TESTO DEL PROF. MAURIZIO DAMIANO
© testi, piante, disegni e foto: Archivio CRE/Maurizio Damiano.
NUMERI SPAVENTOSI
1. La piramide di Khufu aveva 2.300.000 blocchi
1a) Numeri spaventosi.
Vero: numeri spaventosi. Tuttavia l’informazione va un po’ sfumata e calibrata. Essa non è del tutto recente: proviene infatti dal… generale Bonaparte! Egli faceva infatti parte della massoneria francese come affiliato “geometra”, ed amava i calcoli matematici. Gli ideali della massoneria lo portarono a creare il famoso staff di Savants che portò con sé nell’avventura d’Egitto e da cui poi scaturì infine l’Egittomania e l’Egittologia.
Comunque, mentre il generale attendeva che i giovani ufficiali dal suo stato maggiore tornassero dalla tradizionale scalata alla cima della più grande (Khufu; 137 metri di altezza e 186 di parete) calcolò che il materiale impiegato nelle tre piramidi avrebbe consentito di costruire un muro alto tre metri e largo un piede tutt’intorno alla Francia. Il matematico Monge, che faceva parte degli scienziati della spedizione, confermò l’esattezza del conto. E che per la singola piramide di Khufu siano stati usati (come giustamente diceva Alice) 2.300.000 blocchi di pietra del peso tra le due e mezzo e le quindici tonnellate.
Calcoli esatti, idea sbagliata.
L’asserzione dei “2.300.000 blocchi” della piramide oggi ha poco senso, dal momento che sappiamo che quando era possibile gli Egizi non si sognavano di spianare della buona, solida roccia, per poi edificarvi una piramide: spianavano e livellavano un’area quadrata tutt’intorno e modellavano il nucleo, ma lasciavano più roccia possibile, che avrebbe risparmiato anni di lavoro inutile. Ora, ovviamente non conosciamo l’estensione del nucleo roccioso che fu lasciato intatto (per esempio, si vede bene sul lato sud-ovest della piramide di Khafre, in cui quello allo scoperto è il nucleo, non i blocchi riportati), né lo sapremo finché non si inventeranno mezzi in grado di “vedere” attraverso la pietra senza danni, ma anche di distinguere le forme, perché il nucleo è dello stesso calcare dei blocchi, e quindi non si distinguerebbe comunque; non ne conosciamo dunque l’estensione, ma sappiamo che c’è.
Quindi: 2.300.000 blocchi… se fossero tutti blocchi.
Immagine 1: Giza: le piramidi di notte. La mia prima foto in Egitto: arrivati dopo il tramonto con le auto, ci siamo accampati sul pianoro delle piramidi, che all’epoca (1979) era aperto. L’accendersi delle luci mi ha offerto questa prima visione dell’antico Egitto (© Maurizio Damiano). Immagine 2: Giza. Veduta della piramide di Khufu da Nord-Nordovest (© Maurizio Damiano). Immagine 3: Abu Rawash. Pianta del sito (base Google Earth, disegno e © Maurizio Damiano).
Qui mostro un esempio ancora più eclatante: la piramide di Redjedef (o Djedefra, della 4a dinastia, successore di Khufu) ad Abu Rawash. Questo monumento molto rovinato si trova 8 Km a nord di Giza. La pianta quadrata della piramide misurava circa 104 m. di lato. Il fatto che sia molto rovinata ha fatto pensare che fosse incompiuta, ma di certo si sa (dai diari dei viaggiatori ottocenteschi) che fu ampiamente saccheggiata per la costruzione del villaggio. Fatto sta che il suo stato attuale è un’occasione unica per studiare le fasi di lavorazione delle piramidi: una sorta di meravigliosa “radiografia” del passato.
