Il Ramesseum doveva celebrare la gloria del re e rinnovare le forse divine, asdicurandogli la vita eterna: ogni dettaglio tende a questi fini. Questo è il lato orientale del secondo cortile, parte nord, con i pilastri osiriaci e il secondo pilone.
Su quest’ultimo sono raffigurate le scene della battaglia di Kadesh, momenti di una festa agricola in onore del dio Min, i cui il re miete e offre aldio, e una festa in cui appaiono i nomi di 14 faraoni del passato.
Le statue osiriache del faraone dono del tipo mummiforme, rappresentando ancora nella fase di gestazione nell’aldilà, in preparazione della resurrezione.
Fin dal suo primo anno di regno Ramses s’impegnò a portare a compimento l’opera del padre e diede inizio alla costruzione del proprio tempio, posto più a sud.
Jean-Francois Champollipn rimase profondamente ammirato davanti alle rovine di questo edificio, al quale diede il nome di “Ramesseum”.
All’epoca dei faraoni queste sale erano chiuse allo sguardo dei mortali, solo il faraone e i sacerdoti dei ranghi più elevati potevano accedervi, la luce era bandita per una silenziosa penombra.Oggi tutto è inno dato dalla luce del sole e la seconda sala ipostila del Ramesseum al tramonto infiammandosi.
La prima parte del complesso a essere costruita furono i piloni in pietra sulla riva sinistra del fiume.
Sul retro del pilone del primo cortile è scolpita, in vivaci colori, la battaglia di Qadesh, l’evento più importante dei primi anni di regno dal sovrano.
Nello stesso cortile era posta quella che allora era la statua più grande della riva occidentale di Tebe, alta ben 19 metri, i cui frammenti rimasti giacciono ancora oggi all’ingresso del secondo pilone.
Colosso di Rameses II – Granito rosso, altezza originaria 19 metri. Enormi frammenti del colosso “Ramses – del re straniero”, sono oggi sparsi davanti al secondo pilone del tempio. La statua, di finissimo Granito rosso di Assuan era, con i suoi 19 metri di altezza un peso di circa 1000 tonnellate, la più grande statua assista di tutta Tebe Ovest.
A nord di questo cortile, davanti ai pilastri del Porticato, svetta o statue stanti del re, con vesti da cerimonia.
A sud sorgeva un palazzo rituale del quale restano solo le basi delle colonne.
Le scene di vittoria, il palazzo e le statue colossali confermano ancora una volta come il primo cortile fosse adibito alla celebrazione della gloria del sovrano.
In un momento successivo vi fu trascritto anche il trattato di pace concluso con gli ittiti.
Colonne papiriformi a ombrella. e a bocciolo. La decorazione dei capitelli presentava un motivo vegetale di finissima fattura, originariamente dai colori sfumati. Sopra le foglie dei capitelli a ombrella si sviluppa un fregio decorativo con cartiglio recanti il nome dinastico e di nascita di Ramses II.
Il secondo cortile era circondato a est e a ovest da un porticato con pilastri osiriaci, mentre a nord è a sud presentava una doppia fila di colonne papiriformi
La facciata del tempio preceduta da un portico sopraelevato, è decorata da scene votive e, nel registro inferiore, dalla raffigurazione dei figli del sovrano alla guida di una processione che si dirige verso l’intetno del tempio.
Tre rampe conducono ancora oggi ai tre portali della facciata, che sottolineano la tripartizione del complesso.
Ai lati della rampa centrale erano poste due statue del re assiso; la testa di quella settentrionale si trova oggi nel cortile; di quella meridionale rimangono solo il trono e la parte inferiore del corpo, conservati nel Ramesseum.
Il busto e la testa, in granito grigio con venature rossastre , furono prelevati nel 1816 da Giovanni Battista Belzoni, su incarico del console generale inglese, Henry Salt, e vendute al British Museum, dove suscitarono grande amministrazione sotto il nome di Giovane Memnone.
Trasporto del busto del colosso di Rameses II in una litografia, colorata a mano da Giovanni B8 Belzoni, 1822.
Busto del colosso di Rameses II. Il bellissimo busto del faraone, meglio conosciuto come il Giovane Memnone, è realizzato in finissimo granito chiaro di Assuan, con venature rossastre nella zona del volto
L’ingresso principale della facciata si apre su una sala ipostila più grande e decisamente più evoluta rispetto a quella di Sethy I.
La navata centrale della struttura a basilica consiste in due file di sei colonne papiri formi a ombrello.
Le navate laterali hanno ciascuna tre file di sei colonne papiri firmi a bocciolo.
Lo straordinario effetto della sala, forse la più bella delle sale ipostile egizie, si fonda sulla chiara suddivisione spaziale, l’armonia e proporzioni delle colonne e lo stato di conservazione della sua vivace policromia.
Tre piccole sale successive, ciascuna provvista di otto colonne, portavano alla sancta sanctorum, purtroppo del tutto compromesso.
La prima sala, detta “sala astronomica” per via delle costellazioni personificate dipinte sul soffitto, reca sulle pareti scene della processione delle barche.
La raffigurazione mostra alla testa del corteo il principe ereditario, con al seguito gli altri figli del sovrano.
Sul lato destro della parete posteriore si trova una magnifica immagine dell’incoronazione del re nella celeste Eliopoli.
Ramses II siede all’ombra del sacro albero ished, e regge tra le manie insegne del regno, mentre Autum e Seshat scrivono il suo nome sulle foglie dell’albero.
I vasti magazzini con coperture a volta che circondano il tempio si sono conservati in buone condizioni e testimoniano l’importanza dei beni che vi venivano depositati.
I magazzini del re. Queste strutture a volta sono i magazzini del Ramesseum, che lo circondano su tre lati. Costruito in mattoni crudi ospitavano offerte e provviste, come provano i molti frammenti di giare rinvenute nel corso degli scavi. Vi si trovava anche una scuola per scribi con biblioteca in cui sono stati riportati alla luce ostraka e papiri. I magazzini coprono antiche strutture della XVIII Dinastia di cui appaiono le basi di colonna in pietra.
Fonte
Egitto, la terra dei faraoni, – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konemann
Veduta dell’odierna facciata del tempio di Sethi I, il portico di nove colonne fascicolate supporta ancora una parte della trabeazione, in origine le colonne erano dieci
A Gurnah, un’area di Tebe Ovest, vi sono le rovine del tempio di Sethi I.
Il tempio funerario era preceduto da un viale di sfingi, da due piloni e due cortili, ma di tutto questo non rimangono che poche tracce.
L’odierna facciata è costituita da un portico di dieci colonne, dietro si trovano tre porte che introducono alle tre parti del tempio, dedicate a Sethi I e ad Amon ( parte centrale), a Sethi I e a suo Ramses I (sinistra) e al culto solare( destra); quest’ultima è un’area costituita da un cortile fra due portici e con un altare al centro.
Nel cortile a cielo aperto, compreso tra il secondo e il terzo pilone, Sethi I, avviò la costruzione di una gigantesca sala ipostila.
La sala, con i suoi 104 metri di lunghezza, 52 di larghezza e 24 di altezza, era la più grande che fosse mai stata edificata.
Fu molto di più di un ampliamento delle strutture già esistenti, si trattava infatti di un tempio vero e proprio, che presto divenne il punto di partenza delle due processioni festive tebane.
Le fu dato il nome di ” tempio di Sethi-Merenptah che splende nella casa di Amon”.
