Antico Regno, Sfinge

IL TEMPIO DELLA SFINGE

A cura di Piero Cargnino

La Grande Sfinge di Giza non è solo essa stessa un enigma ma i misteri e le sorprese la attorniano rendendo sempre più affascinante lo studio di questo grandioso monumento. Voglio ora approfondire un argomento del quale in effetti se ne parla poco. A parte qualche documentario fatto in passato, non sono molti gli egittologi che ne hanno parlato e comunque solo come contorno al più ampio discorso sulla Sfinge senza mettere troppo in risalto l’importanza di questo monumento secondario ma neppure troppo, “Il Tempio della Sfinge”. Collocato proprio davanti alle zampe anteriori della Sfinge, 2,5 metri più in basso, affiancato sul lato nord dal Tempio della Valle di Chefren,

il Tempio era completamente sommerso dalla sabbia quando, nel 1925, fu scoperto da Emile Baraize, impegnato nel grande lavoro di scavo e restauro della Sfinge stessa. Del Tempio non si conosce molto, si ritiene sia stato il faraone Chefren a farlo costruire, anche se molti non concordano facendone risalire la costruzione a molto prima (stesso discorso della Sfinge). Pur essendo vicinissimi, non si riscontra alcun affinamento archeologico e architettonico tra il Tempio della Sfinge e quello di Valle di Chefren. Non si ha neppure la certezza che esista una relazione tra la Sfinge stessa ed il Tempio. L’asse est-ovest del Tempio non si trova perfettamente allineato con quello della Sfinge ma è spostato di circa 7 metri più a sud. Non comunica in alcun modo con la statua mancando di accessi immediati alla Sfinge dall’interno del Tempio, per raggiungerla e necessario percorrere passaggi a nord e a sud. Il Tempio presenta una concezione architettonica tutta particolare, è costruito con grossi blocchi di calcare all’esterno, che si presentano molto danneggiati, mentre l’interno è completamente rivestito con altri enormi blocchi, ma questi sono di granito rosso, ciascun blocco è almeno tre volte più grande di quelli della Grande Piramide. Presenta una pianta del tutto particolare, nella parte centrale si trovava un cortile aperto di 46 x 23 metri circondato sui quattro lati da enormi colonne in granito appoggiate alle quali in passato dovevano trovarsi delle enormi statue del re alte almeno tre metri, di alcune di esse rimangono i basamenti. Su entrambi i lati, occidentale ed orientale, si allarga formando dei portici con una profonda nicchia. L’accesso al Tempio avveniva attraverso due entrate poste sul lato orientale. Il soffitto è formato da enormi architravi in granito rosa che poggiano su giganteschi pilastri monolitici dello stesso materiale, il peso di ciascun blocco si stima in 115 tonnellate. All’interno, seppur danneggiato, il pavimento è ricoperto da lastre di alabastro a taglio irregolare.

Ventitré grosse nicchie nei muri interni, orientale ed occidentale, suggeriscono la presenza, in origine, di statue di culto, (secondo alcuni statue di diorite, scisto e alabastro rappresentanti Chefren). Secondo l’architetto tedesco, Herbert Ricke, che ha studiato attentamente il Tempio, le statue avrebbero rappresentato il sovrano assiso sul trono con il copricapo nemes. Non si conosce quale possa essere stata la funzione di questo Tempio; come per tutti i monumenti presenti a Giza, anche il Tempio della Sfinge non presenta alcuna iscrizione incisa sulle pareti che possa fornire informazioni. Ricke sostiene che si tratta di un Tempio solare nonostante, come era in uso allora, i nomi dei sacerdoti del Tempio non siano menzionati in alcuna iscrizione dell’epoca. Se così fosse si tratterebbe dell’antenato dei templi solari che furono costruiti durante la V dinastia. Questa ipotesi trova concordi la maggior parte degli archeologi. Come per la grande Galleria e la Camera del Re, della piramide di Cheope, anch’esso consiste in una possente costruzione in granito successivamente avvolta all’esterno da enormi blocchi di calcare, quasi a protezione di quelli interni. Come la stessa Sfinge, anche il Tempio ci sorprende con i suoi misteri e questi sono impliciti nella sua struttura architettonica. La cosa più sorprendente, che lascia maggiormente perplessi è la collocazione degli enormi massi di granito all’interno ed in parte anche di quelli di calcare esterni. A differenza dagli altri monumenti egizi che si presentano assemblati con blocchi perfettamente squadrati, il Tempio della Sfinge mostra un’architettura del tutto particolare. Il taglio dei blocchi non è a forma di parallelepipedo regolare, come in tutte la costruzioni contemporanee e successive, ciascun blocco ha strane forme che si incastrano inspiegabilmente con più angoli. Al vederli la mente ci riporta alle ciclopiche mura di Machu Pichu e Cuzco in Perù.

Si presume, da alcune prove, che il Tempio non venne mai terminato e, forse che non sia mai stato utilizzato. A questo proposito sono nate, e continuano a prosperare, le teorie più fantasiose che vanno ben oltre ogni limite scientifico serio. Certo che una pubblicazione archeologica dettagliata è meno seguita dei libretti da bancarella che colpiscono la fantasia e l’immaginazione del profano. Certamente si possono esprimere teorie alternative purché offrano almeno un minimo di attendibilità, non foss’altro che per il dovuto rispetto verso chi passa gran parte della sua vita tra le rovine del tempo per cercare di capire il nostro passato. Altrettanto rispetto e riconoscenza, innegabilmente, è dovuto ad una civiltà così remota per le testimonianze che ci ha lasciato in tutti i campi.

Fonti e bibliografia:

  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Roma, Newton Compton Editori, 2006
  • Maurizio Damiano-Appia, “I tesori del Nilo”, Giunti Multimedia, 1997
  • Sabina Marineo, “Prima di Cheope”, Nexus Edizioni, 2013
  • Robert Bauval, “Secret Chamber: The Quest for the Hall of Records”. Arrow; New Ed, 2000
  • H. Spencer Lewis, “Symbolic Prophecy of the Great Pyramid”, The Rosicrucian Press, 1936
  • Christiane Zivie-Coche, “Sphinx, le père la terreur”, Agnes Viénot Editions, 1997
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005
  • Elio Moschetti, Mario Tosi, “Thutmosi IV un sogno all’ombra della sfinge”, Ananke, 2004
  • Martin Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961, (Einaudi, Torino 1997
  • Tiziana Giuliani, “Il Viale delle Sfingi che collega Karnak a Luxor”, da Mediterraneo Antico, 2017
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Nrwton & Compton editori, 1999
  • Fugazza Stefano, “Simbolismo”, Arnoldo Mondadori arte, 1991)

