (Courtesy of the Hierakonpolis Expedition © Archaeology’s InteractiveDig)

Un team austro-tedesco guidato dall’archeologa Christiana Köhler dell’Università di Vienna sta studiando la tomba della regina Merneith (Immagine n. 16), ad Abydos, quasi sicuramente la donna più potente della I Dinastia.

Immagine n. 16 Il complesso funerario della regina Meret-Neith ad Abydos durante gli scavi. La camera funeraria della regina si trova al centro del complesso ed è circondata dalle tombe secondarie dei cortigiani e dei servitori. (© E. Christiana Köhler, Università di Vienna https://medienportal.univie.ac.at/…/5000-year-old-wine…/)

Recenti scavi dimostrano la sua particolare importanza storica: i ricercatori hanno trovato vino e altri corredi funerari risalenti a 5000 anni fa, che alimentano l’ipotesi che Merneith sia stata la prima donna faraone dell’antico Egitto, circa 1500 anni prima della più famosa Hatshepsut. Il team ha scoperto nuove informazioni significative su questa importante figura femminile del primo periodo dinastico. Fu, infatti, la donna più potente del suo tempo, l’unica ad avere una propria tomba monumentale nel cimitero reale di Abydos. I nuovi scavi portano alla luce nuove, entusiasmanti informazioni su questa donna unica e sulla sua epoca. Il team archeologico ha, infatti, rinvenuto tracce di un’enorme quantità di corredi funerari, tra cui centinaia di grandi giare per il vino (Immagine n. 17).

Immagine n. 17 Giare di vino di 5.000 anni fa nella tomba della regina Meret-Neith ad Abydos sono nella loro posizione originale e in parte ancora sigillate (© E. Christiana Köhler, Università di Vienna https://medienportal.univie.ac.at/…/5000-year-old-wine…/)

Alcune di esse erano molto ben conservate e persino ancora sigillate nel loro stato originale e contenevano i resti di vino risalente a 5.000 anni fa. Inoltre, le iscrizioni attestano che Merneith fu responsabile di uffici governativi centrali come il tesoro, il che rafforza ulteriormente la ipotesi della sua enorme rilevanza storica e politica.

Il suo monumentale complesso funerario, che comprende le tombe di 41 cortigiani e servitori oltre alla sua camera funeraria, fu costruito con mattoni di fango crudo, argilla e legno. Grazie agli accurati metodi di scavo e all’impiego di nuove tecnologie archeologiche, il team è stato in grado di dimostrare che le sepolture furono realizzate in diverse fasi costruttive e in un periodo di tempo relativamente lungo. Questa osservazione, insieme ad altri indizi, mette in discussione (almeno in questo caso) l’idea di un sacrificio umano come parte del rituale nelle sepolture reali nella I dinastia, ipotizzata già a partire dalle prime ricerche, generalmente accettata, ma mai definitivamente e incontrovertibilmente dimostrata.

Il team lavora nell’ambito di una collaborazione interdisciplinare e internazionale tra il Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano, l’Istituto Archeologico Germanico del Cairo, l’Università e il Politecnico di Vienna in Austria, nonché l’Università di Lund in Svezia. Il progetto è finanziato dall’Austrian Science Fund (FWF) e dalla Deutsche Forschungs- und Forschungs- und Forschung (DFG).

In una dichiarazione del Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano, il Dott. Mustafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo per l’Archeologia, ha confermato l’importanza della scoperta. Secondo questo comunicato, le giare sono state rinvenute in eccellenti condizioni e i resti di vino al loro interno risalgono a circa 5.000 anni fa. Oltre a queste giare, il team ha anche svelato una collezione di arredi funerari che getta luce sulle pratiche e le credenze funerarie del periodo. Ulteriori rivelazioni sono arrivate dal Dott. Dietersh Rao, direttore dell’Istituto Germanico del Cairo che ha dichiarato che gli scavi hanno fornito nuove informazioni sulla vita e sul regno della regina Merneith (o Meret-Neth): alcune iscrizioni affermano, infatti, che ricoprì una serie di importanti incarichi governativi incluso un ruolo nella conservazione del tesoro. Pertanto, la scoperta aggiunge dettagli alla storia della vita di questa antica sovrana enigmatica, ma evidentemente molto importante.

Christiana Köhler, dell’Università di Vienna, ha riferito: «Il vino non era più liquido e al momento non siamo riusciti a determinare se fosse rosso o bianco. Abbiamo trovato molti residui organici, vinaccioli (Immagine n. 18) e forse tartaro, al momento in fase di ulteriori analisi scientifiche. Si tratta probabilmente della seconda più antica testimonianza diretta del vino»

Immagine n. 18 I vinaccioli rinvenuti, risalenti a circa 5.000 anni fa (© E. Christiana Köhler, Università di Vienna https://medienportal.univie.ac.at/…/5000-year-old-wine…/)

Reggente o consorte, Merneith si distingue nella storia egizia per il suo nome legato alla dea Neith. Il suo nome significa, infatti, “amata da Neith“. Si ritiene che abbia assunto le redini del potere in Egitto intorno al XXX secolo a.C., dopo la scomparsa del marito Djet, probabilmente il terzo o quarto faraone della I Dinastia, poiché il loro figlio, Den, era troppo giovane per salire al trono. Questo periodo di amministrazione sarebbe durato solo fino al raggiungimento della maggiore età del figlio.

Tuttavia, i documenti rimangono contrastanti sul fatto che Merneith sia stata la prima o, forse, seconda regina a governare l’Egitto in questo modo. Alcuni egittologi hanno sostenuto che la prima sia stata Neithhotep, mentre altri hanno escluso che ci siano state donne al potere prima di qualche secolo dopo la I Dinastia egizia.

Nel frattempo, la testimonianza più convincente di un potenziale regno si trova Umm el-Qaab nei pressi di Abydos. Immersa tra tombe reali maschili, la Tomba Y (Immagine n. 19) reca il nome di una donna, Merneith e la nuova scoperta delle giare per il vino al suo interno contribuisce a rafforzare questa ipotesi.

Immagine n. 19 Mappa del sito archeologico Umm al-Qaab, nella città di Abydos in cui è evidenziata la tomba di Merneith

Oltretutto, sebbene sia assente da alcuni elenchi di sovrani, la famosa Pietra di Palermo dell’Antico Regno riporta il suo nome. Ulteriori prove della sua influenza emergono da un sigillo trovato nella tomba di Den, che elenca i re della I Dinastia. Qui, in tra i sovrani indiscutibilmente maschi legati al dio Horus, il titolo distintivo di Merneith recita: Madre del Re“. D’altra parte, il dibattito continua a essere molto acceso dal momento che alcuni studiosi si oppongono al suo regno da sola, indicando un altro sigillo che elenca i sovrani della I, escludendo Merneith.

La tomba della regina Merneith fu scoperta a Umm el-Qa’ab da Flinders Petrie, in un’area associata ad altri faraoni della I Dinastia. Alcune delle prove più convincenti furono rinvenute in due stele di pietra che identificavano la tomba come sua. Questa nuova recente scoperta promette di fare ulteriore chiarezza su alcuni aspetti della storia egizia delle prime dinastie e offre una comprensione più approfondita delle pratiche funerarie reali dell’epoca.

Le strutture piramidali dell’antico Egitto derivano chiaramente dalla piramide a gradoni costruita a Saqqara dal re Djoser all’inizio della III Dinastia, ma è interessante cercare di comprendere come questa struttura, eretta immediatamente dopo i monumenti di Khasekhemwy (Immagini n. 20-21), sia in qualche modo correlata con le tombe reali protodinastiche e con i relativi recinti separati di Abydos.