Lungo l’asse principale del tempio si innalzavano due file di possenti colonne alte 22,5 metri, sormontate da capitelli papiroformi a ombrella.
Le navate laterali erano suddivise da sette file di colonne più basse, papiroformi a bocciolo.
Il tempio funerario di Sethi I conserva una parte della decorazione interna. Un portico introduce nel tempio dedicato a Sethi I ed a Amon. Qui è rappresentato Sethi I che offre dei fiori al dio Amon-Ra in trono.
Ogni fila contava nove colonne, eccettuato quella adiacente al colonnato centrale che si componeva di sette colonne e, alle estremità, di due pilastri quadrangolare.
Si contavano in totale 134 colonne, che formavano una gigantesca selva di papiri di pietra.
Le colonne, che poggiavano su grandi basi circolari, non erano monolitiche bensì composte da più rocchi; esse erano sovrastante da spessi abachi sui quali poggiava il gigantesco architrave che sosteneva il tetto.
La differenza di altezza tra la navata centrale e quelle laterali rese possibile l’apertura di finestre a clausura, costituite da lastre di pietra traforata, che permettevano alla luce di diffondersi nel corridoio principale.
Tale struttura a basilica fu riprodotta anche nella sala delle feste di Thutmosi III, ma le dimensioni di questa grande sala ipostila restano uniche e assolutamente ineguagliate.
Perpendicolare all’asse principale, un percorso trasversale che collegava i due portali a sud e a nord, creava un’asse alternativo rispetto a quello est-ovest, che veniva utilizzato per le processioni tra il tempio di Karnak e di Luxor.
Alla morte di Sethi I, dopo meno di undici anni di regno, la sala ipostila e il suo programma iconografico furono portati a compimento da Ramses II.
La metà settentrionale dell’edificio, la cui decorazione era stata iniziata sotto Sethy, presentava altorilievi, mentre le scene a sud furono completate da Ramses II in bassorilievo.
La parte inferiore del fusto delle colonne è decorata con foglie di papiro, mentre nella parte superiore sono raffigurate scene di sacrifici e i cartigli con il nome del re costruttore, sostituito in un secondo tempo da quello dell’ultimo sovrano ramesside.
Le pareti interne della sala presentano una notevole ricchezza di decorazioni e motivi.
Alcune sequenze mostrano il sovrano mentre viene condotto davanti alla triade tebana formata da Amon Mut e Khonsu per venerarla e recare offerte.
Alle rappresentazioni della purificazione rituale del faraone a opera delle divinità si alternano scene che raffigurano l’incoronazione e la salita al trono nel tempio, la consegna dello scettro nonché l’iscrizione del suo nome sulle foglie del sacro albero ished.
Sethy offre un bastone intrecciato di fiori. I bastoni di fiori erano, dopo il pane e il vino una delle offerte più consuete per le divinità. Con essi si manifestavanol l’augurio di gioia e letizia e l’aspirazione a disporre di perpetua forze Vitali. Associato ad Amon, i bastoni ricoprivano anche un’altra specifica funzione: il sovrano offriva il “mazzo di fiori di Amon di Karnak” non solo alla divinità, ma anche ai defunti, quale augurio di rigenerazione.
Grande importanza è attribuita alle processioni delle effigi divine nelle barche sacre, che occupano lunghi registri risalenti al regno di Sethi I come di Ramses II.
Le pareti interne illustrano esclusivamente riti e processioni, restituendo così un’idea delle cerimonie sacre che si svolgevano nella sala.
Sulle pareti esterne compare la vittoria del sovrano sul caos, ottenuta grazie alla sconfitta dei nemici stranieri.
Sulla parete settentrionale figurano le campagne militari di Sethi I contro i beduini del deserto orientale e della Palestina, così contro i libici e gli ittiti; su quella meridionale, scene in rilievo della celebre battaglia di Ramses II contro gli ittiti preso Qadesh, e della campagna che il sovrano condusse contro gli asiatici è i libici.
La grande sala ipostila è quindi una rappresentazione in pietra dell’Egitto e del mondo circostante, con l’universo sacro degli dei e del culto al suo interno e all’estero il mondo caotico che il sovrano era chiamato a distruggere.
Le colonne papiroformi rappresentano a loro volta la “terra nera”, ovvero L’Egitto inondato dalla piena del Nilo.
Oggi purtroppo non rimane nessuna delle statue che dovevano ornare l’esterno e l’interno della sala ipostila e che riproducevano le stesse rappresentazioni presenti nei rilievi.
Si sono conservate soltanto, di fronte al vestibolo del terzo pilone, due colossali statue dell’epoca thutmoside.
Rameses II vi aveva fatto apporre nuove iscrizioni, Sethi II e Ramses IV ne aveva a rinnovato il piedistallo.
L’usanza di rinnovare le iscrizioni e di riutilizzare le statue dei sovrani precedenti non deve essere giudicata come un atto di appropriazione indebita: al contrario, in questo modo il sovrano le strappava all’oblio e assicurava loro nuove offerte.
Fonte
Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konemann
Tempio di karnak: ricostruzione della grande sala i postila. Questo modello è conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York
Seti I, il secondo faraone della XIX dinastia, era figlio di Ramesse I e padre di Ramesse II che volle associarsi al trono.
Bassorilievo dipinto raffigurante Seti I
Cartiglio di Seti I
Giunto al potere riorganizzò l’esercito e fronteggiò rivolte scoppiate in Siria e Palestina. Dopo diverse campagne, una delle quali lo vide impegnato ad affrontare i libici che sbaragliò, partì alla ricerca del vero nemico, gli ittiti. A Qadesh, dove ebbe luogo lo scontro, Seti riuscì ad avere ragione dei ribelli: tornò in patria con prigionieri Ittiti. Fu stipulato un trattato rimasto ignoto, di questo si accennera’ in un successivo trattato del 1268. La sua politica fu rivolta al recupero di gran parte dell’Impero lasciato da Tutmosi III; una volta rafforzate le frontiere aprì miniere,cave e pozzi.
Seti I vittorioso in battaglia rilievo di calcare. Dettaglio del muraglione esterno della grande sala ipostila
Pago dei successi ottenuti si dedicò al restauro di tutti i templi dal Delta alla Nubia (la sua iscrizione “restaurato da Seti” compare un po’ dappertutto) e alla grande sala ipostila del tempio di Karnak progettata dal padre.
Archivio fotografico del Museo Egizio di Torino. Dettaglio di una parte della parete esterna del muro nord della grande sala ipostila, decorata da Seti I con scene di battaglia delle sue campagne in Palestina, Libano e Libia.
Il tempio di Karnak, dopo le piramidi, è il più imponente edificio costruito in Egitto, le sue proporzioni gigantesche esprimono la potenza di Ammone e del suo clero e nel contempo la grandezza dei faraoni del Nuovo Regno.
Ricostruzione della parte centrale della grande sala i postila a karnak. (Ricostruzione di Chipiez) La grande sala ipostila ha una pianta basilicale con una navata centrale sorretta da alte colonne con capitelli di papiri aperti perché questo spazio riceve la luce del sole attraverso graticci e navate con capitelli chiusi perché rimangono perennemente in ombra. Questa pianta basilicale è una innovazione della XIX dinastia che traduce in architettura il simbolismo della creazione. La stanza rappresentava cosi la palude primordiale dalla quale emerge una foresta di papiri o di loto stilizzata dalle colonne che sono quindi in stato vegetativo nelle parti buie della stanza e fioriscono nella navata centrale inondata di luce.
