A cura di Andrea Petta
Il giorno successivo all’incursione notturna della “Banda dei Quattro”, fervono i preparativi. Al mattino del 27 novembre Pecky Callender prepara l’allacciamento ed installa l’illuminazione elettrica. Non osano riempire il foro nella parete, Carter avrà l’idea di sottolinearlo invece come prova della violazione della tomba e favorire la spartizione dei reperti.
In realtà, la comunicazione inviata al Capo Ispettore sul contenuto del sito è stata mandata scientemente molto tardi il giorno prima; l’ineffabile Engelbach non vuole o non può muoversi in tempo e manda un Ispettore locale, Ibrahim Effendi, che viene abilmente circuito e non si accorge di nulla. L’ispezione evidenzia lo stato dell’Anticamera e dell’Annesso, e viene mostrato a Ibrahim Effendi che c’è casualmente un foro nella parete tra le due statue del Faraone “abbastanza grande da permettere il passaggio di un uomo”. Nel diario degli scavi Carter scrive:
“Evidentemente la tomba al di là (del muro) era stata violata – dai ladri! Chissà? Ma c’erano prove sufficienti a dire che qualcuno era entrato”.
Chissà chi era stato, effettivamente…
Viene organizzata un’apertura “ufficiale” della tomba per il 29 novembre, con tutte le autorità presenti. C’è anche la moglie dell’Alto Commissario Britannico per l’Egitto, Lady Allenby, e, bontà sua, anche Engelbach. Lacau arriva invece il 30 e si mostra entusiasta della tomba.
Iniziano i preparativi: serve un cancello in ferro per proteggere i tesori, procurarsi il materiale per proteggere e restaurare i reperti estratti, bende, cotone, materiale fotografico ed un’automobile. Carter si procura il tutto al Cairo e ne attende la consegna, mentre Lord Carnarvon ed Evelyn ripartono per l’Inghilterra per passare le festività di Natale in Patria.

Nel frattempo Carter pensa febbrilmente. Non ha a disposizione personale qualificato per affrontare ciò che hanno visto nella tomba. Fa un elenco mentale: 1) Fotografare; 2) Descrivere; 3) Proteggere; 4) Restaurare; 5) Tradurre; 6) Trasportare. Sa di essere qualificato per descrivere ed in parte per proteggere, ma per il resto?
Carter fa una scelta estremamente intelligente: non vuole fare tutto da solo. Telegrafa allora ad Albert Lythgoe, il referente del Met Museum per gli scavi a Deir El Bahari che aveva ereditato lo staff di Davis: “Scoperta colossale, necessito ogni assistenza” e gli chiede “in prestito” Harry Burton per le fotografie. Lythgoe replica immediatamente l’8 Dicembre: “Solo troppo felice di aiutare in ogni modo possibile. La prego di chiamare Burton e qualsiasi altro membro del nostro staff”. La disponibilità di Lythgoe sembrerebbe un esempio di collaborazione scientifica disinteressata; in realtà grazie a Carter (che intasca la sua commissione) il Met ha già acquisito i 225 pezzi del “Tesoro delle 3 Principesse” e “punta” ad acquistare parte della spartizione che Carnarvon si aspetta da Lacau.



A sinistra: la Sinclair “Una” usata da Burton. A dir la verità ne possedeva una anche Lord Carnarvon, che però usava con risultati disastrosi, pare. Montava di solito un obiettivo Carl Zeiss da 13.5 mm f:4.5 e poteva accogliere lastre da 13×18 cm o le cosiddette “imperiali” da 4.5×6.5 pollici. La resa di negativi così grandi fu eccezionale nelle mani di Burton. A destra: una curiosità: questa è invece la Kodak Graflex appartenuta ad Howard Carter, dalla collezione Kodak al National Media Museum di Bradford. Usava lastre da 5×4 pollici ed aveva un signor otturatore già in grado di arrivare ad 1/1000”
Insieme a Burton, dalla spedizione del Met si unisce a Carter anche Arthur Mace, un archeologo che aveva lavorato con Petrie e che sarà il fido aiuto di Carter. La collaborazione di Lythgoe sarà anche politico/diplomatica, ma lo vedremo più avanti.
Alan Gardiner, amico personale di Lord Carnarvon, si occuperà saltuariamente delle traduzioni. È stato chiamato di corsa da Carnarvon dopo aver scambiato rotoli di tessuto nelle casse dell’Anticamera per papiri; in realtà in tutta la tomba non se ne troverà neanche uno, e l’attività di Gardiner sarà abbastanza limitata, ma l’accenno ai papiri nelle prime note scatenerà la solita ridda di ipotesi complottesche su presunte sparizioni e furti.
Dal Dipartimento delle Antichità arriva invece Alfred Lucas, un chimico che si era trasferito in Egitto per curare la tubercolosi ed “arruolato” sia per la conservazione degli oggetti sia per la sua passione per la medicina forense (veniva definito dall’Egyptian Gazette lo Sherlock Holmes egiziano, ed in effetti sarà lui ad accorgersi dell’effrazione “moderna”) in previsione di ritrovare una mummia intatta.

