A cura di Piero Cargnino
Una cosa è certa, i monumenti di Giza rimasero un enigma non solo per gli antichi egizi ma continuarono, e continuano, ad esserlo anche per gli studiosi moderni.
Con la Piramide di Cheope, la Sfinge presenta tanti e tali enigmi la cui soluzione è ancora lungi dall’essere trovata. Come abbiamo detto, in tempi a noi più vicini, fu Giovanni Battista Caviglia, esploratore, navigatore ed egittologo italiano, nato a Genova nel 1770, che nel 1816, rapito forse dal fascino del colosso accovacciato, iniziò una serie di scavi sul fronte della statua proprio sotto la testa, procedette fino a scoprire tutta la parte sottostante del monumento e delle zampe anteriori. Qui vennero rinvenuti i resti della barba e la testa dell’Ureo reale. Ma la cosa più importante fu il ritrovamento della “Stele del Sogno” di Thutmosi IV. All’atto del suo ritrovamento però la stele non diceva molto agli archeologi in quanto i geroglifici non erano ancora stati decifrati.





La stele è alta 114 cm, larga 40 cm con uno spessore di 70 cm, vi è riprodotta una lunga iscrizione sormontata da una scena nella quale Thutmosi IV fa offerte alla Grande Sfinge. Eretta da Thutmose IV durante il suo primo anno di regno come una legittimazione divina del suo potere faraonico. Ora tradotta la stele riporta il colloquio avuto in sogno da Thutmose, che, durante una partita di caccia, si era fermato a riposarsi all’ombra della testa della statua, con la Sfinge stessa: <<…….. egli si accorse che questo maestoso nobile dio gli stava parlando dalla sua bocca come un padre parla a suo figlio…….io sono tuo padre Horemakhet-Khepri-Ra-Atum………>>. Durante il colloquio la Sfinge promise il trono a Thutmose a patto che l’avesse fatta disseppellire dalla sabbia che la avvolgeva fino al collo: <<………. la sabbia del deserto, sulla quale un tempo io regnavo, (adesso) mi è nemica……….>>. L’ultima parte dello scritto è andata perduta causa l’erosione della pietra. Salito al trono Thutmose IV mantenne la promessa e fece restaurare la statua inserendo tra le sue zampe la stele. Oltre a quanto già accennato sopra, dagli scavi effettuati tra le zampe anteriori vennero pure ritrovati resti di un tempietto e piccole statue di leoni di pietra dipinti di rosso, Caviglia trovò anche un altare di granito con segni di combustione. In un primo momento si pensò che fosse servito a compiere riti sacrificali in onore della Sfinge ma in seguito si scoprì che risaliva ad un’epoca più tarda.
L’altare consisteva in una piccola costruzione con due colonne poste in modo che lo sguardo della Sfinge potesse passare esattamente in mezzo ad esse. Secondo alcuni egittologi la costruzione, ricorda un altare rituale risalente all’epoca romana. Si sa che sia i greci, prima, poi i romani e successivamente gli arabi seguirono la tradizione di rendere omaggio alla Sfinge perpetuando l’idea che fosse opera degli dei. Non venne ritrovato altro nonostante siano state rinvenute immagini in cui la Sfinge viene rappresentata con una statua, o secondo alcuni, una colonna situata di fronte al petto.
Si pensa che durante i lavori di restauro intrapresi da Thutmose IV, come narra la Stele del Sogno, oltre a disseppellire la statua dalla sabbia ed a sostituire i blocchi caduti a causa dell’erosione, il faraone fece dipingere di rosso la Sfinge e collocò una statua di suo padre, Amenhotep II, tra le zampe del monumento. Secondo quanto riportato su di una stele, opera dello scriba Mentu-Hor, è possibile che ci fosse veramente una statua oggi ormai ridotta ad una protuberanza tra le gambe della Sfinge. Il disegno della Sfinge sulla stele di Mentu-Hor è molto insolito per l’arte egizia denunciando la ricerca di un effetto più che naturalistico, da notare l’evidente collare intorno al collo. Sullo sfondo sono visibili due piramidi rappresentate in modo altrettanto audace. La Stele del Sogno di Thutmosi IV, oltre che per il testo che riporta, presenta un altro mistero che si aggiunge ai molti che riguardano la Sfinge. Sulla stele sono rappresentate non una ma due Sfingi. Due Sfingi in posizione opposta, una guarda a levante mentre l’altra a ponente.