” tutto ciò che avevo visto a Tebe, che avevo ammirato con entusiasmo sulla riva sinistra, mi parve miserabile al confronto delle concezioni gigantesche che mi circondavano…….. nessun popolo antico o moderno ha concepito l’arte dell’architettura in scala così sublime, così vasta e grandiosa come fecero gli antichi egiziani, essi concepivano da uomini alti 100 piedi (Champollion).”
La grande sala i postila, costruita dal faraone Seti I e completata da Ramses II, è formata da 134 colonne, vicine tra di loro, decorate con capitelli a forma di papiro che creano la sensazione di vera e propria foresta di pietra rievocante la primordiale foresta di papiri.
A nord del tempio, sul muraglione esterno, Seti fece incidere rilievi che sono un inno alle sue imprese: le scene guerresche rappresentate “uniscono alle lodi del coraggio personale del re molte notizie di genuino carattere storico”.
Particolari della grande sala ipostila
Le enormi colonne della grande sala ipostila
Sarà il figlio Ramesse II ad ampliare abbellire e completare la grande sala i postila che oggi ai nostri occhi appare “una vera foresta di pietra con 134 enormi colonne di cui quelle centrali sono più alte delle altre… per la sua immensa concezione architettonica la sala i postila si può considerare la prima vera cattedrale del mondo… l’immensa foresta di colonne che rappresentava il papireto della creazione, non è fatta a misura d’uomo ma Divina”.
Il tempio di Amon-Ra nel complesso di Karnak, come apparve alla spedizione napoleonica del 1789
FONTE:
ANTICO EGITTO-MAURIZIO DAMIANO-ELECTA
L’EGITTO DEI FARAONI-FEDERICO A.ARBORIO MELLA-MURSIA
I cenotafi ( dal greco kenotafion “tomba vuota”), ossia simulacri di tomba, erano utilizzati correntemente fin dalle prime dinastie dai faraoni egizi, che potevano avere più mastabe o piramidi, di cui una sola era la vera sepoltura, mentre gli altri erano monumenti funerari.
Tale usanza si basava sul simbolismo egizio, per cui si riteneva che la parola, l’immagine o il simulacro potessero sostituire l’oggetto reale.
Così i cenotafi furono usati perché i faraoni potessero essere presenti, con la sepoltura, tanto al nord quanto al sud, oppure ad Abydos, presso Osiris.
Lo scopo era essere accanto al dio, per assicurarsi la sopravvivenza nell’aldilà e la resurrezione.
Il cenotafio di Sethy I o Osireion si trova alle spalle del tempio di Sethy I dietro e in asse col tempio, ma vi si accede da nord.
Il monumento è la rappresentazione architettonica di una concezione cosmoligico-religiosa e rappresenta il tumulto primordiale ove nacque il mondo, circondato dalle acque primeve; è dunque costituita da una sorta di collina artificiale (una sala) circondata dall’acqua e da due file di cinque pilastri monolitici in granito rosa su cui appoggiavano gli architrave, la parte centrale era a cielo aperto.
Vi si legge la simbologia della collina, su cui probabilmente veniva seminato l’orzo, la cui nascita simboleggia a la resurrezione di Osiris.
E, rappresentando il cenotafio del dio, un’altra sala ha la forma di un sarcofago e un soffitto astronomico a profilo curvo con la dea Nut, il cammino del sole e il levarsi delle stelle.
Ricostruzione dell’Osireion
Fonti
Dizionario Enciclopedico dell’ Antico Egitto e delle civiltà nubiane – Maurizio Damiano – Appia – Mondadori.
La XIX Dinastia si contraddistinte per un’intensa attività costruttiva.
In tutto il territorio egizio furono restaurati o ricostruiti gli edifici si culto che erano stati abbandonati o distrutti durante il periodo amarniano.
Nell’epoca ramesside Tebe continuò a essere il principale centro di culto del dio Amon – Ra.
Durante il breve regno del fondatore della XIX Dinastia, Ramses I, l’attività edilizia si espresse sopratutto nel compimento della sua sepoltura nella Valle dei Re e, a Karnak, nel vestibolo del secondo pilone, che allora costituiva l’ingresso principale del tempio di Amon-Ra.
Il figlio di Ramesse I, Sethy I avviò la costruzione del tempio ad Abydos che rappresenta uno dei monumenti più belli dell’antico Egitto, grazie al suo stato di conservazione, agli splendidi rilievi e ai restauri che li hanno riportato all’antico splendore.
Pianta del tempio di Sethy I
Il monumento fu voluto da Sety I per ragioni religiose ma soprattutto politiche: la sua costruzione era infatti intesa nella delicata politica di riequilibrio dei poteri religiosi portata avanti già da Ramses I e poi continuata dallo stesso Sethy I, al clero di Amon venivano adesso contrapposte altre divinità per scongiurare il pericolo dell’egemonia religiosa realizzatasi nella Dinastia precedente ; inoltre, costruendo il tempio di Abydos, il re si associava al culto di Osiri e, così facendo, egli perpetua a la legittimità della sua Dinastia.
Il monumento non venne portato a termine sotto Sethy ma sotto il figlio Ramses II, che completo’ la sala ipostila e aggiunse un pilone e due cortili, essi precedono due sale ipostila e i sette santuari dedicati alla triade di Abydos, ossia Osiris, Isis e Horus, e alle divinità dei tre maggiori centri politici o religiosi del Paese : Amon di Tebe, Ptah di Menfi, Ra-Horakhty di Eliopolis, il settimo santuario era dedicato allo stesso Sethy I divinizzato.
I resti dei magnifici rilievi sono visibili sulle pareti di mura superstiti nei cortili.
Questi sono i pilastri che si trovano di fronte all’ingresso attuale del tempio di Sethy I. Un tempo questo era il fondo del primo cortile, poi alla struttura di Sethy I, il figlio Ramses II aggiunse un pilone e un cortile completando l’edificio del padre. Oggi di questa parte esterna rimangono pochi resti, e quindi questa fila di pilastri appare come la Facciata attuale, che precede due sale ipostile e i sette santuari. Sui pilastri è raffigurato Ramses II, abbracciato da varie divinità.
L’odierna facciata è data dal portico di fondo del secondo cortile, con una fila di dodici pilastri, quadrati ornati da scene con delle divinità e Ramses II su tutte le facce.
Il muro di fondo della seconda corte si trovano sette varchi per la sala ipostila, corrispondenti ai sette santuari, di cui quattro sono stati chiusi da Ramses II e decorati con rilievi del culto reso al padre.
Le due sale ipostile possiedono, rispettivamente due o tre file trasversali di dodici colonne papiroformi a umbrella chiusa.
Sul fondo della seconda sala ipostila si trovano gli ingressi dei sette santuari affiancati, che con ogni probabilità contenevano le barche sacre, ad eccezione di quello di Sethy I.
Nella seconda sala ipostila si trovano i rilievi meglio conservati che raffigurano le varie cerimonie che il re doveva celebrare.
La parete di fondo del santuario di Osiris, il terzo da destra, dà accesso alla parte terminale del tempio, dove sono situati due sale a dieci colonne e quattro colonne, e due serie di tre piccoli santuari.
In questa fotografia è raffigurato Sethy I, che riceve la vita, il simbolo ankh, dal dio Ra – Harakhty, una delle incarnazioni del sole degli orizzonti. La divinità porge l’ankh alle narici del sovrano perché egli possa respirare l’essenza divina e ricevere la vita eterna. Abydos, dal tempio di Sethy I, cappella di Ra-Harkhty.