Immagine n. 20 La tomba di Khasekhemwuy, qui ripresa da un’altra angolazione, fu scavata da Petrie durante la sua spedizione del 1901 a Umm el Qa’ab e da lui chiamata “Tomba V”. La sua forma trapezoidale, con una lunghezza di 68,97 metri, una larghezza minima di 10,04 metri e una larghezza massima di 17,06 metri, la distingue dalle altre tombe reali del sito. È costituita da una camera funeraria centrale, costruita con blocchi di calcare squadrati ed é circondata da diverse camere più piccole, comunicanti, con pareti in mattoni crudi, che probabilmente servivano da deposito.
A differenza delle altre tombe reali di Umm el-Qa’ab, la tomba di Khasekhemwi ha due ingressi, uno a nord e l’altro a sud. (©The Ancient Egypt site https://www.ancient-egypt.org/…/tomb-v-at-umm-el-qaab.html

Intanto, ci occupiamo delle differenze che sono ovviamente evidenti e riguardano innanzitutto le dimensioni. Il complesso di Djoser, così come pervenne alla sua forma finale, era enorme se paragonato a quelli dei suoi predecessori, dal momento che occupava una superficie di 15 ettari (vale a dire 14 volte più grande del recinto di Khasekhemwy) e fu realizzato interamente in pietra e mattoni crudi. Tutta l’area era circondata da un recinto in cui, al posto di uno spazio vuoto e di una cappella, fu realizzato un fitto insieme di costruzioni e cortili con al centro una tomba sovrastata da una imponente piramide a gradoni alta 62 metri.

Immagine 19 L’angolo meridionale di Shunet el-Zebib, mostra i danni inflitti dall’uomo ai quali si sono aggiunti quelli arrecati dalla moltitudine di uccelli che hanno nidificato all’interno della struttura (© I recinti funerari reali di Abydos e Hierakonpolis di Matthew Adams e David O’ Coonnor pubblicato nel volume “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag.85).

In origine, però, il complesso era decisamente più piccolo, di pianta più semplice ed evidentemente ispirato agli archetipi protodinastici, trattandosi di un recinto con passaggi presso gli angoli nord-est e sud-est, esattamente come ad Abydos, anche se le nicchie esterne si presentavano maggiormente elaborate. Lo spazio interno conteneva una tomba coperta da un basso tumulo in pietra, molto simile a quello delle tombe reali di Umm el Qa’ab, e poche altre strutture. Da questa disposizione iniziale si diede l’avvio ad uno sviluppo architettonico che condusse alla realizzazione del complesso così come è giunto sino a noi.

E’ tuttavia abbastanza probabile che il modello iniziale non fosse direttamente suggerito dalle tombe protodinastiche e dai recinti di Abydos, quanto piuttosto dai monumenti funerari regali della II Dinastia situati a Saqqara nelle vicinanze. Qui, infatti, sono state identificate due tombe ciascuna delle quali presenta una grande rete di magazzini sotterranei ricavati nella roccia, una camera sepolcrale e altre sale e gallerie disposte a sud. Non sappiamo come si presentassero le sovrastrutture, ma è verosimile che seguissero fondamentalmente la stessa pianta dei recinti di Abydos, sebbene con alcune considerevoli modifiche.

Ad Abydos, infatti, tomba e recinto erano separati essendo la prima posta lontano nella zona desertica, mentre il secondo si ergeva nei pressi della pianura alluvionale. A Saqqara, come osservava Kemp, evidentemente, non ci fu motivo di tenere separati i due elementi e forse la superficie sovrastante l’intera tomba ipogea era delimitata da un recinto realizzato, presumibilmente, in mattoni crudi. L’estensione del sepolcro lascia presupporre che quest’ultimo doveva avere più o meno le stesse dimensioni dei quello di Peribsen ad Abydos con una camera funeraria probabilmente situata nella metà meridionale della cerchia, sovrastata da un tumulo in superficie e forse affiancata da una cappella a sud come nel caso di Umm el-Qa’ab. E’ possibile che il restante spazio fosse vuoto con l’ingresso alla tomba disposto all’estremità settentrionale: in questo modo, le processioni funerarie avrebbero avuto accesso al recinto attraverso un passaggio presso l’angolo nord-orientale, mentre il tumulo e la cappella sovrastanti la tomba erano forse accessibili grazie ad un altro ingresso presso l’angolo sud-orientale.

Si ipotizza che i monumenti reali di Saqqara, relativi alla II Dinastia, avessero un aspetto molto simile a quello della prima fase del complesso di Djoser tranne che per il fatto che tomba e tumulo di quest’ultimo furono spostati più a nord. Comunque, è plausibile che sia la tomba sud sia la vicina cappella del complesso di Djoser, entrambe prive di funzione, commemorassero la vera tomba e la cappella reale che si trovano grosso modo la stessa posizione nei recinti reali della II Dinastia presenti a Saqqara.

Anche osservando il complesso monumentale di Djoser nella sua disposizione finale, restano evidenti e rilevanti le correlazioni con i prototipi delle prime dinastie, ivi compreso l’utilizzo continuativo del recinto a pianta rettangolare, mentre il monticello che sovrastava la tomba protodinastica evolve nella tipica struttura piramidale a gradoni dilatandone enormemente le proporzioni. Tale forma si rese necessaria per stabilizzare l’ ingente massa di muratura in pietra soggetta a forti pressioni interne.

Inoltre, come già si è fatto cenno poc’anzi, la maggior parte delle strutture cultuali risalenti alla prima fase costruttiva sembrano non aver rivestito alcun aspetto funzionale, trattandosi di ambienti riempiti esclusivamente di detriti, ad eccezione di uno o due piccole camere simboliche. In pratica, analogamente ai recinti protodinastici di Abydos che venivano dotati di servitori sacrificati e successivamente demoliti per al fine di passare pienamente nell’Aldilà, anche il complesso di Djoser fu concepito inizialmente, e in gran parte, affinché il re potesse servirsene nell’Oltretomba; le attività dei vivi, di conseguenza, non necessitavano che di pochi ambienti come il tempio funerario.

Anche le inumazioni delle barche di Abydos possono essere considerate come “trait-d’union” tra i monumenti protodinastici e i più tardi complessi piramidali, trattandosi di prototipi di ricoveri per imbarcazioni e/o di fossati aventi tale forma che furono allestiti sporadicamente anche per le piramidi della IV Dinastia e di epoca più tarda.

In definitiva, ogni monumento funerario regale di Epoca Protodinastica consisteva di due parti distinte: la tomba, situata a Umm el-Qaab ed il rispettivo recinto, che ne era parte integrante, edificato circa quattro chilometri più a settentrione, nella necropoli Nord.

Le attività di scavo più recenti ed il riesame di quelle precedenti, stanno fornendo indizi sempre più probanti su quali fossero le funzioni rituali specifiche e i significati simbolici di queste strutture. Si può ragionevolmente concludere che i recinti reali ed i sepolcri di Abydos vanno considerati, nel loro complesso, come i prototipi del complesso della Piramide a Gradoni di Djoser (Immagine n. 22), mentre i monumenti reali della II Dinastia presenti a Saqqara giocarono un sostanzioso ruolo di mediazione ed integrazione. L’ architettura funeraria regale protodinastica, in particolare quella di Abydos, quindi, fu il punto d’origine della principale direttiva di sviluppo che condurrà ai complessi piramidali e le cui tracce sono riscontrabili finanche nelle tombe del Nuovo Regno.

Immagine n. 20 Ricostruzione del complesso di Djoser (©Franck Monnier et Paul François, pubblicato in “L’ Univers Fascinant Des Pyramides d’ Égypte, pag 27).

Fonte:

Foto di copertina di isawnyu

EVOLUZIONE DELL'ARCHITETTURA FUNERARIA, Luce tra le ombre

TOMBE DELLA I e II DINASTIA

INTRODUZIONE

La conquista delle regioni del Nord, operata dai loro vicini meridionali intorno al 3100 a.C., fece dell’Egitto un territorio unificato che si estendeva dal mar Mediterraneo sino alle porte della Nubia. Sotto la I Dinastia regnante gli abitanti perpetuarono le loro usanze funerarie beneficiando sia di risorse centralizzate sia di innovazioni apportate da una società in piena evoluzione. Nel contempo, le sepolture reali assumevano proporzioni sempre più imponenti e il culto funerario divenne più sofisticato. Distanti dalle tombe reali, furono realizzati grandi recinti in mattoni decorati secondo lo stile a “facciata di palazzo”. Tra questi, figura una delle più antiche strutture di questo tipo al mondo: lo “Shunet ez-zebib” (Immagine n. 1) di Abydos, fatto erigere dal re Kasekhemui della II dinastia.

