A cura di Luisa Bovitutti
In alto: Paletta a forma di ippopotamo. Periodo predinastico Naqada II, 3650–3300 B.C. – Museum of fine arts – Boston

Nell’antichità l’”Hippopotamus amphibius” era molto diffuso lungo la valle del Nilo, in particolare nel Delta e nel Fayyum; come si è visto la femmina era considerata una divinità benefica e protettiva, ma il maschio era temuto perché portava devastazione nelle coltivazioni divorando i raccolti e quando si sentiva minacciato attaccava anche l’uomo in modo imprevedibile e capovolgeva le barche, costituendo un vero pericolo per la navigazione.
Il pachiderma è ampiamente rappresentato in epoca predinastica: esso compariva sui bordi del vasellame, ispirava la forma delle palette portacosmetici e veniva disegnato sulle ciotole del tipo bianco a righe incrociate risalenti all’epoca naqadiana, caratterizzati da figure disegnate in bianco sullo sfondo rosso mattone della ceramica.

Ciotola predinastica – Museo di Manchester.
La ciotola è stata scoperta nel sito di el-Mahasna nel corso di uno scavo sponsorizzato dall’Egypt Exploration Fund (EEF) guidato dagli archeologi britannici Edward Russell Ayrton e WLS Loat durante la stagione 1908-9. Essa si trovava nella grande e ricca tomba H.29, insieme a molti altri oggetti di pregio (come avorio intagliato, perline di pietra, malachite e tavolozze di grovacca).
In alcuni casi esso compare come semplice elemento decorativo, da solo o accanto a pesci e coccodrilli che popolavano gli ambienti palustri tipici delle rive del Nilo, ma in molte scene viene rappresentata la sua caccia; esso forniva la carne, ma anche la pelle che veniva usata per costruire gli scudi, il grasso, utile nella preparazione di medicamenti e l’avorio delle zanne con il quale si realizzavano preziosi manufatti.

Ciotola con ippopotami- Periodo Predinastico Naqada I, 3850-3650 a. C. – Ritrovata a Mesaid, Tomba 26. Boston- Museum of Fine Arts.
Gli ippopotami sono stilizzati e occupano lo spazio tra le linee ondulate concentriche della rosetta centrale che rappresentano l’acqua, e le linee a zigzag attorno al bordo che suggeriscono scogli. Il manufatto è realizzato con argilla rossastra di limo del Nilo, brunito, rivestito con un sottile strato rosso e quindi decorato con motivi lineari in vernice bianca.
Gli studi archeozoologici hanno tuttavia mostrato che la caccia aveva un’importanza relativa nell’economia dell’epoca, per cui, forse, l’immagine aveva già assunto il significato simbolico che si delineerà in modo deciso nel corso delle prime dinastie.

L’uomo tiene le corde legate a due arpioni conficcati nel muso del grande ippopotamo che gli sta di fronte.
Le scene sui vasi cui si è fatto cenno sono sommariamente tracciate; talvolta il cacciatore non compare nemmeno, ma si vede l’animale ferito dall’arpione, reso con un segmento dritto che esce dal suo corpo e che continua con un altro segmento ondulato che termina con un cerchio concentrico – la corda legata alla punta dell’arma ed arrotolata all’altra estremità che consente al cacciatore di trattenere la preda -.


Questa immagine si è rilevata anche su di una paletta romboidale in ardesia risalente al 4000 – 3500 a. C. e conservata al Medelhavsmuséet di Stoccolma, su di un tessuto di lino trovato a Gebelein datato attorno al 3600 – 3350 a. C. ed ora esposto al Museo egizio di Torino e sulle pareti rocciose che costeggiano il Nilo e gli uadi dei deserti orientali e occidentali, 8000 anni fa abitati dai progenitori degli antichi egizi, migrati verso il Nilo a causa del progressivo inaridimento dell’area.

In epoca protodinastica la caccia all’ippopotamo compare su alcune placchette commemorative risalenti al regno di Den, ove si nota il sovrano, riconoscibile perché indossa la corona rossa, che caccia il pachiderma già trafitto da diversi arpioni o che lo affronta a mani nude (immagine sottostante).

