C'era una volta l'Egitto, III Periodo Intermedio, XXI Dinastia

IL FARAONE PSUSENNES II

Di Piero Cargnino

Titkheperura Setepenra è il praenomen dell’ultimo faraone della XXI dinastia e significa “Immagine della trasformazione di Ra, scelto da Ra”. Il suo nomen era Pasebakhaenniut-Meriamon col significato di “La stella che appare nella città di Tebe, amato da Amon”. Nomi così altisonanti per un sovrano che Manetone, secondo Sesto Africano, chiama semplicemente Psusennes e del quale conosciamo ancora meno che dei suoi immediati predecessori.

Pasebakhaienniut meriamon

Non risulta da alcune fonti l’esistenza di eventuali legami di parentela col suo predecessore Siamon; la sua legittimazione al trono potrebbe derivare da un matrimonio con una rappresentante della famiglia reale. Manetone gli attribuisce un regno di 14 anni ma tale periodo non trova concorde l’egittologo Rolf Krauss il quale gliene attribuisce 24 in più di quanto dato da Manetone. La sua ipotesi si fonda sull’interpretazione delle iscrizioni riportate sulla “Stele di Dakhla”, scritta in geroglifico e datata al tempo del faraone Sheshonq I, dove viene citato che i pozzi dell’oasi, unitamente ai terreni, furono regolarmente accatastati dal sovrano Psusennes II e Sheshonq chiede all’oracolo di Seth di sedare una disputa sulla proprietà dell’acqua di un pozzo.

  

E’ stata avanzata da alcuni l’ipotesi che Psusennes II sia il sovrano al quale il principe libico Sheshonq di Heracleopolis, futuro Sheshonq I, abbia chiesto il permesso per instaurare un culto funebre, ad Abydos, in onore di suo padre Nemrod (o Nimlot). Psusennes II, dopo il parere favorevole dell’oracolo di Amon, diede il permesso concedendogli pure l’ereditarietà dei titoli paterni.

Una figlia di Psusennes II, Maatkara, andò in sposa ad Osorkon che succederà poi al padre Sheshonq I sul trono.

Parlando del faraone precedente, Siamon abbiamo accennato al fatto che, secondo l’egittologo britannico Kenneth Kitchenn, Siamon sarebbe lo sconosciuto faraone che avrebbe concesso in sposa la figlia al re di Giuda e Israele Salomone, (I Re; 3:1). Altri egittologi sostengono che fu invece un’altra principessa, figlia di Psusennes II, ad andare in sposa a Salomone. Come al solito, finché non sarà possibile dimostrare chi ha ragione noi prendiamo atto di entrambe la teorie.

A complicare ulteriormente questo già confuso periodo salta fuori un secondo Psusennes, “Primo Profeta di Amon” discendente da Heritor, convenzionalmente identificato dagli storici moderni con l’ordinale III. E qui saltano fuori gli egittologi che normalmente non sono mai d’accordo tra di loro. Secondo Karl Jansen Winkeln, che interpreta un graffito proveniente dal tempio di Abydos, dove sarebbe contenuta la titolatura di questo sovrano che viene citato come “Primo Profeta di Amon” e “Supremo comandante militare”,  da ciò si dedurrebbe che Psusennes III sia stato re a Tanis e sacerdote a Tebe contemporaneamente avendo quindi di fatto il controllo su tutto l’Egitto. Questo porta a credere che ci siano stati due Psusemmes il II ed il III. Altri studiosi però, allineati con l’egittologo tedesco Jurgen von Beckerath, ritengono che ci si riferisca alla stessa persona che  dopo aver ricoperto il ruolo di “Primo Profeta” abbia esteso il suo potere fino al Basso Egitto autoproclamandosi sovrano dell’intero Egitto.

  

Un graffito in ieratico scoperto nel tempio di Ptah ad Abydos identifica Pasebakhaenniut come Re dell’Alto e Basso Egitto, Alto sacerdote di Amon-Ra (non Primo Profeta) e capo dell’esercito. Ovviamente la controversia se Psusennes II e Psusennes III siano la stessa persona rimane ancora aperta. Non  si sa dove Psusennes II abbia fatto costruire la sua tomba e dove sia realmente sepolto anche se il ritrovamento di un sarcofago contenente una mummia nell’anticamera della tomba tinita di Psusennes I farebbe pensare che gli appartenga.

Con Psusennes II finisce così la XXI dinastia e finiscono i faraoni egiziani, la XXII dinastia vedrà sul trono delle Due Terre i faraoni libici anche se quasi completamente integrati nella cultura egizia.  

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alan Gardiner e  R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
  • Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”,  Verona, Mondadori, 1980
  • Nicholas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
  • Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
  • George Goyon,  “La scoperta dei tesori di Tanis”, Pigmalione, 2004
C'era una volta l'Egitto, III Periodo Intermedio, XXI Dinastia

IL FARAONE SIAMON

Di Piero Cargnino

Stando quindi a Manetone, Sesto Africano colloca questo faraone come successore di Amenemope che però viene chiamato Psinaches, con ogni probabilità è lo stesso Siamon al quale vengono attribuiti 9 anni di regno.