Immagine n. 1 La parete nord-orientale del recinto di Khasekhemui (Shunet ez-zebib) che presenta ancora nicchie ben conservate (© isawnyu – https://www.flickr.com/photos/34561917@N04/7257223708/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35697077)

Sebbene si supponga che questo edificio abbia qualche legame con la celebrazione delle feste giubilari post mortem, la sua funzione esatta resta ancora misteriosa; è, però, indubitabile che tutto concorre a lasciar pensare che sia stato fonte di ispirazione per il complesso funerario di Djoser.

Dopo l’unificazione dell’Alto e Basso Egitto, la residenza reale fu stabilita a Menfi, ma i re della I Dinastia non abbandonarono la tradizione dei loro antenati predinastici e continuarono a farsi seppellire ad Abydos. La sequenza di questi sovrani è impressa sui sigilli rinvenuti nelle tombe di Den e Qaa (Immagine n. 2).

Immagine n. 2 Hetepdjef inginocchiato, con una parrucca scalare e un corto gonnellino comunica il suo nome sulla base della statua. Dietro la spalla destra si leggono i nomi di Horo dei primi tre sovrani della II Dinastia: Hotepsekhemwy, Raneb (o Nebra) e Ninetjer. Probabilmente Hetepdjef servì il culto di questi tre re durante la III dinastia. Museo del Cairo JE 34557 (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 62)

La II Dinastia rimane, invece, uno dei periodi più oscuri della storia egizia. I nomi di Horo (così identificati in quanto il nome del sovrano è inscritto nella raffigurazione di un serek sormontato da un falco) dei primi tre re HotepsekhemwyRaneb (o Nebra) e Ninetjer, sono incisi sulla statua di un sacerdote a Mit Rahina (Immagine n. 2). I sigilli di Hotepsekhemwy, provenienti dalla tomba di Qaa (Immagine n. 3) a Umm el-Qaab, provano che questo sovrano fu responsabile della sepoltura dell’ultimo re della I Dinastia e che non ci fu interruzione tra le due case regnanti.

Immagine n. 3 Questa impronta di sigillo dell’epoca di Den (I Dinastia), cita Narmer, Den e anche sua madre Meretneith, poi omessa. Il reperto fu trovato presso la scala della tomba di Den. Nella parte inferiore, il testo di sigillo a cilindro ricostruito fornisce i nomi del dio sciacallo della necropoli, Khentyamentiu (“il primo degli occidentali”, ossia il defunto) e dei re sepolti a Umm el-Qaab in ordine cronologico invertito (da sinistra a destra): Qaa, Semerkhet, Adjib, Den. Djet, Djer, Aha e Narmer. Le impronte sono state rinvenute nella tomba di Qaa su grumi di argilla usati come chiusure per cofani e altri tipi di contenitori (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 63) 

Verso la fine della dinastia, l’unità dell’Egitto fu temporaneamente interrotta e i due ultimi monarchi, Peribsen e Khasekhemwy costruirono le loro tombe ad Abydos.

Statue di Khasekhemche cambiò successivamente il suo nome in Khasekhemwy*, ci informano della repressione di disordini nel Basso Egitto. A lui successe Netjeriket (meglio noto come Djoser) che riportò a Saqqara il luogo di sepoltura.

Il potere e l’attaccamento del sovrano al suo entourage erano tali che veniva accompagnato nel suo viaggio ultraterreno da una schiera di servitori, cortigiani e animali. Alcuni di essi furono sepolti in piccole tombe sussidiarie accuratamente disposte intorno alla mastaba reale. Quella di Djer, a Umm el-Qaab, ad esempio, ne contava non meno di 580! Sebbene alcuni storici propendano per l’ipotesi che si tratti di sepolture sacrificali, l’archeologia ha chiaramente dimostrato che non tutte le sepolture erano contemporanee a quella del re e la diversità degli individui e lo status elevato di alcuni di essi sembrerebbe escludere che si sia potuto strapparli brutalmente dalle loro funzioni. La questione, nondimeno resta molto dibattuta, con evidenze a favore dell’una o dell’altra possibilità. Comunque sia, l’usanza scomparve già con la II dinastia, ove si eccettui il caso della tomba di Khasekhemwy, dove la presenza di ossa umane nelle otto sale da adito a qualche dubbio.

Successivamente, i dignitari delle regioni settentrionali ottennero questo privilegio anche per se stessi, per cui Menfi, punto strategico tra il Delta del Basso Egitto e la Valle dell’Alto Egitto, divenne, sotto la II Dinastia, il centro amministrativo egizio, lontano dalla prima residenza reale situata a Thinis.

Gli alti funzionari della regione avevano visto crescere considerevolmente il loro potere e non esitarono ad ostentarlo erigendo delle mastabe sontuose. Profusamente dipinte, esse riproducevano ossessivamente sulle loro pareti la decorazione a “facciata di palazzo” (detta anche “architettura a nicchie”), il cui geroglifico, il “serekh”, era il simbolo per eccellenza del potere regale. Adottando questa tipologia costruttiva si mirava a rievocare le forme di un primitivo palazzo trasferendole ad una costruzione funeraria o religiosa molto colorata e arricchita con assemblaggi di oggetti in legno e stuoie (immagine n. 4).

Immagine n. 4 Ipotetica ricostruzione di una mastaba arcaica della regione menfita (©Franck Monnier “L’Univers Fascinant des Piramides d’Égypte”, pag.25).

Questa “escalation” e il lusso esibito rivaleggiavano con tutto ciò che la corte era in grado di realizzare, al punto che, per ricordare in modo inequivocabile il suo status, Djoser costruì un complesso funerario a ovest di Menfi, così alto e vasto che nessuno avrebbe mai più potuto eguagliare le capacità del sovrano.

* L’identificazione di Khasekhem con Kasekhemwy costituisce ancor oggi motivo di dibattito tra gli studiosi divisi tra le due possibilità: si tratta di due sovrani diversi oppure di un solo re che, in un particolare momento del suo regno, volle cambiare nome? Certamente, la stretta somiglianza dei nomi crea non pochi interrogativi ed esistono indizi a favore dell’una o dell’altra ipotesi. L’unica informazione certa è che mentre è stata ritrovata ed esplorata la tomba di Khasekhemwy, risulta mancante quella di Khasekhem. I sostenitori dell’identificazione Khasekhem-Kasekhemwy, sostengono che, dopo la parentesi sethiana di Peribsen, che era ritornato ad Abydos a causa dei dissensi con i seguaci di Horo, sia salito al trono Khasekhem (il cui nome significa “il Potente si è manifestato”), che avrebbe intrapreso una decisa operazione politica e militare di pacificazione; raggiunto lo scopo e riunito le Due Terre, avrebbe assunto il nuovo nome di Khasekhemwy (“i due Potenti si sono manifestati”) ed iscritto il suo prenomen nel serekh sormontato dal falco di Horo e dall’animale di Seth.

LE TOMBE REALI DELLA I DINASTIA AD ABYDOS

La necropoli reale arcaica di Abydos, nota come “Umm el-Qaab” (“madre dei vasi” in arabo), si estende nel deserto ad un chilometro e mezzo circa di distanza dalle terre coltivate, di fronte ad una impressionante scarpata di arenaria e ad est di un largo wadi. Gli scavi in questa zona furono iniziati dall’archeologo Émile Amelineau tra il 1895 e il 1898 e proseguirono tra il 1899 e il 1901, sotto la direzione di William Matthew Flinders Petrie, che portò alla luce otto vasti complessi della I Dinastia, due della II e alcune tombe arcaiche. L’illustre egittologo britannico analizzò anche i vasti recinti che facevano parte degli insediamenti funerari.

Immagine n. 5 Planimetria del cimitero di Umm el-Qaab (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 65)

La necropoli sembra essersi sviluppata lungo lo wadi, in direzione nord-sud dove sono stati individuati tre sezioni ben definite (Immagine n. 5):

1. Il cimitero “U” comprendente tombe del periodo Naqada I e sepolcri d’élite del tardo Periodo Predinasticoa nord.

2. Il cimitero “B”, con tombe reali della cosiddetta “Dinastia Zero” e della prima metà della I Dinastia, al centro.

3. I complessi tombali di sei re e di una regina della I Dinastia, a sud.

Ad eccezione delle più remote tumulazioni predinastiche, consistenti in semplici fosse e qualche sepolcro con rivestimento in legno, le tombe, sia le più piccole, sia quelle di dimensioni maggiori presentano camere ipogee di forma rettangolare, rivestite in mattoni che, in passato, dovevano essere ricoperte con legno stuoie e mattoni e, molto probabilmente, sovrastate da un tumulo di sabbia. Sembra che il cimitero “U”, durante il periodo Naqada I (o amraziano, circa 3900-3650 a.C) e fino agli inizi del Naqada II (o gerzeanocirca 3650-3300 a.C.) fosse un semplice sepolcreto, ma a partire dal tardo Naqada II, fu riservato all’élite. Le grandi tombe a camera singola e multipla, con ogni probabilità sono da attribuire ad una serie di capi e ai loro congiunti, oltre che ad una serie di sovrani precedenti quelli della “Dinastia Zero” che furono sepolti nel cimitero “B”.

