A cura di Giuseppe Esposito
Quando ho pensato di scrivere questo articolo ero convinto che sarebbe stata una passeggiata, «che ci vuole…», mi sono detto, «…a scrivere qualcosa di un’antica favola?». Ma tra il dire e il fare qualche volta c’è di mezzo… il Nilo (tanto per restare in tema).
Mi sarei potuto limitare a raccontare la storiella (come ho visto in tanti altri siti), senza riferimenti, solo per raccontare questo gossip di 2500 anni fa, che ancora si riverbera in tempi moderni, ma, come ormai avrete capito leggendo altri miei interventi, non è il mio stile poiché rispetto troppo chi legge i miei articoli e cerco, sempre, di metterlo nelle migliori condizioni di verificare che non “vendo tappeti”… e allora eccoci a parlare di quest’antica storia, trasformatasi in fiaba, per grandi e piccini… Buona lettura e, visto che quasi ci siamo, Buon Natale!
CENERENTOLA

Boongggg! «…otto… ancora quattro rintocchi alla mezzanotte… debbo andare…”, “…aspetta, resta ancora…», «…non posso anche se vorrei…, non posso…» e, con il cuore in gola, era già sullo scalone del Palazzo, inseguita dal Principe… un lieve inciampo e una scarpa persa, ma non poteva certo fermarsi a recuperarla… Boonggg! Era l’undicesimo e doveva correre… ma il giorno dopo Asso di Bastoni, l’araldo del re, iniziò a percorrere le strade basolate di Napoli e a narrare il Cunto «…Aieressera a palazzo riale s’è perza na chianella ‘mmiez’ ‘e scale![1]», e le lavandaie spettegolavano sulla misteriosa fanciulla «penzate a cchella c’ha perzo ‘sta scarpa! Na corz’all’alba cu ‘e guardie appriesso e ‘o core ‘nganna p’ ‘a paura![2]», e ancora «…chella parev’ ‘a Maronna![3]».
Forse l’inizio vi ha un po’ spiazzato, e vi state chiedendo quale sia, in realtà, l’argomento di quest’articolo in un sito di egittologia… cerchiamo perciò, intanto, di mettere un po’ d’ordine: l’inizio è di certo il più noto poiché è una libera rivisitazione della parte finale della fiaba di Cenerentola, secondo le versioni di Perrault[4] e dei fratelli Grimm[5]; più difficile sarà stato, forse, individuare la parte in napoletano che ho tratto dalla “favola in musica in tre atti” di Roberto De Simone[6] “La Gatta Cenerentola[7]”, decisamente più aderente, anche nel titolo, alla originale versione di Giovan Battista Basile[8]. Un ulteriore problema credo lo ponga l’accenno mistico/religioso alla Madonna, ma anche qui, rifacendoci alla tradizione popolare napoletana, esiste un suo perché. Narra, infatti, una delle versioni, che ogni sera, la Madonna portava il Bambino a passeggiare sulla spiaggia di Mergellina, ma una sera perse una scarpa, o meglio, una “pianella”. Questa, rinvenuta dai devoti, venne custodita dapprima in una piccola cappella, poi trasformatasi nella Chiesa di Piedigrotta[9].

NEL TEMPO E NEL MONDO
Ok, sono certo che vi state ancora chiedendo dove voglio arrivare, ancora un po’ di pazienza… come al solito la prendo alla larga con la mia mania di scivolare tra le pieghe del tempo per raggiungere il nocciolo della questione… e questa volta, oltre al tempo, vi costringerò a scivolare brevemente anche nello spazio poiché risale al IX secolo il racconto cinese di Yen Xian che, tuttavia, potrebbe aggiungere alla nostra eroina “moderna” una giustificazione, relativa alle dimensioni del piede, che, altrimenti, non avrebbe logica secondo la nostra cultura: Yen Xian, infatti, è nota, in tutta la Cina, per avere i piedi più piccoli, ed eleganti, dell’Impero[10]. E ancora, potremmo fare riferimento alla fiaba africana di “Natiki”[11], o a quella persiana de “Il vasetto magico”[12], passando per la danese “Il Cavaliere Verde”, per arrivare, escludendo le più moderne teatrali, o cinematografiche, a oltre 300 versioni (c’è chi porta il numero addirittura a 1500).