Tornando alla seconda sala ipostila alla cui estremità sinistra si trova l’ingresso a un’ala laterale.
In questa parte è da notare, in un corridoio con il soffitto decorato a stelle, il rilievo in cui Sety I offre l’incenso ai cartiglio dei 76 faraoni scelti fra quelli che dall’origine della storia regnarono sull’Egitto: si tratta della “Tavola di Abydos”, una lista reale di notevole importanza per la cronologia d’Egitto
Dietro il tempio si trova l’importante cenotafio del re: l’Osireion, una straordinaria rappresentanza architettonica di una concezione cosmologico-religiosa collegata alla collina primordiale e a Osiris.
( prossimo intervento l’Osireion)
Fonte
Antico Egitto di Maurizio Damiano – Electra
Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konenann
Hisham el-Leithy, Christian Leitz e Daniel von Recklinghausen ci svelano gli straordinari rilievi recentemente restaurati di questo affascinante tempio greco-romano
Introduzione
Il tempio di Esna – situato nell’Alto Egitto, a circa 60 km a sud di Luxor – è uno dei più importanti esempi di architettura templare egizia del periodo greco-romano ancora oggi visibili. L’unica parte sopravvissuta del tempio, il pronao o sala ipostila, fu completata nel I secolo d.C. (presumibilmente durante il regno di Tiberio, 14-37 d.C., o poco più tardi), mentre i lavori di ornamento continuarono fino al regno di Traiano Decio (249-251 d.C.). Il tempio è famoso per la sua decorazione e in particolare per le iscrizioni geroglifiche. Le divinità principali sono il dio ariete Khnum e la dea Neith. Entrambi rappresentano un aspetto demiurgico: Khnum modella tutti gli esseri viventi sulla ruota del vasaio, mentre Neith* dà vita alla creazione con la semplice enunciazione dei suoi pensieri. La decorazione consiste in scene di offerta sulle pareti, con raffigurazioni degli imperatori romani al cospetto del pantheon locale, oltre a lunghe iscrizioni sulle colonne e a elementi astronomici sul soffitto. Le iscrizioni geroglifiche ci forniscono informazioni uniche sulla vita religiosa e sulla teologia del luogo nel periodo romano. Nella loro interezza, questi testi costituiscono l’ultimo corpus significativo di iscrizioni geroglifiche oggi conosciuto. Mostrano uno stile di scrittura geroglifica molto sofisticato e complesso.
Il Pronao
Le misure del pronao romano superano di gran lunga quelle dell’edificio templare tolemaico originario. Il tetto poggia su 24 colonne, di cui 18 autoportanti. Rispetto ad altri templi contemporanei, il modello di decorazione delle colonne è straordinario, poiché sono in gran parte coperte da iscrizioni. I testi descrivono con dovizia di particolari le feste tipiche del distretto, oltre a presentare inni e litanie in lode degli dei. Anche la disposizione dei capitelli è unica, poiché ogni capitello ha un disegno diverso. Le colonne autoportanti sono disposte su 3 file (3×6, da nord a sud – vedi sotto); sei architravi, orientati in direzione est-ovest, collegano ciascuna tre colonne con le pareti del pronao, in modo da sostenere il pesante tetto. Questi sei architravi suddividono il soffitto in sette zone. Il Tempio di Esna (Immagini nn. 1-2-3) si trova nel centro della città a circa 10 m sotto il livello della superficie odierna.
Immagine n. 1 Il fregio della parte superiore della colonna n. 7 dopo il restauro. Il cartiglio dell’imperatore Adriano (117-138 d.C.) è accompagnato e protetto da Khnum, signore di Esna (a sinistra), e dal falco Horo di Behedet (a destra).
E’ sfuggito alla demolizione nel XIX secolo (il destino di molti altri santuari faraonici) per il semplice motivo che fu ritenuto un deposito adatto per lo stoccaggio del cotone durante il regno di Muhammad Ali Pasha (1805-1848). Sebbene il tempio sia stato in parte liberato dalla sabbia e dai detriti, ampie porzioni dell’edificio sono rimaste sepolte.
Immagine n. 2 La facciata del pronao del tempio di Esna
Agli albori dell’egittologia, il pronao era piuttosto noto tra gli studiosi e i viaggiatori. Tuttavia, il tempio entrò nel mirino della ricerca scientifica solo quando l’egittologo francese Serge Sauneron (1927-1976) si rese conto della ricchezza della sua decorazione. Negli anni Cinquanta pulì la parete esterna sud, che già allora era parzialmente sepolta. Negli anni successivi ha curato meticolosamente l’edizione di tutte le iscrizioni (l’ultimo volume di testi è stato pubblicato postumo nel 2009). Dopo la sua morte prematura in un incidente stradale, i lavori a Esna si fermarono per molto tempo.
Immagine n. 3 Schema planimetrico del pronao di Esna che mostra la disposizione delle 18 colonne autoportanti. Disposte in tre file da sei, le colonne sono sormontate da architravi che corrono in direzione est-ovest (verticalmente pianta). Altre sei colonne formano la facciata del pronao (in basso nello schema).
* tra le varie cosmogonie egizie, c’è anche una divinità femminile in qualità di “taumaturgo”: quest’antichissima dea è originaria di Sais nel Delta
Un nuovo progetto
Un aspetto della decorazione, tuttavia, è stato finora ampiamente trascurato: la colorazione originale, ancora intatta in ampie zone del pronao. Ciò è comprensibile, in quanto la colorazione policroma era stata ricoperta da polvere, fuliggine ed escrementi animali, rimanendo così inosservata. Per recuperarla e garantirne la conservazione per le generazioni future, il Ministero delle Antichità egiziano (ora Ministero del Turismo e delle Antichità) e l’ Istituto Egittologico dell’Università di Tubinga nel 2018 hanno avviato un progetto congiunto per la conservazione, la documentazione e la ricerca della decorazione policroma. In precedenza, negli anni 2000, il Ministero aveva pulito parte della parete interna occidentale e il nuovo progetto ha offerto l’opportunità di riprendere i lavori su larga scala e con un’attenzione più ampia.
Il lavoro più importante è il restauro dei colori antichi. Nelle stagioni 2018-2020, un team di restauratori locali, guidati dal conservatore capo Ahmed Emam, ha ottenuto risultati molto promettenti. Nella parte settentrionale dell’interno del pronao, il colore originale su parti del soffitto, delle pareti e delle colonne è stato nuovamente riportato alla luce.
Prima che i restauratori potessero iniziare il loro difficile compito, è stato necessario analizzare le condizioni attuali e cercare i metodi di conservazione appropriati. È emerso che diversi agenti esterni potevano potenzialmente causare gravi danni alla decorazione antica, ed era imperativo sviluppare una strategia di trattamento che riducesse il loro impatto sia sulla struttura muraria che sulla decorazione. Una delle principali preoccupazioni era il livello di umidità relativamente alto, che provoca il movimento di sale dall’interno dei blocchi di pietra verso gli strati esterni, causando l’accumulo di efflorescenze sulle superfici iscritte. Questi cristalli di sale possono causare la scheggiatura delle superfici e lo sbiadimento dei colori dei rilievi dipinti. Un notevole strato di fuliggine ricopre la maggior parte della superficie decorata, forse come risultato delle attività svolte quando il pronao fu utilizzato come deposito. La fuliggine ha causato un notevole deterioramento dei pigmenti blu e verdi, soprattutto nelle zone del soffitto. Accumuli di polvere ed escrementi di uccelli erano presenti su tutte le pareti del tempio, causando un ulteriore scolorimento delle aree dipinte e insozzando ampie zone.