Particolare rilievo riveste la tomba “U-J”, scoperta nel 1988 i cui campioni analizzati al carbonio 14, hanno restituito una datazione di circa 150 anni antecedente la I Dinastia. Il vasto sepolcro, contenente 12 camere, misura 9,10×7.30 metri; presenta un rivestimento di 1,55 metri di spessore e la sua parte superiore giace circa mezzo metro sotto il livello del deserto. Le evidenze anno permesso di concludere che fu costruita in due fasi distinte. In origine era composta da nove piccoli vani collocati ad est dell’ampia camera sepolcrale e, probabilmente, riecheggiava il modello di un palazzo (Immagine n. 6) con un atrio o una corte centrale, ma successivamente furono aggiunti due nuovi ambienti a sud.

Immagine n. 6 Questo disegno ricostruttivo permette di visualizzare un palazzo predinastico. Seguendo la planimetria di U-J, la tomba più elaborata del periodo, il palazzo di un sovrano doveva consistere di un vano di ingresso, di una stanza centrale, dal soffitto più alto e di camere utilizzate come magazzini a sinistra, mentre gli appartamenti privati erano situati nella parte posteriore. Una camera di servizio, o cucina era accessibile direttamente tramite un’entrata separata (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 65)

Tutte le camere sono connesse tra loro grazie ad una o due piccole aperture. Nonostante fosse stata ampiamente saccheggiata, la tomba conteneva ancora un abbondante corredo funerario consistente in numerosi oggetti in avorio e osso, circa 150 placchette con brevi iscrizioni (Immagine n. 7), abbondante vasellame egizio di vario genere e oltre 200 giare di vino proveniente da Canaan.

Immagine n. 7 Le piccole etichette in osso e in avorio con geroglifici arcaici rinvenute nella tomba U-j erano fissate a contenitori per indicare l’origine del prodotto. Le incisioni costituiscono esempi primitivi di scrittura. Nella prima a sinistra, molto probabilmente, l’albero e il cane indicano la provenienza da una proprietà agricola (l’albero) fondata da un sovrano il cui nome sarebbe stato “cane” o “sciacallo”. Quella centrale ci mostra una cicogna (valore fonetico “ba”) e un seggio (valore fonetico “st”), probabile riferimento alla città di Bubasti, nel Delta. Infine, la terza presenta un elefante (“ab”) con al di sotto tre montagne stilizzate (“dju”). Probabilmente, un chiaro riferimento alla città di Abydos

La camera sepolcrale, che presentava tracce di un tabernacolo ligneo, restituì uno scettro pastorale intatto in avorio, provando senza ombra di dubbio che il proprietario della tomba fosse un sovrano (Immagine n.8).

Immagine n. 8 lo scettro in avorio rinvenuto nella tomba U-j. Museo egizio del Cairo.

Le placchette incise con numeri o con geroglifici (massimo quattro), mostrano una grafia già abbastanza sviluppata. I numeri sembrano indicare misure di pezze di stoffa, mente ai segni era probabilmente affidata l’indicazione di provenienza di diverse merci. Alcuni di questi sono chiaramente leggibili e menzionano istituzioni amministrative, proprietà regie o località quali Buto Bubastis nel Delta. Una notevole quantità di vasi, ad anse ondulate, presenta anche uno o due grandi segni realizzati con inchiostro nero. Il grafema più frequente è uno scorpione talora associato ad una pianta, sicché la sua lettura potrebbe essere “tenuta di Scorpione”. Considerata l’alta frequenza di questa indicazione, è più che ragionevole concludere che nella tomba fu sepolto un re di nome “Scorpione”

Il cimitero “B” comprende tre tombe a doppia camera, appartenute agli ultimi sovrani della Dinastia ZeroIry-Hor (B 1/2), Ka (B 7/9) e Narmer (B 17/18) (Immagine n. 9) oltre ai complessi tombali dei primi due re della I DinastiaAha (B10/15/19+16), e l’effimero Athotis (B 40/50).

Immagine n. 9 La tomba di Narmer (B17/18). Cimitero B, Umm el-Qaab, Abydos (© Wikipedia,autore sconosciuto)

Mentre le tombe a doppia camera si presentano piuttosto modeste e perfettamente conformi alla tradizione predinastica, il complesso di Aha (Immagini n. 10-11), costituito da tre grandi camere e da una serie di sepolture sussidiarie, segna il passaggio all’architettura monumentale, riflettendo l’inizio di una nuova era contrassegnata dall’unificazione dell’Alto e del Basso Egitto sotto un unico sovrano.

Immagini n. 10-11 In queste riprese sono visibili le fosse ausiliarie e le camere principali della Tomba di Aha/Menes costruita in scala molto più grande rispetto a quelle dei predecessori. Per la prima volta si osservano sepolture sussidiarie allineate. Sparse nei vani furono rinvenute ossa di giovani, forse, sacrificati per servire il sovrano nell’Aldilà. Le camere grandi contenevano tabernacoli di legno. Il re fu sepolto, probabilmente in quella centrale (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 64)

Le tre camere misurano circa 7,50 x 4,50 metri, profonde 3, 6 metri e tutte contenevano grandi tabernacoli in legno sorretti da supporti realizzati nello stesso materiale. Con ogni probabilità, il re fu sepolto nel vano mediano (B 15) che, a differenza degli altri, doveva avere un soffitto, all’apparenza, lievemente curvato a volta. Questa caratteristica potrebbe rappresentare un primo tentativo di avere una “copia di riserva” della tradizionale collinetta sovrastante il sepolcro (originariamente una semplice segnalazione) nell’intento di riprodurre il tumulo primigenio della creazione. Nelle file ordinate di camere supplementari B16, fu rinvenuta una grande quantità di ossa umane, per lo più appartenenti a individui di circa 20 anni e, comunque, non superiore a 25 anni, il che sembrerebbe avvalorare l’ipotesi (anche se non unanimemente condivisa) di un uccisione sacrificale all’atto della sepoltura del sovrano. Inoltre, presso la lunga camera orientale erano presenti le ossa di non meno di sette giovani leoni.

Generalmente i sette complessi tombali meridionali relativi ai re Djer (Immagine n. 12), Djet (Immagine n. 13), Den, Anedjib, Semerket, Qaa alla regina Meritneith, tutti appartenenti alla I Dinastia, presentano la stessa disposizione: una grande camera sepolcrale reale con grande tabernacolo ligneo (come U-J e B 10/15/19) attorniata da magazzini e oltre 200 tombe sussidiarie.

Immagine n. 12 La tomba del re Djer con la camera reale circondata da tombe secondarie.(© Foto: F. Barthel © DAI Istituto archeologico tedesco, Dipartimento del Cairo)

A partire dall’epoca di Den, fu realizzata una scala diretta alla camera reale, che veniva bloccata dopo l’inumazione. Grazie a questa innovazione, fu possibile realizzare il soffitto (e la sovrastruttura) prima del funerale.

Immagine n. 13 Il nome di Horo di Djet figura su questa stele (conservata al museo del Louvre) proveniente dalla sua tomba di Abydos. L’oggetto mostra la facciata del palazzo reale, il dio falco Horo come titolo del re e il serpente che costituisce il suo nome (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 64).

Da Djer Den le camere sepolcrali ausiliarie sono disposte in file separate attorno alla camera reale; solo nei complessi di Semerket e Qaa sono connesse a quest’ultima. Se si eccettua il caso di due dignitari sepolti nelle tombe sussidiarie di Den e di Qaa, forse deceduti nello stesso periodo in cui morì il sovrano, tutti gli altri sepolcri supplementari ospitavano persone di rango inferiore e cani, probabilmente sacrificati per servire il re nell’Aldilà. Ad ogni modo, questa usanza cessò alla fine della I Dinastia.