Come già accennato in precedenza non esiste alcuna notizia di eventuali legami di parentela con il suo predecessore Osorkon il Vecchio.  In seguito alla scoperta di un’iscrizione sul frammento 3B righe 3-5 degli Annali dei sacerdoti recante la data “anno 17 mese shemu…….” (il giorno non è indicato), dove viene riportata l’iniziazione di Hori, figlio di Nespaneferhor, al sacerdozio, ha portato gli egittologi a pensare che gli anni fossero in realtà 19. In quella iscrizione compare per la prima volta il titolo di “faraone” che viene attribuito direttamente al sovrano.

Secondo l’egittologo tedesco Rolf Krauss l’anno citato dovrebbe corrispondere al 970 a.C.. Da ciò si deduce che Siamon avrebbe regnato dal 986 a.C. al 967 a.C.

In quanto a costruttore dobbiamo riconoscere che Siamon fu piuttosto attivo in modo particolare nel Basso Egitto, a Tanis si dedicò al tempio di Amon dove compì lavori significativi come pure nel tempio di Horo di Mesen. La sua attività si estese anche a Eliopoli, Pi-Ramses ed in particolare a Menfi dove fece eseguire lavori in favore del clero di “Amon dei lapislazzuli” e di Ptah. Scarsa, o quasi nulla, ogni documentazione di suoi eventuali interventi nella Tebaide.

Tra i pochi oggetti a lui attribuiti ci è pervenuta  una piccola sfinge in bronzo con niellatura in oro oggi conservata al Museo del Louvre.

Nel periodo in cui regnò Siamon il saccheggio delle tombe aumentò notevolmente tanto che nel decimo anno del suo regno, con l’ausilio dei sacerdoti di Amon, venne deciso di recuperare il maggior numero di sarcofagi e mummie possibile e collocarle in un ambiente dove fosse più possibile sorvegliarle, venne deciso di collocarle in quella che oggi chiamiamo DB320, la cachette di Deir el-Bahari che verrà poi scoperta da Gaston Maspero nel 1881.

Statua di Siamon, Met Museum

Rimane oscuro invece il motivo per cui decise di trasferire i resti di un suo predecessore, Amenemope, nella camera funeraria della regina Mutnodjemet, nella tomba di Psusennes I la NRT III.

Siamon stesso venne ritrovato in quella tomba, precisamente nell’anticamera, identificato grazie ad alcuni ushabti. La sua tomba originale non è mai stata trovata.

  

L’egittologo britannico Kenneth Kitchen ha formulato un’ipotesi interessante e quanto meno curiosa, secondo lui Siamon sarebbe da identificare con l’anonimo faraone citato nella Bibbia che avrebbe concesso in sposa la figlia al re di Giuda e Israele Salomone, (I Re; 3:1); Kitchen cita a sostegno della sua tesi un rilievo rinvenuto a Tanis.

In effetti durante il regno di Siamon l’Egitto, o forse solo il Basso Egitto, manteneva ancora interessi, e probabilmente relazioni commerciali con i popoli asiatici. Stando sempre al racconto biblico del Libro dei Re Siamon potrebbe essere sempre lui il faraone citato in I Re; 11:19 che diede in sposa la sorella di sua moglie, Tacheperes, al principe edomita Hadad rifugiato in Egitto. Ovviamente si tratta di supposizioni, non è semplice far coincidere la Bibbia con l’Egitto.  

  

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alan Gardiner e  R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
  • Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”,  Verona, Mondadori, 1980
  • Nicholas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
  • Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
  • George Goyon,  “La scoperta dei tesori di Tanis”, Pigmalione, 2004
C'era una volta l'Egitto, III Periodo Intermedio, XXI Dinastia

IL FARAONE OSORKON IL VECCHIO

Di Piero Cargnino

Conosciamo questo oscuro faraone solo grazie al solito Manetone, secondo la versione di Sesto Africano, anche se per un certo periodo gli studiosi pensarono ad una svista da parte degli epitomatori dello storico greco che lo avessero confuso con uno degli Osorkon della XXII dinastia.

Grazie agli studi di Eric Young sugli annali di Karnak nel 1963 si scoprì il resoconto dell’investitura di un sacerdote di nome Nespaneferhor avvenuta durante il regno di un certo Aakheperra-setepenra  e, nella generazione successiva, l’investitura del figlio di Nespaneferhor nel 17º anno di regno di Siamon, da ciò si deduce che Siamon doveva essere il successore di Aakheperra-setepenra che, secondo Young, sarebbe il praenomen dell’Osorkon manetoniano.