Antico Regno, Sfinge

CUSTODE DI GRANDI SEGRETI

A cura di Piero Cargnino

La Grande Sfinge oggi fa bella mostra di se nella piana di Giza e viene visitata dai numerosi turisti che si recano in Egitto. Forse aveva, con le tre piramidi, lo scopo di stupire ed incutere timore e riverenza nei rappresentanti dei paesi stranieri che andavano ad omaggiare il faraone di turno. Ma forse non è proprio così. Se ci addentriamo nella letterature antica scopriamo che le cose andarono diversamente. Riporto una curiosità molto strana ed interessante, noi oggi restiamo incantati dalla imponenza della Sfinge anche perché siamo in grado di ammirarla in tutta la sua ampiezza. Stranamente però nell’antichità la Sfinge non veniva mai citata, la Bibbia ci parla molto dell’Egitto, da Giuseppe visir ebreo che fa arrivare la sua famiglia fino al Delta, a Mosè che con Aronne lotta contro i maghi del faraone fino a portare fuori il suo popolo dal paese, la Bibbia descrive molti particolari dell’Egitto senza però scendere troppo nei dettagli, possiamo però immaginare che non avrebbe almeno citato una statua così appariscente? Nulla sulla Sfinge, la Bibbia tace.

Così come tacciono i vari storici greci che che pure descrissero le meraviglie del paese, Erodoto, che all’epoca di Cambise, percorse l’intero Egitto fino ad Assuan e che nel II libro delle sue “Storie” ci presenta un resoconto molto dettagliato di ciò che aveva visto, lui che fu testimone del fatto che la Grande Piramide possedeva ancora tutto il suo bianco rivestimento di fine calcare, prima che tutto fosse asportato durante quindici secoli di saccheggi per la costruzione del Cairo. Di tutto ciò che vide, Erodoto fornisce una dettagliata descrizione dei luoghi, dei paesaggi, delle usanze popolari e delle tradizioni dell’Egitto, sottolineando in particolare le funzioni del fiume Nilo. In nessuno dei suoi passi compare la Sfinge.

Manetone, del quale purtroppo possediamo solo frammenti della sua opera “Aigyptiaka”, attinta alle fonti indigene, poi ripresa da altri storici e scrittori classici quali Giuseppe Flavio, Eusebio, Giulio Africano ed altri, ebbene nella sua opera Manetone non fa alcun accenno alla Sfinge. Diodoro Siculo, autore di una monumentale storia universale, la “Bibliotheca Historica”, come pure Strabone, nella sua “Geographia” e nella “Storia Universale” non citano mai la Sfinge. Ce ne parla Plinio il Vecchio nel I secolo d.C. nella sua “Storia Naturale” il quale afferma. <<………di fronte alle piramidi si trova la Sfinge, opera ancor più straordinaria………considerata una divinità………essi (gli egizi) la credono la tomba del re Harmais……..credono che sia stata portata li da un luogo distante……..ma in verità è stata scolpita li………il volto è dipinto di rosso per motivi religiosi……..>>. Plinio riportò correttamente che la Sfinge, “Re Harmais” riportava in modo corretto l’immagine di Horo all’orizzonte nella sua forma di Horemakhet.

Quanto riportato da Plinio venne ripreso ed ampliato da autori classici più tardi, ad esempio nel “Corpus Hermeticum”, attribuito ad Ermete Trismegisto e nella “Hieroglyphiká” di Horapollon i quali consideravano i geroglifici segni mistici giunti a noi dagli antichi egizi quali fonte di ogni saggezza. Ma allora viene da chiedersi: se Plinio il Vecchio negli anni 80 d.C. vide la Sfinge in tutta la sua ampiezza, mentre Diodoro nel I secolo a.C. e Strabone nel 70 d.C. non parlano assolutamente della Sfinge, forse perché si trovava completamente sepolta, chi l’ha dissotterrata nei 10 anni che li separano da Plinio? Della Sfinge se ne parla nel periodo della dominazione araba, interessante la testimonianza di un medico di Baghdad, Abd al-Latif che nel XIII secolo visitò la piana di Giza e rimase più impressionato dalla Sfinge che dalle piramidi: <<………nei pressi delle piramidi si trova una colossale testa che emerge dal terreno……..>> e sottolineò la sua meraviglia che in un volto di tali dimensioni fossero state rispettate le esatte proporzioni senza avvalersi di un modello in natura. Nel corso del medioevo alcuni pellegrini si recarono in Egitto alla ricerca delle località citate nella Bibbia e nei Vangeli alla caccia di reliquie, interpretarono le piramidi come i granai di Giuseppe ma non lasciarono alcuna descrizione della testa della Sfinge. Solo più tardi, nel XVI secolo quando ebbero inizio studi sulle antichità egizie, furono molti i visitatori che si recavano in Egitto come viaggiatori e non come pellegrini ed in questo periodo le descrizioni della testa della Sfinge abbondano tra leggende e miti. Secondo il prete di Caterina de Medici la testa era stata creata da Iside amata di Giove, deviazione culturale religiosa del tardo periodo classico. Nel 1579, Johannes Helferich, rielaborò la tesi affermando che si trattava della rappresentazione della dea Isidis, figlia del re Inachus di Grecia, andata in sposa al dio egizio Osiride che gli cambiò il nome in Iside facendogli dono della grande statua di pietra. La cosa più interessante però è il fatto che Helferich aggiunse che: <<……..esiste un passaggio sotterraneo che parte da lontano……….>>, spiegò che il passaggio finisce dentro il corpo della Sfinge fino a raggiungere la testa ed era utilizzato dai sacerdoti egizi per parlare al popolo come se a farlo fosse la dea stessa. Ne tracciò uno schizzo dal quale però si intuisce chiaramente che lui non vide mai la Sfinge, al massimo ne sentì parlare molto vagamente, il suo schizzo è la rappresentazione di un volto femminile con tanto di seni ben accentuati.

Sulla Grande Sfinge di Giza molto è stato detto, ci sarebbe ancora molto da dire, sono stati sparsi fiumi d’inchiostro ed abbondano i libri di scrittori di ogni tipo, si può spaziare dall’archeologia accademica alla fantarcheologia. Io mi fermo qui anche se personalmente penso che la Sfinge ci nasconda ancora molti misteri, non ci rimane che aspettare che vengano svelati. Lasciamo ora il gigantesco Horemakhet, che da oltre 4500 anni (?) vigila sulla necropoli di Giza con gli occhi puntati verso l’orizzonte orientale, la dove il sole sorge agli equinozi. Prima di andarvene, però, osservate ancora attentamente quel volto, gli occhi e la bocca che, col favore di una opportuna angolazione del sole, paiono ammiccare accennando un quasi impercettibile sorriso, quasi a dirci: “Voi non sapete”. Custode di grandi segreti, continua ad osservare il sole che nasce all’orizzonte, rappresenta la rinascita dopo la morte, e l’uomo, che aspira da sempre all’immortalità, non ha mai smesso di osservare lo sguardo della Sfinge.

