Prof. Damiano, Templi

DEIR EL BAHARI DA MONTUHOTEP II AD HATSHEPSUT

TESTO DEL PROF. MAURIZIO DAMIANO

© testi, piante, disegni e foto: Archivio CRE/Maurizio Damiano.

GENERALITA’ SU DEIR EL BAHARI

Il nome Deir el Bahari significa “convento del nord”, perché nel tempio funerario di Hatshepsut, in epoca cristiana, s’insediò una comunità religiosa. È uno dei luoghi più suggestivi della riva occidentale tebana, in cui l’immenso anfiteatro naturale è formato da una parete rocciosa verticale che s’innalza per 200 m. circa sulla valle sottostante; le falesie poi creano due ali a destra e sinistra, quasi a voler proteggere l’immenso spazio che si apre verso la pianura nilotica.

Ai piedi della splendida scarpata si trovano le rovine dei templi funerari di Montuhotep II (11a dinastia), Hatshepsut e Tuthmosis III (18a dinastia). Gli architetti di Montuhotep II furono colpiti dalla grandiosità spettacolare del sito, e lo proposero per il tempio del sovrano; ricordiamo che gli Egizi guardarono sempre alla natura, che aveva per loro immensi significati simbolici nei suoi spazi e nelle sue forme, come una sorta di immenso “medw netjer”, geroglifico, linguaggio divino, dei messaggi dagli Dèi (si vedano a tal proposito i miei post sulle pareidolie – che pubblicheremo in seguito n.d.r.-).

Il primo tempio del sito, questo di Montuhotep II, ebbe il merito di armonizzare l’architettura nel paesaggio con una concezione di un gusto e una perfezione armonica rara ai nostri giorni; il secondo, di Hatshepsut, che fu costruito mezzo millennio più tardi, traeva ispirazione dal primo e ne superò grandiosità e perfezione, con le sue terrazze e le raffigurazioni di altissima qualità artistica; il tempio di Tuthmosis III è molto più piccolo e cerca di armonizzarsi con i due precedenti.

Il tempio di Montuhotep a Deir El Bahari: a sinistra pianta dell’insieme dell’area dalla valle alla falesia: a destra pianta dei gruppi templari di Montuhotep, Thutmosis III ed Hatshepsut.

Pianta dell’insieme di quella parte dell’area tebana che, fra i campi coltivati e la falesia, comprende le zone chiamate Khokha, Assasif e Deir el Bahari; andando dai campi verso la falesia troviamo il Tempio in Valle di Hatshepsut (2), la rampa monumentale un tempo bordata di sfingi (3) e, a Deir el Bahari, ai piedi della falesia, i gruppi templari di Montuhotep II, Tuthmosis III e Hatshepsut.

  • A. Valle dei Re.
  • B. KV 20, tomba di Hatshepsut.
  • C. Tempio ramesside (iniziato da Ramses IV).
  • D, E. Antichi canali, oggi scomparsi.
  • F. Antico canale che connetteva il Nilo al Tempio in Valle di Hatshepsut.
  • N. Assasif.
  • O. Khokha.
  • Q. Tombe del 1° Periodo Intermedio a Deir el Bahari.
  • R. Templi di Deir el Bahari.
  • 1. Antico bacino e imbarcadero del Tempio in Valle di Hatshepsut.
  • 2. Tempio in Valle di Hatshepsut .
  • 3. Rampa d’accesso al tempio alto, bordata di sfingi.
  • 4. Accesso al muro di cinta del tempio di Hatshepsut.
  • 5. Tempio di Hatshepsut.
  • 6. Tempio di Montuhotep II.
  • 7. Tempio di Tuthmosis III.
  • 8. Cachette reale (DB 320, nella Valle della Cachette).

IL COMPLESSO DI MONTUHOTEP II

Cominciamo dunque la nostra escursione a Deir el Bahari dal complesso del Medio Regno. Prima di Montuhotep II le tombe dinastiche degli Antef si trovavano, sempre a Tebe Ovest, nel sito di El Tarif ed erano del tipo “a saff”, ossia vaste corti che sprofondavano nel versante di una collina e che terminavano in fondo con gli appartamenti funerari sotterranei.