Ogni tomba era contraddistinta da due grandi stele che riportavano il nome del titolare, oltre che da lapidi più piccole relative agli occupanti dei vani supplementari, compresi quelli dei cani. Purtroppo nessuna delle steli reali o private fu ritrovata in situ, pertanto la loro posizione originaria (forse sopra le camere) è incerta.

Il complesso tombale di maggiori dimensioni è quello di Djer che si estende su un’area di 2800 mq. (70×40 metri). Comprende oltre 200 camere sussidiarie disposte in singola, doppia e tripla fila (Immagine n. 12).

Una piccola camera singola, attigua a quella del sovrano e ubicata in corrispondenza dell’angolo sud-orientale, era probabilmente destinata a contenere le spoglie di una guardia. Il tabernacolo ligneo centrale, profondo circa 2,60 metri era sostenuto, a nord, a est e a sud, dai tramezzi dei ripostigli. Durante il Medio Regno la tomba fu assimilata a quella di Osiride, convertita in un suo cenotafio e dotata di una scala che conduceva al suo interno. Qui, Amélineau vi rinvenne un catafalco del dio, con iscrizioni abrase riconducibili al re Khendjer della XIII dinastia (Immagine n. 13) e dietro la scala Petrie trovò un braccio, probabilmente risalente alla sepoltura originaria e nascosto dai violatori, adorno di quattro splendidi bracciali (Immagine n. 14).

Immagine n. 13 Fin dal Medio Regno la tomba di Djer fu considerata quella di Osiride. Qui si può osservare il catafalco del dio, in granito nero conservato al Museo Egizio del Cairo. Fu il re Kendjer della XIII Dinastia a fornire la camera funeraria di questa scultura che mostra la procreazione di Horo operata da Osiride e da Iside, rappresentata sotto forma di sparviero. (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 65)
Immagine n. 14 Questi braccialetti in oro, turchese, lapislazzuli e ametista, lunghi tra 10,2 e 15,6 centimetri sono ora conservati al Museo Egizio del Cairo. Furono scoperti da Petrie su un braccio nascosto nella camera sepolcrale di Djer. Probabilmente era stato dimenticato dai ladri e presumibilmente apparteneva alla mummia del re. L’ipotesi sarebbe avvalorata dal fatto che uno dei reperti è composto da placchette con il dio falco Horo sulla facciata del palazzo reale . (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 66). 

La tomba di Den (Immagine n. 15) è sicuramente la più elaborata tra quelle della I dinastia presenti a Umm el-Qaab. La camera funeraria reale misura 9×15 metri ed è profonda quasi 6 metri. È dotata di un pavimento rivestito con lastre di granito rosso che, ad oggi, risulta essere il più antico esempio di utilizzo della pietra su vasta scala. Le pareti erano rivestite con stuoie di canna e, dalle impronte e dalla posizione dei fori per i pali di sostegno, se ne deduce che il tabernacolo ligneo doveva misurare 24x12x6 cubiti (circa 12,60×6,30×3,15 metri).

Immagine n. 15 Il complesso sepolcrale di Den, qui visibile con lo sfondo dell’altopiano occidentale, copre un area di 2200 mq. (40×55 metri). La camera funeraria del sovrano al centro è attorniata da 144 tombe sussidiarie per i servi e i cani, oltre a 3 vani magazzino per la conservazione di vasi per il vino. . (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 68-69).

Intorno adesso erano impilati numerosi vasi di produzione cananea. Ad est, una lunga scalinata, a metà della quale erano presenti porte lignee, dava accesso alla camera del re, a sua volta bloccata da una saracinesca. La tomba riveste particolare interesse per la presenza di un annesso a sud-ovest (Immagine n. 16). La piccola scala presente nell’annesso aveva con ogni probabilità una funzione simbolica: doveva servire come uscita al re rinato rappresentato dal suo simulacro.

Immagine n. 16 Ricostruzione degli annessi sud-occidentali della tomba di Den . (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 68).

Tale passaggio è presente in tutte le tombe della I Dinastia, a partire da quella di Djer. Inoltre, nelle file di tombe sussidiarie circostanti, sono sempre presenti varchi in prossimità dell’angolo sud-orientale che rappresenterebbero delle “uscite potenziali” dirette verso l’impressionante apertura dello wadi nella scarpata della necropoli. Si suppone che questa gola fosse ritenuta l’ingresso all’altro mondo, con le tombe che servivano da “stazioni di transito” sulla via che conduce all’Aldilà.

Le sepolture furono saccheggiate numerose volte già a partire dall’epoca della loro realizzazione. Un brano tratto dall’ “Insegnamento per Merikara”*, sembra riferirsi alle distruzioni subite dai sepolcri reali durante il Primo Periodo Intermedio. In effetti, gran parte delle tombe risalenti alla I Dinastia presenta tracce di incendi molto estesi. Tuttavia, sebbene depredate di gran parte del loro contenuto, queste sepolture e gli oggetti superstiti, ivi compreso svariato materiale iscritto, costituiscono la più rilevante fonte di conoscenza per ciò che riguarda il periodo arcaico.

Il sito vide accrescere enormemente la sua importanza a partire dal Medio Regno, divenendo il luogo più sacro di tutto l’Egitto, in quanto fu associato al culto di Osiride, che si riteneva vi fosse stato sepolto. Durante il Nuovo Regno e nel Periodo Tardo fu meta di intenso pellegrinaggio cui si accompagnò l’offerta di una enorme quantità di vasellame (per lo più piccole ciotole chiamate in arabo “qa’ab”, da cui deriva il nome Umm el-Qaab). Émile Amélineau stimò che il totale ammontasse a circa otto milioni di vasi!

Nella tomba di Qaa (Immagini n. 17-18) si rinvenne una considerevole quantità di vasellame risalente al Medio Regno sparsa sul pavimento della camera sepolcrale ed una scala, costituita da grossi mattoni, realizzata sui resti della saracinesca in pietra.

Immagine n. 17 Camera funeraria della tomba di Qa’a.I resti di legno sul pavimento localizzavano un grande tabernacolo. La scala che conduce al vano era in origine sbarrata da una saracinesca in pietra. (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 69).

Inoltre, l’ingresso alla camera reale della tomba di Den era stato parzialmente restaurato con grandi mattoni crudi e tutta la scala mostrava tracce di una successiva imbiancatura. Appare molto probabile che la trasformazione della tomba di Djer in cenotafio di Osiride, sia avvenuta nello stesso periodo.

Immagine n. 18 Queste etichette con iscrizioni furono rinvenute nella tomba di Qa’a dalla missione archeologica tedesca. Erano fissate a contenitori per l’olio e riportavano la data di consegna, la quantità, l’origine ed il nome del funzionario. La data è costituita dal nome che veniva dato all’anno, in base al verificarsi di eventi importanti. (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 69).

*Quest’opera ci è giunta attraverso tre copie risalenti alla XVIII Dinastia, ma è da datare alla X Dinastia Eracleopolitana, durante il Primo Periodo Intermedio. L’Insegnamento, come è tradizione in questi scritti, è rivolto al re Merikara ( X Dinastia) dal padre Khety II. Con tutta probabilità, il passo cui si fa riferimento è il seguente: << Ecco, una cosa turpe è avvenuta al mio tempo: fu devastata la necropoli di Tini. Avvenne non davvero per opera mia, ma lo seppi dopo che era stato fatto…Davvero è vile chi distrugge e non gli giova ristabilire ciò che aveva demolito, migliorare ciò che aveva sciupato…” (Edda Bresciani “Letteratura e poesia dell’Antico Egitto).

LE TOMBE REALI DELLA I DINASTIA A SAQQARA

La necropoli di Saqqara (Immagine n. 19) è ubicata su una scarpata del Deserto Occidentale a sud-ovest dell’odierna Abusir e a circa 30 Km. a sud della città del Cairo.

Immagine n. 19 La necropoli arcaica di Saqqara Nord fu l’area di sepoltura principale per gli alti dignitari della I-III Dinastia. Le grandi Tombe della I Dinastia furono costruite lungo il bordo orientale della scarpata da cui era visibile Menfi, l’antica capitale (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 71).