All’epoca però l’ipotesi venne contestata da molti studiosi. In seguito si pensò che questo Osorkon fosse un figlio di Sheshonq il Vecchio, “Grande Capo dei Ma(shuash)” e di sua moglie Mehetenweshkhet. La conferma arrivò nel 1976 da Jean Yoyotte che interpretò un documento genealogico dove era citato un re di origine libica di nome Osorkon figlio di Sheshonq la cui sposa  Mehetenweshkhet portava il titolo di “Madre del Re”. Poiché non è conosciuto nessun altro Osorkon che sia figlio di una Mehetenweshkhet non ci sono dubbi che si tratti proprio di Aakheperra-setepenra Osorkon al quale è stato attribuito l’epiteto “il Vecchio” per non confonderlo con il suo pronipote Osorkon I.

Chiarito di quale Osorkon stiamo parlando non siamo però in grado di descrivere gli avvenimenti del suo regno perché non sappiamo nulla. Accettiamo per buono quello che ci riporta Sesto Africano il quale gli assegna 6 anni di regno e lo colloca tra Amenemope ed un certo Psinaches, probabilmente Siamon. Stando a Yoyotte, che parla di un re di origine libica, e non conoscendo il rapporto di parentela col suo successore Siamon, si può pensare che la sua ascesa al trono preluda alla XXII dinastia che vedrà sul trono egizio faraoni di origine libica. 

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alan Gardiner e  R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
  • Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”,  Verona, Mondadori, 1980
  • Nicholas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
  • Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
  • George Goyon,  “La scoperta dei tesori di Tanis”, Pigmalione, 2004
C'era una volta l'Egitto, III Periodo Intermedio, XXI Dinastia

IL FARAONE AMENEMOPE

Di Piero Cargnino

Per maggiori dettagli sui tesori di Amenemope vedi anche: L’ORO DI TANIS

Probabilmente Amenemope Usermaatre era un figlio di Psusennes I e della Grande sposa Reale Mutnodjrmet, anche se non c’è la certezza, e come lui si proclamò Primo Profeta di Amon a Tanis e la sua autorità era pienamente riconosciuta anche a Tebe. Questa fu una prerogativa che questi due sovrani adottarono per ribadire la supremazia del faraone su Tebe.

In questo periodo Tebe era governata dal Sommo Sacerdote di Amon Smendes II al quale successe il fratello Pinedjem II. In questa giungla di faraoni e profeti che si succedono e spesso si accavallano non è sempre facile riportare le scarse notizie di cui si dispone, ma da esse è interessante interpretarne il significato, forse Amenemope non ebbe grandi meriti ma sicuramente dovette possedere la saggezza. In un suo detto afferma:

Da Sesto Africano apprendiamo che Manetone lo chiama Amenophithis e gli assegna 9 anni di regno. Oggi gli studiosi concordano con questa durata me c’è stato un periodo in cui regnava il dubbio, ciò era dovuto al ritrovamento di una benda di lino sulla quale compariva il suo nome abbinato ad una eccessiva ed improbabile durata di 49 anni di regno. Gli studiosi sono piuttosto propensi ad attribuire tale durata al Primo Profeta di Amon Menkheperre che morì all’epoca dell’incoronazione di  Amenemope.

Ebbe sicuramente una certa attenzione verso l’attività edilizia, sappiamo che contribuì, proseguendo con la decorazione della cappella di Iside “Maestra delle Piramidi di Giza”, attività che era già stata iniziata dal padre, da cui proviene un blocco recante il suo cartiglio e fece un’aggiunta a uno dei templi di Menfi. Non risulta che abbia avuto mogli ne figli.

E’ decisamente impossibile stabilire una linea di parentela tra Amenemope ed i suoi due successori, Osorkon il Vecchio e Siamon. Il primo potrebbe essere stato il figlio di Sheshonq il Vecchio; di Siamon sappiamo che fece trasferire la mummia ed il corredo funerario di Amenemope dalla sua tomba originale , TT41, a quella di Psusenne I nella camera funeraria che fu di sua madre la regina Mutnedjemet.

E’ appunto nella tomba NRT III che Pierre Montet trovò il corredo funerario ed un sarcofago che recava il nome di Amenemope. Il sarcofago ligneo interno era decomposto da tempo, a causa dall’umidità dei sotterranei e presentava solo più le parti dorate. Grazie a queste parti è stato possibile ripristinare la maschera del sarcofago che possedeva occhi di ossidiana ed un ureo d’oro massiccio intarsiato con corniola e lapislazzuli. All’interno una mummia ormai ridotta ad uno scheletro con indosso la stupenda maschera dorata oltre a vari ushabti e diversi gioielli.

La maschera si presenta molto semplice, sulla fronte l’ureo presenta un lungo corpo sinuoso che discende dal copricapo e si avvolge su se stesso prima di sollevare la testa. La sua tomba originaria, TT41 scavata sempre da Montet si rivelò del tutto vuota tranne un sarcofago esterno in quarzite decorato e riportante il nome del re, il coperchio in granito risultò essere un’architrave risalente all’Antico Regno. Secondo l’analisi del suo scheletro, eseguita dal dottor Douglas Derry,  si è potuto stabilire che il faraone era claudicante e morì in età avanzata a causa di una meningite.

