Mai cosa simile fu fatta, Sarcofagi, XVIII Dinastia

SARCOFAGI DI AHMES MERITAMON

Di Grazia Musso

PRIMO SARCOFAGO (ESTERNO)

Legno di cedro; lunghezza cm. 313,5, larghezza cm. 87
Deir el-Bahari, tomba rupestre ( TT 358)
Scavi del Servizio delle Antichità Egiziane e del Metropolitan Museum of Art 1929
Museo Egizio del Cairo – JE 53140

L’imponente sarcofago ligneo, che per la ricercatezza di forme ed eleganza stilistica può essere considerato un emblematico monumento scultoreo della XVIII Dinastia, appartenente alla regina Ahmes Meritamon, da alcuni identificata come la moglie di Amenhotep I, da altri come moglie di Amenhotep II.

La defunta, raffigurata con le braccia congiunte sul petto, presenta un volto dall’espressione ieratica, impreziosito da intarsi di pasta vitrea, e incorniciato da una sontuosa parrucca solcata da alveoli dipinti di blu

Al di sotto della collana, la superficie è ricoperta da un motivo geometrico inciso che avvolge il petto e le braccia, lasciando scoperte soltanto le mani, che impugnano due scettri papiroformi, emblema di giovinezza.

Il resto del sarcofago è decorato da lunghe piume incise nel legno, a imitazione delle ali della dea Iside, che proteggono il corpo della defunta.

Questo tipo di decorazione, convenzionalmente definita rishi , dalla parola araba che significa “piumato”, si diffuse a Tebe dal Secondo Periodo Intermedio.

Vedi anche: https://laciviltaegizia.org/…/inner-and-outer-coffin…/

Al centro del coperchio c’è una colonna di geroglifici, un tempo intarsiati di pasta vitrea, contenenti la formula di offerta a beneficio della regina.

Fonte: I tesori dell’antico Egitto nella collezione del museo Egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star

SECONDO SARCOFAGO (INTERNO)

Un volto dai lineamenti delicati, incorniciato da un’ampia parrucca hathorica, ornata sulla fronte da un ureo con disco solare.

SI TROVA AL NMC

Fonte : Le regine dell’antico Egitto a cura di Rosanna Pirelli – Edizioni W Hite Star.

Mai cosa simile fu fatta, Sarcofagi, XVIII Dinastia

SARCOFAGO DI AHMES NEFERTARI

Di Grazia Musso

Legno e tela, lunghezza totale cm 378
Tebe Ovest, Cachette di Deir el-Bahari
Scoperta ufficiale del Servizio delle Antichità Egiziano 1881
Museo Egizio del Cairo – CG 61003

L’enorme sarcofago di Ahmes Nefertari fu rinvenuto nella tomba di Unhapy, consorte del sovrano Ahmes, che fu utilizzata nella XXI Dinastia come nascondiglio in cui porre al riparo dai saccheggi i sarcofagi di alcuni faraoni, membri della famiglia reale e alti sacerdoti.

Ahmad Pasha Kamal e l’enorme sarcofago della regina Ahmes-Nefertari,

Ahmes Nefertari, madre di Amenhotep I, fu la prima regina a ricoprire l’alta carica religiosa di Sposa Divina, diventando poi oggetto di culto nell’area tebana sino agli inizi del I millennio a. C..

Il suo sarcofago ligneo mummiforme era originariamente ricoperto di foglia d’oro, che fu asportato dai ladri già Nell’antichità e sostituita da una vernice color ocra nel corso del restauro effettuato al momento del trasferimento nel nascondiglio.

Il volto dai grandi occhi dipinti, è cinto da una massiccia parrucca sormontata da una corona svasata su cui svettano due alte piume.

La superficie della capigliatura è dell’elaborato copricapo è caratterizzata da alveoli incisi nel legno e campiti di stucco blu.

Un motivo analogo ricopre il busto della Defunta, che sembra cinto da uno stretto scialle scollato.

Le mani, incrociate sul petto, impugna o due grandi croci ankh, emblema di Vita, e i polsi sono cinto da alti bracciali strati, simili alla collana intorno al collo.

