Oggetti rituali

VASCA PER IL CULTO FUNERARIO

Di Francesco Alba

Antico Regno, Sesta Dinastia, ca. 2374-2191 a.C.
Provenienza: Necropoli Ovest, Giza
Dimensioni: Vasca: 30 x 18 x 14 cm; Pannello: 41 x 61 x 11 cm.
Kunsthistorisches Museum Wien, Ägyptisch – Orientalische Sammlung
N. Inventario: 7448, 7449

Vasca per il culto funerario di Hesi e pannello della falsa porta.

I due manufatti, pannello e catino, sono stati rinvenuti insieme nella mastaba di Hesi a Giza.

Provengono dal luogo di culto principale della tomba, che era per l’appunto contrassegnato da una falsa porta e dalla piccola vasca. Il pannello fittizio della porta di solito mostra il proprietario della tomba seduto davanti a una tavola per le offerte, mentre prende possesso del pasto funebre rituale per l’eternità.

Qui Hesi è raffigurato con sua moglie Nebet-ib, probabilmente sepolta nella mastaba del marito, perché la tomba possiede una seconda struttura sotterranea accanto al luogo di sepoltura di Hesi. Le vasche di culto, come quella di Hesi qui raffigurata, erano utilizzate per contenere offerte ma soprattutto liquidi per la purificazione e libagioni che venivano versati davanti alla cappella funeraria nel corso dei riti sacrificali. L’iscrizione che circonda il bordo del catino riporta il nome e il titolo del proprietario della tomba.

Riferimenti:

1913 Geschenk der Akademie der Wissenschaften in Wien aus der Grabung von H. Junker in Giza 1912

https://www.khm.at/en/object/555776/

Nuovo Regno, Oggetti rituali

IL GIARDINO FUNERARIO

Di Patrizia Burlini

Qui è rappresentato il particolare di un rilievo dalla Tomba di Renni a El Kab (Renni era nomarca di el Kab per Amenhotep I e Grande Sacerdote di Nekhbet), raffigurante due danzatori muu con copricapo (in basso a destra) in piedi all’interno di un edificio, accanto a un giardino con piscina rettangolare, palme, sicomori e due obelischi. Il dio funerario Anubi si trova in una sacrario a sinistra.

Secondo Emma Brunner-Traut in “Der Tanz im Alten Ägypten (La danza nell’antico Egitto, 1938)“ gli spazi che si trovano sopra i due muu sono probabilmente una rappresentazione delle stanze interne dell’edificio mentre questo giardino rappresenta il giardino ideale per gli Egizi della XVIII Dinastia, con alberi, obelischi ed una bella piscina.

Forse avrete notato anche un particolare nel giardino e cioè un reticolo verde. Si tratta del cosiddetto Giardino Funerario, un rettangolo di circa 3 x 2 metri, diviso in compartimenti interni destinati ad ospitare diverse varietà di fiori , piante e frutti dal valore simbolico, soprattutto durante i riti funerari. Tra di esse l’albero della Persea (rinascita), i fiori di loto (rinascita), la lattuga (fertilità), il tamarisco ecc

Ebbene, nel 2017 gli archeologi spagnoli del Progetto Djehuty diretto dal Prof. José Manuel Galán hanno ritrovato per la prima volta, sulla collina di Dra Abu el-Naga, vicino a Luxor, un antico giardino funerario, di fronte alla tomba di Sinuhé, un alto funzionario egiziano vissuto nel 1900 a.C., durante il regno del faraone Sesostri I, XII Dinastia.

Il giardino funerario scoperto dal Progetto Djehuty diretto dal Prof. José Manuel Galán, sulla collina di Dra Abu el-Naga, vicino a Luxor
Altra immagine del giardino funerario scoperto da Progetto Djehuty diretto dal Prof. José Manuel Galán sulla collina di Dra Abu el-Naga, vicino a Luxor

Nel giardino era ancora presente la radice e il tronco di un tamarisco e una ciotola con frutta e datteri, resti di un’offerta rituale.

Una ricostruzione del giardino funerario scoperto da Progetto Djehuty diretto dal Prof. José Manuel Galán sulla collina di Dra Abu el-Naga, vicino a Luxor

Tra i semi identificati nel giardino, sono stati trovati coriandolo, un tipo di cucurbitacee, simile a un melone non dolce, e parti di fiori della famiglia delle asteracee.

La ciotola con i datteri d la frutta trovata lungo il recinto del giardino funerario

Fonti:

Approfondimenti:

Oggetti rituali

GLI STRUMENTI DEL CULTO: L’INCENSIERE

Di Luisa Bovitutti

Seti I – rilievo parietale dal suo tempio ad Abydos
Particolare del rilievo precedente

Uno dei rituali più importanti della liturgia faraonica, insieme alle libagioni d’acqua, era la fumigazione dell’incenso, ritenuto effluvio del corpo di Osiride, attraverso il quale si creava un’atmosfera profumata favorevole all’entrata in comunione con il divino e si purificava il sacrario sempre chiuso in cui risiedeva la statua del dio.

Rilievo parietale da una tomba di Sakkara risalente al nuovo regno, ora al museo di Berlino

Il rituale è spesso riprodotto sulle pareti dei templi o delle tombe, eseguito da un sacerdote Sem o dallo stesso Faraone.

Incensiere tolemaico – British nuseum

Si usavano soprattutto resine di olibano, di terebinto, di mirra, di stirace e il ricercatissimo kyphi, prodotto da una miscela di molteplici sostanze aromatiche (normalmente 16, ma anche fino a 50) tra le quali vino, miele, uva passa, resina di terebinto, asfalto, mirra, lentisco, ginepro e cardamomo; esse venivano bruciate in un incensiere dal quale diffondevano i loro aromi benefici e purificanti.

Tempio di Abydos – Seti I offre incenso agli dei

Questo strumento di culto nell’Antico Regno era in terracotta ed aveva la forma di una ciotola semisferica, che veniva tenuta nella mano aperta, o di una specie di mestolo dalla lunga impugnatura.

Tomba di Roy – il sacerdote Sem offre incenso agli dei

Nel Medio Regno apparvero incensieri in bronzo lunghi circa 50 cm., detti “a braccio di Horus” che continuarono ad essere utilizzati anche nel Nuovo Regno e fino al periodo greco-romano.