Tutte, però, avrebbero una fiaba capostipite, quella di Radopis.
RADOPIS
Purtroppo, di questa fiaba, o storia, considerata l’archetipo di quella della nostra Cenerentola, non ci è pervenuta alcuna menzione diretta e ne conosciamo l’esistenza solo perché riportata da autori relativamente “moderni” tra questi, come al solito, la palma del primo va assegnata, sia pure indirettamente, a Erodoto[13]. Narrando della piramide di Micerino, infatti, l’autore contesta il racconto, a lui riferito, relativo alla costruzione della piramide stessa. La narrazione dei suoi “intervistati”, infatti, prevede che si tratti della piramide fatta costruire dalla cortigiana “Radopis” (“Viso di Rosa”), ma è lo stesso autore, scettico, che specifica (“Storie”, Libro II, 134):
«…parlano senza neppure sapere chi era Rodopis, altrimenti non potrebbero attribuirle la costruzione di una piramide come quella che costa migliaia di talenti, una cifra per così dire incalcolabile…»
E, più avanti:
«…inoltre Rodopis godette il massimo splendore all’epoca del re Amasi e non sotto il regno di Micerino, vale a dire parecchi anni dopo i re che lasciarono queste piramidi; Rodopis era di stirpe tracia, schiava di Iadmone di Samo, figlio di Efestopoli, e compagna di schiavitù di Esopo[14], il favolista…»
E così abbiamo intanto inquadrato il periodo storico in cui si sarebbe svolta la storia della bellissima etera Radopis, o Radopi, o Rodopi, ma anche Rhadopis: non al tempo di Micerino, cioè nella IV dinastia (circa 2500 a.C.), bensì non solo “parecchi anni”, ma svariate decine di secoli dopo, sotto il re Amasi[15], della XXVI dinastia (circa 530 a.C.). La nota di Erodoto, relativa alla piramide di Micerino e che comprende la storia di Radopi, prosegue nel paragrafo successivo, il 135 delle sue “Storie”, libro II:
«…Rodopis giunse in Egitto al seguito di Xanto di Samo, vi giunse per esercitarvi l’antica professione, e vi fu riscattata per una somma enorme da un uomo di Mitilene, Carasso, figlio di Scamandronimo e fratello della poetessa Saffo.»
Per conoscere, tuttavia, la storia di Radopis dobbiamo rifarci ad altri scrittori come Strabone[16] che, nel libro XVII della sua “Geografia”, al capitolo 33, sempre a proposito delle piramidi di Giza, scrive che due sono annoverate tra le Sette Meraviglie del Mondo, mentre una terza (in realtà quella di Micerino) è nota come:
«…“Tomba della Cortigiana” essendo stata costruita per la sua amante –la cortigiana chiamata dalla poetessa melica Saffo, Doricha[17], amata da suo fratello Charaxus [il Carasso ereodoteo] impegnato nel trasporto di vini di Lesbo a Naucratis per la vendita- ma altri danno di lei il nome Rhodopis[18]. …»
E, più avanti:
«…Di lei si racconta la storia favolosa che, mentre si bagnava [nel fiume], un’aquila s’impossessò di uno dei suoi sandali trasportandolo a Menfi. Mentre il re stava amministrando la giustizia nella corte aperta, l’aquila, fece cadere il sandalo nel suo grembo.