Tra il 1936 ed il 1956, sotto la guida dell’egittologo britannico Walter Bryan Emery, furono scoperte, lungo il dirupo che domina l’antico sito di Menfi, una quindicina di grandi tombe risalenti alla I Dinastia caratterizzate da imponenti sovrastrutture rettangolari. Tali edifici, denominati “mastabe” (dall’arabo “maṣṭaba”, panca) presentavano sulle quattro facce esterne un susseguirsi di nicchie rientranti simili al simbolo geroglifico raffigurante la facciata di un palazzo così come è rappresentato sulla stele del re Djet e indicante il suo nome di Horo. Questa caratteristica architettonica dimostra l’ipotesi che la tomba fosse considerata alla stregua di un palazzo in cui dimoravano i defunti.

Le dimensioni delle “mastabe” variano da 24 a 57 metri circa di lunghezza e da 12 a 26 metri circa di larghezza; alcune hanno conservato 2,5 metri della loro altezza originaria, che si stima dovesse essere compresa tra i 3 e 5 metri.

Le strutture ipogee, ricavate nel terreno e/o nella roccia, pur con molte varianti, presentano in genere un grande pozzo rettangolare rivestito in mattoni, una camera sepolcrale singola oppure dotata di magazzini annessi. Probabilmente, gli ambienti funerari contenevano, un grande tabernacolo ligneo. Fin dall’epoca del re Den, l’accesso ai vani sotterranei era reso possibile grazie ad una scala, come già attestato per le tombe dello stesso periodo presenti ad Abydos. Grazie all’impiego di saracinesche in pietra, il passaggio veniva regolarmente sbarrato. Alcuni sepolcri sono circondati da muri di recinzione e pochi presentano inumazioni e varie altre strutture associate.

La più antica tra le mastabe di Saqqara è quella denominata “S3357” (Immagine n. 20), risalente al regno di Aha, che presenta una sovrastruttura di 48, 2x 22 metri e comprende 27 magazzini destinati ad ospitare il corredo funerario costituito da giare di vino, recipienti per il cibo ecc. Sotto il livello del terreno si trovano cinque compartimenti incassati in un fossa poco profonda, rivestita con mattoni e ricoperta da assi di legno.

Immagine n. 20 Assonometria della tomba S3357 di Saqqara (da “Emery, Great Tombs of the First Dynasty” vol. II, tav. XXXIX). La camera funeraria, ubicata al centro della tomba è scavata nel terreno ghiaioso. I magazzini, costruiti sopra il livello del deserto, contenevano vasi di ceramica e casse con il corredo per La vita nell’Aldilà (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 70-71).

La camera centrale era, quasi sicuramente, quella destinata ad ospitare la sepoltura, mentre le altre contenevano i beni del defunto. A circa 35 metri dal doppio muro di recinzione, in direzione nord, furono rinvenuti i resti di una barca di legno. Era disposta in una grande fossa, a forma di imbarcazione, rivestita in laterizi: questo elemento, come nel caso delle navi rinvenute presso le piramidi, era destinato ad essere utilizzato nell’Aldilà dal proprietario della tomba. Tra la mastaba e la fossa della barca si trovavano due gruppi di piccole pseudo costruzioni, costituiti da macerie e intonacati con fango, e due modelli di terrazze destinati a congiungere la fossa con alcuni cortili, uno dei quali contenente tre strutture tonde. La funzione di queste installazioni è molto incerta e dibattuta: potrebbero essere modelli della tenuta del defunto (Emery)? Una banchina oppure un bacino (Lehner)? Luoghi d’offerta ivi incluso un mattatoio (Stadelmann)? In ogni caso, è molto plausibile che fossero in qualche modo collegate alle offerte alimentari.

L’importanza delle provviste per l’eternità è confermata nella tomba “S3504”, databile all’epoca di Djet (Immagine n. 21). Intorno alla facciata a nicchie, alla base del muro principale dell’edificio, fu realizzata una bassa panca; su questa piattaforma furono collocati circa 300 crani di toro modellati in argilla e dotati di corna vere: teste o teschi simili e altri tipi di offerte sono presenti in molte altre mastabe, in particolare nelle nicchie più ampie che, come più tardi sarà per le false-porte, erano considerate come punti di contatto tra il vivente e l’Aldilà.

Immagine n. 21 Assonometria della tomba S3504 a Saqqara (da “Emery, Great Tombs of the First Dymaty” vol. II, tav. I). Centinaia di bucrani sono fissati ad uno zoccolo che circonda il sepolcro, suddiviso in 46 magazzini. La tomba è circondata da un muro e da 62 piccole sepolture ausiliarie per il personale (©Francesco Raffaele Istituto Universitario Orientale di Napoli, Agosto 2002, Saqqara monumenti proto dinastici dinastie 1-3 http://www.francescoraffaele.com/egypt/hesyra/Saqqara.htm)

Analogamente alla tombe di Abydos, alcune mastabe di Saqqara furono dotate di sepolcri supplementari, ma il loro numero è decisamente inferiore e riguardano solo l’epoca compresa tra Djer e Qa’a. La “S3504”, ad esempio, presenta 62 fosse per i servitori con le offerte, allineate a est, a sud e a ovest.

In alcuni casi si sono conservate le sovrastrutture costituite da basse mastabe a sommità convessa che, nella tomba “S3500” (Immagine n. 22), risalente al regno di Qa’a sono di maggiore altezza e presentano le prime volte in mattoni ad oggi note. Su un lato di questo sepolcro, inoltre, si trova una piccola nicchia a falsa porta.

Immagine n. 22 La Mastaba S3500 misura 37,10 x 23,35 metri e fu rinvenuta da Emery nel maggio 1946. Risale alla tarda I Dinastia (regno di Qa’a) e mostra evidenti segni di transizione verso le forme architettoniche della II Dinastia, il più evidente dei quali è la presenza di una singola nicchia sulla facciata all’estremità sud del lato orientale. Le tombe sussidiarie, disposte lungo il lato meridionale della sovrastruttura sono solo quattro e rappresentano l’ultima testimonianza a Saqqara di sacrifici di servi. Le tombe successive infatti, non presentano questa caratteristica, mentre sembrerebbe che ad Abydos, qualche sacrificio venisse ancora effettuato nella tarda II Dinastia. Delle quattro tombe sussidiarie di S3500 tre sono state trovate intatte e quelle più occidentali, la n. 1 e la n. 2, contenevano ancora i corpi (un uomo di mezza età e una donna anziana) avvolti nel lino all’interno della bara. (©Francesco Raffaele Istituto Universitario Orientale di Napoli, Agosto 2002, Saqqara monumenti proto dinastici dinastie 1-3 http://www.francescoraffaele.com/egypt/hesyra/Saqqara.htm

All’epoca di Den, il cui regno sembra abbia segnato l’apogeo della I Dinastia, possono essere ricondotte cinque grandi tombe. Una di queste, la “S3035”, appartenente al funzionario più importante, il cancelliere Hemaka, ha restituito reperti molto importanti: attrezzi in selce, oggetti in avorio, armi, recipienti in pietra, dischi magnificamente scolpiti e il più antico rotolo di papiro conosciuto (Immagini n. 23-24-25).

Immagine n. 23 La Tomba di Hemaka S3035 era particolarmente ricca di reperti. Questo ostrakon in calcare, raffigurante un toro e un babbuino, forse era un bozzetto di un artigiano. Museo egizio del Cairo (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 73).

Sui pozzi sepolcrali di alcune mastabe furono recuperati resti di tumuli, costituiti da sabbia e detriti, racchiusi in vani di mattoni, il che lascia pensare che gran parte delle tombe, anche se non tutte presentassero questa caratteristica riscontrata anche nelle sepolture di Abydos.

Immagine n. 24. Tomba di Hemaka. Dischi come questo e quello dell’immagine successiva, ruotavano sull’apice di bastoni in legno inseriti nel foro centrale. Questo è in steatite nera, scolpito a rilievo e intarsiato con alabastro venato. Illustra la cattura di una gazzella da parte di un cane. Museo Egizio del Cairo, diametro 8,7 cm. (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 73).
Immagine n. 25 Tomba di Hemaka: disco in calcare con intarsi geometrici di alabastro sul bordo. Centralmente sono state applicate due colombe contrapposte in calcare rosato e completate da occhi in avorio. Museo Egizio del Cairo, diametro 9,7 cm. (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 73).

