C'era una volta l'Egitto

L’EGITTO PREISTORICO

Di Piero Cargnino

INTRODUZIONE

C’era una volta l’Egitto, o meglio, l’Egitto c’è ancora, ci mancherebbe, ma non è di quello attuale che voglio parlare ma di quello che non c’è più, l’Egitto che nasce dalla preistoria e via via si sviluppa fino a diventare quella meravigliosa civiltà che noi oggi, in parte, conosciamo. L’Egitto dei Faraoni, dei grandi templi, delle piramidi. In altri articoli sto trattando il periodo delle piramidi ma da parecchi amici mi è stato chiesto di parlare della nascita della civiltà egizia. “Nulla è più difficile per uno storico tracciare il graduale sorgere di una civiltà” ebbe a scrivere l’egittologo Alan Gardiner nella sua opera “La civiltà egizia”. Se lo era per lui immaginatevi per me, e la cosa è ovvia in quanto mancano testimonianze, tanto meno scritte, che possano aiutarci e quelle poche che sono giunte sino a noi vanno interpretate con cautela cercando di carpire quel poco di verità che si nasconde nei miti e nelle leggende.

Certo che i fatti risalenti ai primordi della civiltà egizia spesso vengono un po’ trascurati, vuoi per la scarsità di informazioni, vuoi perché sono meno appariscenti ed avvincenti, di conseguenza attirano meno l’attenzione dei lettori ma anche perché il loro studio, e la conseguente divulgazione, rischia di annoiare i meno appassionati. Personalmente lo studio dell’antichità egizia mi ha sempre affascinato, forse più delle epoche successive, trovo sia un periodo molto avvincente durante il quale, con alterne vicende, sorge l’uomo che in futuro andrà a formare quello che sarà il Regno delle Due Terre.

Mi immergo dunque in questo viaggio per raccontarvi la storia egizia dalle origini, di conseguenza approfondirò lo studio delle varie fonti disponibili, opera di tanti studiosi che hanno dedicato la loro vita alla scoperta di questa civiltà. Non sarà un viaggio facile, viaggeremo nel tempo e nello spazio attraverso i meravigliosi deserti e le lussureggianti valli, sarà un percorso affascinante. Iniziamo quindi dalla lontanissima preistoria. Cercherò di condensare millenni di storia in un tracciato che segua le origini della presenza umana in quella zona dell’Africa del nord, il grande deserto del Sahara, in modo particolare la parte orientale dove sorgerà poi la fantastica civiltà egizia.

Come in ogni introduzione che si rispetti è per me doveroso rivolgere un ringraziamento al Prof. Maurizio Damiano, egittologo, storico e accademico italiano, per la consulenza, soprattutto fotografica che gentilmente mi ha fornito, fonte più autorevole non avrei potuto trovare.

L’EGITTO PREISTORICO

Iniziamo dapprima a parlare della zona che ci interessa, non l’Egitto, che è ancora lungi dal divenire, ma l’intero nord Africa, nella fattispecie il grande deserto del Sahara, 9,2 milioni di chilometri quadrati di sabbia.

Non solo le foto satellitari ne mettono in evidenza l’estensione ma addirittura dalla sonda in orbita attorno alla Luna, il Lunar Reconnaissance Orbiter, è evidente la sua vastità.

Come evidenziato nelle foto oggi si tratta di un immenso mare di sabbia cotta dal sole. Ma non fu sempre così, nel susseguirsi delle ere geologiche che hanno caratterizzato la nostra Terra ci fu un tempo in cui il Sahara non era un deserto, intorno ai 30-40.000 anni fa il territorio era una savana feconda, con le sue montagne coperte di foreste, fiumi, laghi, una vegetazione rigogliosa ed una fauna ricca di varietà, abbondante quindi la cacciagione che forniva la seconda fonte di sostentamento agli uomini nel Paleolitico.