Il re, colpito dalla bella forma armoniosa del calzare e dalla stranezza dell’accaduto, inviò uomini in tutte le direzioni nel Paese alla ricerca della donna proprietaria del sandalo; quando fu trovata, a Naucratis, venne accompagnata a Menfi e divenne la sposa del re. Alla sua morte venne onorata con la tomba sopra detta…»
La storia, divenuta ormai famosa, venne ripresa anche da Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis Historia” in cui, dopo aver trattato delle piramidi più importanti, aggiunge:
«…Queste sono le tanto meravigliose piramidi; e questa è maraviglia maggiore, acciocchè alcuno non si meravigli delle ricchezze dei re, che la minima d’esse, ma però la più bella, fu fatta da Rodope meritrice. Questa fu già serva, insieme con Esopo filosofo scrittor di fovole [sic], e abitava in una medesima casa; ma la maggior meraviglia di tutte è, che ella acquistasse tante facoltà con l’arte sua.» [19]
Anche Claudio Eliano[20], detto il “meliglosso”, ovvero “dalla voce mielata”, studioso di filosofia, si appassionò, principalmente a quella greca e a quella egizia, da cui ricavò la conoscenza della fiaba di Rodope narrata in una delle sue “Varia Historia”:
«Dicesi che Rodope fu meretrice egizia, di rara beltà. Stando costei una volta in sul lavarsi, la fortuna, la quale ama di operare cose strane ed inaspettate, le procacciò un’avventura ben degna, non già della sua condizione, ma di sua bellezza.
Imperocchè mentre essa si lavava e le fantesche custodivano le sue vesti, un’aquila ivi volatasi, rapì uno de’ suoi calzari, e ecco portandolo in Memfi, il depose in seno di Psammetico nel punto ch’ei teneva ragione. Avendone egli ammirato l’aggiustezza e la perfezione del lavoro ed insieme il fatto dell’uccello, comandò che per tutto l’Egitto si facesse diligente ricerca della donna di cui era quel calzare, ed avendola ritrovata, se la prese per moglie.»[21]
In questo caso, colpisce che il faraone toccato da tanta beltà non sia Amasi, come nella versione di Eliano, bensì Psammetico, ma è bene tener presente che, nella XXVI dinastia, successore di Amasi fu, appunto, Psammetico III[22].
Una vaga eco della storia, si potrebbe ravvisare anche in quella che viene considerata la più antica fiaba scritta tra quelle che si conoscano e che risale al XIII secolo a.C.: “la fiaba di Anup e Bata” o “dei due fratelli”. In questo caso, l’oggetto che suscita nel Re il desiderio di ricerca della donna da amare è una lunga treccia di capelli o, per meglio dire, il profumo da questa emanata[23].
Potremmo ancora proseguire e, come abbiamo sopra già accennato, venendo sempre più avanti nei secoli e nei millenni, giungere all’edulcorata fiaba narrata da Walt Disney, nel suo film del 1950, o nel pluritrasmesso (sinceramente ai limiti della noia) “Pretty Woman”, del 1990, ma quel che appare oggi di sconcertante attualità è, intanto, la sottolineatura del riscatto da una posizione inferiore, o addirittura infima di schiavitù, a quella di regina e, ancor più, il fatto che si tratti di…un’immigrata; si rammenterà, infatti, che già Erodoto la indica come “di stirpe tracia”.
Ma credo ora giunto il momento di terminare e che sia giusto lasciare ad Asso di Bastoni, filo conduttore della “Gatta Cenerentola”[24], il compito di chiudere questo articolo:
«… e mmò sunat’ ‘e campane,
sparate ‘o cannone,
ca chesta è ‘a riggina d’ ‘a pupulazione!»
15/12/2021
[1] Roberto De Simone, “La Gatta Cenerentola”, 1977, Einaudi, p. 97.
[2] Roberto De Simone, citato, p. 75.
[3] Roberto De Simone, citato, p. 78.
[4] Charles Perrault (1628-1703), autore de “Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités”, noto anche con il titolo di “Contes de ma mère l’Oye” (Racconti di mamma Oca), del 1695. Il libro conteneva, originariamente, otto fiabe (tra cui “Cappuccetto Rosso”, “Il gatto con gli stivali” e “Cenerentola”). Perrault si rifece, per le sue fiabe, a quelle del “Pentamerone”, meglio noto come “Lo Cunto de li Cunti” di Giovan Battista Basile sfrondandole, tuttavia, delle parti più violente, oppure oscene, inserendo una morale che non sempre è esplicita nell’opera originaria e adattandole a un pubblico adulto e aristocratico. A lui si deve, nella fiaba di Cenerentola appunto, l’“invenzione” delle scarpette di cristallo da allora sempre utilizzata in tutte le trascrizioni e trasposizioni della fiaba. Per inciso, nella fiaba di Perrault, Cenerentola perdona le sorellastre e, portatele a Palazzo, le fa sposare con nobili cavalieri.