Una volta recuperata e conservata una sezione della decorazione, si procede quanto prima alla documentazione fotografica. Le foto mostrano scene in cui la decorazione è stata restaurata, ma anche parti che devono ancora essere lavorate (Immagini n. 4-5), dimostrando chiaramente l’efficacia degli sforzi dei conservatori.
Immagine n. 4 Riemergono i colori di un’iscrizione geroglifica sulla colonna n. 7
Immagine n. 5 Lavori di restauro in corso sulla colonna n. 2
Il lavoro di post-elaborazione della decorazione sulla base del materiale fotografico viene condotto presso l’Università di Tubinga e comprende un’analisi dell’impatto della colorazione all’interno dello schema decorativo antico. A questo punto, con solo una piccola parte degli ornamenti rivelati, è evidente che uno studio della colorazione offra un approccio raro e innovativo nella ricerca sulla decorazione dei templi del periodo greco-romano. L’analisi combinata dei materiali, delle figure e dei testi in rilievo e/o dipinti, così come l’evidenza testuale, mostra che tutti facevano parte di un unico schema decorativo. Grazie all’impegno dei restauratori nelle stagioni 2018-2020 (che hanno lavorato anche durante la pandemia di Covid19), gran parte del soffitto e delle colonne sono stati riportati a qualcosa di molto vicino al loro stato originale: la decorazione policroma del tempio. La ricchezza dei decori, un tempo vivacemente colorati, è visibile nelle immagini fotografiche (Immagine n. 6).
Immagine n. 6 Il pronao (sala ipostila) del Tempio di Esna con le impalcature per i lavori di restauro. Si noti la varietà dei capitelli, con disegni diversi, utilizzati per colonne adiacenti.
Nuove iscrizioni
Oltre alla ricostruzione della decorazione policroma, è stato portato alla luce un gran numero di iscrizioni finora sconosciute. Queste iscrizioni sono solo dipinte sulla superficie, non incise. Poiché erano coperte da fuliggine e polvere, nessuno ne conosceva l’esistenza prima del processo di pulizia.
Tutti i testi “nascosti” si trovano nella zona del soffitto e risalgono a un periodo piuttosto tardo della decorazione complessiva (fine del II secolo d.C. circa). Finora queste iscrizioni sembrano limitate a tre contesti:
1. Didascalie di costellazioni e di fenomeni celesti nelle zone del soffitto
2. L’incorporazione di nomi e titoli reali (in cartigli) in iscrizioni in rilievo già esistenti.
3. Testi completi sulle facce inferiori delle architravi
Mentre le didascalie nelle zone del soffitto sono eseguite solo in pigmento rosso (e in modo un po’ goffo), le altre decorazioni mostrano uno stile elaborato e policromo. Ciò è particolarmente vero per le facce inferiori degli architravi , vale a dire la zona tra due colonne. Quello che una volta era uno strato nero di fuliggine (Immagine n. 7) si è rivelato essere un’iscrizione di due testi separati in quattro colonne, che elogiavano Khnum e Neith (Immagine n. 8).
Immagini n. 7-8 Il cartiglio dell’imperatore Traiano (98-117 d.C.) sul lato settentrionale dell’abaco della colonna n. 1 prima e dopo il trattamento conservativo
I segni sono dipinti con precisione e vivacità e sembrano mostrare una scelta deliberata del colore per alcuni geroglifici. Un caso piuttosto particolare è quello dei passaggi lasciati in bianco nelle iscrizioni laterali degli architravi. Sauneron usava il termine “non scolpito” per questi passaggi, ma ora sappiamo che è presente del testo. Questi “spazi vuoti” sono attestati abbastanza spesso nei testi di architravi pubblicati da Sauneron e, per la maggior parte, compaiono verso la fine di un passaggio testuale. Finora sono venuti alla luce molti cartigli nelle zone precedentemente vuote (a sinistra) e si è tentati di ipotizzare che questi cartigli siano stati dipinti dopo che le iscrizioni in rilievo erano già state scolpite (Immagini nn. 9-10-11).
Immagine n. 9 Una nuova iscrizione, fino a poco tempo fa coperta di fuliggine, è stata scoperta sulla superficie inferiore dell’architrave A, nello spazio annerito tra le colonne n. 7 e 13.
Immagine n. 10 Dopo il processo di pulizia, è stata rivelata la nuova iscrizione. La fotografia qui è mostrata di lato, in modo che il testo appaia più facilmente visibile
Immagine n. 11 Il cartiglio finora sconosciuto contenente i titoli di “Autokrator” e “Kaisaros”, spesso utilizzati per gli imperatori romani, è stato eseguito in pittura, mentre il resto dell’iscrizione della parte settentrionale dell’architrave B è stato eseguito in rilievo.
Il soffitto
Un’area piuttosto particolare è il soffitto astronomico. Parte del soffitto astronomico del Tempio di Dendera, è l’unico esempio completamente conservato del periodo greco-romano. I pronai di entrambi i templi contengono sei campi, nel soffitto, a contenuto astronomico, tre per lato (adiacenti al soffitto centrale sull’asse principale del tempio). Offrono composizioni uniche che in parte differiscono notevolmente l’una dall’altra. I restauratori hanno finora terminato le prime due zone del soffitto nella parte settentrionale del pronao di Esna (chiamate Travée A e B secondo la designazione di Sauneron). Il soggetto principale della Travée A è il ciclo lunare, rappresentato dalle divinità della luna crescente e della luna calante disposte su due file. Ogni gruppo è composto da 14 divinità che si trovano sopra un disco. All’interno di ogni disco è raffigurato l’occhio Wdjat, un simbolo comune della luna. Gli occhi Wdjat erano solo dipinti sulla superficie; dopo il restauro divennero molto più visibili rispetto all’epoca di Sauneron, che poteva scorgerne solo deboli tracce. La fila nella parte meridionale del soffitto mostra le divinità della luna crescente. Il primo disco a ovest è rimasto privo di decorazioni, rappresentando il primo giorno lunare in cui la luna è ancora invisibile. Il secondo disco mostra già la luna crescente nella parte occidentale, che riflette la condizione del mondo reale. Il secondo giorno lunare la mezzaluna può essere osservata poco dopo il tramonto a ovest in circa il 70% di tutti i mesi lunari; negli altri mesi bisogna aspettare un giorno in più, fino al terzo giorno lunare, per osservare la prima mezzaluna. Ogni giorno successivo diventa visibile una porzione sempre maggiore della luna e, quindi, l’occhio Wdjat sul disco diventa sempre più completo. Nel caso di Osiride, che rappresenta il settimo giorno lunare, si vede già metà della luna e, di conseguenza, metà dell’occhio è dipinto (Immagine n. 12).
Immagine n. 12 Osiride e Iside come rappresentazioni della luna crescente. Osiride si trova sulla luna del 7° giorno lunare, Iside sulla luna dell’8° giorno lunare. Travée A, registro meridionale
Nella parte settentrionale del soffitto la direzione è invertita. Si inizia con l’occhio Wdjat completo sul disco il 16° giorno lunare, procedendo verso ovest fino al 29° giorno lunare – l’ultima fase visibile della luna. Oltre al ciclo lunare, questa “Travée” mostra diverse costellazioni e all’estremità, ad est, uno dei “Quattro Venti”, che gli Egizi immaginavano a forma di animale. Nel nostro caso (Immagine n. 13) si tratta di uno scarabeo con quattro ali, una testa di ariete e una piuma di struzzo.