Sulla restante superficie del sarcofago sono rappresentate lunghe piume d’uccelo che evocano le ali della dea Iside, secondo una tradizione Tebans diffusa i nel Secondo Periodo Intermedio.

Una lunga colonna di geroglifici, incisa nella parte centrale del coperchio, contiene la consueta formula d’offerta hetep-di-nesut, con cui si invoca ano offerte per il ka di Ahmes Nefertari.

Fonte

I tesori dell’antico Egitto nella collezione del Museo Egizio del Cairo – Edizioni White Star

Sarcofagi, XVIII Dinastia

UN ANTICO ERRORE

Di Andrea Petta

La seconda bara di Maiherpri

La civiltà egizia ci ha abituati ad ammirare oggetti ed edifici di precisione pazzesca per l’epoca, frutto dell’opera di artigiani ed artisti eccezionali.

Però…però ogni tanto qualche errore capitava, e qualcuno bello grosso.

Quello che vedete è la seconda bara in legno dorato di Maiherpri, uno dei “figli del kap” di cui ci sta parlando Luisa Bovitutti nell’ambito degli harem faraonici (vedi anche: MAIHERPRI FIGLIO DEL KAP)

In questo primo piano della testa si vede bene il naso rovinato dopo aver appoggiato il coperchio sottosopra nell’antichità

Di Maiherpri, il cui nome significa “leone del campo di battaglia”, sappiamo poco, se non che era di origine nubiana (la madre era forse una concubina del Faraone?), che visse a cavallo dei regni di Amenhotep II e Thutmosis IV e che morì abbastanza giovane, ma deve essere stato un personaggio notevole se gli è stato permesso di essere sepolto nella Valle dei Re, nella tomba KV36 – scoperta da Loret nel 1899. La tomba era stata saccheggiata (ma non completamente) nell’antichità, e questa bara non era nel sarcofago bensì sul pavimento della camera funeraria con il coperchio, rovesciato, a fianco (è la causa del naso rovinato).

Cosa era successo? Semplicemente la seconda bara era…troppo piccola per accogliere la terza, sempre in legno dorato, ma la cosa fu scoperta solo dopo la processione funebre. Immaginate la scena, nella camera sepolcrale, con la bara interna che non entra…

I sacerdoti preferirono inserire la terza bara direttamente nella prima ed abbandonare la seconda sul pavimento. Peraltro si nota che la stuccatura e la decorazione non furono terminate, probabilmente per la prematura scomparsa di Maiherpri.

Fonte:

Gerges MA and Hosny M. “Revealing the mystery of the Sarcophagus and coffins of Maiherpri; A new publication.” Journal of Association of Arab Universities for Tourism and Hospitality 15.1 (2018): 81-97.

Foto: Merja Attia

Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno, Sarcofagi

I SARCOFAGI DELLA XII DINASTIA

Di Grazia Musso

Sarcofago di Sepi ( particolare) – Deir el-Bersha, tomba di Sepi III (XII Dinastia)
Legno dipinto, Larghezza 65 cm.
Museo Egizio del Cairo – JE 32868
Mentre le pareti interne del sarcofago sono semplici righe di geroglifici, quelle interne sono riccamente decorate con motivi pittorici di grande raffinatezza.
Nella parte inferiore del particolare qui raffigurato compaiono i Testi dei Sarcofagi.

I sarcofagi del Medio Regno presentavano ricche decorazioni che, nell’ambito delle sepolture private, si differenziavano in varie tipologie locali.

La forma e la decorazione pittorica dei sarcofagi derivavano dalla concezione della sepoltura come dimora per l’eternità.

Il tipo di sarcofago più frequente era realizzato assemblando assi lignee rettangolari ed era dipinto all’esterno con motivo architettonici e decorativi tipici dell’edilizia privata.

Nel corso del Medio Regno fecero la loro comparsa I sarcofagi interni antropomorfi, decorati con l’immagine di una mummia avvolta in un lenzuolo di lino, che venivano posti all’interno del sarcofago principale.

Questa tipologia sarebbe diventata la più diffusa nel Nuovo Regno.

Il sarcofago era orientato verso est, spesso all’estremità della testa o vicino ad essa venivano dipinti due occhi, grazie ai quali il defunto poteva simbolicamente guardare verso l’esterno.