Le scelte di Montuhotep II rispecchiano la sua maggior potenza e le differenti fasi della sua storia personale e politica; il re innanzi tutto sceglie questa località dallo scenario degno della sua grandezza. Gli scavi hanno chiarito come la costruzione sia stata portata avanti in quattro tappe. Probabilmente il primo progetto consisteva in una tomba a saff, di cui rimangono solo le tombe a pozzo dette “delle sei principesse”, con magnifici sarcofagi in calcare; altra modifica del progetto è la creazione di un santuario contro la montagna; le iscrizioni vi menzionano la festa sed del re; alla stessa data del 30° anno possono corrispondere l’erezione delle statue del re in costume giubilare lungo la rampa d’accesso e la statua seduta in fondo alla camera sotterranea cui si accede da Bab el Hosan (v. parte terza); all’epoca della sua costruzione il santuario era dedicato ad Amon; Montuhotep cambia i progetti e crea un complesso di nuova concezione; esso riuniva elementi e concezioni della tomba a saff, della mastaba dell’Antico Regno e del tumulo primevo. Il complesso funerario consta di più parti, così descritte da N. Grimal: il “complesso funerario riprende la struttura di quelli dell’Antico Regno: un tempio di accoglienza, una rampa monumentale e un tempio funerario. La sola differenza è che la sepoltura non è più costituita da una piramide, ma inclusa nell’insieme”. Il Tempio in Valle è oggi coperto dalle terre coltivate e deve essere scavato, ma è noto il percorso della via monumentale, che montava al tempio “per più di 950 m. ed era fiancheggiata, circa ogni 9 metri, da statue del re rappresentato come Osiris”. Questa via portava alla grande spianata del cortile antistante il tempio. L’architetto reale ha anticipato di millenni il concetto di “architettura vegetale”: “Il fondo della corte è delimitato da un doppio portico, al centro del quale una rampa bordata da 55 [in realtà gli scavi ne hanno rivelato 44] tamerici e due file di quattro sicomori che riparavano ognuno una statua assisa del re in costume della festa-sed, dà accesso alla terrazza”.

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A SINISTRA: pianta in dettaglio del complesso di Montuhotep II con ulteriori dettagli del nucleo principale. Legenda:

  • 1. Resti dei giardini.
  • 2. Rampa e, nel sottosuolo, la galleria del cenotafio.
  • 3. Portici.
  • 4. Terrazza con tre lati a colonne e spazio quadrato centrale circondato da colonne e dominato dalla piramide tronca (5).
  • 6. Corte intermedia.
  • 7. Accesso alla galleria della tomba.
  • 8. Sala ipostila. Nel sottosuolo, galleria della tomba.
  • 9. Santuario di Mentuhotep e Amon-Ra.
  • 10. Galleria che porta alla vera sepoltura.

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A DESTRA, così che sia possibile compararlo alla pianta, il tempio come appare oggi: si notino, sullo sfondo, le buche dell’antico giardino, riportate alla luce dagli scavi archeologici. Si vedono poi molto bene i resti della struttura centrale, ciò che fa comprendere come sia difficile ricavarne la forma originale; fra le tre ipotesi (piramide, piramide tronca, tumulo con o senza alberatura) oggi la maggior parte degli archeologi propende (sulla base di numerosi indizi, ma ancora nessuna prova diretta) piuttosto per la piramide tronca. In primo piano è possibile vedere ciò che resta di: Corte intermedia (6); accesso alla galleria della tomba (7). Sala ipostila (8). La foto è stata scattata con teleobbiettivo, dall’alto della falesia.

