A cura di Andrea Petta
ALLA RICERCA DELL’ARCA DELL’ALLEANZA
All’inizio del 1940 i cannoni della guerra per ora tuonano ancora lontano dall’Egitto. La Francia è stata attaccata, ma per ora si combatte sui mari e nei cieli. I combattimenti sono ad est, dove Hitler e Stalin si sono spartiti la Polonia ed ora il Terzo Reich avanza inesorabile. La linea Maginot, onore e vanto della Francia, per ora non teme l’invasione. Eppure lo scenario cambierà drammaticamente di lì a pochi mesi.

Nel Delta del Nilo, gli scavi della spedizione francese dell’Università di Strasburgo proseguono, con un occhio al terreno e un orecchio alle notizie che arrivano dal fronte. Non dovrebbero essere lì; il Rettore dell’Università di Strasburgo ha cercato di fermarli in ogni modo, ma il capo spedizione ha perfino proposto di prendersi un periodo sabbatico e pagare di tasca sua il suo sostituto pur di partire. È stato necessario l’intervento del Consiglio di Stato per permettere la spedizione.

Perché, molto prima del cinematografico Indiana Jones, Pierre Montet da ben undici anni sta cercando l’Arca dell’Alleanza biblica.
Troverà tutt’altro.
Era lì quasi per caso. Era nato nel 1885 a Villefranche-sur-Saone ed aveva studiato all’Università di Lione con Victor Loret, che lo aveva poi “sponsorizzato” all’Università di Strasburgo. Lo raccontano di carattere irascibile, scontroso. Aveva combattuto nella I Guerra Mondiale ed era stato decorato. Sì, aveva condotto degli scavi trent’anni prima un po’ in tutto l’Egitto, ma aveva incontrato la sua fortuna in Libano, a Byblos dove aveva scoperto il sarcofago di Ahiram – una pietra miliare nella comprensione della lingua fenicia.




Ma proprio in Libano si era appassionato al tema dell’esodo degli Ebrei dall’Egitto, ed in Egitto era tornato per cercarne le tracce nel Delta del Nilo, a Tanis – che Montet era convinto fosse Avaris, la capitale fondata dagli Hyksos invasori e poi trasformatasi secondo Montet in Pi-Ramses, dove gli Ebrei erano tenuti in schiavitù nel racconto biblico.
A Tanis aveva inoltre regnato il fondatore della XXII dinastia, Sheshonq I, imputato del saccheggio del tempio di Gerusalemme, come riportato nel Libro dei Re e nelle Cronache. Secondo Montet, quindi, a Tanis poteva trovarsi il tesoro di Salomone, insieme al suo “pezzo” più prezioso, l’Arca dell’Alleanza. Ne è talmente convinto che porta ad abitare in zona la moglie e figlie, pare non con grande gioia di queste ultime.


Montet ha scavato per dieci anni prima di ottenere qualche risultato di rilievo. Alla fine degli anni ’30 si concentra sull’area meridionale della zona templare, e finalmente nel febbraio 1939 trova la tomba di Osorkon II (NRT-I), già depredata nell’antichità, con il sarcofago in quarzite di suo padre, Takelot I. In realtà il sarcofago è di un certo Ameny, del Medio Regno, riciclato da Takelot. Un altro sarcofago, del principe Hornakht, verrà alla luce all’inizio del 1940.



Sembra un risultato importante dal punto di vista storico ma meno “spettacolare” da un punto di vista archeologico. Invece è solo l’inizio.
Montet ha infatti scoperto la necropoli reale di Tanis; nello spazio di poche decine di metri ci sono almeno sette sepolture reali. Mentre Hitler invade la Cecoslovacchia, viene ripulita la tomba di Osorkon II; al termine Montet trova il passaggio che porta ad una seconda tomba (NRT-III). È il 14 marzo 1939, e la tomba è apparentemente intatta, inviolata.

Appena entrato, nel Vestibolo trova uno straordinario sarcofago in argento a testa di falco. Un oggetto straordinario, unico nella rappresentazione del defunto.