Poteva vedere il sole sorgere a est, seguire il viaggio quotidiano del dio Ra.

Sarcofago di Senbi (particolare) -Meir (B1), XII Dinastia
Legno dipinto, Altezza 63 cm, Lunghezza 212 cm
Museo Egizio del Cairo – JE 42948

Questo sarcofago rettangolare simboleggia la concezione della tomba come dimora per l’aldilà.
I particolari architettonici, quali il basamento e i montanti dell’edificio ligneo, la porta a due battenti, le stuoie, i tappeti e le fasce finemente decorate che ornano la facciata , sono resi con grande raffinatezza.
L’artista ha ottenuto un delicato gioco di colori, accentuando le tonalità del bruno-verde e del bruno-rosso, infra Mezzate da zone cromatiche più intense.

Sui sarcofagi veniva spesso raffigurata una falsa-porta, che permetteva all’ “anima” del defunto di uscire e rientrare a suo piacimento.

Tra gli altri motivi decorativi ricorreva anche il cosiddetto fregio degli oggetti di uso comune, messi a disposizione del defunto.

Le pareti interne recavano formule funerarie, la lista delle offerte e i “Testi dei Sarcofagi”, una raccolta di formule che grazie al loro magico potere accompagnavano e proteggevano il defunto nel suo lungo viaggio nell’aldilà.

Fonte

Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konemann

Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno, Sarcofagi

IL SARCOFAGO DI IBU

Di Grazia Musso

XII Dinastia – Calcare, 106 x 98,5 x 264, 5 cm
S. 4264 – Scavi di E. Schiaparelli a Qaw el-Kebir

Nella necropoli di Qaw el-Kebir, situata nel X Nomo ( provincia) dell’Alto Egitto, gli Scavi di Schiaparelli hanno portato alla luce le tombe di tre nomarchi vissuti verso la fine della XII Dinastia, incaricati dal governo centrale della gestione della provincia.

Le loro tombe, già seriamente danneggiate al momento della scoperta, erano costituite da una parte sotterranea, scavata nella montagna, e da una parte costruita esternamente sulle pendici del declivio roccioso.

All’interno di una di queste tombe, appartenuta a Ibu, fu rinvenuto un sarcofago in calcare pressoché intatto.

Ai lati della “porta del palazzo” incisa sulla superficie del sarcofago, è raffigurato un fregio composto da alcuni segni geroglifici di valore simbolico: due scettri uas affrontati, il segno ankh è il pilastro djed, rispettivamente emblemi di potere vita e stabilità.

La cassa è elegantemente decorata con un motivo detto ” a facciata di palazzo” in quanto imita il prospetto degli antichi palazzi egizi, costituiti da pilastri, architravi e porte con stuoie policrome.

Alcune parti della superficie del sarcofago sono destinate a iscrizioni geroglifiche incise, che riportano tradizionali formule e preghiere di natura funeraria.

In corrispondenza della testa del defunto sono inoltre raffigurati i cosiddetti occhi udjat caratterizzati da una profonda valenza magico-religioso.

Tutta la decorazione esterna era originariamente dipinta a vivaci colori, come testimoniano i resti delle pitture ancora visibili a tratti sulla superficie.

Fonte:

  • I grandi musei: il Museo Egizio di Torino – Silvia Einaudi – Electa

Foto

  • Paola Ghilarducci
  • Giovanni Lombardi
Sarcofagi

IL SARCOFAGO DI KHNUMNAKHT

Di Francesco Alba

Medio Regno, Tarda Dodicesima Dinastia (1850-1750 a.C.)
Legno dipinto. Lunghezza: 208,3 cm
Provenienza: Medio Egitto, probabilmente Meir.
Rogers Fund, 1915 (15.2.2)
The Metropolitan Museum of Art – New York

La superficie esterna dipinta a colori vivaci del sarcofago di Khnumnakht, un individuo non meglio identificato eccezion fatta per l’iscrizione che ne riporta il nome, mostra quella molteplicità di testi e pannelli caratteristica della decorazione dei sarcofagi del tardo Medio Regno.