Incensiere tolemaico in bronzo custodito ai musei vaticani di Roma

Essi erano composti da un lungo manico in forma di stelo di papiro – simbolo di prosperità e rinascita -, che aveva una testa di falco ad una delle estremità e all’altra una mano aperta che reggeva un vasetto all’interno del quale si bruciava la polvere di incenso.

Incensiere tolemaico in legno dorato proveniente dal Fayyum e conservato al Cairo

Sul braccio spesso era apposta una piccola figura del faraone inginocchiato – idealmente di fronte alla divinità a cui era rivolta l’offerta -, che poggia le sue mani su una vaschetta in forma di cartiglio, in cui veniva posto l’incenso di riserva; in alcuni casi si è rinvenuta anche la palettina usata per “caricare” il vasetto.

FONTI:

Oggetti rituali

LA FESTA DELLE LAMPADE

Di Luisa Bovitutti

IL culto di Iside si è sviluppato nell’area mediterranea tra il II sec. a.C. ed il III – IV sec. d.C. quando perse terreno di fronte all’affermarsi del cristianesimo.

Lampada con l’immagine di Iside e di Serapide – collezione privata

La dea veniva onorata con grandi feste dai tratti esotici, caratterizzate dall’ampio utilizzo dell’illuminazione; in effetti si sono rinvenute numerose lampade decorate con scene isiache e sia l’officiante che i fedeli venivano rappresentati con una lampada in mano.

Queste feste hanno avuto origine in Egitto, ed Erodoto, nelle sue Storie (Libro II, Capitolo 62) descrive la Festa delle Lampade (Lychnokaia), che si teneva annualmente nella città di Sais in onore della dea Neith.

Lampada a olio con l’immagine di una dea che è una fusione tra Iside ed Hathor, spesso identificata con Cleopatra VII – collezione privata

Lo storico racconta che in quell’occasione i devoti, anche quelli che non potevano essere presenti a Sais, accendevano attorno alla propria abitazione molte lampade, costituite da ciotoline piatte piene di sale e di olio, sulla cui superficie galleggiava lo stoppino che bruciava per tutta la notte, così tutto l’Egitto risplendeva di luce.

Il legame tra Neith ed Iside è il frutto di un sincretismo religioso: nel corso della storia faraonica, infatti, Iside assorbì progressivamente le caratteristiche di altre divinità femminili, tra le quali appunto Neith ed Hathor, e l’identificazione si completò in epoca ellenistica, quando la dea ebbe grande seguito anche nel mondo greco – romano.

Lampada a olio con l’immagine di Iside e Serapide- I’ secolo dopo Cristo. Romana.

In Egitto, fin dal Medio Regno si svolgeva una festa delle lampade anche nei giorni epagomeni, i cinque giorni complementari che segnavano il passaggio da un anno all’altro, e quindi al Capodanno, che cadeva poco dopo la metà di luglio; in quel periodo si celebravano anche i defunti, ponendo lumi davanti alle loro statue, nella cappella della loro tomba o nel tempio di Osiride.

Lampada a olio con l’immagine di Iside e di Arpocrate – terracotta – periodo romano

La sera del giorno 22 del mese di Khoiak (che con il calendario introdotto da Augusto andava dal 27 novembre al 26 dicembre) venivano accese 365 lampade, una per ogni giorno dell’anno, che venivano poste su barche insieme alle statue di trentaquattro divinità, tra cui Iside, Anubi e soprattutto l’Osiride vegetante, simbolo del trionfo sulla morte e della rinascita della vegetazione.

Lucerna romana con l’immagine di Iside ed Anubi – terracotta – III sec. d. C.

Per chi desiderasse un’interessante panoramica delle feste delle lampade successive alla conquista romana:

Oggetti rituali, Teologia

A RITE OF PASSAGE

The Enigmatic Tekenu in Ancient Egyptian Funerary Ritual

By Jacqueline Engel, based on Greg Reeder’s research

Manifestations of the Tekenu

What or who is the Tekenu?

  • a human sacrifice?
  • an echo of a prehistoric corpse in a contracted position?
  • a container for spare body parts?
  • or was the sem-priest the tekenu in an initial manifestation?

It would appear that the key to the tekenu’s identification lies with his relationship to the “Opening of the Mouth” rite.

Earlier scholarship contains less than convincing interpretations of the figure as a human sacrifice or as an echo of a prehistoric corpse in a contracted position.

In his recent Idea into Image collection of essays, Swiss Egyptologist Eric Hornung sees in the tekenu not a real personage but rather merely a container for spare body parts.

He notes that during the mummification process the embalmers saved everything that came out of the corpse or had been in contact with it.

Select internal organs were embalmed and deposited in canopic jars, while other body tissues and matter were gathered up for separate burial.

Hornung writes,

“The body parts taken out of the corpse that were not placed in canopic jars were placed in an unusual-looking receptacle called a tekenu.”

His relationship to the “Opening of the Mouth” rite

Following the tekenu are four men accompanied by a kheri-heb priest, pulling a large shrine on a conventionally rendered sledge.

Behind the merger shrine walk seven men, at least two of whom are to be associated with the same ceremony, an ami-as and a sem or smer priest.

Tomb of Amenhemhat TT82 Green arrow= Tekenu Blue arrow Muu dancers Red = canopic chest (?)- (Osirisnet)

The kheri-heb (lector priest) presided over the “Opening of the Mouth” ceremony and his connection with the shrine depicted is explained in the super inscription, which says that the deceased has come to “see the tekenu being brought and the ointments (merhet] conducted to the top of the mountain” (that is, where the tomb is located).

Therefore, it would seem that the tekenu has some association with the shrine following him in the procession, which contains not the deceased’s canopic jars but ointments or oils.

These are very probably the seven holy oils used to perform the “Opening of the Mouth”.

The mysterious Tekenu is depicted as a curled up form, surrounded by a gray animal’s skin and resting on a sleigh dragged by four men. Other persons are partially obscured by Tekenu, but in fact they are behind him in the procession. The first carries two canes in his left hand folded against his chest.

