Di Franca Loi
Mehen è uno dei giochi da tavolo più antichi al mondo, assieme alla Tavola Reale di Ur e al Senet. Risale al periodo predinastico egiziano, databile a prima del 3100 a.C. ed è stato giocato per secoli prima di decadere in favore dei più famosi Senet, Aseb e Seejeh verso la fine dell’Antico Regno, intorno al 2300 a.C..
Mehen significa letteralmente “colui che è arrotolato” e fa riferimento sia alla forma a spirale del gioco, sia alla divinità predinastica Mehen, raffigurata per l’appunto in forma di serpente che si arrotola a spirale per proteggere il dio del Sole Ra nel suo viaggio attraverso la Duat nelle ore notturne come uno scudo dagli attacchi del dio del caos, il serpente Apophis.

Verso la fine dell’Antico Regno la figura divina del Mehen decadde, lasciando come unica divinità a forma di serpente Apophis e il ruolo di protettore di Ra durante il viaggio nelle Terre d’Occidente passò per varie divinità: da Sia ed Heka finanche lo stesso Seth. Anche il significato del viaggio del Mehen potrebbe quindi essere cambiato, facendo sì che da viaggio sotto la protezione di “colui che è arrotolato” il gioco diventasse una gara contro il serpente del Caos. Ma sono solo ipotesi.

La sua vera unicità, rispetto ad altri giochi anche di epoche successive, era di essere multigiocatore, prevendendo fino a un massimo di sei partecipanti. Pur non avendo riscontro archeologici o storiografici che ci consentano di risalire alle regole originali, sono stati trovati esemplari del gioco corredati da sei pedine a forma di cani, ippopotami o – più comunemente – leoni e di molte pedine tonde, per lo più somiglianti a piccole biglie. L’uso, ovviamente, non era chiaro.

La conferma di come fosse il set completo di gioco del Mehen e, di conseguenza, del fatto che fosse per più giocatori, si è avuta con il ritrovamento della Mastaba di Hesy a Saqqara, dove è raffigurato su un affresco un set completo di giochi da tavolo, dal Mehen al Senet, all’Aseb. Qui oltre al tavoliere sono raffigurate sei pedine con la testa di leone e sei pietre sferiche probabilmente utilizzate come strumento di scommessa.


I tavolieri del Mehen ritrovati dagli scavi archeologici sono per lo più in terracotta o in legno e il numero di caselle è molto variabile, da quaranta a quattrocento. Tuttavia, sembra che il numero di caselle non influisca sulle regole del gioco, semmai sulla durata della partita.
La diffusione del gioco si riduce progressivamente fino a scomparire del tutto attorno al 2300 avanti Cristo. Successivamente riappare in altre aree del Mediterraneo, come, ad esempio, a Cipro nel 2000 a.C..

Assai accreditata è l’ipotesi che il Mehen fosse un gioco rituale da riservare ai defunti. Il defunto, in sostanza, giocava contro il serpente: se avesse vinto la partita, si sarebbe protetto dal suo morso velenoso. Questa congettura è confermata dalla formula 172 del Libro dei Morti. Non a caso il gioco è spesso presente all’interno delle tombe. Nella mitologia egizia il serpente che si mangia la coda era il simbolo dell’eternità.
Le regole del gioco sono pure illazioni basate su dati di fatto di carattere archeologico, che tuttavia sono privi di testimonianze scritte. Le ipotesi di gioco più accreditate sono quelle avanzate da Timothy Kendall.
Un gioco che sembra derivare dal Mehen è il Sig (o Sik), praticato ancora oggi da alcune tribù della Mauritania.
Un altro gioco sicuramente legato al Mehen è il gioco della Iena, oggi praticato dai beggara, tribù araba del Sudan.
La particolare forma del tavoliere del Mehen non può non far ricordare il disco di Festo, oggetto ancora indecifrato, ma che alcuni studiosi ritengono possa essere stato un gioco vero e proprio.


Fronte e retro del disco di festo. Fu trovato il 3 luglio del 1908 da una spedizione archeologica italiana guidata da Luigi Pernier e Federico Halbherr. Attualmente è conservato al museo archeologico di Candia a Creta. Foto Wikipedia
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