I pochi abitanti che si aggiravano in quel magnifico paesaggio erano dapprima gli Homo abilis, umani preistorici che, a differenza degli altri “ominidi”  (esseri umani ma anche scimmie antropomorfe, scimpanzé, oranghi e gorilla) erano già in grado di costruire utensili coi quali cacciare, erano i primi cacciatori-raccoglitori, non ancora stanziali ma dediti al nomadismo. Arriviamo dunque al neolitico, è il momento in cui l’uomo non è più in balia della natura ma inizia a forzarla, piegandola alle proprie esigenze.

Questo è il periodo in cui l’Homo erectus inizia ad evolversi, compare l’Homo sapiens che dispone di un cervello più sviluppato, apprende ad addomesticare gli animali e a coltivare la terra aumentando le proprie risorse. Impara a lavorare i metalli, inventa l’arco che gli permette di cacciare specie prima irraggiungibili. Nascono i primi nuclei abitativi che ingrandendosi via via diventano villaggi, che si evolveranno nelle future città. Dovrà però ancora passare molto tempo prima che si formi una civiltà che sappia dare la propria impronta.

Esistono numerose pitture e incisioni rupestri risalenti alla preistoria che forniscono interessanti testimonianze sulla fauna e sulle genti che un tempo stanziavano in quei luoghi. Sono stati anche rinvenuti numerosi oggetti di fattura litica risalenti oltre che al periodo Neolitico anche al Paleolitico Superiore. Grazie alle numerose foto che il Prof. Damiano mi ha messo a disposizione ci si può fare un’idea della situazione di cui stiamo parlando.

Ma tutte queste testimonianze sono tipiche del periodo e non differiscono di molto da quelle riscontrate in Europa o nel resto del mondo, tanto meno risultano tipicamente egizie. Mi spiego, quando si parla di preistoria occorre tener presente che i paleontologi nel definire un periodo paleolitico o neolitico non si riferiscono nella fattispecie a date, anche approssimative, ma a determinati stadi dell’evoluzione umana. Certe opere degli aborigeni dell’Australia centrale possono considerarsi ancora oggi come appartenenti all’età della pietra antica o Paleolitico, i Maori, con una cultura molto superiore, solo due secoli fa si potevano considerare ancora nell’età neolitica.

Le foto ci mostrano i primi manufatti preistorici, i primi rozzi utensili risalenti al Paleolitico Basale dell’Homo abilis per poi evolversi con l’avvento dell’Homo erectus e dell’Homo Sapiens. Possiamo vedere manufatti  in forme amigdaloidi simili a mandorle non ancora perfezionati.


E’ ancora troppo presto per poter parlare di popoli egizi, va tenuto presente che nel periodo in cui il Sahara si presentava come un territorio fertile e ricco, a occidente il percorso del Nilo era di fatto poco abitabile, il fiume, privo di un vero e proprio alveo, scorreva libero in un immenso territorio senza alcun controllo, l’attuale valle non si era ancora formata e le sue piene annuali sommergevano un territorio molto più vasto impedendo di fatto la formazione di stanziamenti fissi, cosa che invece era possibile la dove oggi c’è il deserto.

Nel corso dei millenni le condizioni climatiche nell’Africa del nord mutarono, la dove cresceva rigogliosa la vegetazione, e uomini e animali vivevano nell’abbondanza, iniziò un progressivo ed inarrestabile periodo di siccità, il deserto prese il sopravvento e le popolazioni si dovettero ritirare sempre più verso occidente dove il grande fiume Nilo aveva da tempo iniziato a scavarsi la valle molto più in basso del piano alluvionale di allora trasportando enormi quantità di detriti che andavano via via riempiendo il golfo del Mediterraneo nel quale si formerà in seguito il Grande Delta. Inesorabile il deserto continuava la sua avanzata, ovunque la sabbia rovente cancellava ogni possibilità di vita.

Gli studi condotti da Standford e Arkell sui movimenti geologici dell’intera Valle del Nilo, ma soprattutto nel Delta, portarono a concludere che la maggior parte dei resti del Paleolitico Superiore e del Mesolitico siano rimasti sepolti sotto una spessa coltre di sedimenti mentre più in superficie si trovano selci lavorate, tra queste le cosiddette Sebiliane, dal nome del villaggio di Sebil presso Kom Ombo. Studi condotti presso il Fayyum e nell’oasi di Karga da Thompson e Gardner hanno potuto stabilire che la cultura Sebiliana finì intorno all’8.000 a.C. A quel tempo gran parte dell’Europa era ancora stretta nella morsa dei ghiacci mentre nelle zone già libere scorrazzava l’uomo di Neanderthal le cui condizioni di vita era ancora quelle di cacciatore-raccoglitore.