LA CORTE, LA BAB EL HOSAN ED IL CENOTAFIO DEL SOVRANO

Del complesso di Montuhotep fa parte anche un cenotafio con la statua del re; questo fu “scoperto dal cavallo” di H. Carter che, nella corte, inciampò in una depressione che fece scoprire all’archeologo l’ingresso della galleria che porta al cenotafio reale, ciò che ha valso al monumento il suo nome arabo: “Bab el Hosan”, la “Porta del Cavallo”.

Questo accesso, ancora sigillato, portava ad un “lungo corridoio di 150 metri scavato nella roccia verso ovest, ad una camera a volta situata sotto la piramide. In questa camera, una statua reale anonima in arenaria dipinta, rappresentante il sovrano in costume della festa-sed e un sarcofago, anonimo anch’esso, accompagnato da qualche offerta” (Grimal).

In effetti, benché la sala fosse effettivamente intatta e sigillata, conteneva un sarcofago vuoto e, accanto, avvolta come una mummia, si trovava la statua nella posizione in cui avrebbe dovuto trovarsi un corpo posto nel sarcofago, che però era troppo piccolo per la statua stessa. L’intera struttura doveva essere un cenotafio reale. Non esistono foto della sala al momento della scoperta, e la sola testimonianza è l’acquerello di Carter.

Pianta e sezione del complesso di Montuhotep II, con le gallerie che portano rispettivamente al cenotafio e alla tomba regale.

  1. Grande corte del complesso.
  2. Viale centrale, fiancheggiato da piante di sicomoro.
  3. Giardino di 44 tamerici.
  4. “Bab el Hosan”.
  5. Galleria del cenotafio.
  6. Rampa centrale.
  7. Doppio portico.
  8. Terrazza della piramide tronca.
  9. Corte intermedia, con accesso alla galleria della tomba.
  10. Sala ipostila e santuario di Montuhotep e Amon-Ra.
  11. Galleria (150 m.) che porta alla vera sepoltura, nel cuore della montagna tebana.

LA BAB EL HOSAN – UN TUFFO NEL PASSATO

In alto veduta dall’alto della BAB EL HOSAN, “Porta del Cavallo”, scoperta da Carter nel 1898, che dà accesso alla galleria del cenotafio, in una foto recente (a sinistra) e in una foto d’epoca (a destra). In basso, foto d’epoca che la raffigura al momento della scoperta (a sinistra), il muro di mattoni crudi che sigillava il corridoio della galleria sotterranea (al centro) e la parte interna con soffitto a volta, oltre il muro di mattoni (a destra).

IL CENOTAFIO DI MONTUHOTEP II

  • LA FOTOGRAFIA: ©Archivio CRE/Maurizio Damiano.
  • L’ACQUARELLO: (©: da ASAE, 2, 1901, tav. II; tratto da: Reeves, Nicholas; Taylor, John H.; Howard Carter before Tutankhamun; British Museum Press, Londra, 1992; pag. 65).

Qui vediamo l’unica testimonianza visiva della sala al momento della scoperta: l’acquarello di Carter, che mostra il sarcofago vuoto e la statua avvolta dalle sue protezioni. A sinistra, la famosa statua rinvenuta nella sala di fondo. Raffigura il faraone Montuhotep II in abito giubilare: indossa la Corona Rossa e il manto bianco che lo avvolge come una crisalide della rigenerazione. La colorazione nera della pelle inizialmente, e per decenni, fece fantasticare su origini kushite del re, ma in realtà il nero era il colore dato spesso a faraoni defunti o divinità ctonie, essendo il colore della rigenerazione. Museo Egizio del Cairo (JE 36195).

LA PARTE INTERMEDIA DEL COMPLESSO TEMPLARE DI MONTUHOTEP II

Abbiamo già visto come una rampa tagliasse il vestibolo inferiore; essa portava ad una terrazza di cui tre lati erano interamente coperti da colonne. Il portale anteriore permetteva di accedere ad uno spazio quadrato circondato da colonne su tutti i lati, formando così una grande sala ipostila al cui centro un basamento sosteneva quella che per lungo tempo gli archeologi hanno supposto (con molti dubbi) fosse una piramide. In realtà, è stato appurato che con Montuhotep la piramide sparisce, ma rimane il concetto del tumulo primevo, qui reso da una piramide tronca che troneggiava al centro del complesso. Questa terrazza a colonne ricopre un precedente stadio costruttivo inglobando le sepolture con cappelle di sei regine-sacerdotesse di Hathor che sono, da nord verso sud, quelle di Mayt, Ashayt, Sadhe, Kauit, Kemsit e Henhenit.