Fonti e bibliografia:

  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Roma, Newton Compton Editori, 2006
  • Maurizio Damiano-Appia, “I tesori del Nilo”, Giunti Multimedia, 1997
  • Sabina Marineo, “Prima di Cheope”, Nexus Edizioni, 2013
  • Robert Bauval, “Secret Chamber: The Quest for the Hall of Records”. Arrow; New Ed, 2000
  • H. Spencer Lewis, “Symbolic Prophecy of the Great Pyramid”, The Rosicrucian Press, 1936
  • Christiane Zivie-Coche, “Sphinx, le père la terreur”, Agnes Viénot Editions, 1997
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005
  • Elio Moschetti, Mario Tosi, “Thutmosi IV un sogno all’ombra della sfinge”, Ananke, 2004
  • Martin Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961, (Einaudi, Torino 1997
  • Tiziana Giuliani, “Il Viale delle Sfingi che collega Karnak a Luxor”, da Mediterraneo Antico, 2017
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Nrwton & Compton editori, 1999
  • Fugazza Stefano, “Simbolismo”, Arnoldo Mondadori arte, 1991)

Antico Regno, Sfinge

I CUNICOLI ED IL BUCO SULLA TESTA

A cura di Piero Cargnino

In seguito Caviglia collaborò con l’egittologo inglese Howard Vyse, famoso per i suoi metodi decisamente invasivi. Vyse con il collega John Shae Perring praticò un foro sulla schiena della Sfinge alla ricerca di eventuali camere nascoste che però non trovò e dopo alcuni metri si fermarono.

Dopo Caviglia, Mariette, Maspero, Baraize ed altri intrapresero scavi per liberare completamente la statua dalla sabbia, ma fu solo nel 1936 che l’egittologo Selim Hassan riuscì a completare l’opera liberando l’intero sito della Sfinge. Leggende popolari derivanti da miti del passato parlano dell’esistenza di numerosi passaggi segreti all’interno della statua che condurrebbero ad una stanza, la cosiddetta “Stanza dei Registri”. Per non farci mancare nulla parliamo anche di questa ipotetica “Stanza dei Registri”. Mito che si tramanda da secoli, si tratta di una delle più famose “teorie alternative” nate intorno alla storia dell’Antico Egitto.

L’appellativo “Hall of Records” (Stanza dei registri) venne coniata da Edgard Cayce, che si rifaceva a Plinio il Vecchio il quale, nel suo “Naturalis historia”, riporta che gli antichi Egizi affermavano che sotto la Sfinge vi fosse sepolto il re Harmais. Questa “Stanza dei Registri” sarebbe una specie di biblioteca sepolta sotto la Sfinge nella quale sarebbe conservata tutta la conoscenza degli antichi Egizi impressa su rotoli di papiro, qualcuno azzarda che si troverebbe anche la storia completa del continente perduto di Atlantide. Al problema si interessarono anche gli scrittori Hancock e Bauval secondo i quali esisterebbero tre passaggi attorno alla sfinge, due di origine sconosciuta ed uno che si crede essere un piccolo vicolo cieco scavato dietro la testa e risalente al XIX secolo, appunto quello detto sopra praticato da Perring. Io riporto quanto attingo dalle fonti senza pregiudizi anche se va detto che le varie teorie riguardanti la “Stanza dei registri” e tutti i vari passaggi segreti all’interno della Sfinge sono considerati come fantarcheologia.

Su queste ipotesi sono state effettuate ricerche che non hanno portato ad alcun riscontro scientifico anche se gli ultimi scavi del 2007 hanno rilevato la presenza di una fitta rete di cunicoli. Le ricerche hanno comunque portato al ritrovamento del breve passaggio ricavato sulla schiena della statua, dietro la testa, praticato da Vyse e Perring anni prima. Ma questo non è l’unico “passaggio”, secondo l’archeologo Zahi Hawass nel corpo della Sfinge sono stati riscontrati diversi passaggi, uno dei quali nel recinto, che però non conducono a nessuna camera segreta. Hawass ha esplorato il foro praticato sulla schiena della Sfinge da Perring e Vyse ma anche questo non sbuca da nessuna parte, all’interno è stato rinvenuto un filo da trivellazione ivi abbandonato. Hawass ha poi esplorato un’altra apertura, fotografata da Baraize nel 1926, che si trova sul lato nord della statua, si tratta di un breve scavo cieco che non conduce a nulla pertanto è stato bloccato. Nel 1980 Mark Lehner e Zahi Hawass, avvalendosi di quanto riferito da Mohammed Abd al-Mawgud Fayed, che aveva lavorato da ragazzo nel 1926 con Emile Baraize, hanno localizzato un passaggio nella pietra che parte dalla crepa sul retro della Sfinge e si protrae per circa 9 metri. Il passaggio scende al di sotto del corpo della Sfinge e raggiunge la falda che si trova al di sotto. Una parte del passaggio si snoda sotto la Sfinge prima di giungere a un vicolo cieco a circa 4,5 metri sotto il livello del suolo. Al suo interno non è stato rinvenuto nulla se non un paio di scarpe vecchie, probabilmente dimenticate da qualche operaio durante la ripulitura organizzata da Baraize.

Johannes Helferich, nel 1579 d.C. descrisse la Sfinge come una donna che rappresentava la dea Iside, raccontò inoltre che esisteva un passaggio che portava all’interno della testa da dove i sacerdoti egizi usavano parlare al popolo. Helferich non si recò mai in Egitto limitandosi a riportare una delle tante leggende popolari. Ma non è finita qui, non si può dire che la Sfinge sia avara di misteri. Negli anni venti del ‘700, Thomas Shaw scoprì un foro di circa 1,5 x 1,5 metri profondo circa 3 metri, sulla sommità della testa, ne dedusse che molto probabilmente un tempo aveva ospitato una decorazione del copricapo, e gettò nuovi indizi per l’ipotesi di passaggi nascosti all’interno del monumento. Questo particolare viene spesso trascurato dagli egittologi e riportato solo in qualche documentario ma poco approfondito, il buco sulla testa della Sfinge. Una delle immagini mostra la Grande Sfinge di Giza fotografata da una mongolfiera nel 19° secolo. Sulla testa si può osservare una cavità circolare quasi perfetta al centro. Nel 1740 Charles Thompson scrisse: “Non siamo riusciti a raggiungere la cima della testa, ma coloro che l’hanno fatto hanno parlato di un buco circolare lassù dove una persona si potrebbe calare tranquillamente”. A suo tempo Baraize fece chiudere il buco installando una botola di ferro. In una ripresa aerea effettuata di recente si vede chiaramente come questa cavità nella testa del monumento sia stata ricoperta da una delle tante “ristrutturazioni” moderne. Come si può vedere nella foto scattata il 15 dicembre 1925, che mostra il restauro di E. Baraize. la prospettiva è interessante perché l’archeologo impegnato nello scavo sta lavorando all’interno del buco.

