Filosofia

L’AKH

A cura di Ivo Prezioso

Introduzione

Mentre il nostro pensiero religioso è improntato ad un concetto dualistico che implica la dicotomica distinzione tra corpo ed anima, tra materiale e spirituale, per quanto riguarda gli antichi egizi, quest’idea era fondamentalmente estranea alla loro cultura. Il loro pensiero, molto più articolato, ci appare piuttosto sofisticato e, se vogliamo, anche alquanto straniante. Fatta salva la dimensione materiale, che era rappresentata dal corpo (“khet”), l’anima, intesa come principio vitale e trascendente comune a dei ed uomini, presentava diversi aspetti , ciascuno dei quali con una propria denominazione e con caratteristiche ben precise, che andavano a definire l’interezza dell’ individuo. I principali aspetti di questi elementi erano: “Akh”,“Ba” e “Ka”; ma non erano gli unici. Altri elementi molto importanti erano l’ombra (“Shwt”) ed il nome (“Ren”).Inizierò la trattazione, necessariamente limitata, di questo delicato argomento con il primo degli elementi menzionati.

Parte prima: l’AKH

Il termine deriva dalla radice verbale “3kh”, il cui significato è essere efficace, essere utile e forse non ha relazione con la parola “j3khw”, splendore di luce , essere luminoso, come si è a lungo creduto. L’Akh di un uomo è in cielo e pertanto, completamente distinto dal corpo, che rimane ancorato alla terra. Esso individua una forma particolare, comune a dei e uomini: l’essere divino che impregna entrambi. Gli Akhw (plurale di Akh) sono gli esseri che popolano l’Oltretomba, sia geni, sia defunti divinizzati e pertanto potenti, ”efficaci”. Hanno la capacità di ritornare nel mondo dei viventi e di vegliare sull’inviolabilità della loro tomba, minacciando i profanatori e promettendo, invece protezione a chi la rispetta, anche nell’aldilà. E’ questa la ragione per cui, nelle ”lettere ai defunti”, ci si rivolge al loro “Akh”. Curiosamente, il termine sopravvive nel vocabolo copto, (l’ultimo stadio della lingua, parlata dagli egiziani convertiti al cristianesimo fino al XVI secolo ed in parte mantenutasi in ambito liturgico) “ikh” col significato di “spirito”, “spettro”, per cui ha conservato l’antico concetto di entità spirituale del defunto capace di mantenere il contatto col mondo dei vivi.

Fonte: Grande enciclopedia illustrata dell’Antico Egitto. A cura di Edda Bresciani

Nell’immagine la rappresentazione geroglifica dell’ Akh. E’ costituita da un ibis eremita e dal suo complemento fonetico “kh” a sinistra (una placenta?)

Curiosità: una delle prime immagini che abbiamo di un ibis eremita – una specie in via di estinzione – coincide con una delle prime testimonianze di scrittura. Gli antichi egizi avevano dato connotazioni divine a questa specie benefattrice che si nutriva di serpenti velenosi, e ne rappresentava l’immagine in un carattere geroglifico (Akh), che aveva significati diversi in quella civiltà. L’affermazione si riferisce a piccole placche d’avorio e di osso portate alla luce dal team del dottor Gunter Dreyer presso la necropoli di Abydos nell’Alto Egitto, risalenti a circa 5.200 anni fa: in quelle che sembrano essere tra le prime tracce di scrittura al mondo, incluse negli oltre 200 pezzi trovati, uno rappresenta un ibis eremita.

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