Fonti e bibliografia:

  • Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alan Gardiner e  R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
  • Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”,  Verona, Mondadori, 1980
  • Nichelas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
  • Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
  • Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
  • Erik Hormung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandini, ET Saggi, Torino, Einaudi, 2004
  • Henri Stierlin, “Egitto, un’arte per l’eternità” , Ed. Milano, 2003 
  • George Goyon,  “La scoperta dei tesori di Tanis”, Pigmalione, 2004
C'era una volta l'Egitto, III Periodo Intermedio, XXI Dinastia

IL FARAONE PSUSENNES I

Di Piero Cargnino

Per maggiori dettagli sui tesori di Psusennes I vedi anche: L’ORO DI TANIS

Alla morte di Amenemnesut gli succede Pasibkhanu (o Pasebakennu) che significa “L’Astro è apparso sulla città [di Tebe]” che Manetone ellenizza in Psusennes.

Il terzo faraone della XXI dinastia assume il nome regale di Akheperra-Setepenamon “Grandi sono la manifestazioni di Ra-Scelto da Amon”. Suo padre era il Primo Profeta di Amon Pinedjem I il quale aveva preso in moglie la figlia di Ramses XI e della regina Tentamon, Henuttaui. Sua Grande Sposa Reale fu la sorella Mutnodjemet.

Per quanto tempo abbia regnato Psusennes I non ci è dato a sapere con precisione, unico riferimento sono le Aegyptiaka di Manetone, tramandateci dai suoi epitomi che però sono discordanti variando da 41 a 46 anni. Secondo alcuni egittologi la durata del regno di Psusennes I sarebbe invece di una cinquantina d’anni, questo in base a iscrizioni coeve che fanno riferimento ad un 48º e un 49º anno di regno di un sovrano anonimo nell’Alto Egitto.

  

Con questo faraone possiamo dire che l’Egitto godette di una certa stabilità politico-economica in un’epoca caotica come il Terzo Periodo Intermedio. Durante il suo lungo regno Psusennes I fece circondare la necropoli di Tanis da una grande cinta muraria oltre ad edificare tre templi dedicati a Khonsu, Mut e Amon. Psusennes I si fece costruire la tomba nella necropoli di Tanis, la NRT III. Si tratta di un’enorme tomba che accoglie, oltre al faraone, anche la Grande Sposa Reale Mutnodjemet, che probabilmente proveniva dall’Assiria, lo testimonia un collare in lapislazzuli, i figli Amenemope e Ankhefenmut oltre al generale Uendjebauendjed. Nella stessa tomba furono trasferite in seguito anche le mummie di Psusennes II e Siamon oltre al sarcofago di Sheshonq II.

  

Scoperta nel 1939 da Pierre Montet, la tomba NRT III è tra le poche sepolture ritrovate intatte, non presentava alcun segno di effrazione. E’ delimitata da un vasto perimetro formato da enormi lastre di granito che costituiscono la parte principale della struttura mentre la parte nord-occidentale è formata da lastre più piccole disposte perpendicolarmente all’asse generale.

Il pozzo di accesso alla tomba è coperto con altre piccole lastre. Rimosse le lastre il pozzo sembra essere riempito con della terra accumulata nei secoli, rimossa la terra sotto appare un tampone formato da grossi blocchi ammucchiati e impastati con sabbia. Al di sotto si trova la porta murata ma completamente intatta, liberata dai detriti la porta, dopo un breve corridoio, da accesso all’anticamera. La stanza è decorata con rilievi che riportano i nomi di Psusennes I ed è interamente occupata da corredi funerari provenienti da diverse tombe ammucchiati senza pretese per preservarli dai ladri.

Su di una piattaforma composta da grandi blocchi di granito che denotano una sistemazione frettolosa, poggia un massiccio sarcofago ieracocefalo d’argento massiccio; si scoprirà poi che apparteneva al faraone Sheshonq II e conteneva ancora la mummia del re ormai ridotta ad uno scheletro, ma ancora ricoperta di tutti i gioielli che erano stati posti sul corpo e tra le fasce mancanti. Sul volto di Sheshonq II era stata posta una maschera d’oro massiccio; ai piedi della piattaforma c’erano i vasi canopi contenenti quattro piccoli sarcofagi in argento massiccio che in passato avevano ospitato le sue viscere. Intorno ad esso i resti di tre sepolture secondarie ormai decomposte nel tempo e per le cattive condizioni di conservazione. Due sarcofagi in legno un tempo dorato, contenevano al loro interno due mummie ridotte a scheletri dei quali, grazie ai loro ushabti è stato possibile stabilire che i due erano Siamon e Psusennes II, uno dei quali era ancora in possesso del suo “scarabeo del cuore”.

  

Intorno sono ammucchiati centinaia di gioielli, bracciali, copridita, collane, pettorali, piatti, bastoni, vasi canopi, ushabti ed altri resti delle dotazioni funerarie rinvenute dai saccheggi di altre tombe e riposti qui per preservarli. Purtroppo il clima umido del Basso Egitto non è certo adatto a conservare i reperti, la maggior parte di quelli deperibili era ormai scomparsa o estremamente danneggiata. Attraverso un passaggio si accede ad altre tre stanze, quella del figlio di Psusennes I Ankhefenmout, quella dello stesso Psusennes I ed infine quella di sua moglie, la regina Moutnedjemet; In quest’ultima stanza verrà sistemato in seguito l’effimero re Amenemope.