Riassumendo si contano sei passaggi nel corpo della Sfinge: uno si trova sul retro della statua, un altro vicino alla coscia del leone a livello del suolo, il terzo si trova vicino al centro ed è stato rivestito in mattoni durante i “lavori di restauro”, il quarto si trova proprio sotto l’orecchio, il quinto è quello sulla testa che è stato chiuso, il sesto si trova tra le zampe della Sfinge.

Fonti e bibliografia:

  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Roma, Newton Compton Editori, 2006
  • Maurizio Damiano-Appia, “I tesori del Nilo”, Giunti Multimedia, 1997
  • Sabina Marineo, “Prima di Cheope”, Nexus Edizioni, 2013
  • Robert Bauval, “Secret Chamber: The Quest for the Hall of Records”. Arrow; New Ed, 2000
  • H. Spencer Lewis, “Symbolic Prophecy of the Great Pyramid”, The Rosicrucian Press, 1936
  • Christiane Zivie-Coche, “Sphinx, le père la terreur”, Agnes Viénot Editions, 1997
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005
  • Elio Moschetti, Mario Tosi, “Thutmosi IV un sogno all’ombra della sfinge”, Ananke, 2004
  • Martin Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961, (Einaudi, Torino 1997
  • Tiziana Giuliani, “Il Viale delle Sfingi che collega Karnak a Luxor”, da Mediterraneo Antico, 2017
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Nrwton & Compton editori, 1999
  • Fugazza Stefano, “Simbolismo”, Arnoldo Mondadori arte, 1991)

Antico Regno, Sfinge

LA STELE DEL SOGNO E IL MISTERO DELLA SECONDA SFINGE

A cura di Piero Cargnino

Una cosa è certa, i monumenti di Giza rimasero un enigma non solo per gli antichi egizi ma continuarono, e continuano, ad esserlo anche per gli studiosi moderni.

Con la Piramide di Cheope, la Sfinge presenta tanti e tali enigmi la cui soluzione è ancora lungi dall’essere trovata. Come abbiamo detto, in tempi a noi più vicini, fu Giovanni Battista Caviglia, esploratore, navigatore ed egittologo italiano, nato a Genova nel 1770, che nel 1816, rapito forse dal fascino del colosso accovacciato, iniziò una serie di scavi sul fronte della statua proprio sotto la testa, procedette fino a scoprire tutta la parte sottostante del monumento e delle zampe anteriori. Qui vennero rinvenuti i resti della barba e la testa dell’Ureo reale. Ma la cosa più importante fu il ritrovamento della “Stele del Sogno” di Thutmosi IV. All’atto del suo ritrovamento però la stele non diceva molto agli archeologi in quanto i geroglifici non erano ancora stati decifrati.

La stele è alta 114 cm, larga 40 cm con uno spessore di 70 cm, vi è riprodotta una lunga iscrizione sormontata da una scena nella quale Thutmosi IV fa offerte alla Grande Sfinge. Eretta da Thutmose IV durante il suo primo anno di regno come una legittimazione divina del suo potere faraonico. Ora tradotta la stele riporta il colloquio avuto in sogno da Thutmose, che, durante una partita di caccia, si era fermato a riposarsi all’ombra della testa della statua, con la Sfinge stessa: <<…….. egli si accorse che questo maestoso nobile dio gli stava parlando dalla sua bocca come un padre parla a suo figlio…….io sono tuo padre Horemakhet-Khepri-Ra-Atum………>>. Durante il colloquio la Sfinge promise il trono a Thutmose a patto che l’avesse fatta disseppellire dalla sabbia che la avvolgeva fino al collo: <<………. la sabbia del deserto, sulla quale un tempo io regnavo, (adesso) mi è nemica……….>>. L’ultima parte dello scritto è andata perduta causa l’erosione della pietra. Salito al trono Thutmose IV mantenne la promessa e fece restaurare la statua inserendo tra le sue zampe la stele. Oltre a quanto già accennato sopra, dagli scavi effettuati tra le zampe anteriori vennero pure ritrovati resti di un tempietto e piccole statue di leoni di pietra dipinti di rosso, Caviglia trovò anche un altare di granito con segni di combustione. In un primo momento si pensò che fosse servito a compiere riti sacrificali in onore della Sfinge ma in seguito si scoprì che risaliva ad un’epoca più tarda.

L’altare consisteva in una piccola costruzione con due colonne poste in modo che lo sguardo della Sfinge potesse passare esattamente in mezzo ad esse. Secondo alcuni egittologi la costruzione, ricorda un altare rituale risalente all’epoca romana. Si sa che sia i greci, prima, poi i romani e successivamente gli arabi seguirono la tradizione di rendere omaggio alla Sfinge perpetuando l’idea che fosse opera degli dei. Non venne ritrovato altro nonostante siano state rinvenute immagini in cui la Sfinge viene rappresentata con una statua, o secondo alcuni, una colonna situata di fronte al petto.

Si pensa che durante i lavori di restauro intrapresi da Thutmose IV, come narra la Stele del Sogno, oltre a disseppellire la statua dalla sabbia ed a sostituire i blocchi caduti a causa dell’erosione, il faraone fece dipingere di rosso la Sfinge e collocò una statua di suo padre, Amenhotep II, tra le zampe del monumento. Secondo quanto riportato su di una stele, opera dello scriba Mentu-Hor, è possibile che ci fosse veramente una statua oggi ormai ridotta ad una protuberanza tra le gambe della Sfinge. Il disegno della Sfinge sulla stele di Mentu-Hor è molto insolito per l’arte egizia denunciando la ricerca di un effetto più che naturalistico, da notare l’evidente collare intorno al collo. Sullo sfondo sono visibili due piramidi rappresentate in modo altrettanto audace. La Stele del Sogno di Thutmosi IV, oltre che per il testo che riporta, presenta un altro mistero che si aggiunge ai molti che riguardano la Sfinge. Sulla stele sono rappresentate non una ma due Sfingi. Due Sfingi in posizione opposta, una guarda a levante mentre l’altra a ponente.