Immagine 4: Abu Rawash. Veduta dell’angolo Nord-Est della piramide. Vi si vedono sia i blocchi superstiti che la roccia del nucleo: qui vediamo come gli Egizi usassero la maggior parte della roccia in situ, non sbancandola ma semplicemente modellandone i fianchi per accogliere i blocchi di costruzione (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 5: Abu Rawash. Piramide. Veduta dello scavo, dall’alto (interno). Da ovest verso Est (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 6: Abu Rawash. Fossa nel nucleo della piramide. Veduta verso il lato ovest. Questo grande scavo ci rende visibile e comprensibile il procedimento: lo scavo era unico, compresa l’ampia rampa, e tutto a cielo aperto. Questo fa capire bene come passassero agevolmente enormi sarcofagi, grandi blocchi, ecc., da porte, passaggi e corridoi strettissimi… semplicemente perché non esistevano. Il tutto prendeva posto durante la costruzione. Poi nell’immenso scavo venivano costruite pareti, paratie, saracinesche, barriere e corridoi quando tutto era già sistemato all’interno (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 7/8: A sinistra: Abu Rawash. Piramide. La rampa d’accesso, che poi sarebbe stata (o fu) trasformata in corridoio. Anche qui possiamo agevolmente vedere come la rampa, a cielo aperto e molto ampia, permettesse il passaggio di qualsiasi cosa, voluminosa e pesante. Poi, con i blocchi, sarebbe stata trasformata nello stretto corridoio d’accesso (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). A destra: Abu Rawash. L’interno dello scavo (© Archivio CRE/Maurizio Damiano).
Ovviamente, tutto ciò non toglie nulla né alla meraviglia né comunque, ai numeri spaventosi, qualunque sia la loro cifra esatta.
I MATERIALI
- R.B. La cosa che mi fa sorridere è che nessuno di voi, che ne scrivete, sa, di quale piramide stiamo vedendo in foto….????
- B.M. Cheope direi
- R.B. Risposta esatta perché è l’unica che conserva sulla sommità la struttura calcarea. Promosse …. ha ha ha
Gentile R.B., a parte lo scherzo del “nessuno sa”, che non può che farci sorridere, torniamo sul serio. “Perché è l’unica che conserva sulla sommità la struttura calcarea”. Evidentemente c’è un po’ di confusione.
Immagine 9: Piramide di Khufu vista dall’alto. Riconoscibile dalla mancanza di qualsiasi blocco di rivestimento in calcare di Tura (bianco, cristallino) e da alcuni dei blocchi sommitali che sporgono, spostati dall’opera di spoliazione del rivestimento della piramide e dai terremoti. Tali blocchi sporgenti (qui, come sulla sommità della piramide di Khafre) preoccupano alcuni, che li vedono dal basso e ne paventano il pericolo di crollo. In realtà la parte sporgente è minima rispetto al resto del blocco, il cui stesso peso lo àncora solidamente nella sua posizione (fonte: internet, © EmotionalChapter / Reddit). Immagine 10: la sommità della piramide di Khafre, con il rivestimento superstite in calcare di Tura (© e foto: Yann Arthus-Bertrand). Immagine 11: dettaglio ravvicinato della sommità della piramide di Khafre (© e foto: Marcello Bertinetti).
Facciamo dunque chiarezza. Innanzi tutto mi par di comprendere che si confonda la piramide di Khufu (nella foto in alto) con quella di Khafre (nelle foto in basso), che è l’unica a conservare il rivestimento calcareo (se per “struttura” si intende erroneamente tale rivestimento). Tuttavia, anche così la risposta sarebbe errata, poiché … tutte le strutture sono calcaree: più precisamente, le piramidi di Giza erano costruite sull’altipiano calcareo; nella fattispecie, gli strati ovviamente cambiano a seconda della zona e profondità, ma sono in gran parte di calcare nummulitico; le piramidi dunque consistono in varie parti (o piuttosto “strati”):
- Un nucleo roccioso in situ di cui veniva lasciata la maggior parte possibile (calcare; calcare nummulitico).
- La maggior parte della costruzione, in grandi blocchi di calcare locale (quello che si vede, anche nella foto aerea), che ricoprivano il nucleo roccioso. Sono note le cave di tutte e tre le piramidi, e visibili.