Combatterlo ed ucciderlo era un atto rituale che sottolineava il coraggio, la forza ed il primato del sovrano e gli permetteva di appropriarsi del potere distruttivo dell’animale e di realizzare il suo compito principale come Faraone: mantenere la Ma’at e prevalere sul caos che esso rappresentava.
Il numero di simili targhette e più in generale le molteplici fonti risalenti a questo periodo hanno indotto ad ipotizzare che l’uccisione simbolica o effettiva del pachiderma da parte del re facesse parte di un rituale che si svolgeva annualmente, nel corso del quale egli doveva affermare la sua supremazia dimostrando di essere un capo forte ed intrepido.
La rappresentazione della caccia all’ippopotamo da parte del sovrano permane per tutto il periodo faraonico fino all’epoca tarda; la scena è attestata per la prima volta nel tempio funerario di Userkaf, dove è rimasto un frammento che mostra la mano del re che tiene corde e galleggianti, ed essa si trovava anche sulla parete della sala d’ingresso del tempio funerario di Pepy II (si vedano le immagini qui sotto), ed è stata ricostruita dai pochi frammenti sopravvissuti del rilievo parietale.
Il re in piedi su una grande barca di papiro occupava tutta l’altezza del muro ed è ritratto nel momento in cui sta per lanciare un arpione contro l’animale, il quale si gira verso di lui con le fauci spalancate a mostrare le zanne; nell’altra mano tiene le corde legate alle punte di altri arpioni giunti a bersaglio; l’avvoltoio Nekhbet si libra sopra il re ed è seguito dal suo ka in forma di stendardo; di fronte al sovrano ci sono due stendardi preceduti da due uomini, identificati come il figlio maggiore del re ed Ihy, supervisore del complesso piramidale. A sinistra e a destra del rilievo principale e sopra l’ippopotamo ci sono diversi registri con file di funzionari. Dietro il re, nel registro più basso, un ippopotamo legato ad una slitta viene trainato da una squadra di sei uomini.
Essa si trova ampiamente anche sulle pareti delle tombe private dall’Antico regno in poi, anche in questo caso rappresentata secondo canoni piuttosto standardizzati che hanno permesso di ricostruire molte scene parzialmente perdute; quando il cacciatore è un privato cittadino, tuttavia, l’immagine assume un significato differente in quanto la vittoria del defunto sull’ippopotamo implica il prevalere sulle forze ostili ed incontrollate e la sua rinascita nell’aldilà.
A Giza ed a Sakkara la scena tradizionale comprende il defunto di grandi dimensioni che si trova su di una piccola imbarcazione accanto ai suoi servi che cacciano per lui, esponendosi al pericolo.
Le più famose e complete raffigurazioni della caccia all’ippopotamo dell’Antico Regno si trovano nelle mastabe di Ti, di Kagemni, di Mereruka e di Idut a Sakkara.
LA MASTABA DI TI
La rappresentazione più famosa della caccia all’ippopotamo si trova nella mastaba di Ti a Sakkara.
Ti visse durante la V dinastia; pur non essendo di nobili origini sposò una principessa e grazie ai propri meriti diventò ricco e potente: fu nominato “amico unico del Re” Neferirkara Kakai della V dinastia e rivestì, all’apice della sua carriera, il ruolo di Maestro di Palazzo, architetto del faraone, sacerdote di Ptah ed amministratore dei possedimenti funerari reali.
Egli, in posa eroica, compare a bordo di una barca che sta navigando lungo il Nilo, rappresentato come una serie di linee a zigzag blu nelle quali nuota una grande varietà di pesci; sulla destra della scena si trova un gruppo di ippopotami.
Davanti a lui, a prua, vi sono quattro servi, due dei quali sono pronti a scagliare le loro armi; l’ippopotamo anteriore, già ferito da cinque arpioni, si gira inferocito verso i suoi avversari e spalanca le fauci. Un altro, pur essendo già stato colpito da due arpioni trattenuti da un terzo servo ha azzannato un coccodrillo, che tenta di mordergli una zampa; una femmina spaventata si volge verso un esemplare più giovane.
LE MASTABA DI KAGEMNI E MERERUKA A SAKKARA
Kagemni visse durante la VI dinastia; genero del re Teti, fu Capo della Giustizia e Visir e si fece costruire a Saqqara una splendida tomba vicino alla piramide del suo re. La raffigurazione della caccia all’ippopotamo rispecchia fedelmente i canoni della tradizione (vedi immagine sotto).
Mereruka fu il successore di Kagemni nel ruolo di visir; sposò la primogenita di Teti e divenne il personaggio più potente dopo il faraone, ottenendo anche il titolo di Capo dei sacerdoti della piramide di Teti, Governatore del Palazzo e Sovrintendente degli scribi del Registro reale.
Le pareti nord e sud della sua mastaba sono decorate con scene ambientate nelle paludi lungo le rive del Nilo, analoghe a quelle della tomba di Kagemni; il registro inferiore è occupato dalla rappresentazione del fiume che ospita una varietà di pesci, ippopotami e coccodrilli molto ben conservato, mentre l’immagine di Mereruka è piuttosto danneggiata.