Ma se la Sfinge è una sola, per quale ragione Thutmosi IV ne fece scolpire due? A questo proposito sono state avanzate numerose ipotesi, secondo alcuni studiosi potrebbe esistere una seconda Grande Sfinge sepolta alle spalle della prima, magari più danneggiata e sicuramente priva della testa che sarebbe altrimenti visibile. Tutte queste teorie, da alcuni classificate come fantarcheologia, sono fortemente osteggiate dall’archeologia accademica che però non è in grado di spiegare in modo convincente perché la stele ne rappresenti due. Oltre a molti scrittori e ricercatori alternativi (come Robert Bauval e Graham Hancock, ecc.), anche l’egittologo egiziano Bassam El Shammaa sostiene da anni che la stele di Thutmosi IV rappresenti quella che doveva essere la realtà in passato, cioè che le sfingi erano non una, ma due. El Shammaa ritiene che una sfinge sola rappresenti un’anomalia, infatti nella tradizione egizia le Sfingi sono sempre due a rappresentare Shu e Tefnut, figli di Atum, il dio sole, di solito raffigurati come un leone ed una leonessa. Così infatti le due creature mitologiche sono rappresentate contrapposte sulla Stele del Sogno. In una sua intervista al giornale egiziano in lingua inglese Daily News, l’archeologo El Shammaa ha dichiarato che secondo lui la sfinge che rappresentava Tefnut venne distrutta da un evento naturale, forse un fulmine, il fatto colpì a tal punto l’immaginario collettivo che i sacerdoti, per giustificare l’evento di fronte al popolo e placare lo sgomento, spiegarono che Tefnut fosse stata maledetta. Non di rado succede che nella mitologia un dio maggiore condanni un dio minore.

Un’altra ipotesi suggerisce che la seconda sfinge sarebbe andata distrutta già nell’antichità ma, sotto tonnellate di sabbia e roccia, contrapposta alla Sfinge esistente, si troverebbero i resti della gemella. A sostegno di questa tesi ci sarebbe un’immagine ripresa dallo spazio e diffusa dalla NASA. L’archeologo Michael Poe sostiene che si trattò di una grande inondazione del Nilo a radere al suolo la seconda sfinge, l’opera venne poi completata dagli arabi per costruire i loro villaggi. A suo avviso, la distruzione risalirebbe ad epoche più recenti, tra il 1000 e il 1200 d.C. Chissà se un giorno si riuscirà a conoscere la verità? Una cosa è certa, i monumenti di Giza che non presentano alcuna traccia di iscrizioni, sicuramente dovettero già rappresentare un enigma per gli egizi vissuti dopo l’Antico Regno.

Fonti e bibliografia:

  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Roma, Newton Compton Editori, 2006
  • Maurizio Damiano-Appia, “I tesori del Nilo”, Giunti Multimedia, 1997
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005
  • Elio Moschetti, Mario Tosi, “Thutmosi IV un sogno all’ombra della sfinge”, Ananke, 2004
  • Martin Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961, (Einaudi, Torino 1997
  • Tiziana Giuliani, “Il Viale delle Sfingi che collega Karnak a Luxor”, da Mediterraneo Antico, 2017
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Nrwton & Compton editori, 1999
  • Fugazza Stefano, “Simbolismo”, Arnoldo Mondadori arte, 1991)
Antico Regno, Sfinge

IL PROBLEMA DELL’EROSIONE

A cura di Piero Cargnino

Il geologo Robert M. Schoch del College of General Studies dell’Università di Boston, che studiò a fondo la Sfinge negli anni ’90, giunse alla conclusione che le tracce di erosione che si riscontrano sul corpo della Sfinge e sulle pareti del recinto siano di origine alluvionale dovuta a piogge, piogge torrenziali che a suo parere cadevano copiose nell’antichità e non potevano essere cadute dopo il 10.000 a.C. circa, periodo in cui il Sahara iniziò a trasformarsi in deserto e le piogge a scarseggiare fino quasi a cessare del tutto. Molti geologi contestano le affermazioni di Schoch contrapponendo la tesi secondo cui, essendo ricavata in un avvallamento, la Sfinge è soggetta ad essere sepolta nelle sabbie, la relativa vicinanza al Nilo e le annuali esondazioni del fiume, che in passato inondavano la valle, hanno sicuramente causato periodici innalzamenti della falda freatica con la conseguenza che il corpo della Sfinge si sarebbe trovato avvolto da sabbia bagnata, questa sarebbe a loro giudizio la causa dell’erosione. Tali convinzioni non sarebbero però confermate dal fatto che i segni dell’erosione presenti risultano più evidenti in alto e meno marcati in basso, cosa incompatibile con un’erosione da falda freatica che risulterebbe più evidente alla base della statua. Schoch afferma: “Ero convinto che la datazione degli egittologi fosse corretta. Ma, ben presto, ho scoperto che le prove geologiche non erano compatibili con quello che gli egittologi dicevano”. Schoch ritiene inoltre che in origine potrebbe non essere stata una sfinge, ma un leone. Secondo il geologo già all’epoca del faraone Chefren, che l’avrebbe fatta disseppellire per la prima volta, la statua si presentava in uno stato di avanzato degrado dovuto all’erosione e che il faraone decise quindi di effettuare un restauro, con l’occasione avrebbe fatto modificare decisamente la testa. Afferma ancora Schoch: “La Sfinge era già lì da migliaia di anni, è evidente a chiunque che l’attuale testa non è quella originale, essa avrebbe mostrato, più o meno, gli stessi segni di erosione del corpo”. Com’era ovvio supporre si è verificata subito una levata di scudi contro questa ipotesi da parte di molti scienziati, storici ed egittologi accademici, secondo i quali è impossibile che sia esistita una civiltà in grado di costruire un monumento come la Sfinge in tempi così antichi.