  

La camera funeraria di Psusennes I consiste in una stanza di cinque metri per due, costruita interamente in granito, in fondo alla quale si trova il massiccio sarcofago reale, intatto. La camera si presenta interamente occupata da una montagna di stoviglie in metallo prezioso, centinaia di ushabti, quattro vasi canopi e vasi di alabastro. Lo studio di questi reperti ha dimostrato che molti oggetti risalivano a tempi molto precedenti al regno di Psusennes I, su di un braciere in bronzo era evidente il cartiglio di Ramses II.

Il massiccio sarcofago esterno in granito era appartenuto a Merenptah, figlio e successore di Ramses II, provenendo quindi dalla Valle dei Re. Prova questa che i faraoni della XXI, ma forse già della XX dinastia non avevano disdegnato di riutilizzare questo patrimonio saccheggiando le tombe dei loro predecessori. All’interno del primo si trovava un secondo sarcofago usurpato ad un nobile del Nuovo Regno il cui nome era stato cancellato e sostituito con quello di Psusennes I.

L’intera mummia era ricoperta da una corazza che proteggeva il busto, il bacino e le gambe ed era stata realizzata con foglia d’oro cesellata col nome del re. Intatta era la sua maschera funeraria d’oro massiccio e lapislazzuli con occhi e sopracciglia in vetro nero e bianco, di rara maestria ed eleganza, è stata definita “uno dei capolavori del tesoro di Tanis”; a differenza di quella di Tutankhamon non porta iscrizioni; è alta 48 centimetri e larga 38, oggi è conservata al Museo Egizio del Cairo.

  

Questo conteneva un terzo sarcofago mummiforme, nel quale era riposta la mummia di Psusennes I, dove il sovrano compariva in stile rishi con il nemes ed un ureo d’oro, il sarcofago, creato appositamente per lui era interamente in argento massiccio con inserti in oro inciso e inscritto con il nome del re. Ora, poiché in Egitto l’argento era assai più raro dell’oro, sorprende che in un simile periodo di declino dell’Egitto si sia fatto sfoggio di cotanta ricchezza.

La mummia di Psusennes I fu esaminata nel 1940 dall’anatomista e antropologo britannico Douglass Derry, e dallo scheletro ritenne che il sovrano sia morto in età avanzata. Fu subito evidente, come per la gran parte degli egiziani, che la dentatura si presentava molto cariata con un ascesso che aveva lasciato un buco nel palato, emerse anche  una grave artrite che negli ultimi anni lo lasciò quasi paralizzato. L’egittologo statunitense Bob Brier, che ha esaminato a fondo la mummia di  Psusennes I, così la descrive:

Fonti e bibliografia:

  • Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alan Gardiner e  R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
  • Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”,  Verona, Mondadori, 1980
  • Nichelas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
  • Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
  • Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
  • Erik Hormung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandini, ET Saggi, Torino, Einaudi, 2004
  • Bob Brier, “The Encyclopedia of Mummies”, Checkmark Books, 1998
  • Henri Stierlin, “Egitto, un’arte per l’eternità” , Ed. Milano, 2003 
  • George Goyon,  “La scoperta dei tesori di Tanis”, Pigmalione, 2004
C'era una volta l'Egitto, III Periodo Intermedio, XXI Dinastia

IL FARAONE AMENEMNESUT

Di Piero Cargnino

Per molto tempo nulla si sapeva di un faraone che, secondo Sesto Africano, Manetone porrebbe al terzo posto della XXI dinastia e lo chiama Nephercheres, chiaramente una traslitterazione greca del nome di Neferkara e gli assegna una durata di regno di quattro anni.

Premesso che del suo regno non si conosce nulla quindi Manetone dixit, ma in effetti non è così, è stato rinvenuto un rilievo dove un sacerdote della XXII dinastia scrive che un suo antenato di 15 generazioni precedenti visse ai tempi di Amenemnesut mentre un altro di una generazione successiva visse sotto Psusennes I. Di fronte a questa affermazione non si può far altro che pensare che Manetone, come spesso gli succede, abbia sbagliato l’ordine delle successioni portando quindi a credere che Amenemnesut sia stato il secondo, e non il terzo sovrano della XXI dinastia.

Secondo alcuni  Amenemnesut sarebbe stato il figlio di Smendes I, secondo altri potrebbe essere stato il figlio del Primo Profeta di Amon Herithor e di sua moglie Nodimet. Supposizioni che al momento non trovano riscontri.