Transformation in the skin (Meska)

In time an animal sacrifice came to be substituted for a human one and, in memory of the latter, a man or “mannequin” (the tekenu) had to pass through the skin of the sacrificial animal in a symbolic act of rebirth.

Djehutymes (Paroy) – TT 295. Two priests covered in a very tight girdle (shroud, or skin)with red horizontal stripes, except for the head. One is seated, the other stretched out on a kind of low bed, the legs of which bent towards the interior. This is a representation concerning the sem-priest during the Ritual of the Opening of the Mouth in two states, “sleeping” and “awake”.
According to Budge, the sem- priest is first “asleep”, a state during which he sees his “father” (i.e. the deceased) in “all his manifestations”, then he awakens and tells of his visions.
It is suggested lately that the sem-priest would act as the first Egyptian magician and that the whole of the scene would correspond – in a shaman-like manner – to a sort of trance during a pseudo sleep. This ritual could have a tie with the mysterious Tekenu.

Moret recognized that when the tekenu was in the skin (meska), he was undergoing a transformation.

His emergence from the skin- shroud was likened by the French Egyptologist to an infant’s exit from the womb; and thus, through this action by the tekenu, was the deceased automatically “born again.”

Sir Wallis Budge likewise wrote about the meska that by passing through:

“…the skin of a bull vicariously a man obtained the gift of new birth,either for himself of for the person he represented….’

Moret also be lieved that the tekenu disappeared, finally, from depictions of funeral rites in New Kingdom tombs because his symbolic performance was replaced by a simplified ritual enacted by a sem priest, who, like the tekenu, was associated with the “Opening of the Mouth” ceremony.

Relief representation in the 18th Dynasty Tomb of Renni at El Kab showing the tekenu as a shrouded man (face exposed) sitting upright (?) on a sledge pulled by two men (only one seen here).

Manifestations

Davies studied many of the tomb depictures of tekenus and classified them accordingly:

  • In eleven cases the tekenu is “…muffled from head to foot in a black wrapper….” -In seven cases he is “…shown in a kneeling posture, wrapped in a yellowish cloak, but with the head free. The hair is long, but the figure, including the face, is generally of an indefinite form and colour.
  • In two cases the body is cloaked but the head and hand are free and
  • in one case the body is “…free of all encumbrance, and to all appearance crouching voluntarily on the sled.

It is with this last example that the rarest and most revealing portrayal of the Tekenu emerges.

The tekenu in the Theban tomb of the fanbearer Montuhirkhepeshef from the time of Thutmose III (TT20)

Tomb of Rekhmire TT100
The Tekenu can appear either on a sled on the way to the tomb, or upon a seat which has feet tucked inwards (or a bed seen on its axis), as here (see xx-075, see bs-38608). It has a varied shape from a bag to a human representation curled up, perhaps a foetal position if we accept that it is seen from above. It is covered with a skin that here is white and forms a cocoon from which emerge only the head and hands (see Tassie). The nature of Tekenu is still debated. Increasingly, it is being thought (following Griffith) that it represents a sem-priest who will participate in the Ritual of Opening of the Mouth.


Tomb of Rekmire – TT 100

It is in the Tomb of Rekhmire (TT100) that answers begin to emerge regarding the role of the tekenu.

On the south wall of the tomb’s entry passage, he is shown lying on a couch with only his head and hand exposed.

The Tekenu can appear either on a sled on the way to the tomb, or upon a seat which has feet tucked inwards (or a bed seen on its axis), as here. It has a varied shape from a bag to a human representation curled up, perhaps a foetal position if we accept that it is seen from above. It is covered with a skin that here is white and forms a cocoon from which emerge only the head and hands (see Tassie). The nature of Tekenu is still debated. Increasingly, it is being thought (following Griffith) that it represents a sem-priest who will participate in the Ritual of Opening of the Mouth.

Above him is written “Bringing to (?) the city of (?) the skin (meska) as a tekenu, one who lies under it (the skin?) in the pool of Khepera (perhaps “pool of transformation”?). “

Budget believed that the meska was to be associated with the name of the Other world, so that the “city of the skin” may be understood as a reference to the deceased’s destination in the Afterlife.

Detail

Thus, when the tekenu reaches the “city of the skin” he is in the “pool of transformation” — that is to say, while physically wrapped.

Within the skin-shroud the tekenu is spiritually in a state of transformation, or undergoing a rebirth.

We are fortunate in Rekhmire’s tomb to witness the metamorphosis of Tekenu.
On the image of the ritual of Opening of the mouth we may be witnessing the awakening of the sem- priest wrapped in his shroud after a trance (shamanic type according to some, such as Helck) that took him into the next world. This journey gives him that powers that now make him able to perform the ritual: the Tekenu is turned into a sem-priest…

On the north wall of the entry passage of Rekhmire’s tomb is an elaborate portrayal of the rites of the “Opening of the Mouth.”

Here a statue of the deceased is set upon a mound of sand, with ritual acts being performed before and directed at it- including purifications with water, fumigations with incense, presentation of magical oils and minerals, a symbolic striking of the statue, the ritual “opening” of the statue’s mouth with various instruments, and bloody animal-sacrifices, all of these being done for the benefit of the deceased in the Hereafter.

Of these various ceremonies, the one relevant to this discussion involves a sem priest who is depicted wrapped in a horizontally striped shroud (or skin) which envelopes his entire body, leaving only his head free.

Detail

The sem kneels upon a low couch, exactly like the one the tekenu occupies in an earlier scene in this same tomb. (Allowing for the convention of Egyptian artistic representation, he may, in fact, be lying on this piece of furniture in a contracted position, rather than kneeling in an upright one.) Standing in front of the sem is the ami-as priest, who calls out, “My father, my father, my father, my father,” to which the sem replies, “I have seen my father in all his manifestations.”

This same scene is depicted in other New Kingdom tombs, as well.

For instance, in the royal tomb of King Seti I the sem says to the ami-as priest, “One touched me when I was lying down asleep, one roused me and I awoke.”

Thus, as interpreted by Budge, the sem in his enveloping shroud is first “asleep,” during which state he sees his “father” (the deceased) in all of his many forms (“manifestations”), then he is awakened and reports his vision.

Was the sem priest a “shamanistic magician”?