[5] Jacob Ludwig (1785-1863) e Wilhelm Karl Grimm (1786-1859), linguisti e filologi, raccolsero fiabe della tradizione tedesca (“Fiabe del focolare”) e delle saghe germaniche in genere (“Deutsche Sagen”). Tra le altre fiabe, talvolta edulcorate e altre invece particolarmente cruente, era anche “Cenerentola” (titolo originale “Aschenputtel”), ed è noto che, nella biblioteca dei fratelli Grimm, esistessero sia “Lo Cunto de li Cunti” del Basile, sia la raccolta di fiabe di Perrault da cui, evidentemente, la fiaba è stata “copiata” e adattata. Per inciso, la fine della fiaba dei Grimm è alquanto cruenta giacché Cenerentola, in realtà una strega a sua volta, per vendicarsi delle vessazioni subite dalle sorellastre, durante la celebrazione del matrimonio con il Principe, chiama due magici colombi che strappano loro gli occhi costringendole a mendicare.
[6] Roberto De Simone (1933), musicista, compositore, musicologo, regista teatrale, già direttore del Teatro San Carlo di Napoli e, “per chiara fama”, del Conservatorio San Pietro a Majella della stesa Città. Tra le altre opere, oltre “la Gatta Cenerentola”, si rammentano “Eleonora, Oratorio drammatico” (del 1999), incentrato sulla figura di Eleonora Pimentel Fonseca e sulla Repubblica Napoletana del 1799, e la “Messa di Requiem in onore di Pier Paolo Pasolini.
[7] Presentata al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1976 con attori/cantanti come Peppe Barra, Isa Danieli, Concetta Barra, Antonella d’Agostino, Fausta Vetere, Giovanni Mauriello. La versione registrata è stata inserita da “Rolling Stone” tra i “100 dischi italiani più belli di sempre”.
[8] Giovan Battista Basile (1566-1632), funzionario pubblico, letterato e scrittore. Con il “Pentamerone”, meglio noto come “Lo Cunto de Li Cunti, overo lo trattenemiento de peccerille” del 1634, fu il primo a sfruttare la fiaba come espressione popolare. Benché considerabile come “capostipite” della moderna fiaba, con la sua “Gatta Cenerentola”, in realtà anch’egli attinse alla favolistica orale più antica. Per completezza, in questo caso non esiste alcuna “fata”, ma lo strumento delle magie è un alberello di “dattero fatato” portato in regalo a Zezolla, questo il nome della “Gatta Cenerentola”, ovvero sporca di cenere come una gatta che sta sempre vicino al focolare, dal padre al rientro da un avventuroso viaggio in Sardegna.
[9] Chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, dedicata alla Natività di Maria, risale al 1352-53 sul sito di una antica chiesa del V secolo, cui si era sovrapposta una chiesa bizantina dedicata alla Madonna Odigitria, a sua volta, ancora, sovrastante un tempio citato, peraltro, nel “Satyricon” di Petronio Arbitro, dedicato a Priapo.
[10] Il riferimento è all’antica e dolorosa usanza, detta del “loto d’oro”, risalente alla Dinastia Song (960-1279) e proseguita fino al XX secolo, di fasciare strettamente i piedi delle donne fino a deformarli per ottenere un’andatura molto particolare e considerata molto attraente. I piedi erano fasciati talmente stretti, e così a lungo durante la crescita, che, deformati, raggiungevano misure anche tra i 7 e i 12 centimetri.
[11] Narrata anche da Nelson Mandela nel suo “Le mie fiabe africane” del 2004.
[12] In questo caso l’oggetto che permette il matrimonio tra il principe e la fanciulla, non è una scarpetta bensì un braccialetto di diamanti magicamente fornitole da un “vasetto magico” acquistato al mercato.