La forma a gradini scoperta nella tomba “S3038” (Immagine n. 26), databile al regno di Anedjb, è simile a quella della Piramide a Gradoni di Netjerikhet/Djoser. Questo elemento era coperto di ghiaia all’interno della facciata a nicchie, ma due scale poste a nord e a sud permettevano l’accesso alla sua sommità.

Nella sovrastruttura a nicchie dell’ultima delle grandi tombe, la “S3505”, eretta durante il regno di Qa’a, furono ritrovate pitture policrome che con le loro forme geometriche intendevano imitare i rivestimenti di stuoie. Una stele rinvenuta presso una nicchia della facciata orientale, ci informa che la sepoltura apparteneva al dignitario Merka.

All’interno del massiccio muro di recinzione, alberga un rimarchevole tempio funerario dotato di numerosi vani e corridoi; è collegato alla tomba sul lato settentrionale, dove si rinvennero i resti di due grandi statue lignee che, verosimilmente, rappresentavano questo importante funzionario.

Fino alla scoperta delle grandi mastabe di Saqqara, era opinione unanime che le tombe di Abydos fossero i veri luoghi di sepoltura dei primi sovrani egizi, ma Emery, impressionato dalle dimensioni delle strutture di Saqqara, suggerì che i re, di fatto, fossero stati sepolti in questa località e che le tombe di Abydos, più piccole, non fossero altro che cenotafi. Tuttavia, a Saqqara si riscontra una discrepanza tra il numero di tombe rispetto a quello dei sovrani (cinque tombe databili all’epoca di Den, ma nessuna relativa a quella di Semerkhet), mentre ciò non si verifica per i grandi recinti funerari di Abydos (situati al limite del wadi a una certa distanza dalle tombe), che fanno parte delle installazioni funerarie. Inoltre, il vasellame e le impronte dei sigilli rinvenuti in alcune sepolture indicano una data più tarda rispetto ai corredi delle controparti di Saqqara che, probabilmente, erano tombe di dignitari (e forse anche regine) morti prima dei loro rispettivi sovrani. Il numero molto maggiore di sepolture supplementari, la presenza di stele reali (assenti a Saqqara), i resti rinvenuti nelle tombe di Djer e Khaskhemwy e il fatto che gli antichi egizi vedessero in Abydos il luogo di sepoltura di Osiride, sembrerebbe rafforzare l’ipotesi che fosse questo il vero sito di inumazione dei sovrani di quell’epoca.

LE TOMBE REALI DELLA II DINASTIA A SAQQARA

A Saqqara sono noti finora solo tre gruppi di gallerie sotterranee appartenenti a tombe reali della II dinastia, tutti collocati nell’area a sud del complesso della piramide a gradoni. Il più grande ed elaborato (circa 130 x 46 metri), fu scoperto, ma solo parzialmente indagato nel 1901 da Alessandro Bersanti, al di sotto del tempio della piramide del re Unas della V dinastia. Un lungo corridoio orientato in direzione nord-sud, accessibile da nord grazie ad una scalinata, fu accuratamente intagliato nella roccia a circa 5 metri di profondità. Questo corridoio, munito di quattro saracinesche in pietra, conduce alla camera funeraria e ad altre sale laterali disposte a sud e permette l’ accesso ad oltre 80 ripostigli collocati su entrambi i lati. Queste camere erano tutte sigillate con pareti realizzate in mattoni crudi e alcune di esse contenevano ancora giare di vino e ossa di animali. A giudicare dalle impronte di sigilli rinvenute, la tomba deve essere appartenuta a Hotepsekhemwy, il primo sovrano della II Dinastia oppure al suo successore, Raneb, noto anche come Nebra (Immagini n. 27-28-29).

Immagine n. 27 Posizione delle tombe della II dinastia a Saqqara (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 74).

Poco più ad est fu sepolto Ninetjer, il terzo re di questa dinastia. L’immenso complesso di gallerie che forma la sottostruttura della tomba di Ninetjer fu scoperto quasi quarant’anni dopo quello di Hotepsekhemwy. Selim Hassan, studiando le splendide rappresentazioni nel complesso della strada rialzata di Unas annotò che un’altra tomba, simile a quella trovata da Barsanti, si trovava a una certa distanza a est, sotto la suddetta strada rialzata. L’ingresso della scalinata iniziava sotto la mastaba della VI dinastia del visir Nebkawhor (a circa 150 metri dall’ingresso della tomba di Hotepsekhemwy) e, dopo un percorso rettilineo bloccato da una saracinesca, curvava verso ovest espandendosi nei primi gruppi di magazzini e gallerie adiacenti della sezione dell’anticamera; tre gallerie principali formavano l’asse principale dei sotterranei che si diramavano in un vasto labirinto, prima di raggiungere la camera funeraria più a sud-ovest; il soffitto di quest’ultima era crollato a causa delle fosse successive che furono scavate in epoca saita e persiana, ma anche a causa della cattiva qualità della roccia che caratterizza questa parte del sito.

Immagine n. 28 Pianta e sezione della tomba di Hotepskhemwuy/Raneb (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 75).

Le ricerche in queste gallerie furono riprese solo nel 1980 da archeologi di università scozzesi e tedesche. All’epoca si riteneva che l’area da esse coperta fosse simile a quella della tomba di Hotepsekhemwy, ma recenti esplorazioni hanno rivelato che ulteriori 5000 mq di superficie renderebbero la tomba di Ninetjer molto più grande (tuttavia si tratta di un’ipotesi ancora non dimostrata).

Immagine n. 29 Una scala scavata nella roccia conduce al corridoio centrale della tomba di Hotepsekhemwuy o Raneb. Le pietre sulla sinistra chiudono la porta che dava accesso ad una delle gallerie sotterranee dei magazzini. I lastroni del soffitto appartengono alle fondamenta del tempio della piramide di Unas (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 74).

Una terza struttura sotterranea è stata recentemente scoperta presso la tomba di Merneith, un funzionario del Nuovo Regno. L’attribuzione è incerta, ma le dimensioni decisamente minori (15x15metri), farebbero propendere per l’attribuzione a uno degli effimeri successori di Ninetjer (Weneg, Sened, Nebnefer). Si ipotizza anche la presenza di un’ulteriore tomba della II dinastia ad ovest della piramide di Unas, in un pozzo non ancora esplorato.

Per nessuna di queste tombe è stato possibile determinare la presenza di sovrastrutture, che quasi sicuramente sono andate completamente distrutte. È tuttavia molto probabile che fossero sovrastate da grandi mastabe rettangolari realizzate in mattoni o pietra.

Va, inoltre, tenuta in considerazione la presenza di grandi recinzioni situate più ad occidente nel wadi di Abusir. Una di queste, Gisr el-Mudir “il Recinto del Capo” (Immagine n. 30) che misura circa 650×400 metri, è la più antica costruzione, ad oggi nota, ad essere stata realizzata con un così massiccio uso di muratura in pietra.

Immagine n. 30 Gisr el-Mudir. I quindici corsi in muratura sono costituiti da una membrana di blocchi di calcare, con un riempimento di pietrisco e sabbia, e da una solida muratura grezza agli angoli. Il muro di cinta sembra essere stato completato e non è stata trovata alcuna traccia di una struttura al suo interno, il che esclude l’ipotesi che possa trattarsi di una piramide. Il suo scopo è ancora sconosciuto (©https://egyptsites.wordpress.com/…/gisr-el-mudir…/).

Le dimensioni delle mura sono enormi sia per estensione che per spessore (oltre 15-17 metri) e sono coperte da due terrapieni paralleli riempiti con sabbia e detriti. Questa edificazione, conservatasi sino al 15° corso di pietra per un’altezza di 4,5-5 metri nell’angolo nord-occidentale, in origine – o almeno nelle intenzioni dei costruttori – doveva raggiungere almeno i 10 metri. Il percorso perimetrale di Gisr el-Mudir fu osservato per la prima volta da John Shae Perring e più tardi registrato da Karl Richard Lepsius. Fu poi annotato anche sulla Carte de la Necropolis Memphite (1897) di Jaques De Morgan, ma rimase per lo più un vero e proprio enigma. Si suppose che si trattasse di un ulteriore complesso di piramidi a gradoni della III Dinastia rimasto incompiuto, oppure di un recinto funerario simile a quelli di Hierakonpolis e Abydos, di un recinto per il bestiame, di una caserma militare per la guardia e il pattugliamento della necropoli. Il primo scavo fu condotto da A. Salam Hussein tra il 1947 e il 1948, ma rimase inedito. Uno studio di Nabil Swelim e le indagini del National Museum of Scotland, hanno gettato, negli anni ’90 del secolo scorso, nuova luce su questo enorme recinto di Saqqara Ovest.