Nei tratti di deserto che precedono la Valle del Nilo, più precisamente a Kaw el-Kebir, sono stati rinvenuti resti umani fossilizzati i quali inducono a pensare che gli uomini di allora non fossero molto diversi da quelli che abitavano in quei luoghi fino all’epoca dinastica. Gli abitanti, gruppi sparuti riuniti in tribù spesso in conflitto tra di loro per accaparrarsi una parte di territorio ospitale che ormai diventava sempre più piccolo, si vennero a trovare sempre più spesso in contatto. Le rivalità e le scaramucce tra le tribù divengono ormai all’ordine del giorno e mentre il deserto avanza la loro ritirata termina inevitabilmente nell’unica zona divenuta ora abitabile, la Valle del Nilo che ormai scorre nel suo alveo.

Ed è qui che si riscontra il miracolo del Nilo, quello che portò Erodoto ad affermare che “L’Egitto è un dono del Nilo”. Le grandi piogge che ogni anno, per circa sei mesi, si alternano nella foresta tropicale con forti temporali, riversano enormi quantità di acqua nel fiume e nei suoi affluenti. Nel loro percorso “lavano” il sottobosco trasportando con se i resti putrefatti della vegetazione che si sono accumulati durante i sei mesi di siccità. Il Nilo in piena scende impetuoso a valle dove tracima inondando l’intera pianura.

Le piene annuali erano l’elemento più importante in quanto, una volta ritiratesi depositavano sul terreno grandi quantità di  limo che rendeva il terreno sempre più fertile; questo favoriva la coltivazione permettendo di aumentarne la resa.

L’uomo impara a coltivare il terreno, traendo beneficio dalle varie specie di graminacee che sorgono spontaneamente un po’ dovunque, in particolare i cereali che sono commestibili e danno sostentamento. Questo cambiamento nella dieta dell’uomo primitivo ha inizio intorno a 10.000 anni fa ma non avviene in modo repentino, occorreranno molti anni prima di affermarsi in modo definitivo, un periodo di tempo abbastanza lungo dal punto di vista evolutivo durante il quale l’uomo si adegua a passare da una dieta basata su caccia e raccolta ad una dove prevale il contenuto di cereali. Ha così inizio quello stadio evolutivo più avanzato dell’umanità chiamato Neolitico.

Andremo ora a visitare alcune tra le più antiche località, per lo più situate nel nord del paese, località prettamente neolitiche nelle quali non è stata rinvenuta alcuna traccia dell’impiego di metalli.

La più grande è Merimda Beni Salama, un importante insediamento neolitico situato sul margine occidentale del Delta, a circa 60 km a nord-ovest del Cairo. Dal sito di Merimda emergono le prime prove documentate di insediamenti nella Valle del Nilo, nella regione del Delta. I primi abitanti del sito, cacciatori raccoglitori che si erano convertiti ad una vita stanziale, pur continuando a praticare la caccia e la pesca, si erano già adeguati alla coltivazione di colture come l’orzo, il grano e il lino. Con l’addomesticamento degli animali si erano dotati di una fonte di provviste per la sopravvivenza. La vita si svolgeva in semplici capanne costruite con pali coperti di canne. In seguito le costruzioni diventarono più forti, case ovali con muri ricoperti di fango in cui un focolare e una lastra di pietra per macinare il grano erano le caratteristiche principali.

Durante gli scavi di H. Junker dal 1928 al 1939 e di un’altra squadra tedesca negli anni ’80, è emerso che il sito è costituito da cinque livelli, che mostrano tre fasi di occupazione databili dal 5000 al 4000 circa a.C. 

Il primo livello è caratterizzato da una vasta gamma di ceramiche non temprate levigate e lucidate, a volte decorate con un design a spina di pesce. 