Possiede quanto meno una caratteristica – la figura di una dea all’estremità corrispondente al capo del defunto – che si riscontra piuttosto raramente prima della Tredicesima Dinastia.

Sul lato di fronte al volto della mummia che sta all’interno del cofano, è raffigurata una facciata architettonica dotata di porta per permettere il passaggio dell’anima del defunto (equivalente alla falsa porta dell’Antico Regno); da questa facciata due occhi dipinti scrutano il mondo dei viventi.

Il resto della superficie esterna è suddivisa in pannelli incorniciati da testi i cui caratteri geroglifici sapientemente dipinti dalla mano di un abile artigiano riportano invocazioni e preghiere per varie divinità primordiali e dei, in modo particolare quelli associati alla morte e alla rinascita come Osiride, signore dell’oltretomba e Anubi, il dio sciacallo che sovrintende alla pratica dell’imbalsamazione e ai riti con essa connessi.

Curiosità sul nome Khnumnakht (vedi illustrazione)

Come già detto, poco o niente è noto di questo personaggio a parte il suo nome, Khnumnakht, iscritto più volte sulla superficie del cofano e facilmente riconoscibile.

Si tratta di un nome composto da due elementi: il primo, caratterizzato dall’anfora di pietra (khnm, Gardiner Sign List W9) e dal pulcino di quaglia (w, GSL G43) fa riferimento al dio Khnum dalla testa d’ariete, il ”vasaio divino”; il secondo elemento, caratterizzato dal ramo d’albero (nkht, GSL M3) e dai complementi fonetici “n” (l’onda d’acqua, GSL N35), “kh” (la placenta, GSL Aa1) e “t” (la forma di pane, GSL X1), definisce l’aggettivo “forte”, “vittorioso”:

khnm (w) – nkht = Khnumnakht = “Khnum è vittorioso”

Riferimenti:

P.F. Dorman, P.O. Harper, H. Pittman. The Metropolitan Museum of Art – Egypt and the Ancient Near East. 1987

APPENDICE DI NICO POLLONE

I nomi o le rappresentazioni delle antiche divinità egizie erano spesso rappresentate con riferimenti, associazioni o con eufemismi.

Si poneva ad es. sul capo, il nome stesso o una rappresentazione che la distingueva da altre (tipo un animale o parte di esso, o altro).

Nel sarcofago di Khnumnakht la sola rappresentazione di divinità presente, porta sul capo due elementi distintivi appoggiati su una base porta emblemi. Si tratta, come già detto, di due vasi porta olio o unguento. Un recente suggerimento di Stephen Quirke ( Ancient Egyptian Religion ) spiega Bastet nel significato come di “Colei dal vaso d’unguento”. Ciò si collega all’osservazione che il suo nome era scritto con il geroglifico per unguento jar ( bAs ).

Nel sarcofago di Khnumnakht il nome di Bastet non è inscritto nei testi, forse perché presente in quella rappresentazione.

Non sono riuscito a scaricare il testo, ma sembra sia possibile farlo.

Questo per dire che il nome di Bastet, almeno per coerenza con le prove fin qui viste, sia il più probabile come rappresentazione della divinità.

Età Tarda, Sarcofagi

IL SARCOFAGO DI PEFTJAOENEITH

Di Grazia Musso

Questo sarcofago appartiene a Peftjaoeneith, un ispettore delle proprietà dei templi nel delta del Nilo.

Il sarcofago è realizzato in legno insolitamente spesso, ed è splendidamente dipinto.

Il coperchio mostra varie figure di divinità e testi del libro dei morti.

Peftjaoeneith è raffigurato con il viso verde, colore che simboleggia la vita e la resurrezione.

La parrucca e la barba si riferiscono al fatto che, il defunto, come il dio Osiride, ha già vinto la morte.

All’interno del sarcofago è raffigurata la diffusione a Nut, il cui corpo è dipinto di nero e cosparso di stelle, a lato sono rappresentate le immagini delle dodici ore del giorno e della notte .

Decorazione dell’interno del sarcofago con la raffigurazione della dea Nut
La mummia

ALTRE IMMAGINI DEL SARCOFAGO A CURA DI JACQUELINE ENGEL QUI

Dimensioni 36 x 63 x 240 cm

Materiale legno

Periodo XXVI Dinastia

Origine Sakkara (?)