Dalla terrazza si accede all’ultima parte del complesso, ove un colonnato introduce ad una corte da cui si accede ad una sala ipostila dai muri decorati con scene d’offerta.

Veduta del monumento centrale circondato dalla corte con resti delle colonne. In basso, la pianta, rovesciata perché corrisponda all’orientamento della foto.

  • Legenda:
  • 2. Viale centrale, fiancheggiato da piante di sicomoro.
  • 3. giardino di 44 tamerici.
  • 4. “Bab el Hosan”.
  • 5. Galleria del cenotafio.
  • 6. Rampa centrale.
  • 7. Doppio portico.
  • 8. Terrazza della piramide tronca.
  • 9. Corte intermedia, con accesso alla galleria della tomba.
  • 10. Sala ipostila e santuario di Montuhotep e Amon-Ra.
  • 11. Galleria (150 m.) che porta alla vera sepoltura, nel cuore della montagna tebana.

LA PARTE INTERNA DEL COMPLESSO TEMPLARE DI MONTUHOTEP II

Infine, “la parte (del complesso templare) in contatto con la scarpata comprende la tomba e le installazioni cultuali reali che associano Montuhotep e Amon-Ra, prefigurando così le “Dimore dei Milioni di Anni”, vale a dire i templi funerari del Nuovo Regno” (Grimal).

Il complesso, mezzo millennio più tardi, fu fonte di ispirazione per Senenmut e gli altri architetti che concepirono il vicino complesso di Hatshepsut.

Nella fotografia: veduta della parte superiore, e più interna, del tempio di Montuhotep II; in fondo, la piramide tronca; poi si vede la corte intermedia, dominata dall’accesso alla galleria del sepolcro e, in primo piano, la sala ipostila.

IL TEMPIO DELLA REGINA HATSHEPSUT – GENERALITÀ INTRODUTTIVE

Il tempio della celebre regina – faraone donna a Deir el Bahari è oggi uno dei siti più celebri di Tebe; come abbiamo visto, il suo nome significa “convento del nord”, perché nel tempio visse una comunità religiosa cristiana (“deir” vuol dire “convento”).

Il celebre tempio di Hatshepsut fu noto agli Egizi come Djeser-Djeseru, termine che accosta i concetti di quanto di più splendido e sacro ci fosse. Ne fu architetto principale Senmut. L’autore “firmò” l’opera, rappresentando sé stesso oltre 70 volte nei rilievi. Che egli o la sua committente si siano ispirati all’antico edificio di Montuhotep II è indubbio.

L’edificio ha tre livelli successivi: un vasto cortile e due terrazze, la seconda più piccola della prima; si passa dal cortile alla prima terrazza e da questa alla seconda mediante delle rampe (per comodità, conviene chiamare tutti e tre questi ampi spazi “corti”, dalla prima alla terza, quella superiore).

I dislivelli sono occupati da portici che così fanno da sfondo sia alla prima che alla seconda corte. Fra le splendide raffigurazioni ricordiamo la rappresentazione della theogamia che consacra Hatshepsut come figlia di Amon, la “cronaca” della celebre spedizione navale dell’anno 9, diretta al paese di Punt, il trasporto da Assuan e l’erezione nel tempio di Amon a Tebe degli obelischi, l’una e l’altra impresa in onore del “padre Amon”. Eccezionali per la conservazione degli smaglianti colori sono il santuario dedicato alla dea Hathor, cui il sito di Deir el Bahari era tradizionalmente sacro, e un santuario del dio Anubis, connesso al rituale funerario.