Il secondo livello rivela strutture più complesse di legno e basalto, ceramiche temprate a paglia e molte sepolture. Gli strumenti utilizzati erano di selce lavorata a mano ed inserita in manici di legno, venivano utilizzati anche ossa animali e avorio.

Il terzo livello consisteva in un grande villaggio di capanne di fango e spazi di lavoro in gruppi organizzati di edifici che erano disposti lungo una serie di strade. Le fasi successive suggeriscono che la popolazione consistesse di gruppi familiari economicamente indipendenti in una vita di villaggio formalizzata. Tra le case c’erano molte tombe a pozzo ovali poco profonde in cui il defunto era sepolto su una stuoia di cannucce e rivolto verso est, ma con pochissimi resti di beni tombali. La maggior parte delle sepolture trovate tra le case dell’insediamento contenevano corpi di bambini o adolescenti, la mortalità infantile doveva raggiungere livelli oggi impensabili; mentre si pensa che la popolazione adulta venisse sepolta altrove in cimiteri ancora sconosciuti. Troviamo altre tracce archeologiche di insediamenti neolitici, cronologicamente corrispondenti a quello di Merimda, nella zona del Fayyum e ad el-Omari presso Heluan, a sud-est del Cairo.

Col tempo gli uomini perfezionano le loro conoscenze in fatto di coltivazioni, soprattutto imparando ad usare in modo corretto l’acqua che il Nilo fornisce in quantità. Si seminava al termine delle inondazioni e conseguentemente si iniziava ad eseguire le prime opere idrauliche per incanalare ed accumulare l’acqua  dosandone la distribuzione al fine di garantire il costante approvvigionamento, sia per l’irrigazione che per il sostentamento umano e per quello del bestiame . In tal modo l’uomo riesce ad aumentarne la resa ottenendo anche più raccolti all’anno.

Questa prima parvenza di benessere portò ad un incremento della popolazione che, come abbiamo detto iniziò a distribuirsi lungo l’intera Valle del Nilo. La Valle del Nilo divenne dunque l’unico spazio vitale verso la prima metà del terzo millennio a.C. favorendo un processo di colonizzazione che vide una progressiva fusione di varie culture che adesso possiamo chiamare “egizie” nonostante le differenze che ancora caratterizzano le varie concentrazioni di popoli ciascuno con la propria cultura.

Abbiamo visitato Merimda ora passiamo ad un altro insediamento che si sviluppò dall’inizio fino ad oltre metà del IV millennio a.C., stiamo parlando della cultura di Maadi il cui nome deriva dal sito archeologico situato a sud-est de il Cairo e più precisamente a Kom el-Khelgan nella provincia di Dakahliya nel Delta nord-orientale.

Gli scavi effettuati anche recentemente hanno portato alla luce un vasto insediamento abitativo con ben due grandi necropoli. Dagli oggetti ritrovati si è riscontrato che la civiltà che vi abitava era già venuta a conoscenza dei metalli, cosa molto significativa, soprattutto per l’epoca, il neolitico. Sono stati rinvenuti piccoli oggetti di rame di uso quotidiano come aghi, lame e asce in luogo degli analoghi attrezzi di osso o di pietra tipici del periodo. La cosa ci induce a pensare che fosse già in atto una sorta di scambi commerciali coi paesi vicini, principalmente Palestina e Mesopotamia. Testimonianza di scambi con la Mesopotamia la riscontriamo nel ritrovamento di alcuni cunei in argilla del tutto simili a quelli usati nello stesso periodo per la decorazione dei santuari a Uruk. Si trovano anche testimonianze di scambi con l’Alto Egitto nelle ceramiche e tavolette di scisto emerse dagli scavi.

Considerando il tutto viene da pensare che Maadi rappresentasse per la sua epoca un punto di incontro per scambi commerciali tra l’Asia anteriore e la valle del Nilo. Tracce della cultura di Maadi sono state rinvenute anche negli scavi a Buto dove si riscontra una cultura corrispondente a quella di Maadi.

Delle oltre 100 sepolture individuate dalla missione egiziana diretta da Sayed el-Talhawy le 68 più antiche risalgono alla cultura neolitica di Buto-Maadi (3900-3500 a.C.).

Il defunto veniva avvolto in stuoie di canne e papiro o pelli animali, adagiato in posa rannicchiata sul fianco sinistro con le mani a coprire il viso, quindi sepolto in buche ovali non molto profonde con alcuni oggetti, principalmente vasi in ceramica per corredo funebre.

Interessante il ritrovamento in una tomba di un vaso sferico contenente i resti di un feto. Le altre sepolture sono più recenti e risalgono al II Periodo Intermedio (1650-1550 circa). Tra le tombe gli archeologi hanno trovato anche forni e strutture in mattoni crudi.

Scendiamo ora più a sud e nel tratto di valle fra Asyut e Akhmim  incontriamo due località poco lontane tra di loro Deir Tasa e Badari. Le culture che ivi stanziarono non si differenziano molto tra di loro se non che mentre quella Tasiana risulta completamente priva di tracce di metalli e la stessa lavorazione dell’argilla, vasi ed altri oggetti è assai più primitiva, quella Badariana presenta una perfezione artigianale mai più eguagliata nella Valle del Nilo.

I vasi si presentano estremamente sottili con una decorazione a linee ondulate in rilievo, cucchiai e pettini d’avorio di una raffinatezza del tutto insolita per il periodo. Il ritrovamento di rame (alcuni grani ed un punteruolo) fanno pensare ad un periodo già successivo al neolitico, il “Calcolitico” (o eneolitico), periodo cioè dove rame e selce furono impiegati contemporaneamente. Non mi dilungherei troppo per non rischiare di tediare il lettore, vorrei solo precisare che sono stati individuati dagli studiosi tre periodi cronologici che si sono susseguiti nel tempo, il Badariano, l’Amratiano e il Gerzeano, periodi che, oltre a riferirsi a tempi diversi sono caratteristici spesso anche di differenti aree di diffusione.

Per quanto riguarda la cronologia questa è assai evidente nella zona di Hammamiya, presso Badari, dove sono stati rinvenuti i tre strati sovrapposti. Gardiner tende a sottolineare che fra i tre periodi non si nota un netto distacco cronologico ma, pur se i mutamenti sono notevoli, si può affermare che c’è stata una continuità dell’evoluzione senza negare che ogni progresso sia stato stimolato da agenti esterni.

A riprova della continuità culturale possiamo citare le ben conosciute tavolette di pietra sedimentaria, scisto, grovacca, ardesia, ecc. usate per la preparazione dei trucchi o semplicemente ad uso votivo (famosa la Tavoletta di Narmer di cui parleremo in seguito).

Fra questi splendidi esemplari, non certo il più bello ma uno dei più significativi è la Tavoletta in ardesia di Tjehnu. Su un lato riporta sette rettangoli con contrafforti che rappresenterebbero altrettante città conquistate, i geroglifici, ancora abbozzati, indicherebbero il nome delle città. Sull’altro lato sono rappresentati buoi, asini e arieti disposti su tre registri mentre nell’ultimo registro compaiono alberi, presumibilmente ulivi con un monogramma che l’egittologo tedesco Kurt Heinrich Sethe interpreta come Tjehnu, paese dei libici Tjehnyu, sicuramente la rappresentazione di un bottino di guerra.

Fonti e bibliografia:

  • Maurizio Damiano, “Gran Mare di Sabbia. Là dove nacque l’Egitto”, Archeologia Viva n. 104, Marzo/Aprile 2004
  • Maurizio Damiano, “Gran Mare di Sabbia, II. Lontani misteri di un deserto”, Archeologia Viva n. 113, Settembre/Ottobre 2005
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Oxford University Press 1961, Einaudi, Torino 1997)
  • Mattia Mancini, Articolo del 27 aprile 2021 su Djed Medo, Blog di egittologia
  • Anna Maria Donadoni Roveri e Francesco Tiradritti, “Kemet, Alle sorgenti del tempo”, Electa, 1998
  • Stephan Seidlmayer, “Egitto, terra dei faraoni”, Könemann Verlagsgesellschaft mbH, Milano, 1999

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...