Sulla parete nord il dignitario è raffigurato accanto alla moglie su di una leggera barca di papiro mentre sta pescando con un arpione: su di un’altra barca tre servi stanno cacciando gli ippopotami, due di essi scagliando arpioni contro gli animali già feriti, un terzo brandendo un bastone con il quale cercherà di stordirli (vedi foto sopra).
LA MASTABA DI ANKHTIFI A MO’ALLA E LA TOMBA DI AMENEMHAT A GURNA
L’iconografia della caccia all’ippopotamo persiste anche nel corso del primo periodo intermedio: Ankhtifi, nomarca del 3’ nomo dell’Alto Egitto fedele al monarca di Heracleopolis si fa raffigurare nella sua tomba a Mo’alla (poco più a sud di Luxor) insieme ai due figli, mentre caccia in prima persona, stando a bordo di una barca; il dipinto è molto danneggiato e ne rimangono solo tracce.
Il defunto trafigge il pachiderma, che rappresenta il malvagio Seth, alla schiena, al posteriore ed alla testa: questa uccisione rituale si svolgeva ad Hefat durante la festa in onore del dio falco Hemen, citato nei testi delle piramidi e spesso unificato con Horus, nel corso della quale il simulacro della divinità veniva portato in processione ed i marinai organizzavano una specie di giostra nautica.
La caccia all’ippopotamo è rappresentata nel Nuovo Regno anche nella tomba di Amenemhat, un importante dignitario tebano che portava i titoli di Assistente del visir, Scriba contabile del grano del granaio delle divine offerte di Amon, Supervisore delle terre arate e “Più anziano del cortile esterno” (forse una carica di natura religiosa); egli visse durante il regno di Thutmose III e fece predisporre la sua tomba (la TT82) nella necropoli di Tebe, a Sheikh Abd el-Gurnah.
Amenemhat è rappresentato in piedi su di una barca, forse accompagnato dalla moglie e dalle figlie. Dietro di lui, collocati su più registri, lo assistono i suoi figli o i servitori, dei quali sopravvive solo un frammento; il cacciatore tiene il suo arpione nella mano destra e sta per colpire l’animale. Nella sinistra tiene le funi legate alle punte degli arpioni con i quali ha già colpito l’ippopotamo, rappresentato più piccolo di lui e dipinto in rosso, che è il colore di Seth; l’animale volta le spalle al cacciatore, ma volge le fauci aperte verso di lui, mostrando la sua furia; sullo sfondo, un boschetto di papiri e di giunchi assolutamente delizioso.
Anche qui il defunto che uccide l’ippopotamo è assimilato al dio Horus, eterno nemico di Seth; solo dopo averlo sconfitto Horus, erede legittimo di Osiride, potrà salire sul trono del padre, così come Amenemhat, ucciso il pachiderma, potrà entrare nell’Aldilà garantendosi la possibilità di rinascita.
LO SCONTRO TRA HORUS E SETH
“E l’Enneade parlò a Seth: “Perché sei adirato? Non dobbiamo fare come abbiamo detto io, Atum, signore delle due terre di Heliopolis, e Ra-Harakhti?” e posero la Corona Bianca sulla testa di Horus, il figlio di Iside.
E Seth gridò ad alta voce davanti all’Enneade, si irritò e disse: “Dovrebbe il trono essere consegnato al mio fratellino, mentre io, suo fratello maggiore, sono vivo?”
Allora egli fece un giuramento, dicendo: “Toglieranno la corona bianca dalla testa di Horus, il figlio di Isis, e lo getteranno in acqua, affinché io possa contendere con lui la carica di sovrano”.
Allora Ra-Harakhti fece di conseguenza. E Seth parlò ad Horus: “Vieni, trasformiamoci in due ippopotami, e immergiamoci nelle acque che sono nel Grande Verde. E chi emergerà entro tre mesi, a lui non sarà dato questo ufficio”.
Quindi i due si immersero. E Iside sedette piangendo e disse: “Seth ha ucciso Horus, mio figlio”.
Poi prese del filo e fece una corda, e prese una libbra di rame e la fuse in un arpione, vi legò la corda e lo gettò nell’acqua dove Horus e Seth si erano tuffati. E l’arpione colpì la maestà di suo figlio Horus. E Horus gridò ad alta voce, dicendo: “Vieni a me, madre Iside, madre mia! Chiama il tuo arpione affinché esca da me. Io sono Horus, il figlio di Iside”.
E Iside gridò ad alta voce, e disse all’arpione: “Esci da lui; ecco, è mio figlio Horus, mio figlio”.
Ed il suo arpione uscì da lui. Poi lo gettò di nuovo nell’acqua, ed esso si infisse nella maestà di Seth. E Seth gridò ad alta voce, dicendo: “Che cosa ho fatto contro di te, mia sorella Iside? Chiama il tuo arpione affinché esca da me, perché io sono tuo fratello da parte di madre, o Iside”.
Allora ella ebbe compassione di lui oltremodo.
E Seth la chiamò, dicendo: “Amavi tu lo straniero più di quanto tu ami tuo fratello da parte di madre, anche Seth”.
E Iside chiamò il suo arpione, dicendo: Esci da lui; ecco, è il fratello di Iside da parte di madre colui nel quale tu ti sei infisso”. Al che l’arpione uscì da lui.
Allora Horus, figlio di Iside, si adirò con Iside, sua madre, uscì (dall’acqua n.d.r.), e la sua faccia era selvaggia come una pantera dell’Alto Egitto, e la sua mannaia di sedici libbre era nella sua mano”. E tagliò la testa di sua madre Iside.