Scrive Montet ne La nécropole royale de Tanis (Parigi, 1951):
“Sono entrato in un corridoio vuoto. Poi sono entrato in una camera con tutte le pareti decorate e piena di oggetti funerari. A destra dell’ingresso, un piedistallo sorreggeva un grande sarcofago d’argento con testa di falco e ai lati di esso si potevano intuire due scheletri sotto una moltitudine di lastre d’oro.”
Il sarcofago è di un Faraone fino ad allora sconosciuto, Sheshonq II. Oltre al sarcofago ed ai vasi canopi in argento, Shesonq “dona” a Montet anche una maschera in oro, una lamina che copriva il viso della mummia. Sarà solo la prima.


Probabilmente uno dei due scheletri è ciò che rimane di Siamun, il sesto Faraone della XXI dinastia, mentre l’altro apparterrebbe a Psusennes II, l’ultimo regnante della Dinastia (alcuni ushabti sono a loro nome).
Ma le iscrizioni dicono che la tomba sia di Psusennes I. Dov’è Psusennes? E dov’è Shesonq I? Dov’è l’Arca dell’Alleanza?

Liberare la tomba è una corsa contro il tempo. Il Reich invade la Polonia; Francia ed Inghilterra dichiarano guerra alla Germania. Montet rientra in Francia alla fine della stagione; poi deve fare leva su tutte le sue conoscenze per riprendere gli scavi nell’inverno del 1939.
Montet è ancora convinto che, insieme a Psusennes, ci sia Sheshonq I. Ha trovato un suo successore, vuoi che il biblico Faraone della conquista di Gerusalemme non sia lì?
All’inizio del 1940 Pierre Montet insegue ancora la sua Arca.
PSUSENNES
Alla fine del 1939, a malincuore l’Università di Strasburgo finanzia una mini-stagione di scavi a Tanis. In tempo di guerra è un piccolo prodigio, ma il sarcofago d’argento di Sheshonq II fa miracoli, e la prospettiva dell’Arca dell’Alleanza fa il resto.
Montet riparte quindi per Tanis, e porta a termine lo svuotamento del vestibolo.

Il 15 febbraio 1940 arriva ad un corridoio sigillato, chiuso nientemeno che da un pezzo di un obelisco di Ramses II. Ci vogliono sei giorni per rimuovere quel blocco di granito, ma alla fine anche Montet, sbirciando da un foro praticato nella porta retrostante, trova le sue “Cose meravigliose”.
Vede ciotole e coppe d’oro e d’argento, ushabti, e il sarcofago intatto di granito rosa di Psusennes. Anche qui, quasi tutto il materiale organico è andato perso, ma ciò che resta promette di ripagare Montet di tutti gli sforzi effettuati.
L’apertura avviene nuovamente alla presenza del Re Faruk. Prima sorpresa: il sarcofago esterno, in granito rosa, riporta sulla cintura della figura osiriaca del Faraone il cartiglio di Merenptah Hotephermaat. Quindi Psusennes ha usurpato il sarcofago di Merenptah, il figlio e successore di Ramses II, proprio il Faraone “indiziato” per essere il sovrano egizio dell’Esodo. Anche questa coincidenza rafforza l’idea di Montet di essere sulla strada giusta. In realtà proprio di questo si tratta, di una coincidenza – ma per Montet è la prova che l’Arca non è lontana.




Il sarcofago di Merenptah ne contiene un secondo, in granito nero. È anch’esso della XIX Dinastia, ma non era stato preparato per un membro della famiglia reale. Aperto anche quest’ultimo, appare una bara in argento massiccio, di valore inestimabile.






Le fasi della scoperta della terza bara


Ma non è finita.
Aprendo il sarcofago d’argento, appare una meravigliosa maschera in oro massiccio. È paragonabile a quella di Tutankhamon, anche se l’artista che l’ha modellata non ha raggiunto il livello di espressività del suo collega di tre secoli prima. Pierre Montet non ha trovato l’Arca dell’Alleanza, ma uno dei tesori più grandi dell’Antico Egitto. Il corredo funerario è ricchissimo di oggetti in oro; data l’umidità della zona tutti i reperti in legno ed i documenti in papiro sono invece distrutti.

Montet non riesce però a sfruttare la scoperta come fecero Carter e Lord Carnarvon. Siamo in guerra e nessun giornale del mondo si prende la briga di seguire le vicende archeologiche. Anche in Francia solo scarni trafiletti sui giornali lo menzionano.
La zona di Tanis diventa pericolosa. Montet annota che “individui sospetti si aggirano qui intorno e sbarazzarsi delle guardie sarebbe stato un gioco semplice per uomini determinati”. Richiede la protezione dell’esercito egiziano, senza ottenere granché nel clima bellico dell’epoca.
Di fianco alla sepoltura di Psusennes I, Montet fa appena in tempo ad esplorare un’altra tomba. In principio era destinata alla moglie di Psusennes, Mutnodjemed, ma la regina non c’è. La sua tomba è stata usurpata dal figlio, Amenemope, – o più probabilmente il sarcofago di Amenemope, intatto, era stato traslato nella tomba della madre dopo un saccheggio in tempi antichi.