- Il rivestimento esterno, sempre in calcare, ma questa volta il calcare di Tura, molto fine, cristallino, compatto. Totalmente svanito nella piramide di Khufu, salvo alcuni corsi inferiori sepolti nel tempo dall’accumulo di materiali che ne hanno permesso la conservazione sino ai nostri giorni, quando gli scavi e la pulizia dell’area sino al suolo roccioso li hanno riportati alla luce.
- Nel caso della piramide di Khafre nel rivestimento c’erano un paio di corsi, i più bassi, in granito rosso di Assuan (il resto sempre calcare di Tura); e in quella di Menkaure circa due terzi in granito e il resto calcare di Tura (parliamo sempre dei rivestimenti).
Immagine 12: la piramide di Khufu vista da Ovest (© Archivio CRE/Maurizio Damiano) Immagine 13: a sinistra, la piramide domina il suolo roccioso della rampa monumentale di Khufu (arriva al lato Est); è la roccia dell’altopiano, la stessa con cui è formata la piramide (a parte i pochi blocchi superstiti del rivestimento); a destra, una sezione della roccia dell’altopiano, a ovest della piramide di Khafre, con un blocco dello stesso calcare e uno di granito rosso di Assuan, delle prime assise (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 14: i resti del tempio funerario di Khufu, ove venivano impiegate altre pietre dure, pregiate: qui vediamo i resti del pavimento di basalto; in altre aree troviamo l’alabastro (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 15: i nummuliti, fossili che si trovano nella roccia dell’altopiano e negli stessi blocchi delle piramidi (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 16: le cave accanto alla piramide di Khafre (lato Nord) riaperte e ampliate da Khaemwaset, figlio di Ramses II; furono usate per restaurare i monumenti dell’area (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 17: i blocchi superstiti del bianco calcare cristallino di Tura del rivestimento della piramide di Khufu; si vedono anche i blocchi superstiti (sempre calcarei) della pavimentazione intorno alla piramide; questi poggiano sulla roccia (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 18: i blocchi di granito rosso di Assuan (Siene, da cui il nome geologico: sienite) delle assise basse della piramide di Khafre (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 19: i resti del rivestimento di granito della piramide di Menkaure, lato Nord (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 20: i resti del rivestimento di granito della piramide di Menkaure, lato Est (fondo del tempio funerario) (© Archivio CRE/Maurizio Damiano).
gli uomini, i mezzi, la mentalità
A. J.: Immenso !! Ditemi se è possibile che sia stata costruita da esseri umani ??
G. S.: Splendida la foto, degna di un’opera straordinaria! Come avranno fatto con i mezzi dell’epoca, resta un mistero!
Lo ripeto da anni ai miei allievi di Egittologia: attenti alla proiezione! Ovviamente, nulla di grave. Si tratta del più comune fenomeno umano: poiché ognuno di noi è per forza al centro del proprio universo (unico punto d’osservazione fisico possibile) ci si trova anche mentalmente e culturalmente nella stessa posizione. Ma, se fisicamente non possiamo fare nulla, mentalmente, se vogliamo comprendere la storia, dobbiamo abbandonare la nostra visione e comprendere davvero che esistono e sono sempre esistite società diverse dalla nostra in tutti i sensi, e quindi ciò che a noi sembra incredibile o impossibile non lo era per altri.

Nel caso in oggetto, si, ovviamente erano costruite da esseri umani normali. E i mezzi dell’epoca erano superiori ai nostri. Alt! Lo so, pensate subito alla tecnologia. No, anche se ci piace pensarlo, la tecnologia non è l’apice dell’umanità bensì… di sé stessa, della tecnologia, che non va confusa né con “civiltà”, né con “umanità”. È solo una sua ottima espressione che però ha reso l’umanità più pigra mentalmente. Intendo dire che, se una volta ci si ingegnava a creare grandezza con i propri mezzi umani, oggi appare inconcepibile, impossibile.