LE TOMBE REALI DELLA II DINASTIA AD ABYDOS

Rispetto agli altri grandi complessi dei re della I Dinastia rinvenuti ad Abydos, e alle ampie sovrastrutture di Saqqara, la tomba di Peribsen (II Dinastia) appare piuttosto piccola e semplice. Questo sepolcro sembra infatti, riflettere le più antiche caratteristiche tipologiche delle tombe dei re Djer e Djet. Diversamente da queste, però, il tabernacolo centrale in legno è sostituito da una camera in mattoni, circondata da un passaggio che permette l’accesso ai magazzini. La planimetria (Immagine n. 31) ricorda molto il modello di abitazione rinvenuto nella tomba predinastica U-j, ma presenta anche la particolarità di un passaggio continuo attorno alla camera funeraria che evoca la funzione di “casa” per l’Aldilà.

Immagine n. 31 Pianta della Tomba di Peribsen (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 75).

Questa concezione la ritroveremo espressa negli appartamenti sotterranei del re o nel modello di palazzo di Djoser della III Dinastia (le camere blu). L’entrata (o uscita) della tomba di Peribsen si apre a sud-ovest e vi si rinvennero due stele con il suo nome (Immagine n. 32).

Immagine n. 32 Questa stele di Peribsen, ora conservata al Museo Egizio del Cairo, è in granito nero ed è alta 1,54 metri. Sopra la facciata di Palazzo, Peribsen non fece scolpire il falco di Horo, ma l’animale di Seth. Con ogni probabilità, ciò riflette un contrasto tra l’Alto ed il Basso Egitto. Successivamente, l’immagine di Seth fu cancellata (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 75).

La grande tomba di Khasekhemwy (Immagine n. 33) presenta, invece, una considerevole trasformazione formale, essendo molto più profonda e con un tetto che giace a circa cinque metri rispetto al livello del deserto.

Immagine n. 33 La statua in ardesia grigia del re Khasekhemwy, proveniente da Hierakonpolis, è la più antica statua reale rinvenuta in Egitto. Raffigura il re seduto su un trono, con indosso il mantello della festa giubilare heb-sed e la corona bianca dell’Alto Egitto. Un’ iscrizione alla base della statua riferisce di 47.209 nemici sconfitti a proposito di una sua vittoria sulla gente del nord. Si tratta, probabilmente, di un numero esagerato per accentuare l’immagine di potere. Museo del Cairo, JE 32161 (ph. © Heidi Kontkanen, 13/04/2016)

Il riesame del sito ha dimostrato che fu costruita in fasi successive. Inizialmente era composta da una camera centrale ovale, da un’anticamera a sud e da una camera posteriore a nord. Tra queste ultime correva una fila di 5 magazzini, ricavati lateralmente e resi accessibili da corridoi: una pianta, quindi, piuttosto simile a quella del sepolcro di Peribsen. Due o tre ampliamenti successivi (Immagini n. 34-35) portarono all’aggiunta di altre 43 camere a nord e a sud, che furono collocate in gallerie del tutto simili a quelle che si osservano nelle tombe di Saqqara.

Immagine n. 34 La tomba di Khasekhemwuy, qui ripresa da sud, fu ampliata in molteplici fasi, al termine delle quali arrivò a contare 56 magazzini. La camera reale fu la prima a essere scavata nella roccia. A sud-ovest una rampa conduceva verso l’apertura del wadi, considerata l’ingresso dell’Aldilà (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 76-77).

In un ulteriore rimaneggiamento fu realizzata una camera sepolcrale, rivestita in arenaria, sotto il livello del pavimento di quella centrale. Questa nuova sala è profonda 1,80 metri e misura 5,25×3,20 metri (10×6 cubiti) ed il suo asse longitudinale giace circa 1 metro a ovest dell’asse della vecchia camera. Probabilmente, l’ambiente era rivestito con piccole lastre di pietra, alcune delle quali sono state ritrovate sul pavimento, e la copertura doveva poggiare sul tetto di un tabernacolo ligneo eretto all’interno della camera stessa. Quando la sala, dopo il funerale, fu sigillata, venne ricoperta da uno strato di fango e resa invisibile. Nell’estensione meridionale del pozzo della tomba, verosimilmente predisposta per un ulteriore ampliamento, è presente, nell’angolo sud-orientale, una piccola rampa che conduce verso la superficie del deserto. Il suo orientamento suggerisce che fungesse da via di uscita per il sovrano rinato verso l’apertura dello wadi come nel caso del varco che circondava le file di sepolture accessorie nella tomba di Den.

Immagine n. 35 Sezione e Pianta della tomba di Khasekhemwy (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 77).

Della sovrastruttura non è rimasta alcuna traccia, ma alcuni dettagli suggeriscono che potesse trattarsi di un enorme tumulo oppure di una mastaba che si elevava al di sopra del livello del deserto. Le camere settentrionali e meridionali hanno conservato la loro altezza originaria (2,35 metri) e non presentano tracce di deformazione, mentre i vani della parte mediana hanno un aspetto molto irregolare determinato da crolli che ne hanno ridotto l’altezza da circa 2,30 metri a 1,20-1,50 metri. Sicuramente questi ambienti furono sottoposti all’enorme pressione esercitata dal tetto che li fece slittare lateralmente quando assorbirono umidità.

Petrie ipotizzò che le pareti furono costruite con mattoni prodotti da poco e non ancora perfettamente essiccati, ma la congettura appare poco probabile in quanto tali pareti appartengono a fasi costruttive diverse. La ragione è da ricercarsi in una pressione supplementare sulle camere mediane che molto probabilmente fu causata dalla presenza di un monticello artificiale, costruito al di sopra del livello del deserto, in cima allo strato di 5 metri di sabbia di riempimento. Il peso di questa massa, dovette provocare i suoi effetti già poco tempo dopo la costruzione della tomba, allorquando il verificarsi di intense piogge causò infiltrazioni tali da raggiungere la muratura. Blocchi di calcare, trovati sparsi all’intorno del sito e caratterizzati dallo stesso tipo di finitura dei blocchi litici della camera, suggeriscono che la sovrastruttura avesse una copertura in pietra.

Dato l’incremento del numero di magazzini, la tomba doveva contenere un’enorme quantità di beni: migliaia di giare in vasellame, contenenti birra, vino e olio; recipienti in rame e in pietra, alcuni dei quali dotati di coperchi in oro (Immagine n. 36); ceste e cassette per contenere pane, carne, frutta e verdura.

Immagine n. 36 I magazzini della tomba di Khasekhemwy contenevano migliaia di vasi in pietra e di terracotta. Alcuni recipienti con chiusure in oro furono scoperti da Petrie sotto i muri crollati e perciò sfuggiti alle razzie. Museo del Cairo. (© Günter Dreyer Le Tombe della I e II Dinastia ad Abydo e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pag. 76).

Nei vani a est della camera del re, Émile Amélineau trovò i resti di due scheletri; poiché, nell’intero complesso non ci sono ambienti sepolcrali sussidiari, è molto probabile che provenissero dalla sepoltura originaria.

Fonti:

  • Günter Dreyer, Le tombe della I e II Dinastia ad Abido e Saqqara ne “I Tesori delle Piramidi” a cura di Zahi Hawass, pagg. 62-67
  • Franck Monnier “L’Univers Fascinant des Piramides d’Égypte”, pagg. 24-25
  • Franco Cimmino: Dizionario delle dinastie faraoniche pagg.55-56 (per la nota a piè di pagina)
  • Francesco Raffaele, Istituto Universitario Orientale di Napoli, Agosto 2002, Saqqara monumenti proto dinastici dinastie 1-3