Ma se la Sfinge è una sola, per quale ragione Thutmosi IV ne fece scolpire due? A questo proposito sono state avanzate numerose ipotesi, secondo alcuni studiosi potrebbe esistere una seconda Grande Sfinge sepolta alle spalle della prima, magari più danneggiata e sicuramente priva della testa che sarebbe altrimenti visibile. Tutte queste teorie, da alcuni classificate come fantarcheologia, sono fortemente osteggiate dall’archeologia accademica che però non è in grado di spiegare in modo convincente perché la stele ne rappresenti due. Oltre a molti scrittori e ricercatori alternativi (come Robert Bauval e Graham Hancock, ecc.), anche l’egittologo egiziano Bassam El Shammaa sostiene da anni che la stele di Thutmosi IV rappresenti quella che doveva essere la realtà in passato, cioè che le sfingi erano non una, ma due. El Shammaa ritiene che una sfinge sola rappresenti un’anomalia, infatti nella tradizione egizia le Sfingi sono sempre due a rappresentare Shu e Tefnut, figli di Atum, il dio sole, di solito raffigurati come un leone ed una leonessa. Così infatti le due creature mitologiche sono rappresentate contrapposte sulla Stele del Sogno. In una sua intervista al giornale egiziano in lingua inglese Daily News, l’archeologo El Shammaa ha dichiarato che secondo lui la sfinge che rappresentava Tefnut venne distrutta da un evento naturale, forse un fulmine, il fatto colpì a tal punto l’immaginario collettivo che i sacerdoti, per giustificare l’evento di fronte al popolo e placare lo sgomento, spiegarono che Tefnut fosse stata maledetta. Non di rado succede che nella mitologia un dio maggiore condanni un dio minore.
Un’altra ipotesi suggerisce che la seconda sfinge sarebbe andata distrutta già nell’antichità ma, sotto tonnellate di sabbia e roccia, contrapposta alla Sfinge esistente, si troverebbero i resti della gemella. A sostegno di questa tesi ci sarebbe un’immagine ripresa dallo spazio e diffusa dalla NASA. L’archeologo Michael Poe sostiene che si trattò di una grande inondazione del Nilo a radere al suolo la seconda sfinge, l’opera venne poi completata dagli arabi per costruire i loro villaggi. A suo avviso, la distruzione risalirebbe ad epoche più recenti, tra il 1000 e il 1200 d.C. Chissà se un giorno si riuscirà a conoscere la verità? Una cosa è certa, i monumenti di Giza che non presentano alcuna traccia di iscrizioni, sicuramente dovettero già rappresentare un enigma per gli egizi vissuti dopo l’Antico Regno.
Fonti e bibliografia:
- Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
- Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
- Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Roma, Newton Compton Editori, 2006
- Maurizio Damiano-Appia, “I tesori del Nilo”, Giunti Multimedia, 1997
- Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005
- Elio Moschetti, Mario Tosi, “Thutmosi IV un sogno all’ombra della sfinge”, Ananke, 2004
- Martin Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961, (Einaudi, Torino 1997
- Tiziana Giuliani, “Il Viale delle Sfingi che collega Karnak a Luxor”, da Mediterraneo Antico, 2017
- Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Nrwton & Compton editori, 1999
- Fugazza Stefano, “Simbolismo”, Arnoldo Mondadori arte, 1991)