Vediamo cosa avevano come “mezzi superiori”, che a noi mancano:
- Una società etica. L’Ego ipertrofico era scoraggiato a favore della visione sociale. I Cinesi dicevano: “un bambù si può spezzare, un fascio di bambù, no”. Questo era un pensiero banale anche per i bambini, in Egitto. Lavorare per la comunità era avanzare, avere e mantenere una società ricca e forte, la Maat.
- Ciò portava alla società faraonica, che aveva la struttura dell’alveare o del formicaio. “Dovere”, lungi dall’essere una parolaccia in odor di fascismo o dittatura qualsiasi, come da noi, era il normale agire e vivere per mantenere la macchina sociale. Dovere, lavoro comune (le corvée), solidarietà erano la norma. E attenzione! Non pensiamo (da occidentali) che la struttura ad alveare avesse dei privilegiati scansafatiche. “Società etica” vuol dire che il faraone ha più doveri che privilegi. Potere assoluto, ma vita durissima sin da principe. E, in combattimento, è sempre in prima linea, non come gli odierni generali. L’etica vissuta sulla pelle.
- Su queste basi, la corvée era una parte della tassazione. Si prestava la propria opera non solo per le piramidi, ma per tutti i lavori statali (sociali), tipo pulire i canali (andava fatto ogni anno: l’Egitto si basa su una magnifica rete idraulica di canali e dighe), gli edifici pubblici, quelli statali/religiosi, fra cui templi e tombe reali come le piramidi. Ricordiamo che le piramidi (o meglio l’intero complesso funerario, che comprende tempio in Valle, rampa monumentale, tempi funerario, muro di cinta piramidi satelliti e piramide) lungi dall’essere monumenti alla megalomania di un uomo, erano delle complesse “macchine” di magia religiosa, che divinizzavano il faraone in morte perché, fra gli dèi, continuasse a svolgere il suo compito: mantenere la Maat e assicurare la creazione tutti i giorni, per l’umanità. Lo spirito dei lavoratori era quello dei costruttori di cattedrali nel medioevo.
- Altra cosa che loro avevano, e a noi manca: la visione del futuro, ossia la programmazione a lungo termine. La cosa è dovuta alla psicologia sociale; come ho detto, gli Egizi avevano una società etica; noi no. Ciò, nella psicologia di massa, si traduce (generalizzando e semplificando, ovvio) in società a sub personalità ossessiva (la più sana ed efficiente, con ego personale in secondo piano a favore della mentalità sociale); una tale società vede oltre le azioni del momento, e cerca di prevedere le conseguenze della azioni, e le conseguenze delle conseguenze; gli Egizi pianificavano anche su 20 anni, per esempio, per la costruzione di una grande piramide. Non esistendo la moneta, gli operai andavano pagati in derrate alimentari, vestiti, sandali, ecc.; ciò voleva dire prevedere enormi estensioni da coltivare per anni ed anni, con tutta la filiera connessa. Gli italiani hanno una sub personalità di tipo isterico: come i bambini, mancanza di visione del futuro (tutto e subito), di previsione delle conseguenze, di pianificazione, ecc.; è il riflesso della cultura egoica, in cui il singolo conta più della collettività; culto dell’Ego, Ego-centrismo, Ego-ismo. Società non etica.
- Quanto detto sopra porta all’ovvia presenza, in Egitto, di ciò che oggi manca totalmente in società a sub personalità isterica: la capacità organizzativa. Essa implica innanzi tutto etica e senso del dovere (che sono interconnessi). Gli Egizi, pianificando su scale di decenni o più, sapevano proiettare la visione organizzativa. La struttura era semplice e basata su ciò che essi sapevano funzionare. Per esempio, vedendo che il coordinamento e l’affiatamento delle navi funzionava in situazioni diverse, lo applicarono anche al lavoro; così, le squadre che scavavano o rifinivano una tomba reale erano di “babordo” e “tribordo”, con i “capitani”. Ciò permetteva di avere cantieri con migliaia di persone, cosa impensabile nella maggioranza delle situazioni occidentali odierne.
- Infine, ma di importanza basilare, i mezzi che loro avevano e che a noi mancano sono sabbia, limo, tempo e personale. Su questi elementi si basavano le costruzioni. I blocchi cavati venivano trascinate su slitte, le quali scivolavano, trainate, su rulli che a loro volta ruotavano su vie di fango finissimo (limo del Nilo), permettendo alle slitte di scivolarvi sopra. Ciò richiedeva molti uomini, fatica, tempo e ottimo coordinamento.
Immagine 23: l’organizzazione del lavoro: una rarissima immagine dello svolgimento dei lavori. Stele di Ramses II alle cave di Gebel Silsila (riva Est); è un esempio rarissimo di raffigurazione dei lavori di cava, e poco noto ai non specialisti perché la stele, rupestre, si trovava su una roccia crollata a faccia in giù. Per vederla (e non parliamo di fotografarla) si deve scavare e strisciare a testa in giù nella sabbia in uno spazio di poche decine di cm di altezza (dunque circa 20 cm fra l’obbiettivo e la stele); e le cave, riva Est, sono chiuse la pubblico. Le scene raffigurano cavatori al lavoro (in alto); operai che tirano un enorme blocco su una slitta, con le funi (al centro); gli immancabili funzionari che registrano ogni minimo dettaglio e fase delle operazioni (in basso) (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 24: più noto invece l’esempio di trasporto della statua colossale di Djehutyhotep; la raffigurazione si trova nella tomba di quest’ultimo, a Bersha (a nord di Amarna). Vi si vede la statua sull’enorme slitta, le corde, le squadre di operai, sulle ginocchia il caposquadra che batte il tempo per il coordinamento, e, ai piedi della statua, un uomo che versa l’acqua sulla via d’argilla. Immagine 25: La via d’argilla di Mirghissa, a sud di Abu Simbel (ma in Sudan), che per 2 km di deserto permetteva di portare le navi otre la cateratta. Immagine 26: un eccellente esempio di coordinamento di centinaia di persone è il traino dell’immensa chiatta che trasportava i grandi obelischi di Hatshepsut; come nelle squadre operaie, anche qui il sistema era simile, ma i singoli uomini erano sostituiti da decine di navi (© Archivio CRE/Maurizio Damiano).
I MORTI E I FERITI
F.P.Z.: Incredibile! Ma quanti morti ha fatto una costruzione simile
Non più di un cantiere medioevale. Gli Egizi avevano un altissimo concetto della vita umana; e non parlo di ipotesi o idee preconcette, ma delle parole degli stessi Egizi in testi quali i racconti del papiro Westcar. Ricordiamo che, in un mondo antico in cui la schiavitù era normale ovunque, gli Egizi non ebbero mai schiavi. Esistevano servi (ma con qualcosa che noi oggi chiameremmo “diritti umani”), esistevano prigionieri (di guerra o criminali), ma non schiavi. Esisteva la pena di morte, ma solo in casi gravissimi di infrazioni a quelle leggi che erano dello Stato ma soprattutto degli dèi, leggi che infrangevano le regole della Maat in forma gravissima, rappresentando una minaccia all’ordine cosmico. Tutto questo perché (sempre secondo i testi) l’umanità era il “gregge del Signore”, e il custode ne era il faraone.

Per questa ragione nei cantieri si mettevano in atto le misure più opportune (nei limiti dell’epoca) per la sicurezza dei lavoratori. Ovviamente gli incidenti c’erano e dunque morti e feriti, ma non più di altri cantieri del nostro mondo sino all’epoca moderna.
Nel villaggio dei costruttori delle piramidi a Giza, che ha anche la sua necropoli (privilegio speciale concesso dal faraone) sono stati trovati scheletri con segni di fratture da incidenti quali traumi e schiacciamenti, con i segni della guarigione, ciò che ci informa della cura che si aveva degli operai. A corollario, ricordiamo gli Insegnamenti (per il re, per il faraone, per il visir) che sottolineano sempre la cura che bisogna avere per tutti, sino ai più umili.
Società etica.

LA FINE DI UNA CULTURA
A.M.: Mi domando : quel popolo che fine ha fatto?
Quella di tutti i popoli, di tutte le cose, comprese le stelle. Si ha una nascita, una vita, una fine. Gli Egizi hanno superato tutti gli standard, tutti i “record” di durata. In un’avventura umana e culturale iniziata in realtà nella preistoria, e che all’alba della storia appare già pronta agli ulteriori sviluppi nelle sue linee principali, un’avventura durata almeno 5000 anni (che non ha paralleli sul pianeta Terra), alla fine, come tutte le cose, compì la sua parabola. Nello specifico, la cultura egizia sopravvisse sotto i Tolomei, sotto i Romani (ricordiamo che queste due culture, all’opposto di quella egizia, ne furono però affascinate che in Egitto ne proseguirono il cammino: i più completi templi egizi pervenutici sono di epoca ellenistico-romana).
Immagine 29: l’antico Egitto faraonico è vivo più che mai nell’Ellenismo: in questa tomba di Alessandria si abbracciano le visioni faraoniche (in alto: il mito osiriaco) e quelle greche (in basso: il mito di Persefone) perché il defunto raggiunga la serenità (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 30: ancora più possente la spinta alla fusione si ha in un’altra tomba alessandrina, in cui Anubis ha l’armatura romana e si fonde con il serpente (di origine egizia) nella forma greca dell’Agatodaimon (© Archivio CRE/Maurizio Damiano).
La cultura venne spazzata via con la violenza dalla politica religiosa autocratica monoteista. Il primo fu l’Editto di Tessalonica, del 380; Graziano, Teodosio I e Valentiniano II imposero il monoteismo. In Egitto in particolare verso il 384 Teodosio inviò Materno Cinegio, un prefetto cristiano, incaricato di cancellare il paganesimo; il prefetto si distinse per il suo fanatismo violento, pienamente appoggiato da Teodosio. L’unica eccezione furono i templi dell’isola di File, lasciati aperti per la rivolta dei fedeli nubiani. Ma alla fine, anche questi templi, ultima frontiera del paganesimo in Egitto, furono chiusi quando Giustiniano inviò le sue truppe, nel 531 d.C., che con le armi imposero la chiusura dei templi pagani e li trasformarono in chiese cristiane.
Immagine 31: Teodosio (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 32: l’Akh-Menu di Tuthmosis III, a Karnak, che fu trasformato in chiesa (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 33: capitello dell’Akh-Menu di Tuthmosis III, a Karnak: vi si vedono le evanescenti figure di santi (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 34: la violenza del vescovo cristiano Teofilo e la distruzione del Serapeum (e della Biblioteca) di Alessandria (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 35: la violenza del patriarca cristiano Cirillo e il linciaggio spaventosamente crudele di Ipazia (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 36: File, l’ultimo baluardo degli dèi (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 37: la chiusura di File, con la violenza delle armi: Giustiniano; il tempio fu trasformato in chiesa (© Archivio CRE/Maurizio Damiano). Immagine 38: la 12a ora dell’Amduat. Mentre il nuovo sole risorge (scarabeo e disco solare), il vecchio corpo rimane nell’aldilà (la mummia in basso a destra). Gli Egizi NON credevano nella resurrezione dei corpi. Non erano mummificati e conservati per una resurrezione in giorno del giudizio. Il corpo era conservato perché l’individualità era data dalla completezza di tutte le parti fisiche (custodite nella tomba) e spirituali (nella Duat).
La violenza monoteistica aveva vinto, spazzando via l’ultima traccia della grande cultura egizia. Nel VII secolo ci fu l’invasione islamica.
Gli Egiziani di oggi sono per la maggioranza musulmani, con una minoranza cristiana (i Copti e gli Ortodossi).