Sem priest in the tomb of Rekhmire TT100

The sem- priest is the figure wrapped in a cloak and curled up on a seat which has curved legs, or a bed. This scene represents the sem- priest in two functions, “asleep” and “awake”.
According to Budge, it is in the first “sleep” state during which he sees “in all its forms” the type of statue that must be made for “his father” (i.e. of the deceased) in all its forms”. In addition, he also sees invertebrates (insects and spiders). It has been suggested that the sem-priest would act as the first Egyptian magician and the entire scene would correspond – in an expected shamanic manner to a trance during a ‘false sleep’. This ritual could be linked with the mysterious Tekenu.

More recent scholarship has suggested that the sem priest was particular the earliest Egyptian magician, who

“functioned by shamanistic dream- trance and adopted the leopard-skin dress for animal transformation in the spirit world.”

This was concluded by German Egyptologist Wolfgang Helck, after he had examined certain “archaic features in the “Opening of the Mouth” ritual.

Thus, the so-called “sleep” of the sem was a state of dream-incubation or trance.

After being aroused by the ami-as priest, the sem donned the qeni, an archaic reed-vest meant to protect him during the next rite.

This was the act of “sculptors” or artisans striking a statue of the deceased, simulating thereby the murder of Osiris by Set, and perhaps with some association to the original carving of the statue.

Following this ritual, the sem removed the qeni and draped himself with the skin of a leopard or panther.

Wearing this vestment of his priestly office, he continued the “Opening of the Mouth” ceremonies.

The possibility that the sem priest was a “shamanistic magician” helps explain many of the questions associated with the role of the tekenu. The latter would not, then, have been supplanted by the sem, as Moret believed, for the sem was the tekenu in an initial manifestation.

Imitating the archaic burial by assumming a fetal position, he was veryously enveloped (head/hands uncovered and covered) in a skin shroud, and while so covered he entered, somehow, a deep, cataleptic, trance-like dream-state, his body thus seeming lifeless and formless, and even appearing as Hornung’s “shapeless, sack-like, black mass.

While in this trance-condition, the tekenu-sem located the deceased in the spirit world and recognized him, following which he was awakened from his trance by the voice of the ami-as priest calling out.

Thus, having visited the spirit world, the sem was imbued with powers which enabled him to perform the succeeding

The Theban Tomb 295 of Djehutiymes, Paroy.

Two priests covered in a very tight girdle (shroud, or skin), with red horizontal stripes, except for the head.
One is seated, the other stretched out on a kind of low bed, the legs of which bent towards the interior.
This is a representation concerning the sem-priest during the Ritual of the Opening of the Mouth in two states, “sleeping” and “awake”. According to Budge, the sem- priest is first “asleep”, a state during which he sees his “father” (i.e. the deceased) in “all his manifestations”, then he awakens and tells of his visions.

It is suggested lately that the sem-priest would act as the first Egyptian magician and that the whole of the scene would correspond – in a shaman-like manner – to a sort of trance during a pseudo sleep. This ritual could have a tie with the mysterious Tekenu.

“Opening of the Mouth” ritual for the deceased.

The tekenu was no more because he had been transformed into the sem.

Of course, this is only a possible explanation of the nature and role of the tekenu.

It is based on the rather large assumption that some modern sense can be made of the various and varying depictions of the tekenu, plus the assumption that the ancients themselves understood or agreed upon who or what was being portrayed.

Many questions remain unanswered. Were the representations of the tekenu in various funeralary contexts merely artistic or theological conventions, their meanings being less important than the actual portrayals?

The range of tekenu depictures from fully realized men to nonanthropomorphic sack-like objects may indicate that even the Egyptians were unsure of who/what they were dealing with.

There is a tendency to view ancient Egyptian funerary practices as monolithic in nature, when, in fact, competing theologies, priestly speculation and even simple artistic-preferences all contributed to rich and varied tomb decoration.

In the end, speculations like those presented here may not be much different than the speculations of the ancients.

One man’s bag may very well have been another man’s shaman.

https://www.academia.edu/3286798/A_Rite_of_Passage_The_Enigmatic_Tekenu_in_Ancient_Egyptian_Funerary_Ritual

https://www.osirisnet.net/tombes/nobles/rekhmire100/e_rekhmire100_10.htm

Oggetti rituali

GALLERIA DI STATUE SERVENTI

I MUSICI NANI

Presentato da Nico Pollone

Non doveva mancare niente nella nuova vita del defunto. perciò oltre ai servi utili per la vita quotidiana, non potevano mancare quelli per il tempo libero e i momenti di svago o festa. Qui sono rappresentati due musici nani, categoria molto richiesta e apprezzata a quei tempi

“Servant statue” in calcare dalla tomba dell’Antico Regno del cortigiano Nykauinpu raffigurante musicisti. 5a dinastia 2477 a.C. Giza Egitto

Photographed at the Oriental Institute of the University of Chicago.

Chicago, Illinois.

SERVA CON VOLATILE

Presentata da Francesco Alba

Questa raffigurazione di una serva che porta una cesta con dei pezzi di carne sul capo e un volatile nella mano destra proviene dalla tomba di Meketre (Tebe, Sud Asasif), capo maggiordomo che cominciò la sua carriera durante il regno di Mentuhotep II, Undicesima Dinastia, per concluderla al principio della Dodicesima Dinastia.

In esposizione al MET di New York: “https://www.metmuseum.org/art/collection/search/544210

L’ISPEZIONE DEL BESTIAME

Presentata da Jacqueline Engel

La tomba di Meketre apparteneva al cancelliere di Mentuhotep e si trovava su una rupe sopra quella del suo maestro.

Era del tipo rupestre comune all’epoca con una ripida rampa di accesso che conduceva ad un ingresso monumentale e ad un lungo passaggio.

La tomba era stata saccheggiata più volte nel corso dei secoli e la decorazione pittorica dell’interno fu deliberatamente vandalizzata, ma una piccola camera sfuggì all’attenzione fino al 1919 quando fu scoperta da Herbert Winlock.