[13] Erodoto (484-525 a.C.) : “Storie”, libro II, 134-135.
[14] Esopo (620-564 a.C.), favolista greco. Poco o niente si conosce delle sue origini; secondo alcune ipotesi sarebbe stato originario di Menebria (attuale Nesebar in Ungheria), nell’antica Tracia (il che giustificherebbe la conoscenza di Radopis, a sua volta tracia), ma si ipotizza anche una provenienza dall’Egitto, da Atene, da Samo o dall’Africa subsahariana considerando “esopo” come una differente trascrizione del termine “etiope” con cui i greci indicavano tutti gli abitanti dell’Africa meridionale. Tale ipotesi viene inoltre suffragata dalla presenza, in alcune sue favole, di animali africani tipici, non presenti in Europa. Giunto in Grecia come schiavo di tale Xanthos, o di Iadmone (come indicato da Erodoto), originario di Samo, sarebbe stato condannato a morte a Delfi per suoi discorsi e interventi politici non graditi al potere.
[15] Amasi (586-526 a.C.), noto anche come Ahmose II per non confonderlo con il re omonimo fondatore della XVIII dinastia. Anche in questo caso, le notizie maggiori sul regno di tale sovrano si debbono a Erodoto.
[16] Strabone (prima del 60 a.C. – 20/24 d.C.), storico, filosofo e geografo greco
[17] Saffo (630-570 a.C.) ebbe tre fratelli, uno dei quali, Charaxus, commerciante di vini tra Lesbo e Naucratis, si sarebbe invaghito di un’etèra di nome Doricha (o Rhodopis). Per riscattarla Charaxus avrebbe dilapidato una vera fortuna creando, inoltre, notevole imbarazzo alla sua famiglia d’origine. Con un “propemtikon”, ovvero un poema per il ritorno di una persona cara, intitolato “Preghiera per Charaxus”, Saffo propizia il ritorno del fratello e, nel contempo, maledice Doricha/Rhodopis.
[18] A proposito di tale duplice identificazione, Doricha=Rhodopis, Ateneo di Naucratis (non nota la data di nascita- morto dopo il 192 d.C.), scrittore egiziano, in una delle sue opere, i Deipnosofisti, ovvero “i Dotti a Banchetto”, in quindici volumi (giuntaci frammentaria), nel libro XIII, dedicato alle etère del passato e ai loro amanti, specifica che Doricha e Rhodopis sarebbero state due persone differenti e non la stessa.
[19] Caio Plinio Secondo (23-79 d.C.), “Della Storia Naturale”– Libro XXXVII – nell’edizione del 1844 – Vol. II- nella traduzione di M. Lodovico Domenichi (1515-1564), Venezia, tipografia Giuseppe Antonelli Ed., p. 1312.
[20] Claudio Eliano (tra il 165/170-235 d.C.), filosofo e scrittore romano, autore, tra le sue opere “Sulla natura degli animali” (in diciassette volumi), pervenutaci per intero, e le “Varia Historia”, in quattordici volumi, di cui ci sono pervenuti, completi, solo i primi due, mentre dei restanti abbiamo solo riassunti. Nel XIII, racconto 33, la storia di Radopi.
[21] Traduzione di Spyrídon Vlandís, erudito di origine greca, italianizzato in Spiridione Blandi (1765-1830).
[22] Psammetico III, non nota la nascita, salì al trono del padre, Amasi, nel 526 per essere poi deposto, un anno dopo, dall’imperatore persiano Cambise II che occupò l’Egitto nel 525 sconfiggendo l’esercito egizio, capeggiato proprio da Psammetico, nella Battaglia di Pelusio. Viene considerato l’ultimo faraone autoctono dell’Egitto.
[23] Papiro Orbiney, oggi presso il British Museum di Londra. Per le traduzioni e trascrizioni: Sergio Donadoni (1914-2015), Storia della letteratura egiziana antica, Milano, Nuova Accademia, 1957, pp. 190 e sgg. Edda Bresciani (1930-2020), Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Torino II ed., Einaudi, 1990.
[24] Roberto De Simone, citato, p. 107.