Immagine n. 13 Uno dei quattro dei del vento con il suo nome davanti alla testa, scoperto di recente; Travée A, angolo est.
Un’iscrizione dipinta, ora decifrabile, si trova accanto alla sua testa: “Il bel vento d’Oriente”. Il motivo per cui tutte le iscrizioni di questo settore non sono state incise non è, per il momento, palese. Nell’angolo sud-orientale della “Travée A” è raffigurato in rilievo un cobra seduto su un papiro (Immagine n. 14).
Immagine n. 14 Un cobra su piante di papiro con un’iscrizione davanti alla testa; Travée A, angolo sud-est.
Davanti alla testa del cobra si trova un’altra iscrizione dipinta finora sconosciuta che, tradotta, recita “La grande fiamma”. Si tratta di una designazione della dea cobra Wadjet (per saperne di più: https://laciviltaegizia.org/2021/09/26/wadjet/…), rappresentante del Nord e manifestazione della corona del Basso Egitto nella religione egizia. Ad una prima osservazione, questo simbolismo non è conforme alla posizione effettiva del cobra nella parte meridionale di questa “Travée”. Il collegamento diventa chiaro e logico solo quando si prende in considerazione la totalità del soffitto, dove la “Travée A” è la più settentrionale e quindi in posizione perfetta per la dea della corona del Basso Egitto.
Immagine n. 15 La costellazione di Orione come Osiride che guarda Iside. Anche se indossa il copricapo di Seshat, rappresenta Sothis (Sirio); Travée B, registro meridionale
Passando alla “Travée B” (Immagine n. 15), restaurata in gran parte nel 2020, i soggetti principali sono i 36 decani. I decani erano stelle o, nella maggior parte dei casi, costellazioni (contrassegnate come tali dalle stelle che le accompagnavano). Il loro scopo era quello di indicare le dodici ore della notte attraverso la loro posizione, che cambia di giorno in giorno. Qui i decani sono raffigurati ciascuno nella propria barca (apparentemente un decano è stato omesso , dato che ci sono solo 35 figure e barche). In un caso eccezionale, due barche sono rappresentate una sopra l’altra: ciò è, reso possibile dall’iconografia insolita di questo decano che raffigura una mummia adagiata su una bara (Immagine n. 16).
Immagine n. 16 Decano n. 30 sotto forma di una mummia su bara (sopra) con sette stelle e n. 31 in forma di due occhi di wdjat in una barca (sotto) con 14 stelle; Travée B, registro settentrionale
All’estremità orientale della Travée si trovano due costellazioni. La prima nella metà meridionale è Orione, manifestazione di Osiride e costellazione dell’emisfero meridionale. In alcuni testi la designazione egizia di Orione (Sah) è anche un equivalente del sud. Egli guarda alle spalle la sua consorte Iside (cfr. Immagine n. 15) che è – nel mondo astrale – una manifestazione di Sirio (Sothis per i greci, Sopdet per gli egizi), la stella più luminosa del cielo. Iside-Sothis sorge sempre più tardi rispetto a Orione-Sah, ma lo segue all’incirca lungo lo stesso percorso. Il suo sorgere eliaco è precedente di circa 22 giorni e quello giornaliero è circa un’ora e mezza prima della sua apparizione; per questo viene raffigurato mentre si gira a guardarla. La seconda costellazione nella metà settentrionale è l’Orsa Maggiore (alias L’Aratro, Immagine n. 17), rappresentata come coscia di toro.
Immagine n. 17 L’Orsa Maggiore come Coscia di Toro circondata da sette stelle. Con una catena, una dea sotto forma di ippopotamo gli impedisce di entrare nell’oltretomba; Travée B registro settentrionale
La sua designazione egizia Mesekhtyw è equiparata al nord in alcuni testi del periodo tardo. La gamba è incatenata e la catena è tenuta da una divinità ippopotamo (“La Grande”) per impedire che scenda negli inferi. nel mondo sotterraneo. È la manifestazione di Seth, l’assassino di suo fratello Osiride. Nel cielo, Seth non potrà mai raggiungere Osiride nella sua forma di Orione, ma come costellazione circumpolare è in grado di scendere un po’ al di sotto dell’orizzonte, almeno fino ad un luogo a sud come Esna, nell’Alto Egitto. Tuttavia, la catena gli impedisce di scendere oltre per danneggiare Osiride, il Signore degli Inferi. La disposizione di queste due costellazioni sul soffitto indica il Sud (Orione) e il Nord (Orsa Maggiore) nella loro posizione geograficamente corretta.
Prospettive future
È evidente, anche solo osservando questi pochi esempi, che il pronao di Esna è ricco di decorazioni policrome. Ora questa bellissima decorazione, accurata e vivida, può essere studiata in combinazione con l’impianto architettonico del tempio, cosa che non è stata tentata, e non poteva esserlo, fino a poco tempo fa. Ma il lavoro svolto dai restauratori ha portato anche alla scoperta di nuove iscrizioni e quindi alla conoscenza della teologia locale durante una delle ultime fasi della civiltà faraonica.
Fonte: Hisham el-Leythy, Christian Leitz e Daniel von Recklinghausen in “Ancient Egypt, The History, People, and Culture of the Nile Valley” vol. 21, N. 5 , Maggio/Giugno 2021. Pagine 13-21
Questo suggestivo tempionon si trova, come verrebbe naturale supporre, in Egitto bensì a Madrid. Siamo nel 1960. La costruzione della Grande Diga di Assuan, minacciava di sommergere i Templi della Bassa Nubia . L’UNESCO, in stretta collaborazione con i governi d’Egitto e Sudan, convocò la comunità internazionale affinché ci si adoperasse per il salvataggio di questo straordinario patrimonio storico e artistico, provvedendo allo smontaggio e alla traslazione in posizione sicura, rispetto all’innalzamento del livello delle acque. Il tempio di Debod, destinato a essere donato ad un Paese straniero per il sostegno al progetto di recupero, fu il primo a essere smantellato e le sue sezioni depositate sull’isola di Elefantina, ad Assuan. Nel 1968, il governo egiziano deliberò la sua donazione alla Spagna, per l’aiuto prestato nel salvataggio dei Templi di Abu Simbel. Due anni dopo, i blocchi furono trasferiti ad Alessandria dove furono imbarcati verso la nuova destinazione. La ricostruzione a Madrid ebbe inizio nel 1970 e nei mesi seguenti si provvide a impiantare giardini e realizzare degli stagni; furono montati i blocchi nubiani e ricostruite fedelmente le parti mancanti. Nel luglio del 1972, il tempio fu aperto al pubblico.
Le origini del Tempio sono da collocare tra il 195 e il 185 a.C., allorquando Adikhalamani, sovrano di Meroe, nell’odierno Sudan, fece costruire una cappella nella località nubiana di Debod, circa 25 Km. a sud della prima cataratta del Nilo. L’edificio, di pianta rettangolare con unico accesso sul lato orientale, era decorato con scene di offerte agli dei, distribuite su due registri, incise a rilievo e dipinte con colori vivaci. Della decorazione esterna, limitata alla porta di accesso, si conservano solo alcuni blocchi esposti, oggi, nella terrazza del Tempio. La cappella era dedicata a due divinità: Amon di Debod e Iside il cui santuario principale era situato sull’isola di Phile, 20 Km. a nord di Debod. Ad Adikhalamaniviene attribuita una piramide nella necropoli reale di Meroe, tuttavia, a parte un frammento di stele ritrovata a Phile, la cappella del tempio di Debod costituisce fino ad oggi la principale testimonianza del regno di questo sovrano meroitico.