Conteneva venticinque modelli in legno raffiguranti ogni sorta di aspetti della vita di Meketre. Ci sono case modello insieme a granai e stalle per il bestiame, quindi Meketre sarebbe ben fornito di riparo e cibo. Quest’ultimo veniva preparato da modellini di birrerie, panetterie e macellerie. C’erano anche officine in cui falegnami e tessitori avrebbero fornito una fornitura permanente di manufatti.

MODELLO DI BARCA A VELA

Presentata da Jacqueline Engel

Medio regno, circa 1981–1975 a.C.
In mostra al Met Fifth Avenue nella Galleria 105

Il colore verde dello scafo di questa barca, la sua prua verticale, la poppa ricurva all’indietro e i doppi remi di governo imitano gli elementi delle navi costituiti da fusti di papiro. Sono rappresentati anche gli ancoraggi dei foderi di cuoio che ricoprivano prua e poppa di tali barche.

Imbarcazioni di questo tipo particolare compaiono nelle rappresentazioni del “pellegrinaggio ad Abydos” che faceva parte del rito funerario egizio dal Medio Regno in poi.

Il carattere rituale di questo viaggio in barca è chiaramente dimostrato dal fatto che non il vivente Meketre ma una statua siede sotto il baldacchino accompagnato da un compagno (forse suo figlio), mentre i sacerdoti compiono riti di offerta davanti ad esso.

L’idea di base di un pellegrinaggio nel maggiore centro di culto del dio Osiride ad Abydos, dove si celebrava la morte e la risurrezione del dio, è comunque mantenuta dalla presenza di due barche: una che rema verso nord da Tebe ad Abydos (20.3.5 ), e un’altra (l’attuale barca) che sta appena intraprendendo il viaggio di ritorno la sua vela (mancante) viene issata dagli uomini al centro, mentre un solo marinaio la spinge fuori dall’argine con un’asta biforcuta.

BARCHE DI PESCATORI

Presentate da Jacqueline Engel

Due modellini di barche da pesca.
Medio Regno, XI Dinastia (2050-1786 a.C.).
Tomba di Meket-Re, a sud di Deir el-Bahri, Luxor.
Legno dipinto. Inv.nr. JE 46715, Museo Egizio Cairo

LA CASA ED IL GIARDINO DI MEKET-RE

Presentata da Jacqueline Engel

Museo Egizio Cairo – JE 46721

Il portico aperto e il giardino, in cui crescono alberi di fico. La parte anteriore della casa, due file di colonne sostengono questo portico che ha un tetto piano con tre grondaie che sono abbastanza lunghe da permettere all’acqua piovana di cadere nella piscina sottostante. La piscina è rivestita di rame per rappresentare l’acqua vera.

Due porte e una finestra sono scolpite nella parete posteriore del modello per mostrare i dettagli interni di questa casa.

LA BOTTEGA DEL TESSITORE

Presentata da Jacqueline Engel

LA BOTTEGA DEL CARPENTIERE

Presentata da Jacqueline Engel

I SOLDATI DI MESETHI

Presentata da Jacqueline Engel

11a dinastia c.2134-1991 a.C.
Luogo di origine: Asyut, tomba del principe Mesehti. Legno dipinto.
Museo Egizio, Il Cairo

Modello in legno di una truppa di quaranta soldati dell’Antico Egitto che trasportano scudi e lance.
Sin dall’Antico Regno, i testi ci dicono che nell’esercito egiziano i Nubiani combattevano fianco a fianco con gli egiziani.
Nel Medio Regno troviamo i Nubiani rappresentati in formazione militare, come si vede qui su questo modello.

GLI ARCIERI NUBIANI

Presentata da Luisa Bovitutti

Altezza 55 cm., larghezza cm. 72.3, lunghezza cm. 193 (le misure si riferiscono al modellino nel suo complesso, misurato dalla base, e non al singolo soldato)

Anche gli arcieri nubiani sono quaranta e marciano a ranghi ordinati suddivisi in dieci file parallele; essi hanno la pelle nera, indossano una parrucca di riccioli scurissimi, cavigliere, collane ed un perizoma rosso o bianco che reca sul davanti una striscia di stoffa rossa decorata con rombi verdi o bianchi.

Ognuno di loro tiene in una mano l’arco e nell’altra un mazzo di frecce.

IL GRANAIO

Presentato da Patrizia Burlini

Modello di granaio con personaggi intenti a svuotare sacchi di cereali sotto il controllo di uno scriba che registra i quantitativi. Museo Egizio, Torino

Nr. inv.: S. 8651

Materiale: Legno, pittura

Dimensioni: 35 x 42 x 42 cm

Datazione: 1939–1875 a.C.

Periodo: Medio Regno

Dinastia: XII dinastia (inizio)

Provenienza: Assiut, rinvenuto con la statua di Djefahapi (S. 8650)

Acquisizione: Ernesto Schiaparelli

Foto in alto: mia; foto in basso: Museo egizio Torino

IL PASTORE MACILENTO

Presentato da Andrea Petta

E’ una delle più antiche che si conoscano, questa statua servente di un pastore che porta sulle spalle un agnellino legato.

E’ infatti in ceramica, non ancora in legno dipinto, ed ha la caratteristica di raffigurare un uomo emaciato, con le costole sporgenti ben visibili dal retro. Forse un anziano servitore “premiato” con la vicinanza al suo signore nell’aldilà.

Risale alla fine dell’Antico Regno, alla VI Dinastia, ed è conservata al National Museum of Scotland, a Edinburgo.

LA TESSITORIA

Presentato da Grazia Musso

Legno dipinto

Altezza cm 25

Lunghezza cm 93

Museo Egizio del Cairo JE 46723.

Il modello rappresenta un locale rettangolare dove ferve l’attività che vede impegnate, presso due telai orizzontali posti l’uno di fronte all’altro, figure femminili.

Fonte:

Tesori Egizi nella collezione del museo del Cairo – A cura di F. Tiradritti, fotografie di Araldo De Luca – edizione White Star

LA STALLA ED IL MACELLO

Presentati da Luisa Bovitutti

Nella stalla il bestiame veniva messo all’ingrasso: quattro buoi mangiano da un trogolo in una delle due stanze, ed altri due vengono nutriti dagli stallieri che prelevano il cibo da un mucchio di foraggio e da un sacco di grano nell’altro locale. Accanto alla porta d’ingresso siede un sorvegliante con un bastone in mano.