Sempre il medesimo papiro racconta un altro episodio della contesa tra Horus e Seth, nella quale quest’ultimo si trasforma in un ippopotamo e cerca di avere la meglio sul nipote, non rassegnandosi al fatto che l’Enneade lo ritenesse più meritevole di lui del trono d’Egitto; anche in questo caso viene salvato dall’intervento degli Enneadi, che riescono ad evitare che Horus lo uccida.
E Seth si arrabbiò moltissimo, e gridò ad alta voce quando gli Enneadi dissero: Horus è nel giusto e Seth è nel torto.
E Seth fece un grande giuramento a Dio, dicendo: Io non gli darò il trono finché non si sarà battuto con me. E noi ci costruiremo delle navi di pietra, e navigheremo intorno, noi due. E a chi prevarrà sul suo compagno daranno la carica di sovrano.
Allora Horus costruì per sé una nave di cedro, la ricoprì di gesso e la mise in acqua al tramonto, e nessun uomo in tutta la terra ne aveva mai vista una simile.
Seth vide la nave di Horus e credette che fosse di pietra. Ed egli andò sulla montagna e tagliò un picco della montagna, e costruì per sé una nave di pietra di centotrentotto cubiti.Poi salirono a bordo delle loro navi in presenza dell’Enneade.
Allora la nave di Seth affondò nell’acqua.
E Seth si trasformò in un ippopotamo, – e fece affondare la nave di Horus. Allora Horus prese il suo arpione e lo lanciò contro la maestà di Seth. Allora gli Enneadi gli parlarono: Non lanciarlo contro di lui.
LA DISPUTA TRA APOPHIS E SEQENENRE
L’ippopotamo compare con un significato simbolico anche nella “Disputa tra Apophis e Seqenenre”, un racconto risalente alla XIX dinastia pervenutoci tramite il papiro Sallier I che descrive in modo fantasioso come ebbe inizio il conflitto tra Apophis, sovrano degli Hyksos che regnava ad Avaris, e Seqenenre, signore di Tebe, nel quale quest’ultimo venne ucciso ma che si concluse con la riconquista di tutto l’Egitto ad opera dei suoi successori Kamose ed Ahmose, quest’ultimo fondatore della XVIII dinastia.
La storia racconta che l’Egitto era una terra divisa e che Apophis aveva abbracciato il culto di Seth rifiutando gli altri dei, così alterando l’equilibrio che il sovrano aveva il dovere di mantenere.
Egli mal tollerava la presenza del rivale nel sud del paese, e con l’intento di creare un casus belli decise di provocarlo mandandogli un messaggio nel quale si lamentava perché un gruppo di ippopotami che vivevano in uno stagno nei pressi di Tebe, a quasi 1.200 km. dalla sua capitale, strepitava così forte da impedirgli di dormire la notte.Il re tebano rimase stupefatto di fronte a tanta impudenza, ma non sappiamo cosa rispose perché il testo successivo è andato perduto: è comunque certo che egli si armò e diede inizio alla guerra di riconquista.