L’enigma per questo faraone stava anche nel fatto che per il periodo indicato non risultava nessun faraone con quel nome. Ma come si sa l’Egitto è pieno di sorprese; nel 1940 l’egittologo Pierre Montet scoprì la tomba di Psusenne I e, frugando tra i vari reperti contenuti  all’interno di essa, gli capitarono tra le mani due guaine d’oro, di quelle che vengono poste alle estremità di un arco. Le guaine riportavano su di esse, oltre ai cartigli del titolare della tomba anche quelli di Neferkara-Hekauaset Amenemnesut-Meriamon, ciò permise quindi di identificare Amenemnesut con il Nephercheres citato da Manetone. In base al fatto che i loro cartigli compaiono appaiati sugli oggetti aurei prima citati, qualcuno ha suggerito che tra Amenemnesut e Psusennes I ci sia stata una coreggenza; anche qui si tratta di pure supposizioni.     

Fonti e bibliografia:

  • Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alan Gardiner e  R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
  • Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”,  Verona, Mondadori, 1980
  • Nichelas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
  • Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
  • Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
  • Erik Hormung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandini, ET Saggi, Torino, Einaudi, 2004
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IL FARAONE SMENDES I

Di Piero Cargnino

Io continuerò a chiamarli pomposamente faraoni in segno di rispetto per quello che fu l’Egitto ma costoro non sono faraoni, due potentati divisi ma che non si combattono, uno a nord ed uno a sud, mentre una pletora di piccoli reucci, visir, governanti o sommi sacerdoti si contrappongono per contendersi un pezzo di terra dove potersi sentire quasi indipendenti.

Questo periodo della storia egizia si manifesta in un modo totalmente nuovo e inatteso, in quanto vige un fondamentale dualismo. In mancanza di descrizioni della fase iniziale del Terzo Periodo Intermedio ci viene in aiuto il citato “Papiro di Mosca 120” (o Papiro Puixkin 120) scritto in ieratico, nel quale è riportato “Il viaggio di Wenamun”, lo sventurato messaggero. Si parla di due capitali distinte che si dividevano l’Egitto, Tebe a sud e Tanis a nord in perfetta armonia e spirito di collaborazione. Certo che l’assenza di un vero faraone non poteva essere tollerata a lungo per cui Nesbanebdjed, che significa “Colui che appartiene all’Ariete di Djede” (Djede era l’importante città di Mendes), si decise ad agire.

I cartigli di Smendes I 

Manetone, secondo Sesto Africano, lo chiama Smendes (corruzione greca dell’egiziano Nesbanebdjed) nome che parrebbe suggerire la sua provenienza dalla città di Mendes nel Delta e lo pone come precursore della XXI dinastia dei sovrani di Tanis. Potente visir del Basso Egitto durante il regno di Ramses XI regnava a Pi-Ramses e governava su questo territorio con l’approvazione del clero tebano, ormai più influente del sovrano stesso.

Smendes non tardò a pretendere i suoi diritti, che in realtà non possedeva, ma probabilmente col suo forte carattere riuscì, senza colpo ferire, ad imporsi ed a farsi accettare (almeno formalmente) come l’unico sovrano legittimo. Questo avvenne forse anche in virtù di uno strano collegamento con Tentamon il cui nome compare sempre collegato al suo nel racconto di Wenamun, sicuramente fu lei l’anello di congiunzione fra Tebe e Tanis.

Appare però alquanto strano che Tebe, dove ora il Primo Profeta di Amon era Pinedjem I, abbia accettato così supinamente la supremazia di Tanis. Questo forse fu dovuto al fatto che Pinedjem I ricevette in sposa la principessa Henuttawy, figlia di Smendes. Pinedjem I rinunciò, per il momento, ad attribuirsi una titolatura reale e da allora i documenti redatti a Tebe non vennero più datati alla “Ripetizione delle nascite” istituita da Herihor.

Del regno di Smendes rimane un’iscrizione ormai deteriorata su di un pilastro nella cava di Gebelein dove si racconta che questo sovrano, mentre si trovava a Menfi, decise di farsi onore con un atto di amicizia verso il sud, Informato che un porticato costruito da Tutmosi III a Luxor veniva spesso sommerso da inondazioni che raggiungevano il tetto ed alcuni altri edifici necessitavano di lavori di restauro, inviò una spedizione di 3000 uomini alle cave di Gebelein per estrarre le pietre necessarie ai restauri.

Durante il regno di Smendes  Pinedjem si dedicò per oltre una quindicina di anni ad effettuare lavori  di restauro di numerose mummie reali che vennero poi riposte nella tomba KV35 di Amenhotep II.

Nel 16° anno di regno di Smendes improvvisamente  Pinedjem abbandonò la carica di Primo Profeta di Amon, che lasciò al figlio Masuharte, ed assunse i titoli regali, i suoi cartigli sono stati rinvenuti un po’ ovunque in Egitto compresa Tanis. Peggiorarono in questo periodo i rapporti già tesi con i  principati semi-indipendenti, di origine libica che occupavano alcune oasi del deserto occidentale. Sesto Africano, che riporta il solito Manetone, attribuisce a Smendes un regno di circa 26 anni che parrebbe confermato da riscontri archeologici.