In seguito gli animali venivano macellati in apposite strutture, nelle quali la carne veniva poi lavorata: nel modellino si notano due macellai che stanno tagliando la gola a due buoi, le cui zampe sono state legate insieme, mentre altri due ne raccolgono il sangue che verrà poi cotto dagli altri due uomini che nell’angolo stanno alimentando il fuoco.

Un altro servo sta spiumando un’oca, mentre un sorvegliante con in mano un bastoni sovrintende alle operazioni. Su di un piccolo portico superiore sono appesi pezzi di carne arrostiti.

Nelle immagini: in alto la stalla; in basso il macello

FONTI:

MODELLI DI PROCESSIONI DI PORTATORI DI OFFERTE

Presentati da Luisa Bovitutti

La processione degli offerenti è un modellino che spesso si trova nelle tombe del Medio regno in quanto i personaggi portano al defunto tutto ciò che gli serve per il rito di sepoltura e per il sostentamento nell’Aldilà.

Qui ne pubblicherò tre, custoditi in vari musei del mondo.

1) Nella tomba di Djehutynakht, oltre alla splendida “Processione di Bersha” che ha pubblicato Patrizia e che si distingue per la pregevolissima fattura è stato trovato anche quest’altro modellino, meno raffinato come fattura ma ugualmente molto vivace e ricco di particolari (anch’esso al MFA di Boston).

Questa processione è composta da soli uomini ed è guidata da un sacerdote, seguito da uno scriba che tiene sotto il braccio la sua lavagna e la tavolozza con i colori ed i calami per scrivere.

Gli altri personaggi recano offerte di vario genere: una giara (forse contenente il vino per la cerimonia), pile di pani tondi, una forma di formaggio (?) un bauletto, un cesto, una larga ciotola, un altro cesto con contenitori di birra.

2) Analogo modellino fa parte del corredo funebre di Meketre: esso comprende due uomini e due donne, probabilmente i figli del defunto, che camminano lungo una via gialla che rappresenta la strada nel deserto che conduce alla tomba.

Il primo uomo, forse un sacerdote, porta un grande vaso per libagioni ed un incensiere da usare nel rituale di offerta; il secondo tiene in equilibrio sulla testa delle stoffe di lino accuratamente piegate che sarebbero servite per riempire lo spazio tra la mummia e le pareti ed il coperchio del sarcofago.

Entrambe le donne portano cesti contenenti due recipienti di birra, pani simili a baguettes e pani piatti e quadrati, e con una mano tengono un’anatra per le ali. Esso si trova al MET di New York

3) L’ultimo modellino è custodito al Neues Museum di Berlino e risale alla XII dinastia; non ho notizie ulteriori su di esso, ma lo trovo simpatico perché tra le offerte c’è anche una gazzella.

FONTI: 

I PRODUTTORI DI BIRRA

Presentati da Luisa Bovitutti

Grazie alle raffigurazioni ed ai modellini trovati nelle tombe oggi conosciamo le modalità di produzione di pane e birra.

Ho cercato altri modellini, deposti nel corredo funerario affinché garantissero ai defunti pane e birra, componenti essenziali dell’alimentazione degli antichi Egizi; si tratta di reperti risalenti all’antico regno in quanto realizzati in pietra e non in legno, salvo forse il secondo qui sotto, datato alla VI dinastia.

La birra, che si riteneva inventata da Osiride, veniva somministrata alle puerpere per aumentare la produzione di latte ed anche ai neonati (naturalmente diluita con miele ed acqua o a bassa gradazione) se la madre non poteva allattarli.

I bambini venivano abituati a consumarla con un rito di iniziazione nel quale si facevano sacrifici al dio Thot e si regalava loro una piccola anfora il cui contenuto corrispondeva alla dose massima quotidiana permessa e che dopo la morte veniva deposta nella loro tomba.

A questo proposito piuttosto simpatica è la figuretta del bimbo che aspetta accovacciato davanti alla madre che ella abbia finito di preparare la birra.

In medicina era usata come ingrediente in molteplici preparazioni curative documentate nel Papiro Ebers e veniva corrisposta agli operai come parte del salario (gli operai che lavoravano alla costruzione delle piramidi di Giza ne ricevevano ben dieci pinte giornaliere ciascuno) ed al Faraone come tributo.

Essa aveva anche un uso rituale: ad esempio si beveva nelle feste in onore della Dea Tefnut e le donne incinte la offrivano alla dea Renetet, che avrebbe provvisto di abbondante latte le nutrici;

Nel 1996 un team di birrai scozzesi e di egittologi dell’Università di Cambridge ha prodotto secondo la “ricetta dei faraoni” (liberamente ricostruita sulla base delle poche conoscenze archeologiche disponibili), mille bottiglie di una birra che sono state vendute da Harrods a Londra, per il prezzo di 50 sterline l’una (75 la bottiglia da mezzo litro), con l’accattivante nome di Tutankhamon Ale ed un’originale confezione celebrativa (si veda nella foto in basso a destra).

Analogo esperimento finalizzato a ricreare la birra faraonica è stato condotto da Ronen Hazan e Michael Klutstein dell’Università ebraica di Gerusalemme, con il contributo di esperti di un’azienda vinicola israeliana, i quali hanno riportato in vita le colonie di lievito sopravvissute nelle giare di terracotta di varie epoche e provenienze che avevano contenuto la birra.

L’analisi di questi lieviti ha permesso di accertare che essi sono simili a quelli utilizzati nelle tradizionali birre africane e lo sono rimasti nel corso di tutta la storia egizia da Narmer in poi; la birra “antica” ricreata con quei lieviti, valutata da degustatori professionisti israeliani, è stata giudicata di alta qualità e sicura per il consumo.

FONTI:

LA BARCA – CUCINA

Presentata da Luisa Bovitutti

La barca nel suo complesso (non si vede il timoniere, nascosto dietro la tenda).

Quando Meketre usciva in navigazione sul Nilo la sua “nave ammiraglia” veniva accompagnata da alcune barche, come quella del modellino sotto illustrato, a bordo delle quali venivano preparati il pane, la birra e le vivande per il pranzo (con buona pace delle norme in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro).