Il 27 Dicembre, dopo il lavoro preliminare, esce il primo oggetto dalla tomba. È una splendida cassa in legno trovata appoggiata per terra davanti al muro che conduce alla camera sepolcrale. Di lì in avanti, la squadra di Carter lavora come una macchina da guerra. Burton fotografa in situ, evidenziando la posizione di ogni oggetto, Carter descrive, Lucas provvede a “stabilizzare” i reperti, spesso con paraffina, Alan Gardiner traduce se necessario, Callender organizza il trasporto in sicurezza, di nuovo Burton fotografa i singoli oggetti e Mace con Lucas completa il primo restauro.


Carter riesce a farsi affidare da Lacau la KV55 di Smenkhare/Akhenaton), vista la sua vicinanza alla tomba, come laboratorio fotografico per Burton (tanto, più danni di quelli di Davis non avrebbe potuto fare) e la KV15 come deposito e laboratorio di conservazione. Per paura dei ladri, appone anche alla KV15 un doppio cancello blindato. Il solito Weigall, avvelenato per essere stato escluso dalla squadra, dirà che “Carter ha blindato la sua scoperta meglio della Banca d’Inghilterra”.


I reperti escono uno dopo l’altro dalla tomba: durante l’estate vedremo con calma gli oggetti più significativi, che altrimenti verrebbero sviliti in questa narrazione.
Curiosi e giornalisti sciamano nella Valle e Carter ne è immensamente infastidito. Ogni volta che un oggetto esce dalla tomba è mitragliato dalle macchine fotografiche come se fosse una celebrità del neonato cinema. Carnarvon decide allora di firmare un contratto con il Times per l’esclusiva sulle notizie dietro un compenso di 5,000 sterline e il 75% del ricavato della vendita dei servizi ad altre testate. Sembra un bel colpo finanziario, sarà un terribile boomerang per il veleno che spargeranno gli “esclusi”, con il New York Times in testa.
Una delle innumerevoli foto della folla che ogni giorno aspettava al sole della Valle l’uscita di un pezzo per “rubarne” un’immagine Carter accompagna personalmente uno dei cocchi da parata. Anche se, come si vede nelle foto, ogni pezzo aveva una scorta armata Carter amava accompagnare personalmente i più importanti per assicurarsi che non fossero danneggiati durante il trasporto – e forse si pavoneggiava comprensibilmente un po’…


A sinistra: uno dei telegrammi in cui fu discussa tra Carter e Carnarvon l’esclusiva dei diritti giornalistici al Times. C’era in ballo anche un’offerta per i diritti cinematografici, un’idea che piaceva immensamente a Carnarvon. A destra: Arthur Merton, il giornalista del Times che avrà il privilegio di raccontare in anteprima ed in esclusiva tutte le fasi della scoperta
L’atteggiamento irremovibile di Carter, che rifiuta anche le visite alla tomba autorizzate da Lacau, viene considerato un affronto alle autorità locali, un colonialismo che si scontra frontalmente con la nuova indipendenza politica dell’Egitto.

Il cosiddetto “manichino” fu volutamente lasciato scoperto da Carter nell’uscita dalla tomba ed il trasporto al deposito. Portato così da un caposquadra, sembrò che il Faraone in persona emergesse dalla tomba a raccogliere l’omaggio dei suoi sudditi.
Carter tira dritto per ora, e svuota l’Anticamera. A metà febbraio è pronto per l’apertura “ufficiale” della porta che conduce alla Camera del Sarcofago, un evento che diventa di risonanza mondiale. Il 16 febbraio ci sono tutti: ci sono Lacau, Engelbach e Ibrahim Effendi per il Servizio delle Antichità, le autorità locali e tutto lo staff di Carter, oltre ovviamente a Lord Carnarvon, che ride sotto i baffi sapendo già cosa c’è oltre la porta, ed Evelyn.


16 febbraio 1923: Carter e Carnarvon scoprono il “muro d’oro”, che emerge tra le due statue del Ka di Tutankhamon, lasciate in situ a bella posta per aumentare l’impatto visivo dell’evento
Piano piano Carter e Callender smontano dall’alto il muro. Dietro di esso, compare un altro muro, il muro d’oro del primo sacrario che lascia tutti attoniti. Da quel momento si scatena il caos: Carter scrive sul diario che “si deve arrendere ai visitatori”. Per dieci giorni illustri ospiti e tutti gli archeologi presenti in Egitto (alcuni con millantato credito) visitano la tomba. Il visitatore più illustre è la Regina del Belgio (che tornerà anche in marzo a visitare il laboratorio della KV15).
Il 26 febbraio Carter ricopre la tomba: il caldo impedisce di proseguire oltre. Continua invece il prezioso lavoro del laboratorio.
Lord Carnarvon ed Evelyn partono per Assuan per vedere il tempio di Ramses II, poi si sposteranno al Cairo, non prima di aver pianificato con Carter la successiva stagione di scavi.
George Herbert, V Conte di Carnarvon non sa che non rivedrà mai più la Valle dei Re.