Della sua morte non si sa nulla, non è mai stata trovata la sua tomba né la mummia. A questo punto parlare di successione si fa sempre più arduo, possiamo dire che la sua posizione fu quasi sicuramente occupata da Amenemnesut, forse suo figlio.

Fonti e bibliografia:

  • Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alan Gardiner e  R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
  • Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”,  Verona, Mondadori, 1980
  • Nichelas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
  • Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
  • Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
  • Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
  • Erik Hormung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandini, ET Saggi, Torino, Einaudi, 2004
Mai cosa simile fu fatta, XXI Dinastia

TANIS

Tanis pianta dell’area templare
1 Grande Tempio di Amon
2 tempio di Nakhtnehef
3 Lago sacro
4 Tempio Est
5 Tempio di Horus
6 Necropoli reale
7 Porta monumentale
8 Porta del Nord
9 Cortile
10 Porta Est
11 Porta del Sud
12 Grande Recinto
13 Recinto di Psusennes
14 Grande recinto anteriore
15 Tempio di Anta
16 Tempio di Tolomeo IV
17 Chiostro

Tanis ( Za’ net in Egiziano Antico) capitale del XIV nomo del Basso Egitto, è situata sul lato orientale del delta del Nilo, circa 130 chilometri a nord-est del Cairo e a 50 dal Mediterraneo.

L’individuazione del sito si deve alla spedizione napoleonica, mentre nel 1825 il francese Rifaud, che qui compí i primi scavi archeologici, rinvenne due grandi sfingi in granito rosa conservate al Museo del Louvre.

La foto mostra dei blocchi sparsi è il portale di accesso al complesso templare di Amon, a Tanis. Il grande tempio di Amon ha un asse maggiore che misura 400 metri e anche oggi, come nel passato, l’accesso principale al recinto sacro si trova a ovest, dove si attraversa la porta monumentale della foto, che fu costruita nel regno di Shesonq III ( XX Dinastia) e che oggi appare come un maestoso accumulo di rovine immense parzialmente restaurate e ricoperte da bassorilievi, il tutto fiancheggiato da colossali statue e triadi. 

D’allora in avanti i lavori sono continuato ininterrottamente, diretti da eminenti egittologi quali Mariette, Petrie, P. Momtet e J. Youotte.

Queste campagne di scavo hanno portato alla luce prevalentemente reperti databili dalla XXI Dinastia sino all’epoca Tolemaica.

In primo piano la tomba originaria incompiuta di Amenemope, dietro si vede il gruppo principale della necropoli con le pareti esterne delle tombe di ( da sinistra) :Psusennes I, Amenemope, Osorkon II e Hornekht ( oltre l’angolo della costruzione, al centro della foto).

La casuale scoperta di resti d’epoca ramesside e di periodi precedenti fece ipotizzare che questa fosse la biblica città di Pi-Ramses, l’enigma è stato in parte chisrito: pare ormai certo che i blocchi di epoche antecedenti fossero stati trasportati a Tanis per essere usati come materiale da costruzione per i monumenti locali, secondo una prassi molto usata dagli antichi egizi.

La principale ragione di interesse del luogo è costituita dal grande tempio di Amon, protetto da una cinta rettangolare di mattoni che misura 430 x 370 metri.

Davanti al pilone del tempio si ergono un gruppo statuario e un colosso di Ramses II.

All’interno di questa, è in parte coincidente con la prima, se ne trova una seconda, i cui mattoni riportanoinciso il nome del faraone Psusenne I (XXI Dinastia).

Al centro sorgeva il Grande Tempio di Amon, oggi ridotto a una distesa di colonne, obelischi e statue di differenti epoche con iscrizioni e motivi decorativi per lo piu risalenti a Ramses II.

Fuori dalla cinta muraria sorge il tempio di Mut e Khonsu anche noto come “tempio di Anta”, e il lago sacro.

Uscendo dalla porta orientale della cinta di Psusennes ci si trova fra le rovine del Tempio Est, interamente costruito in granito.

Nell’angolo sud-est del recinto si trovano i resti del tempio di Horus di Sile, della XXX Dinastia.

L’intera area archeologica tanta è costellata di blocchi di granito figurati, frammenti architettonici e resti monumentali pertinenti ai diversi complessi templari.

Subito dietro si trovano le tracce di mura di cinta colossali e ancora più a est si trova il recinto maggiore, che è interrotto da una porta calcarea di Tolomeo I.

All’interno del recinto sacro di Psusennes, si trova una rara costruzione monumentale interpretata come una probabile rappresentazione simbolica della sacra collina primordiale, la struttura è estremamente interessante poiché fornisce dati preziosi sui particolari riti religiosi legati alla fondazione di un tempio.

Tra i resti del Grande Tempio di Tanis spiccano i frammenti di due colossi in arenaria di Ramses II

L’ l’egittologo tedesco Carl Lepsius nel 1866 scoprí a Tanis un blocco di pietra noto come Decreto di Canopio riportante su un lato un’iscrizione in geroglifici e la traduzione in greco del medesimo testo, l’altro lato è occupato dall’equivalente iscrizione in caratteri demotici.

Frammento sommità le di uno degli obelischi che formavano il Grande Tempio di Amon.

Nel 1939, nell’angolo sud-ovest della cinta muraria interna del tempio di Amon, l’egittologo Pierre Monet fece un ritrovamento che per importanza risultò secondo solo a quello della tomba di Tutankhamon : una necropoli sotterranea con le sepolture reali intatte di Psusenne I, Osorkon II, e Shesonq III ( XX – XXII Dinastia), sono stati ritrovati sarcofagi d’argento, maschere d’oro e gioielli.

Fonte

Antico Egitto – Archeo – Edizioni White Star

Antico Egitto di Maurizio Damiano – Electra

III Periodo Intermedio, Sarcofagi, XXI Dinastia

IL SARCOFAGO DI PAUGIMAIU

A cura di Grazia Musso

Terzo Periodo Intermedio, XXI – XXII Dinastia

Legno, tela stuccato, pittura bianca, rossa, gialla, verde, azzurra e nera – Lunghezza cm 180, larghezza cm 50

Provenienza e acquisizione: Tebe, Spedizione Franco-Toscana 1828- 1829

Inv. N. 2163 Museo Egizio di Firenze.

Il sarcofago, di forma antropoide, presenta l’immagine del defunto con parrucca tripartita, striata a fasce nere e gialle, sormontata da uno scarabeo con disco solare, sul volto è attaccata la barba posticcia rituale.

Sotto un ampio collare usekh decorato con l’immagine di un uccello con testa di ariete e disco solare, ad ali spiegate.

Il coperchio del sarcofago è suddiviso in vari riquadri che racchiudono le immagini di divinità, fra cui si riconoscono Anubi, Thot, Khnum, Iside, Nefis e i quattro figli di Horo, che fiancheggiano la raffigurazione della mummia del defunto distesa sopra il letto funebre; brevi iscrizioni indicano i nomi delle divinità.

Nei primi riquadri il defunto è raffigurato in abito da vivente di fronte al dio Osiride.In corrispondenza dei piedi sono dipinte sette colonne di iscrizione geroglifici con invocazione e formula dell’offerta per il defunto che, senza indicazione di titoli, è definito solo figlio di Mutirrugi.

Mediante otto tenoni il coperchio del sarcofago, che non presenta decorazioni all’interno, si incastra nella cassa, che all’esterno è dipinta di bianco: sul retro è decorata con una grande immagine del pilastro ged, sormontato dalla corona atef, con urei e disco solare. Ai lati simmetricamente è raffigurato il feticcio di Abido seguito da un serpente.

Fonte : Le mummie del museo egizio di Firenze a cura di Maria Cristina Guidotti – GiuntiBibliografia: Rosellini, Breve notizia, p. 78, n. 98 M. C. G.

III Periodo Intermedio, Sarcofagi, XXI Dinastia

IL SARCOFAGO DI TABAKENKHONSU

A cura di Grazia Musso

XXI Dinastia

Legno stuccato e dipinto – Lunghezza coperchio 182 cm. – Lunghezza cassa 178 cm. – C 2226; collezione Drovetti – Museo Egizio di Torino.

L’utilizzo dei sarcofagi risale ai primordi della storia egizia, allorquando comparvero i primi esemplari lignei di forma rettangolare, inizialmente piuttosto corti in quanto dovevano contenere i corpi in posizione rannicchiata, poi più lunghi per la sepoltura dei corpi distesi.

Il passo successivo fu dato dall’introduzione dei così detti sarcofagi mummiformi che a seconda delle epoche, si differenziano per decorazione e stile.

Per i personaggi più abbienti era consuetudine possedere diversi sarcofagi da disporre uno dentro l’altro a protezione della mummia in essi contenuta e in epoca tarda, si diffuse tra le classi ricche anche l’uso del “falso coperchio” : una tavola lignea sagomata come un corpo, da adagiare direttamente sulla mummia.

Il sarcofago appartenuto alla cantatrice di Amon-Ra Tabakenkhonsu mostra lo schema figurativo tipico della XXI Dinastia, dominato da un senso di horror vacui per cui tutto lo spazio a disposizione è riempito da scene e iscrizioni policrome di chiara valenza magico-religioso.

Il volto della defunta, con grandi occhi scuri, è impreziosito da due orecchini a rosetta ed è cinto da una parrucca ornata con fasce decorate e fiori di loto.

Sopra il petto si trova un’ampia collana a più fili di perle sulla quale sono distese le mani scolpite.

La parte mediana del coperchio è dominata dall’immagine di uno scarabeo, emblema del dio Khepri e simbolo di rigenerazione, e da una grande figura della dea del cielo Nut ad ali spiegate, pronta ad accogliere la defunta.

Come da consuetudine, gli occhi della defunta, qui sormontati da folte sopracciglia, sono riprodotti con grande realismo e vivacità, in modo da risaltare sul volto di colore giallo, dall’espressione impassibile.

Fonte : I grandi musei : Museo Egizio di Torino – Electra.