Il marinaio con lo scandaglio per verificare la profondità del tratto di fiume navigato.

La barca si spostava grazie alla forza dei rematori (quattro e destra e quattro a sinistra); a prua un marinaio con uno scandaglio si accertava che il fondale fosse sufficiente a consentire una navigazione sicura mentre a poppa trovava posto il timoniere.

Il timoniere

Il personale addetto alla cucina è costituito da cinque servi: accanto al pennone due donne stanno macinando il grano per fare la farina, che viene poi trasformata in pagnotte da due birrai che stanno sotto il tendone; un uomo sta lavorando in un tino i datteri che uniti al pane ed all’acqua dopo la fermentazione daranno origine alla birra. Dietro le donne un braciere che probabilmente veniva usato per arrostire la carne, e davanti a loro un uomo sorveglia una stufa sulla quale sta cuocendo una pentola, forse di zuppa.

Le due file di quattro rematori, le due donne che macinano il grano, l’uomo che schiaccia i datteri e l’altro sorveglia la stufa sulla quale si trova una pentola con la zuppa.

https://www.metmuseum.org/art/collection/search/544212

LO SCRIBA

Presentato da Patrizia Burlini

Conservato al Museo Egizio di Torino nel reparto “magazzino” questo simpatico scriba intento al lavoro.

LA PRODUZIONE DI PANE E BIRRA

Presentata da Grazia Musso

Primo periodo intermedio – Legno dipinto (Lunghezza 46 cm)
Scavi di E. Schiaparelli ad Assiur
S 8652- Museo Egizio di Torino

Assiut, l’antica Licopoli capitale del XIII Nomos dell’Alto Egitto, ha restituito una straordinaria varietà di materiale, databile al Primo Periodo Intermedio

Dalle tombe sono venuti alla luce corredi funebri composti da sarcofagi, statue lignee, strumenti di lavoro, e modellini di lavoratori.

Questo modellino raffigura con grande realismo una scena di produzione di pane e birra, due componenti basilari nella dieta di ogni Egizio.

Fonte

I grandi musei: Il Museo Egizio di Torino, Electa

LA PORTATRICE DI OFFERTE

Presentata da Grazia Musso

Tebe Ovest, Tomba di Meketra (TT280) – XI Dinastia

Legno dipinto, Altezza cm 123, Larghezza cm 17. Museo Egizio del Cairo, JE 46725

Questa statuina di servitore, piuttosto grande e di ottima fattura, proviene dalla tomba di Meketra.

Può essere interpretata come la personificazione di un podere che reca le proprie offerte.

Sul capo porta un cesto intrecciato con quattro contenitori terracotta chiusi da coperchi conici.

Nella mano destra reca un’anatra.

Questa raffigurazione simbolica è nota grazie alle lunghe schiere di portatori funebri delle decorazioni parietali dipinte o a bassorilievo dell’Antico Regno.

La snella figura femminile Indossa un lungo abito elegante ed è adorata da preziosi gioielli.

Sopra la veste aderente indossa una reticella di perle cilindriche rosse e turchese, il bordo inferiore dell’abito e le bretelle risaltano per i colori e i motivi decorativi.

Porta bracciali, cavigliere e un ampio collare

Oggetti rituali

LE STATUE SERVENTI

LE ANTENATE DEGLI USHABTI

Di Luisa Bovitutti

I modellini del Medio Regno sono vivacissimi gruppi che raffigurano persone al lavoro e che “fotografano” istanti di vita quotidiana, dei quali abbiamo sempre ammirato il dato estetico senza soffermarci a riflettere sul loro significato.

Donna che cuoce pani negli appositi stampi, da Giza, tomba G 2415 – V dinastia – regno di Niuserra – ora al MFA di Boston.
La donna indossa solo un gonnellino e siede con un ginocchio a terra e l’altro in alto; sta accendendo il fuoco con un’asta in una mano e solleva l’altra per proteggersi dal bagliore. Un fazzoletto protegge i suoi capelli dalla farina.
Davanti a lei ci sono vasi di ceramica grossolana nei quali si poneva la pagnotta da cuocere, e che venivano poi messi sotto la cenere.

Essi compaiono alla fine della IV Dinastia, quando si diffuse l’abitudine di inserire statuette nei serdab e nelle camere funerarie; inizialmente esse erano in calcare e gli archeologi le chiamarono “statue serventi” perché erano destinate a servire il defunto ed a provvedere ai suoi bisogni nell’Aldilà.

Donna che macina grano. Tiene un sacco di grano tra le ginocchia e lo macina poco alla volta con la mola, davanti alla quale si raccoglie la farina – V dinastia – ora al Museo Archeologico Nazionale, Firenze

Dopo la metà della V dinastia e nella VI i nomarchi ed i notabili del Medio Egitto cominciarono a far deporre nelle proprie tombe modellini realizzati soprattutto in legno (materiale meno costoso e più facile da lavorare, che permetteva la realizzazione di maggiori dettagli), che venivano intonacati e poi dipinti.

Birraio – primo periodo intermedio – da Dara (Medio Egitto), mastaba 3, camera 10 – ora al Louvre – E 25212 ; Dara n°178

Con il passare del tempo comparvero anche gruppi composti da più personaggi, talvolta dotati di piccoli utensili di pietra, che riproducevano in forma tridimensionale i rilievi rappresentati sulle pareti della tomba e che avevano le medesime finalità: la preparazione di alimenti, la macellazione dei bovini, la caccia e la pesca, la coltivazione della terra, uomini e donne che portano offerte o suonano, imbarcazioni destinate alla navigazione fluviale.

Vasaio che lavora al tornio – V dinastia – Penn Museum Filadelfia

Essi erano realizzati in modo semplice ed erano anonimi, in quanto non volevano rappresentare l’individuo al lavoro, né, tanto meno, il defunto (le cui statue erano molto più grandi e raffinate) ma solo l’attività che sarebbe stata svolta nell’interesse di quest’ultimo.

Macellaio – Giza, tomba di Ny-Kau-Inpu – V dinastia – Oriental Institute Museum – Chicago

Fino alla fine del Primo Periodo Intermedio i modellini raffiguravano soprattutto scene legate alla produzione di cibo, al trasporto e alla servitù, ed erano costituiti da due o più figure collocate su di una base che componevano una scena.