Non è nelle mie intenzioni schierarmi a favore o contro le varie ipotesi circa la costruzione della Grande Sfinge di Giza, trovo eccessive alcune ipotesi fantascientifiche, ma preferisco essere aperto ad eventuali novità, ancorché sia possibile dimostrarle, senza chiudermi nell’accademismo imperante. Prendiamo ora in esame alcune delle teorie che vengono avanzate e supportate da evidenze più o meno tangibili. Lo storico greco antico Erodoto, nel secondo dei 9 libri di cui si compone la sua opera storiografica del mondo antico, “Storie”, parla dell’Egitto che lo affascinò a tal punto che ne fornisce una dettagliata descrizione non trascurando nulla, luoghi, paesaggi, palazzi, templi, usanze e tradizioni, soffermandosi sull’importanza del Nilo. Descrive inoltre con grande precisione le piramidi che lo lasciarono stupefatto, in particolare quella di Cheope, ma non fa alcun accenno alla Sfinge. C’è da chiedersi come sia possibile che la visione di una simile gigantesca statua non abbia colpito uno storico così attento a tutte le meraviglie di quella stupenda civiltà. Sorge spontaneo pensare che alla sua epoca Erodoto non abbia neppure notato la Sfinge in quanto questa doveva trovarsi completamente sommersa dalla sabbia e quel poco della testa che spuntava, assomigliava ad uno sperone roccioso che non attrasse la sua attenzione. Come detto sopra, osservando l’intera statua notiamo che si presenta maggiormente erosa nel corpo che nella testa. Dal punto di vista geologico è stato confermato che, mentre il corpo è stato ricavato in uno strato di pietra calcarea fragile e di qualità inferiore di origine più antica, la parte superiore che rappresenta la testa è formata da pietra calcarea dura e massiccia, che diventa sempre più pura verso l’alto permettendo una migliore conservazione nel tempo ed una maggiore resistenza alla corrosione.

Questa affermazione in parte giustifica la differenza dell’erosione sulle due parti della statua, però ci sono altri fattori da considerare; il corpo della Sfinge è rimasto per migliaia di anni sepolto nella sabbia mentre la testa è sempre stata esposta alle intemperie. Come accennato in precedenza, va detto che, seppure costituita di roccia più dura, la testa della Sfinge è stata martellata per millenni dal “Kamsin” il terribile vento del deserto che solleva e trasporta un ingente quantitativo di polvere e sabbia fine che penetra dappertutto levigando e consumando anche le rocce più dure. Il fatto che la testa della Sfinge sia stata ricavata in uno strato di pietra più resistente non è sufficiente a giustificare l’enorme differenza di erosione, anzi, verrebbe da pensare il contrario. Per contro va ricordato che anche la testa in realtà si presentava più erosa di come la vediamo oggi. Nel primo quarto del XX secolo d.C. accertamenti più approfonditi sulle condizioni del collo della statua fecero temere che, nell’eventualità di un forte temporale, la testa avrebbe potuto essere spazzata via. Venne quindi deciso un importante restauro con il quale venne eretto un massiccio supporto in cemento armato largo quanto la parrucca che un tempo scendeva sulle spalle da entrambi i lati.

A questo punto pare ovvio ritenere che l’erosione del collo e della parrucca siano in questo caso da imputare alla sabbia sospinta dai forti venti. Il faraone Chefren è vissuto intorno al 2500 a.C., ma quando Thutmosi IV si fermò all’ombra della testa della Sfinge correva all’incirca il 1350 a.C., quindi 1150 anni dopo la sua presunta costruzione e la statua si trovava già completamente sommersa dalla sabbia da chissà quanto tempo. Thutmosi IV la liberò e la fece restaurare ma col passare del tempo ritornò ad essere sommersa e vi rimase per almeno altri mille anni. Furono i Tolomei a liberarla nuovamente, ma la sabbia la ricoprì ancora una volta. Esistono le testimonianze di un medico, scrittore ed egittologo arabo Abd el-Latif ibn Yūsuf al-Baghdādī il quale racconta che nel 1200 d.C., <<……..nei pressi delle Piramidi, si trova una enorme testa dipinta di rosso, che emerge dalla sabbia priva del corpo e che gli arabi chiamavano Abu el-Hol “Il padre della paura”……..>>. E ricoperta dalla sabbia vi rimase fino al 1816 quando il navigatore italiano ed egittologo Giovanni Battista Caviglia incominciò a scavare nella sabbia verso la spalla sinistra della Sfinge, al di sotto della testa, fino a raggiungere la base del monumento e le zampe anteriori. Un secondo scavo portò al ritrovamento dei resti della barba spezzata e della testa dell’Ureo o cobra reale, decorazione del copricapo, (oggi conservati al British Museum di Londra).

Fonti e bibliografia:

  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Roma, Newton Compton Editori, 2006
  • Maurizio Damiano-Appia, “I tesori del Nilo”, Giunti Multimedia, 1997
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005
  • Elio Moschetti, Mario Tosi, “Thutmosi IV un sogno all’ombra della sfinge”, Ananke, 2004
  • Martin Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961, (Einaudi, Torino 1997
  • Tiziana Giuliani, “Il Viale delle Sfingi che collega Karnak a Luxor”, da Mediterraneo Antico, 2017
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Nrwton & Compton editori, 1999
  • Fugazza Stefano, “Simbolismo”, Arnoldo Mondadori arte, 1991)
Antico Regno, Sfinge

QUANDO E CHI HA COSTRUITO LA SFINGE DI GIZA

A cura di Piero Cargnino

Nell’articolo precedente abbiamo fatto riferimento a coloro che sostengono esserci una somiglianza tra il volto della sfinge e quello del faraone Chefren che si riscontra sulle statue dello stesso faraone. Personalmente propendo più verso quegli studiosi che questa somiglianza trovano azzardata. Ma allora a chi appartengono i lineamenti del volto umano della sfinge? E’ realmente l’immagine del faraone Chefren oppure, come sostengono altri è quella del grande Cheope? Secondo l’egittologo Rainer Stadelmann, il volto della sfinge sarebbe il ritratto di Cheope. Diversi altri egittologi concordano con Stadelmann ritenendo che l’ipotesi più classica (ma ancora oggi valida) si basi su argomentazioni piuttosto vaghe. Questa nuova ipotesi si sta ormai affermando a tal punto da porre in seri dubbi quello che era ormai considerato un dogma accademico. Va comunque precisato che ci troviamo sempre nel campo delle ipotesi e nulla ci consente di dire con certezza chi si nasconde dietro quel volto che da millenni sembra sorridere al visitatore mantenendo lo sguardo fisso all’orizzonte, verso il sole nascente, rivolto al mondo dei vivi.

Soffermiamoci ora ad osservare con attenzione la Grande Sfinge di Giza, è stata ricavata da una collinetta emergente nella cava dove si presume siano stati estratti i blocchi di calcare per la piramide di Cheope, cava che venne successivamente abbandonata poiché il calcare si rivelava di pessima qualità. Se non lo avete mai fatto provate a soffermarvi ad osservarla con attenzione, ad un osservatore attento non può sfuggire che la testa della statua è piccola, decisamente sproporzionata rispetto al resto del corpo del leone. Pensando alla cura con cui gli antichi egizi rispettavano le proporzioni, viene da chiedersi se è possibile che abbiano commesso un simile errore. Appare inoltre evidente che la testa si presenta molto meno erosa rispetto al resto del corpo ed anche delle pareti del recinto che la racchiude. Se si considera che, il corpo come il recinto sono stati quasi sempre sommersi dalla sabbia, la testa è da millenni esposta ad ogni tipo di erosione, basti pensare agli effetti che può provocare l’azione della sabbia sollevata dal Khamsin, il vento del deserto che per circa 50 giorni (da marzo a maggio) ogni anno tormenta l’Egitto. Nell’antichità questo vento tempestoso veniva associato al dio Seth, simbolo delle forze più oscure della natura. Tutto ciò fa supporre che originariamente la statua avesse un’altra testa, più antica, che fu poi “riscolpita”. A questo punto, visto lo stato in cui si trova il resto del corpo viene da chiedersi se la sfinge non sia stata costruita molto tempo prima e che la sua testa (magari molto danneggiata) sia stata successivamente adattata al regnante di turno.

Voglio ricordare che due egittologi di primissimo piano quali i famosi Auguste Mariette e Gaston Maspero furono tra i primi a sostenere che la sfinge di Giza doveva risalire ad un periodo storico di molto precedente, almeno al predinastico. Mariette affermò: “Questa colossale effigie era, quindi, già esistente prima dell’epoca di Cheope. Essa è di conseguenza più antica della piramide”. Un altro particolare che sfugge ai più, se non osservata con cura, è il fatto che il volto della Sfinge (escluse le orecchie) è posto un po di traverso, se confrontato con l’insieme della testa: l’occhio sinistro è situato leggermente più in alto del destro ed il punto centrale della bocca, come il resto del viso, si volgono un poco. Certo oggi il volto si presenta parecchio danneggiato ma la causa non è tutta da attribuire al deterioramento naturale, anche qui l’uomo ci ha messo del suo. Il naso è completamente mancante. Contrariamente però a quanto si pensa, non furono le truppe di Napoleone a distruggerlo e neppure quelle mamelucche. Nel 1757 il viaggiatore danese Frederick Louis Norden pubblicò gli schizzi fatti da lui a Giza, e il naso non c’era già più. Napoleone nacque il 15 agosto 1769. Una versione comprovata è espressa nel lavoro dello storico arabo al-Makrizi, egli scrive: “……….fu un fanatico religioso, lo Shayk sufi Muhammad Sa im al Dahr che, nel 1378, irritato perché i contadini adoravano ed offrivano doni ad Abul-Hol (la Sfinge), anziché alla sua confraternita, fece distruggere il naso…….”. Torniamo ai vari misteri che parlando della sfinge non scarseggiano di certo, abbiamo in precedenza accennato che per gli egizi del Nuovo Regno la sfinge rappresentava “Hor em achet” (Horus all’orizzonte) ma veniva comunemente chiamata “Quello/a del luogo eletto”. Da notare però che stiamo parlando del Nuovo Regno, ovvero decine di secoli dopo il regno di Cheope e Chefren, ovvio che questi nomi attribuiti alla sfinge non ci possono aiutare a ricostruirne le vere origini. L’egittologa Zivie-Coche, che ha studiato a fondo l’altopiano di Giza, sostiene che durante l’Antico Regno non si riscontra l’assegnazione di un nome preciso alla sfinge in quanto: “nessun testo di quell’epoca vi fa riferimento”. La spiegazione potrebbe essere che gli Egizi delle prime dinastie non conoscevano nulla sulle origini di quella enorme statua situata sull’altopiano di Giza e che pensavano fosse appartenuta ad un’altra cultura molto più antica le cui origini risalivano alla notte dei tempi. In quanto tale era considerata un simbolo sacro, del quale nulla sapevano, per cui non gli attribuirono alcun nome.

Forse la stessa cosa dovettero pensare gli storici coevi di Plinio che nel I sec. d.C. preferirono addirittura tacerne l’esistenza. Va detto che fin da quando si iniziò a studiarla si fece strada l’ipotesi che la Sfinge fosse molto più antica dell’epoca in cui viene collocata e che, in occasione di un suo precedente restauro, presentandosi ormai corrosa dal tempo, Chefren (o Cheope), fece modificare la testa, che forse in precedenza rappresentava effettivamente quella di un leone, dandogli le sembianze del faraone. Non vi sono dubbi sul fatto che almeno la testa risalga alla IV dinastia, lo si deduce da alcuni particolari tipici di quel periodo storico, il copricapo “nemes” con la piega sul capo, gli svolazzi triangolari dietro le orecchie, l'”uraeus sulla fronte, gli occhi e le labbra denunciano chiaramente la medesima configurazione che troviamo in statue di altri sovrani , Gedefre, Khafre e Menkaure.

Fonti e bibliografia:

  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Roma, Newton Compton Editori, 2006
  • Maurizio Damiano-Appia, “I tesori del Nilo”, Giunti Multimedia, 1997
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005
  • Elio Moschetti, Mario Tosi, “Thutmosi IV un sogno all’ombra della sfinge”, Ananke, 2004
  • Martin Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961, (Einaudi, Torino 1997
  • Tiziana Giuliani, “Il Viale delle Sfingi che collega Karnak a Luxor”, da Mediterraneo Antico, 2017
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Nrwton & Compton editori, 1999
  • Fugazza Stefano, “Simbolismo”, Arnoldo Mondadori arte, 1991)
Antico Regno, Sfinge

LA SFINGE NELLA SIMBOLOGIA ANTICA

A cura di Piero Cargnino

La Sfinge, in generale, è una figura mitologica rappresentata da un animale col corpo di leone e la testa di un altro animale, falco, ariete, ecc. o, spesso di un uomo o donna; in alcune culture viene anche rappresentata con le ali. Scolpita o dipinta sulle pareti di tombe, templi e stele o raffigurata nella statuaria, la Sfinge compare un po’ in tutte le culture dell’antichità lontana ma anche più vicina a noi. Cosa gli antichi intendessero rappresentare con la figura di un mostro con le sembianze umane innestate su quelle animali non ci è dato a sapere, si può supporre di tutto ma non esiste alcuna prova concreta in proposito. Va notato che in genere, nell’antico Egitto, la figura della sfinge, a tutto tondo o dipinta, in genere è presente nelle strutture architettoniche religiose come le tombe o i templi. Singolare il “Viale delle Sfingi”, che collega Karnak a Luxor, voluto dal faraone Amenhotep III (XVIII dinastia 1386-1349 a.C.).

La più antica raffigurazione di una Sfinge è stata rinvenuta nel sito di Nevali Cori, vicino a Gobekli Tepe in Turkia ed è stata datata al 9500 a.C. Nella mitologia egizia la Sfinge rappresentava forse un simbolo di protezione nei confronti del faraone per la sua vita nell’aldilà. Il nome Sfinge, così come lo si pronuncia in generale, deriva dal greco Σφίγξ “Sphynx”, nella linguistica greca antica fu messo in relazione con il verbo σφίγγω che significa “strangolare”, quindi “strangolatore” o “strangolatrice”. Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che si possa invece trattare di un adattamento fonetico dell’antico egizio dove era chiamata col termine traslitterato “Shespankh” col significato di “statua vivente”, nome col quale venivano chiamate tutte le statue a forma di leone con testa umana, (vedi la scritta completa in geroglifico, foto…..) dove il geroglifico che raffigura il leone (o cane) è sovente sostituito dall’immagine della Sfinge stessa. Gli antichi egizi la identificavano con “Hor em alchet”, in greco Harmakis-Khepri-Ra-Atum, (traduz. di Edda Bresciani dalla Stele del Sogno di Thutmosi IV), oggi gli arabi la chiamano Abu el-Hol che significa “Il padre della paura”. A testimonianza del terrore che la rappresentazione della Sfinge, sotto ogni forma, riusciva ad incutere nelle popolazioni antiche esistono numerose leggende. Il mito più conosciuto è quello che ci riporta, nella sua opera “Edipo Re”, il drammaturgo greco antico Sofocle, anche se con lui molti altri autori greci ne parlano, il mito di “Edipo e l’enigma della Sfinge”. Si raccontava che esistesse a Tebe, sul monte Ficio, appollaiata su una colonna, una Sfinge inviata da Era la quale strangolava tutti quelli che gli passavano davanti a meno che non riuscissero a risolvere un difficile enigma. L’enigma ci è giunto in diverse versioni, Pseudo-Apollodoro così lo descrive: << Chi, pur avendo una sola voce, si trasforma in quadrupede, bipede e tripede? >>, Diodoro Siculo propone una versione simile: << Chi è contemporaneamente quadrupede bipede e tripede? >>. Ne esistono altre versioni ma il significato non cambia. Edipo riuscì a risolvere l’enigma, spiegando che la risposta era “l’uomo”, gattona da neonato, cammina su due gambe da adulto e si appoggia ad un bastone da anziano. La Sfinge, sconfitta non resse al dolore e si suicidò gettandosi dall’acropoli.

A questo punto ritengo doveroso fare una precisazione per coloro che ancora non lo sanno poiché mi è stato più volte chiesto, come riportato sopra, la Sfinge dell’enigma non riguarda la Grande Sfinge di Giza ma una Sfinge che si trovava all’ingresso della città greca di Tebe e che era rappresentata con il corpo di un leone, le ali di uccello ed il volto di donna. Gli studiosi pensano che a questo tipo di statue, col corpo di leone e testa di uomo (o animale), gli antichi egizi volessero attribuire un significato simbolico che consisteva nel rappresentare, nel caso della Sfinge di Giza, la potenza del leone unita all’intelligenza del re. La più antica Sfinge che compare in Egitto pare sia quella che raffigura la Regina Hetepheres I, probabile moglie del faraone Snefru, (IV dinastia, 2630-2589 a.C.), e madre di Cheope. L’importanza di questa regina è dovuta anche al fatto che la sua tomba è fra le rarissime sepolture reali dell’antico Egitto ritrovate intatte, l’unica inviolata fra quelle dell’Antico Regno. Successivamente il ritrovamento di una testa del faraone Djedefra, figlio di Cheope, (IV dinastia, 2566-2558 a.C.), analizzata attentamente, in modo particolare nel profilo, lascia intendere che si tratti della testa di una Sfinge. Numerose sono le testimonianze di sfingi rappresentate da molte civiltà del passato e non solo, a partire da quella mesopotamica, alla greca, romana fino alle civiltà dell’Indo ed ai giorni nostri. Ma noi non andiamo oltre, quella che esamineremo sotto tutti gli aspetti, è la più grande, misteriosa e famosa del mondo, la Grande Sfinge che si trova nella necropoli di Giza in Egitto accanto alle stupende piramidi di Cheope, Chefren e Micerino. Si tratta della più grande statua monolitica dell’intero Egitto, lunga 73 metri, alta 20 e larga 19, solo la testa è alta 4 metri. Rappresenta una figura mitologica con il corpo di un leone accovacciato e la testa di un uomo con i tratti somatici di un sovrano egizio, l’acconciatura tipica con il nemes, l’ureo sulla fronte e la barba cerimoniale, oggi mancante, i frammenti della quale sono stati ritrovati ai piedi della sfinge e sono ora conservati British Museum a Londra e parte al Museo Egizio del Cairo. Secondo gli archeologi all’epoca della sua costruzione doveva presentarsi dipinta con colori sgargianti dei quali oggi rimangono solo deboli tracce.

Riguardo alla costruzione della Sfinge di Giza sono state formulate numerose teorie, secondo gli egittologi accademici la sua costruzione viene attribuita al faraone Chefren che l’avrebbe fatta scolpire davanti alla sua piramide a protezione del suo riposo eterno. A riprova di ciò sarebbe la somiglianza che secondo gli archeologi si nota tra il volto della Sfinge e quello del faraone Chefren così come appare scolpito su diverse statue. Altri studiosi trovano questa teoria azzardata e priva di riscontro reale in quanto non concordano nel vedere una somiglianza. Negli articoli che seguiranno esamineremo più nel dettaglio tutti i misteri che la Grande Sfinge ci riserva, primi fra tutti quando e chi costruì questa meraviglia.

Fonti e bibliografia:

  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Roma, Newton Compton Editori, 2006
  • Maurizio Damiano-Appia, “I tesori del Nilo”, Giunti Multimedia, 1997
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005
  • Elio Moschetti, Mario Tosi, “Thutmosi IV un sogno all’ombra della sfinge”, Ananke, 2004
  • Martin Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961, (Einaudi, Torino 1997
  • Tiziana Giuliani, “Il Viale delle Sfingi che collega Karnak a Luxor”, da Mediterraneo Antico, 2017
  • Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Nrwton & Compton editori, 1999
  • Fugazza Stefano, “Simbolismo”, Arnoldo Mondadori arte, 1991)