L’umidità non ha avuto pietà neanche della mummia di Psusennes, ridotta ad uno scheletro
Anche Amenemope ha una maschera in oro massiccio, meno pregiata di quella del padre, ed è stato possibile ricostruire la parte superiore della sua bara, anch’essa in oro. Il corpo di Mutnodjemed è invece andato perso, a tutt’oggi non si hanno tracce di lei.
Dopo aver svuotato la tomba di Amenemope, è tempo per la spedizione di rientrare in Francia dove la guerra è arrivata sul serio.

Solo nel 1945 Montet può rientrare in Egitto. Il mondo si sta leccando le ferite ed anche la scoperta della tomba del generale Undjebundjed, un funzionario evidentemente con una enorme considerazione a corte, tanto da meritarsi la sepoltura vicino al suo sovrano, passa sotto silenzio. Ma nel frattempo è successo anche qualcos’altro.
Montet non aveva avuto torto nelle sue note e nella sua richiesta di protezione: nel 1943 qualcuno ha fatto irruzione nella sua abitazione vicino a Tanis ed ha svaligiato per buona misura anche una cassaforte del Museo del Cairo – probabilmente una soffiata di qualche addetto alla sicurezza. Per fortuna quasi tutto era già stato catalogato; solo qualche parte delle collane è andato perso.
Fino alla sua morte, avvenuta nel 1966, Pierre Montet continuerà a pubblicare libri e articoli dedicati agli scavi nel Delta, ma invano: la sua avventura resterà materia per gli addetti ai lavori e gli appassionati, senza mai suscitare sensazione nel vasto pubblico. Persino nel Museo Egizio del Cairo, i pregevoli tesori rimangono per decenni modestamente relegati in una stanzetta attigua a quelle che ospitano lo sgargiante corredo funebre di Tutankhamon, sul quale si focalizza tutta l’attenzione dei visitatori. Addirittura, la stanza dei tesori di Tanis fu utilizzata come laboratorio fotografico per il nuovo inventario del Museo Egizio all’inizio del secolo – le luci spente, i reperti mischiati alle attrezzature fotografiche.
Curioso destino, che ha portato gli egittologi a definire la vicenda come “La maledizione di Tanis”.
Montet viene chiamato ad insegnare a Parigi, al Collège de France nel 1948; presiederà poi la Académie Des Inscriptions Et Belles-Lettres fino al 1963 prima di ritirarsi. Nonostante la “grandeur” francese, non verrà mai particolarmente esaltato od apprezzato.
Morirà nel 1966 convinto di aver scoperto Pi-Ramses. Solo qualche anno dopo Manfred Bietak, un archeologo austriaco, determinerà la posizione esatta di Pi-Ramses circa 30 chilometri più a sud.
Pierre Montet, un po’ come Cristoforo Colombo, ha cercato per lungo tempo qualcosa che lo ha condotto ad altre, meravigliose scoperte. Forse più fortunato che bravo, ma sarebbe ingeneroso negare i suoi meriti; ha già pagato fin troppo la “maledizione di Tanis”. E nei prossimi post vedremo le sue “cose meravigliose” cercando di rendere giustizia a lui ed ai protagonisti dell’epopea di Tanis.
“Tu risplendi di luce, Ra ti illumina, maestro dei diademi d’oro, Psusensne, sovrano dei sovrani, che vivrà per sempre”
FONTI:
- Pierre Montet, La nécropole royale de Tanis (Parigi, 1951):
- Pierre Montet, Les constructions et le tombeau de Psousennes à Tanis (1951)
- Pierre Montet, Les constructions et le tombeau d’Osorkon II à Tanis (1947)
- Nozomu Kawai, Royal Tombs Of The Third Intermediate And Late Periods: Some Considerations (1998)
- Cassandre Hartenstein. La période strasbourgeoise de Pierre Montet (1919-1948). Archimède: archéologie et histoire ancienne, UMR7044 – 2020