Statuetta di musicista, da Giza, V dinastia, Oriental Institute Museum, University of Chicago

Dal Medio Regno furono realizzate scene con più personaggi ed ambientazioni elaborate, riferite anche ad attività artigianali o ludiche; inoltre aumentò il numero di modelli che venivano deposti nella tomba (da quattro, massimo dieci, a venti, trenta ed anche più) e mutò la collocazione in quanto venivano deposti nella cappella, nelle nicchie e nei pozzi del pavimento o nella camera funeraria, orientati verso i punti cardinali.

Donna che macina il grano – da Giza, dal serdab della tomba G 2415 – V dinastia, regno di Niuserre – oggi al MFA di Boston – La donna indossa un panno sopra i capelli per proteggerli dalla farina.
La macinatura era un processo faticoso; diverse manciate di grano venivano collocate su una macina di pietra con una superficie leggermente curva e lasciata un poco ruvida nella sua parte superiore. Una pietra a forma di mattarello con una curva per adattarsi alla superficie di macinazione veniva fatta rotolare avanti e indietro dal mugnaio che si poneva in ginocchio davanti ad essa; la farina ottenuta si raccoglieva ad un’estremità della macina.

Verso la fine della XII dinastia le offerte funerarie prevedevano ancora i modellini di nave, ma le scene di artigianato e di produzione alimentare cominciarono ad essere sostituite dalle prime versioni di ushabtys, le note figurine mummiformi destinate a servire nell’Aldilà per conto del defunto.

Donna che macina il grano – da Sakkara – V dinastia – ora al museo egizio del Cairo

I più noti modellini sopravvissuti fino a noi sono quelli provenienti dalla tomba di Meketre (TT280), un importante funzionario di Montuhotep II, oggi conservati al Museo Egizio del Cairo e al Metropolitan Museum of Art di New York, quelli rinvenuti nell’immensa tomba del governatore locale Djehutynakht e di sua moglie a Dayr al-Barshā (10A) ed oggi al MFA di Boston ed i soldati di Mesethi, nomarca del nomo dell’Alto Egitto con capitale Asyut all’inizio del Medio Regno, oggi al Museo del Cairo.

Statuetta di musicista, da Giza, V dinastia, Oriental Institute Museum, University of Chicago

I primi modellini ad essere scoperti invece sono stati quelli rinvenuti a Meir, nella sepoltura dell’alto dignitario e cancelliere del re Nj-Ankh-Pepy-Kem (A1) ed oggi al Museo del Cairo; la collezione comprende venti esemplari, ognuno dei quali rappresenta uno o due lavoratori impegnati nella preparazione del cibo, portatori di offerte e due barche.

Un fornaio sta preparando la pasta e le piccole forme da cuocere – Antico regno – Louvre
Nebetempet, figlia di Ny-Kau-Inpu, che macina il grano – Giza, tomba di Ny-Kau-Inpu – V dinastia – Oriental Institute Museum – Chicago
Questa è una delle poche statuette serventi che reca inscritto il nome.
Servitore macina il grano – VI dinastia – Staatliches Museum Agyptischer Kunst (Museo Statale di Arte Egizia), Monaco di Baviera, Germania.

FONTI:

Oggetti rituali, Testi

LE TAVOLE D’OFFERTA

Di Nico Pollone

Le tavole d’offerta, in raffigurazione pittorica, in incisione e in forme e dimensioni diverse, compaiono a partire dall’antico regno. La cosa più semplice per offrire una offerta era un tappetino con sopra una pagnotta di pane. L’evoluzione culturale e religiosa, li ha trasformati in “tavoli” delle offerte, scolpiti o dipinti con immagini di offerte tipiche , come pane, birra, carni e pollami. Se la famiglia non avesse più fatto offerte, si pensava che le immagini delle offerte avrebbero sostenuto il defunto.
Il pezzo più antico che ho trovato è in versione molto contenuta rispetto al numero delle offerte rispetto alle successive esposizioni di offerte.
E’ la stele della principessa egizia Nefertiabet della IV dinastia, figlia del faraone Cheope (foto sotto)

Le “tavole” consistono in una elencazione di vari prodotti della vita quotidiana raffigurati in immagine e/o in forma scritta (Testo geroglifico) davanti o in prossimità del personaggio a cui sono dedicate o in manufatti appositi, di varie forme ritrovate in varie tombe.

Tavola d’offerta della cappella di Idu

Caso raro ma non unico è quello di Kaisebi, dove l’elencazione delle offerte è collocato nello spazio centrale di una falsaporta (foto sotto):

Il numero di queste offerte è estremamente variabile. Parte da poche rappresentazioni fino ad arrivare ad elenchi che ne contengono più di cento.
In appositi riquadri o caselle è scritto il nome dell’offerta e a volte il numero.
A volte, la quantità è espressa in riquadro apposito, e in alcuni casi accompagna il disegno della categoria a cui si riferisce (es. pollame, carne, spezie, ecc.).
Un’altra aggiunta può essere la rappresentazione reale di un uomo in offerta di quel particolare prodotto (es. tomba of Khuwi. foto sotto).

La disposizione delle offerte, a un primo impatto visivo, sembra non avere un senso logico ma può sembrare solo un insieme di elencazioni di offerte, raggruppate tra loro per affinità.
Esiste invece un preciso ordine che riguarda praticamente tutte le rappresentazioni con le simili quantità di offerte che sono riuscito a consultare.
Non so se sia un “copia-incolla” o se rispetti una regola prefissata, magari imposta da un
“cerimoniale”. Ho chiesto un parere a un importante egittologo e la risposta è stata questa:

….NON esiste uno schema. Esistono dei modelli di lavoro, variabili nelle scuole. Sono solo linee guida e non regole fisse che nella conservatrice ma non dogmatica società egizia, sarebbero stridenti.

La risposta è quella di un docente, non di facile interpretazione (almeno per me).

Passo a indicare i punti di confronto delle tavole.

Prima osservazione:

L’inizio della rappresentazione è sempre preceduta da due caselle che non sono offerte vere e proprie, ma rappresentano (in forma scritta) due atti di purificazione. