A cura di Andrea Petta
I DIPINTI
La roccia calcarea in cui è stata scavata la tomba presenta diverse fratture e depositi di materiale salino. È stato perciò necessario per gli artigiani dell’epoca intonacare le pareti della tomba con argilla mista a paglia sminuzzata e polvere di calcare. Lo strato non è però uniforme (più spesso nella Sala del Sarcofago ad esempio, dove le pareti erano più irregolari). Le figure sono in altorilievo e dipinte a tempera, i cui pigmenti sono “legati” prevalentemente con gomma arabica estratta dall’acacia. Un sottilissimo strato di bianco funge da base, sul quale veniva applicato un primo strato molto grossolano e successivamente i dettagli – con un contorno finale in tempera rossa o nera.

Alcuni colori, soprattutto il rosso ed il giallo, sono stati rifiniti per renderli più brillanti, probabilmente con resina ed albume SI è pensato per molto tempo che venisse utilizzata la cera d’api, mentre le analisi effettuate durante il restauro hanno invece evidenziato l’uso di gomma arabica estratta dall’acacia.

Gli artisti hanno anche tentato di riprodurre ombre e rilievi mescolando i colori primari o applicando diversi strati di tempera. Un “trucco” particolare consisteva nel dare una prima mano di nero per rendere i colori come blu e verde particolarmente profondi.

Tutti i colori seguono il concetto “iwen” che rende il colore parte integrante dell’oggetto o persona rappresentata, come ad esempio il verde per le raffigurazioni di Osiride e Ptah in quanto colore della rinascita.
Il verde è un pigmento sintetico, il Verde Egiziano, contenente anidrite, calcite, feldspato e quarzo.
Anche il blu è sintetico, il Blu Egiziano (cuprorivaite). Entrambi contengono silice, calcio, rame, ferro, sodio, magnesio ed alluminio. Il rosso è ossido ferrico (Fe2O3), con un’alta percentuale di arsenico. Il giallo è un ocra, anch’essa ricca in arsenico, mentre il bianco ed il nero sono gesso e carbone come al solito.

IL DEGRADO
Quando Schiaparelli scoprì la tomba nel 1904, oltre all’evidente saccheggio da parte degli antichi tombaroli, che aveva lasciato pochi resti, apparve chiaro che alcuni dei dipinti erano già deteriorati.

Stranamente, il fotografo ufficiale di Schiaparelli era un religioso, Don Michele Pizzio. Don Pizzio, parroco per gli emigranti italiani in Brasile, e Schiaparelli si erano conosciuti grazie all’impegno di quest’ultimo a sostegno dei missionari. Le 132 fotografie di Don Pizzio su lastra di vetro sono state importanti per il lavoro di restauro illustrando le condizioni dei dipinti alla scoperta della tomba, ma erano di qualità enormemente inferiore rispetto a quelle che fece Harry Burton negli anni ’20 per il Metropolitan Museum di New York.

Nel 1906 fu organizzato un primo intervento di messa in sicurezza, affidato a Fabrizio Lucarini, restauratore toscano probabilmente conosciuto da Schiaparelli negli anni della sua direzione presso il Museo Egizio di Firenze.
NOTA: Lucarini diventerà famoso qualche anno dopo, nel 1913, quando gli verrà affidato il restauro della Gioconda di Leonardo, recuperata dopo il celebre furto del 1911

Nonostante questo, la tomba rimase aperta ai visitatori fino agli anni ’20, quando si manifestarono ulteriori danni dovuti al caldo ed all’umidità. L’uso di lumi a petrolio in questi anni ha aggravato la situazione aggiungendo una patina grigiastra ed oleosa ai dipinti.

Nelle immagini si può vedere come, oltre al deterioramento dei colori, larghi pezzi di intonaco si siano staccati rovinando per sempre alcuni dipinti. Il sale presente nella tomba, evaporando con l’umidità si è ri-cristallizzato sulle pareti aggravando la situazione di molti dipinti.

IL RESTAURO
A metà degli anni ’80 venne quindi varato un progetto di restauro della tomba da parte del Getty Conservation Institute in collaborazione con la Sovrintendenza alle Antichità Egiziana. A capo del progetto di restauro due italiani, i professori Paolo e Laura Mora, precedentemente impegnati per quasi quaranta anni all’Istituto Centrale del Restauro di Roma.

Un primo restauro di emergenza è intervenuto sui decori sollevati dall’intonaco ed in pericolo di staccarsi. Strisce di carta a grana fine di corteccia di gelso giapponese sono state posizionate su ciascuno dei frammenti sollevati e fissate con cura al muro utilizzando una resina acrilica.


Dopo una pulizia preliminare (anche di precedenti tentativi di restauro), è stato consolidato l’intonaco per prevenire ulteriori danni con l’iniezione di una sorta di malta (ottenuta con sabbia, gesso ed una resina acrilica come collante) nei punti sollevati dei dipinti, e sono stati re-incollati i frammenti recuperati. Alcuni materiali dei restauri passati sono stati particolarmente difficili da rimuovere avendo anche “invaso” l’area dei dipinti.
I danni dei precedenti restauri, con il materiale di riempimento che aveva coperto parte dei dipinti, sempre scena dell’incontro con Osiride, parete nord della Sala del Sarcofago Un altro esempio di cattivo restauro del passato è il soffitto della seconda scalinata, in alto scendendo dall’Anticamera. La zona notevolmente più chiara a sinistra nella foto è l’effetto dell’uso di un solvente troppo aggressivo che ha distrutto la colorazione blu/nero del cielo
È stato necessario rimuovere con l’acetone uno strato di fuliggine causato dai lumi a petrolio usati durante i lavori di Schiaparelli e le successive visite alla tomba, nonché un bel numero di manate sporche.

L’immagine di Osiride davanti alle offerte di Nefertari nell’Annesso orientale ha causato un dilemma particolare in quanto restaurato malamente negli anni ’50. Dopo lunghe discussioni, è stato deciso di ricoprire il restauro maldestro, che sarebbe però facilmente “recuperabile” togliendo lo strato di intonaco messo sopra.

L’Osiride del dilemma: in alto a sinistra la tavola originale di Schiaparelli; il alto a destra come appariva negli anni ’20. In basso a sinistra dopo il maldestro restauro negli anni ’50: colori sbagliati, disegno del trono di Osiride completamente diverso dall’originale. Si è deciso di coprire l’area restaurata con intonaco neutro, facilmente rimovibile però se si volesse ripristinare la figura come negli anni ’50.
Da notare che il lavoro di restauro non ha aggiunto nessun colore ai dipinti della tomba, quindi quelli che vediamo sono i colori originali usati dagli artisti egizi.

Riferimenti:
John K. McDonald, House of Eternity: The Tomb of Nefertari.Los Angeles, 1996
Miguel Angel Corzo e Mahasti Afshar, Art and Eternity: The Nefertari Wall Paintings Conservation Project, 1986-1992 Los Angeles, 1993
Ernesto Schiaparelli (1904), “La Tomba di Nofretari Mirinmut,” Relazione sui lavori della missione archeologica italiana in Egitto, Volume 1 (Torino, G. Chiantore, 1923)
Rose, Bone-Muller, Ferrero Il passato rivelato White Star Edizioni, 2012
A foto da pessoa que aparece logo acima da imagem de uma máquina fotográfica é de Don Pizzio?
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Yes, it’s Don Pizzio
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