Il racconto si presta a più interpretazioni: forse gli ippopotami, simbolo di Seth, rappresentavano gli Hyksos che lo riconoscevano come suprema divinità, e Seqenenre era velatamente accusato di incapacità di governare il caos? O forse il biasimo era rivolto ad Apophis, che portava il nome del serpente malvagio e pur adorando Seth cercava di zittire i pachidermi?
“Una volta accadde che la terra d’Egitto fosse in afflizione perché non c’era un unico re. Arrivò un giorno in cui era Sovrano della città meridionale (Tebe) il re Seqenenre.
Il principe Apophis era in Avaris, e l’intera terra gli pagava tributi, gli corrispondeva le tasse e anche il nord gli portava ogni buon prodotto del Delta.
Poi il re Apophis adottò Seth come signore e si rifiutò di servire qualsiasi altro dio sulla terra tranne Seth. Costruì un tempio di pregevole e solida fattura accanto al suo palazzo, ed ogni giorno si alzava all’alba per sacrificare a Seth, mentre i suoi funzionari portavano ghirlande, esattamente come si pratica nel tempio di Ra-Harakhti.
Ora Re Apophis desiderava inviare un messaggio provocatorio a Re Seqenenre, Principe della Città del Sud. …Allora i suoi scribi, i saggi e gli alti funzionari proposero: “Il sovrano, nostro signore, esige che tu ritiri gli ippopotami dallo stagno che si trova ad est della Città perché essi non permettono di dormire né di giorno né di notte, e il loro ruggito arriva fin nelle orecchie dei nostri cittadini. …
Molti giorni dopo il re Apophis, inviò al principe della città meridionale la richiesta che i suoi scribi e saggi avevano predisposto per lui. E quando il messaggero del re raggiunse il principe della città meridionale, fu portato alla sua presenza. Allora Sekenenre disse al messaggero del re Apophis: Perché sei stato mandato nella Città del Sud? Perché sei venuto in viaggio qui? Il messaggero allora gli disse: È il re Apophis che mi ha inviato per dirti: “Ritira gli ippopotami dallo stagno che si trova a est della città, perché non lasciano dormire né di giorno né di notte ed il loro ruggito arriva fin nelle orecchie dei suoi cittadini”.
Allora il principe della città meridionale rimase stupefatto per così tanto tempo che non fu in grado di dare una risposta al messaggero del re Apophis. Alla fine il Principe della Città del Sud gli disse: Il tuo Signore da Avaris ode gli strepiti che provengono dallo stagno degli ippopotami che si trova ad est della Città del Sud?!?!? Allora il messaggero gli disse: Esegui l’ordine per il quale mi ha mandato. Poi il Principe della Città del Sud dispose che il messaggero del re Apophis, fosse accudito con cose buone: carne, dolci,….Il Principe della Città del Sud gli disse: Va’ e di’ al tuo signore: “Tutto ciò che gli dirai, lo farà”. Allora il messaggero del re Apophis si mise in viaggio verso il luogo ove si trovava il suo signore.
Così il principe della città meridionale fece convocare i suoi alti funzionari ed i suoi ufficiali e riferì loro il messaggio inviatogli dal re Apophis. Poi rimasero tutti a lungo in silenzio, senza potergli rispondere, bene o male che fosse.
Poi re Apophis mandò a…
WILLIAM THE HIPPO, LA MASCOTTE DEL MET
VALORE SIMBOLICO DELLE STATUETTE IN MAIOLICA RAFFIGURANTI L’IPPOPOTAMO

Nel 1917, il MET di New York acquistò il piccolo ippopotamo di maiolica egizia blu che vedete qui sopra, rinvenuto in una tomba di Meir e risalente al Medio regno (XII dinastia).
Nel 1931 un certo capitano HM Raleigh raccontò sulla rivista comica PUNCH di possedere una copia della statuetta e spiegò che era solito consultare l’animale per le decisioni familiari, perché con l’espressione del muso e con l’atteggiamento esso era in grado di esprimere il suo parere: la storia ebbe successo e da allora l’ippopotamo divenne la mascotte del museo e fu ufficialmente chiamato WILLIAM, così come l’aveva battezzato il Capitano.
Le statuette in maiolica raffiguranti l’ippopotamo, di dimensioni variabili tra i 9 ed i 23 centimetri di lunghezza, vennero realizzate soprattutto nel Medio Regno e nel secondo periodo intermedio per essere collocate nelle tombe; poiché gli egizi temevano il gigantesco pachiderma e credevano che la sua raffigurazione potesse magicamente animarsi e costituire una minaccia, probabilmente ne rompevano le zampe per eliminarne il potenziale distruttivo e talvolta disegnavano sulla sua schiena delle bande trasversali che rappresentavano corde destinate ad imbrigliarne la pericolosità.
Così facendo, esso assumeva una valenza esclusivamente positiva e propiziava la rinascita del defunto: l’artista dipingeva in nero sul corpo dell’ippopotamo boccioli di loto, fiori e canne, rane, uccelli acquatici e libellule che riproducevano il suo ambiente naturale, ed il suo colore blu brillante, in aperto contrasto con la rappresentazione realistica delle sue forme, evocava sia il fiume Nilo fonte di vita che le acque del Noun dal quale il sole era sorto il mattino della creazione. L’ippopotamo inoltre era associato al sole ed al suo ciclo eterno, nonché alla rigenerazione ed alla rinascita, in quanto è solito immergersi, riemergere per respirare e sparire nuovamente sott’acqua, magari lasciando intravedere solo la sua parte posteriore che potrebbe aver ricordato agli egizi il tumulo primordiale.
British Museum Londra Metropolitan Museum di New York Ny Carlsberg Glyptotek Copenhagen, da Dra Abu el Naga Museum of Art, Rhode Island School of Design (RISD Museum) – Providence Louvre – Parigi – da Dra Abu el Naga, Tomba di un Intef British Museum – Londra Brooklin Museum – New York Museo Egizio – Torino Il Cairo – da Dra Abu el Naga – trovato da Mariette.
Nelle collezioni di tutto il mondo sono conservati quasi cento di questi ippopotami in maiolica; solo di pochi, tuttavia, è nota la provenienza in quanto non è stato documentato l’esatto contesto archeologico di ritrovamento.
IPPOPOTAMO DIPINTO SU CALCARE – OGGI CONSERVATO AL METROPOLITAN MUSEUM DI NEW YORK
Questo ostrakon in calcare bianco è alto 12 cm e largo 10,5 cm risale ai regni di Hatshepsut e Thutmosis III; fu scoperto a Deir el-Bahari da Herbert Eustis Winlock durante la stagione di scavi 1922-1923 del Metropolitan Museum of Art di New York, in quello che fu chiamato “Hatshepsut Hole”.
Si tratta di una depressione situata ad est del vasto cortile del tempio di Mentouhotep II che nell’antichità serviva da deposito per la statuaria spezzata.
Dovendo edificare la strada rialzata che conduceva al tempio di Thutmosis III, l’area venne poi livellata utilizzando come materiale di riempimento molteplici piccole statue inginocchiate di Hatshepsut, detriti di costruzione e oggetti votivi eliminati dal santuario di Hathor.
Tra il 1923 e il 1931, furono rinvenute decine di migliaia di frammenti – alcuni che pesavano più di una tonnellata, altri più piccoli di un pugno – che furono recuperati e ordinati.
https://www.metmuseum.org/art/collection/search/547746
FONTI:
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- https://www.mitiemisteri.it/simbologia…/ippopotamo
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