Acquisizione gennaio 1829, numero di inventario AMM 5 -e

https://www.rmo.nl/…/tops…/mummiekist-van-petfnaoeneith/

http://magicamentecolibri.it/capolavori-egiziani-in…/

Antico Regno, IV Dinastia, Piramidi, Sarcofagi

IL SARCOFAGO DELLA PIRAMIDE DI CHEFREN

Di Nico Pollone

Premetto che le notizie su questo sarcofago non sono univoche. A detta delle trascrizioni si tratta di un sarcofago in granito nero ciò che dalle foto non sembra. Unico sarcofago in questa stanza, è stato costruito per essere affondato nel piano rialzato del pavimento. A detta di ciò che viene riportato nei trafiletti delle fotografie, Il coperchio è stato trovato in due pezzi nelle vicinanze.

Non si comprende se quello che si vede in tutte le foto circolanti è l’originale restaurato

Questi non è più in posizione chiusa, ma è appoggiato lateralmente al sarcofago antistante la parete ovest, in posizione semi aperta.

La particolarità di questo oggetto sta nella ingegnosa fase costruttiva che lo rende inviolabile senza dover ricorrere alle maniere forti, cioè alla rottura.

L’apertura del coperchio non è possibile con il solo sollevamento o spostamento.

Infatti su tre lati, sia coperchio che sarcofago è munito di guide che oggi definiremmo a coda di rondine, queste rendono impossibile la separazione senza seguire il corretto scorrimento.

A sarcofago chiuso, due perni “ciechi”, a semplice caduta, bloccavano definitivamente l’apertura del coperchio. Per comprensione allego un disegno che ho trovato in rete non firmato, e che ho corretto, perché a mio avviso c’era una incongruenza.

Foto e disegni dalla rete. Mie le correzioni ai disegni presentati.

Sarcofagi

IL SARCOFAGO DI NAKHTEFMUT

A cura di Patrizia Burlini

Primo sacerdote di Karnak. Il sarcofago è stato trovato al Ramesseum, a Tebe.

Legno dipinto H. 177,5 L 44 P 33 cm

924-889 a.C. – XXII Dinastia, III Periodo Intermedio

Fitzwilliam Museum, Cambridge

‘L’Osiride, amato padre divino, colui che apre le due porte del cielo di Ipetsut…’

Questo sarcofago riccamente dipinto, realizzata in cartonnage – lino irrigidito con gesso – un tempo conteneva i resti mummificati di Nakhtefmut, che prestava servizio a Ipetsut, il tempio di Amon-Ra, il dio principale a Tebe.

Dai titoli onorifici sopra citati, che sono scritti in geroglifici lungo la parte anteriore del sarcofago, sembra che occupasse una posizione significativa all’interno di questo grande santuario. L’iscrizione afferma che gli stessi titoli erano detenuti da suo padre, suo nonno e suo bisnonno.

Sebbene il faraone fosse considerato il sommo sacerdote del paese, la gestione quotidiana dei templi e l’esecuzione dei rituali erano delegati ad altri sacerdoti e funzionari. A giudicare dalla sua bara, Nakhtefmut era un uomo importante e ricco.

Dalla testa ai piedi, l’intricata decorazione racconta le sue speranze dopo la morte: che in cambio del pio servizio di una vita, il suo spirito sia giudicato degno di entrare nell’aldilà. Il viso in oro puro mostra Nakhtefmut nella forma idealizzata e giovanile in cui si aspettava di raggiungere questo stato beato. La sua barba stretta e intrecciata è quella associata a Osiride, il dio degli inferi. Quando Nakhtefmut fu sepolto, si credeva che chiunque morisse diventasse un Osiride.

Al centro della cassa della bara c’è la nota chiave della decorazione: un amuleto della dea Maat, identificabile dal suo pennacchio di struzzo. Maat era la personificazione dell’ordine mondiale, della giustizia, della verità e della saggezza. È la sua piuma che è stata posta sulla bilancia e pesata sul cuore del defunto durante il giudizio dei morti.

Sulla testa una splendida rappresentazione dello scarabeo Khepri, allusione alla rinascita del defunto

Altre piume dominano la decorazione della bara. Anzi da lontano sembra che Nakhtefmut ne sia quasi interamente ricoperto. Direttamente sotto l’amuleto di Maat, una divinità dalla testa di ariete spiega le sue ali in una grande curva, un disco solare sulla sua testa lo identifica come Atum, una forma del dio del sole.

Un’altra forma del dio sole, questa volta con la testa di falco, abbraccia la vita della bara, dettaglio a sinistra. Più in basso, altre ali, appartenenti alle dee Iside e Nefti, si incrociano l’una sull’altra. Queste dee, protettrici di Osiride e quindi dei morti in generale, sono raffigurate due volte – come creature alate con teste femminili, e ancora con teste di nibbio, un’allusione al loro ruolo nel mito di Osiride. Il corpo di Nakhtefmut è letteralmente avvolto dall’abbraccio piumato e protettivo delle sue divinità.

Intorno alla sezione centrale ci sono due scene che coinvolgono altri dei associati al giudizio e all’aldilà. A sinistra, osservando il sarcofago, il dio dalla testa di ibis Thoth, lo scriba divino, sta davanti a uno stendardo di Amon. Tiene la penna e la tavolozza con cui annota il verdetto quando il cuore viene pesato contro la piuma di Maat.

A destra – particolare a sinistra – Horus, dalla testa di falco e con indosso la doppia corona dell’Alto e del Basso Egitto, versa una libagione su un altare per il defunto padre Osiride, raffigurato in forma di mummia. Dietro Horus stanno due dei suoi quattro figli, guardiani degli organi interni del defunto dopo la sepoltura.

Sul retro della bara ci sono parole della Confessione negativa del Libro dei Morti egiziano – un elenco recitato dal defunto al momento del suo giudizio. Questa era l’ultima possibilità per i morti di negare qualsiasi illecito prima che la verità fosse rivelata dall’infallibile piuma di Maat

https://fitzmuseum.cam.ac.uk/objects…/highlights/E641896

III Periodo Intermedio, Sarcofagi, XXI Dinastia

IL SARCOFAGO DI PAUGIMAIU

A cura di Grazia Musso

Terzo Periodo Intermedio, XXI – XXII Dinastia

Legno, tela stuccato, pittura bianca, rossa, gialla, verde, azzurra e nera – Lunghezza cm 180, larghezza cm 50

Provenienza e acquisizione: Tebe, Spedizione Franco-Toscana 1828- 1829

Inv. N. 2163 Museo Egizio di Firenze.

Il sarcofago, di forma antropoide, presenta l’immagine del defunto con parrucca tripartita, striata a fasce nere e gialle, sormontata da uno scarabeo con disco solare, sul volto è attaccata la barba posticcia rituale.

Sotto un ampio collare usekh decorato con l’immagine di un uccello con testa di ariete e disco solare, ad ali spiegate.

Il coperchio del sarcofago è suddiviso in vari riquadri che racchiudono le immagini di divinità, fra cui si riconoscono Anubi, Thot, Khnum, Iside, Nefis e i quattro figli di Horo, che fiancheggiano la raffigurazione della mummia del defunto distesa sopra il letto funebre; brevi iscrizioni indicano i nomi delle divinità.

Nei primi riquadri il defunto è raffigurato in abito da vivente di fronte al dio Osiride.In corrispondenza dei piedi sono dipinte sette colonne di iscrizione geroglifici con invocazione e formula dell’offerta per il defunto che, senza indicazione di titoli, è definito solo figlio di Mutirrugi.

Mediante otto tenoni il coperchio del sarcofago, che non presenta decorazioni all’interno, si incastra nella cassa, che all’esterno è dipinta di bianco: sul retro è decorata con una grande immagine del pilastro ged, sormontato dalla corona atef, con urei e disco solare. Ai lati simmetricamente è raffigurato il feticcio di Abido seguito da un serpente.

Fonte : Le mummie del museo egizio di Firenze a cura di Maria Cristina Guidotti – GiuntiBibliografia: Rosellini, Breve notizia, p. 78, n. 98 M. C. G.