Secondo portale fatto costruire da Tolomeo VI nel 172 a. C. La cornice contiene iscrizioni in geroglifico e greco.
Nel 172 a.C. Tolomeo VI (180-145 a.C.) fece erigere il secondo portale del tempio, dedicandolo alla dea Iside. Probabilmente a questo unico monarca si deve anche l’ampliamento del tempio intorno alla cappella costruita da Adikhalamani qualche anno prima.
Sigillo con la titolatura di Adikhalamani
Così, la cappella fu convertita in una sala posta all’interno del nuovo edificio, tra il vestibolo ed il santuario. Rifacendosi alla pianta del vicino Tempio di Iside a Phile, il nuovo tempio di Debod fu dotato, in aggiunta, di tre santuari nella parte posteriore , due vestiboli, magazzini e cripte. Una scala conduceva ad una terrazza che ospitava una cappella destinata, probabilmente, alla celebrazione di riti connessi alla resurrezione di Osiride. Il Tempio mantenne, durante questo periodo, la sua doppia consacrazione ad Amon di Debod e Iside, finché Tolomeo VIII (145-116 a.C.), fece costruire un naos per la dea, scomparso nel XIX secolo. Probabilmente fu Tolomeo XII (80-51 a.C.) a far erigere un altro naos, alquanto più piccolo, per Amon di Debod, attualmente esposto nel santuario principale del tempio.
Facciata del tempio ricostruita a Madrid. Fu decorata in epoca romana.
A seguito della conquista romana, avvenuta nel 30 a. C. e all’istituzione di una frontiera tra Egitto e Meroe, ebbe inizio un periodo di prosperità per la Bassa Nubia, durante il quale si eressero numerosi nuovi templi e si ampliarono quelli esistenti. Le installazioni romane nel tempio di Debod sono da attribuire essenzialmente ad Augusto ed erano distribuite nel vestibolo e nella facciata. Si tratta di rappresentazioni dell’imperatore nell’atto di porgere offerte agli dei Amon di Debod e Iside, nonché Osiride e Mahesa, tra gli altri. Quest’ultimo dovette acquisire all’epoca una certa importanza a Debod, dove appare rappresentato in diverse occasioni sempre insieme ad Amon di Debod. L’imperatore Tiberio, successore di Augusto, continuò la decorazione del vestibolo ma questa andò distrutta nel XIX secolo. Il mammisi, il primo portale e, forse, il terzo, il più vicino al tempio, scomparso all’inizio del XX secolo, risalgono all’epoca romana, così come una via processionale e una terrazza sul fiume, che non furono salvate durante campagne del 1960.
Rappresentazione delle divinità Amon di Debod e Mahesa, nel muro postriore del tempio. Epoca romana.
Particolare della scena di offerte dell’imperatore romano Augusto di fronte agli dei Iside, Osiride, Amon di Debod, Mahesa e Thot di Pnubs
Particolare della scena di offerta del sovrano Adikhalamani alle divinità di Debod. Epoca meroitica
Fonte: La descrizione di questo tempio è stata ricavata dal libretto illustrativo fornito durante la visita al monumento.
Le foto notturne in alto sono state scattate alcuni giorni fa da mio figlio durante la visita al complesso.
Le immagini successive, corredate di didascalie sono estrapolate dal libretto illustrativo (mi scuso per la cattiva qualità).
Per chi volesse saperne di più su questo monumento consiglio di visitare la pagina https://mediterraneoantico.it/…/il-tempio-di-debod…/ che presenta una descrizione storica e artistica del monumento molto dettagliata.
Il tempio di Mentuhotep II Il monumento funerario che dominava il sontuoso tempio a terrazze è oggi un cumulo di macerie circondato dai resti del porticato ipostila.
Il lungo regno di Pepi II, segnò la fine della VI Dinastia.
Dopo il completamento del suo complesso piramidale, ultimato al più tardi nel trentesimo anno del suo regno, non accadde nulla di significativo.
Scultori e pittori continuavano ad essere parzialmente impegnati nella decorazione delle tombe private e, in questo specifico campo artistico, la tradizione procedete senza interruzioni nelle necropoli tebane.
Le squadre di operai specializzati, cavapietre, scalpellini, muratori, addetti al trasporto e ingegneri, dovettero invece fare a meno per lungo tempo delle committenza ufficiali, ciò implico’ la mancata formazione della generazione successiva e il deteriorarsi dell’organizzazione del lavoro.
I primi accenni di una tomba monumentale dalla forma completamente nuova apparvero a Tebe la città dalla quale era partita la riunificazione delle Due Terre.
I re minori o principi dell’XI Dinastia si facevano seppellire in tombe rupestri affacciate su ampi cortili.
Mentuhotep II, unificatore del regno, volle conferire effetti monumentali a questa tipologia funeraria e, trasformò il vasto avvallamento di Deir el- Bahri i un lungo cortile per la propria sepoltura.
Statua di Mentuhotep II. La statua fu rinvenuta in un cenotafio ( sepolcro simbolico) del re sotto il suo tempio funerario e, come un vero sostituto del sovrano, l’opera era avvolta in bende. Ciò ne ha conservato perfettamente i colori : la pelle dipinta con il nero della resurrezione, il rosso della corona del Basso Egitto, il bianco delle vesti del giubileo.
Da Deir El Bahari, XI Dinastia Arenaria dipints, Altezza 138 cm Museo Egizio del Cairo – Scavi H. Carter 1900. JE 362195
L’edificio funerario di Mentuhotep II non è più un complesso piramidale, ma un tempio a terrazze con vasto cortili alberati, facciate porticato e un massiccio edificio centrale circondato da un deambulatorio e sormontato non da una piramide ma dalla collina primordiale. Prima di assumere la sua forma definitiva ha subito molteplici modificazioni e ampliamenti.
Gli scavi hanno chiarito come la costruzione sia stata portata avanti in quattro tappe.
Probabilmente il primo progetto consisteva in una tomba a saff, di cui rimangono solo le tombe a pozzo dette ” delle sei principesse”, il cui stile delle raffigurazioni è ancora del I Periodo Intermedio.
Poi si procedette alla costruzione del tempio attuale e quindi, con un’altra modifica al progetto, si creò un santuario contro la montagna.
Il complesso era di nuova concezione : riuniva elementi e concezioni della tomba a saff, della mastaba dell’antico Regno e del tumulto primevo.
Il complesso funerario era formato da più parti: un tempio in valle, una rampa monumentale (oggi poco visibile) e un tempio funerario.
La sepoltura non è più costituita dalla piramide isolata, bensì è parte del complesso.
Oggi si vede la grande spianata del cortile antistante al tempio, dove si trovavano, all’epoca della sua creazione 55 tamerici e due file di 4 sicomori ( nasceva il concetto di “architettura vegetale”), le piante erano davanti a due porticati al centro dei quali si trovava una rampa centrale che portava alla terrazza.
Tre dei suoi lati erano coperti da colonne e dal portale anteriore si accedeva a una grande sala ipostila al cui centro un basamento sosteneva quella che per un lungo tempo gli archeologi hanno supposto fosse una piramide.