La terza terrazza presenta una facciata con porticato a pilastri “osiriaci”, ossia raffiguranti la regina Hatshepsut in guisa crisaliforme, avvolta nella guaina di Osiris (o dei defunti in generale) simbolo della gestazione in attesa della rinascita; tale rinascita collegata al ciclo solare è suggerita dagli attributi che le statue tengono nelle mani incrociate sul petto: assieme agli abituali scettri heka (il “pastorale”) e nekhakha (il “flagello”) la regina stringe i simboli (qui trasformati in scettri) ankh (“vita”) e was (“potere”); questi due simboli tuttavia, quando associati insieme non indicano (solamente) “vita” e “potere”, ma simbolizzano i due gemelli Shu e Tefnut, scaturiti dal demiurgo, il sole delle origini, Atum; a loro volta tali divinità in questo particolare contesto simbolizzano il “latte solare”, ossia il nutrimento del sovrano alla placenta divina; tale simbologia si evolve a partire dal simbolo del cerchio con il punto centrale, che foneticamente dà il nome del sole, Ra, ma che rappresenta in realtà un seno visto frontalmente, come appare evidente nei rilievi. Lo stesso simbolismo si esprime più chiaramente nelle statue di Hatshepsut che stiamo esaminando e poi si evolverà in immagini sempre più chiare sotto Akhenaton (i simboli ankh e was nelle mani alla fine dei raggi solari) e nelle raffigurazioni del faraone allattato dalla divinità, che può essere Hathor come vacca celeste o altra divinità in forma di donna che porge il seno. Questa simbologia si ricollega alla nascita divina dei sovrani, così bene espressa proprio a Deir el Bahari nelle scene del “portico della theogamia” che verranno riprese dai faraoni successivi (ricordiamo la “stanza della theogamia” di Amenhotep III nel tempio di Luxor o mammisi quali quelli di Nektanebo e quello di Augusto a Dendera).Superato il portico a pilastri osiriaci si è introdotti nella corte antistante il santuario; a destra la corte dà adito alla parte dedicata al padre celeste, il Sole, con un santuario solare dominato dall’altare nella corte a cielo aperto. A sinistra della corte centrale si trova invece la parte dedicata al padre terreno di Hatshepsut, Tuthmosis I. La grande corte centrale fu fortemente rimaneggiata in epoca tolemaica poiché il santuario centrale fu dedicato ai due personaggi divinizzati, Imhotep (l’antico architetto del faraone Djoser) e Amenhotep figlio di Hapu, vissuto sotto Amenhotep III e uno degli artefici del tempio di Luxor. Entrambi i personaggi furono visti come dei patroni della medicina e guaritori. Le pareti della corte, ormai in rovina in epoca tolemaica, furono usate come cave di pietra e molti blocchi furono reimpiegati, volti a faccia in giù, nella nuova pavimentazione della corte.

Il santuario rimaneggiato in epoca tolemaica reca le consuete immagini sacre che però, in questo caso, hanno rivelato l’eccezionale conservazione di minuti frammenti di foglia d’oro, svelando dunque il vero aspetto della parte più intima di questo e senza dubbio degli altri templi: uno sfolgorante rivestimento aureo rinviava la luce delle torce nella parte più intima dei templi.

L’ASPETTO ORIGINARIO

Veduta ricostruttiva del complesso di Hatshepsut; il viale di sfingi che portava dal Tempio in Valle era formato da coppie di sfingi di arenaria raffiguranti la regina con il nemes. Superato il pilone un altro viale di sfingi connetteva l’ingresso con la prima rampa; le grandi sfingi raffiguravano la regina con il khat, e probabilmente se ne trovavano sette paia. Nella seconda terrazza altre sfingi, almeno quattro, forse sei, erano in granito di Assuan e raffiguravano Hatshepsut con il nemes e la larga barba posticcia regale. Un paio di sfingi raffiguranti la regina con volto umano e criniera leonina fiancheggiavano la parte alta della prima rampa.

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