Ma con Mentuhotep la piramide sparisce e rimane il concetto di tumulto primevo, qui reso da una piramide tronca al centro del complesso.
Dalla terrazza si raggiunge l’ultima parte del complesso, dove un colonnato introduce a una corte da cui si accede a una sala ipostila.
Infine, la parte ipigeica include tomba e cappella.
Del complesso di Mentuhotep fa parte anche un cenotafio scoperto da H. Carter, o meglio dal suo cavallo che inciampò in una depressione (l’accesso), ciò ha valso al monumento il nome arabo “Bab el Hosan” la “Porta del Cavallo.
Questo accesso portava a un lungo corridoio di 150 metri e a una camera a volta con una statua reale.
La vera tomba si trova molto più a ovest, ma con accesso dalla corte porticata.
Fonte:
Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konemann
Ricostruzione del tempio di Hatshepsutdi Deir-el-Bahari da Minecraft
Il tempio funerario di Hatshepsut, noto anche come Djeser-Djeseru (“Santo fra i Santi”), è un tempio situato sotto le scogliere di Deir el-Bahari, sulla riva occidentale del Nilo, vicino alla Valle dei Re in Egitto. Il tempio funerario è dedicato alla divinità solare Amon-Ra, e si trova vicino al tempio di Mentuhotep II, entrambi serviti come fonte di ispirazione e, in seguito, come fonte di materiale edilizio.
Il tempio di Hatshepsut ai giorni nostri come si presenta.
Il cancelliere di Hatshepsut, architetto reale e forse amante Senenmut supervisionò la costruzione e probabilmente progettò il tempio.
Nonostante il vicino e più antico tempio di Mentuhotep sia stato utilizzato come modello, le due strutture sono diverse per molti aspetti. Nel tempio di Hatshepsut vi era una lunga terrazza colonnata che diverge dalla struttura centralizzata del tempio di Mentuhotep, un’anomalia che potrebbe essere stata causata dalla posizione decentrata della camera funeraria.
Vi sono tre livelli di terrazze per un’altezza totale di 35 metri. Ogni livello è formato da una doppia fila di colonne quadrate, con l’eccezione dell’angolo nordoccidentale della terrazza centrale, che usa colonne protodoriche per ospitare la cappella. Queste terrazze sono collegate tra loro tramite lunghe rampe un tempo circondate da giardini con piante esotiche, tra cui alberi di franchincenso e mirra. La struttura a livelli del tempio di Hatshepsut corrisponde alla classica forma tebana, che utilizza piloni, corti, ipostili, corti solari, cappelle e santuari.
Il tempio di Hatshepsut ricostruito in Minecraft.
L’area di Deir el-Bahari era luogo sacro alla dea Hathor e per questo motivo all’estremità sud del secondo colonnato vi è una cappella dedicata alla divinità. La costruzione è costituita da due sale ipostile con pilastri e da un santuario profondo scavato nella roccia preceduto da un vestibolo e dalla stanza per la barca sacra. La dea Hathor è raffigurata spesso come giovenca che esce dalla montagna con la funzione di accogliere i morti.
All’estremità opposta (estremità nord) è presente una seconda cappella dedicata ad Anubi, più piccola rispetto a quella dedicata ad Hathor.
La terrazza superiore è costituita da un portico con 24 statue osiriache della regina (Hatshepsut viene in questo caso ritratta come un uomo) e dall’entrata al santuario principale.
Fotografia del colonnato superiore Osiriano della Regina Hatshepsut.
Quest’ultimo era composto da tre stanze che si succedevano: la prima era la sala della barca, la più grande, che aveva 6 nicchie nelle pareti nord e sud. Da tre gradini si accedeva alla sala della statua di culto (di Amon) e a metà delle due pareti laterali si aprivano due piccoli stretti ambienti per la grande enneade heliopolitana. L’ultima stanza era la sala per la tavola delle offerte dove venivano fatte offerte solo ad Hatshepsut. Il santuario venne successivamente ampliato come luogo di culto di due architetti (Amenofi figlio di Apu e Imhotep) mentre la corte dell’ultimo terrazzo fu usata come sanatoio.
Il tempio funerario doveva avere anche un tempio a valle che però non è stato ancora trovato.
Il portico della terrazza inferiore è decorato nella metà nord con scene relative ai rituali del Basso Egitto e il trionfo della regina sui nemici sconfitti mentre a sud sono presenti scene quali l’estrazione dalla cava e il trasporto dei grandi obelischi nel tempio di Amon Ra a Karnak durante la festa sed della regina.
Il tempio visto frontalmente nella ricostruzione di Minecraft.
Questa bipartizione di temi si ritrova anche nel secondo portico: sul lato sud testi ed immagini parlano di una spedizione nel paese di Punt, una zona esotica sulla costa del Mar Rosso, avvenuta nel IX anno di regno della regina; nel lato nord le scene erano dedicate alla nascita di Hatshepsut con ad esempio il concepimento divino tra il dio Amon e la madre della regina o la stessa Hatshepsut che accompagna il suo vero padre (Tutmosi I) nella visita dei più importanti centri egiziani.
Anche se statue ed ornamenti sono stati rubati o distrutti, sappiamo che la struttura un tempo conteneva due statue di Osiride, un viale costellato di sfingi e molte altre sculture della regina in pose diverse: in piedi, seduta o in ginocchio. Molti di questi ritratti furono distrutti per ordine del figliastro Thutmose III dopo la sua morte.
Questo monumento è situato a circa cinquecento metri a nord – ovest del tempio di Userkaf, ed è stato costruito da Niuserra, sesto re della V Dinastia.
Il tempio, scoperto da John Perring nel 1837 e conosciuto col nome “Piramide di Righa”, venne scavato tra il 1898 e il 1837 da una missione archeologica tedesca diretta da Ludwig Borchardt, Friedrich W. Von Bissing è Heinrich Shaffer.
Il tempio solare faceva parte di un complesso che comprendeva strutture diverse costituite da tre elementi principali :
Il tempio alto
La rampa processionale
Il tempio in valle
Il tempio alto o tempio solare propriamente detto, era costituito da un vestibolo che immetteva in un cortile che misurava 100 x 75 metri, circondato da un muro di pietra e dominato da un grande obelisco costruito con blocchi di pietra sopra a un basamento a forma di piramide tronca, alta oggi 15 metri, davanti al quale si trovava un altare sacrificale in alabastro dal diametro di circa 6 metri.
L’ obelisco simboleggia a il benben, la pietra sulla quale il sole, al momento della creazione del mondo, posò per la prima volta i suoi raggi.
Al fianco dell’obelisco, sul lato sud, vi era una cappella alla quale era annessa la cosiddetta ” camera delle stagioni” i cui bassorilievi, che si trovano in gran parte al Museo Archeologico di Berlino, celebrano la forza generatrice e procreatrice del dio solare sulla natura.
Infine, presso il muro di cinta all’angolo nord – est, si trovano delle aree destinate alla macellazione degli animali per i sacrifici, la cui presenza è indicata da una serie di 10 grandi bacili di alabastro e da una serie di magazzini.
Al di fuori del muro di cinta è ancora visibile una fossa naviforne di mattoni crudi, destinata a contenere una barca o a rappresentare essa stessa un simulacro di barca.
Fonte:
Le guide di Archeo – Piramidi d’Egitto – Alberto Siliotti – Edizioni White Star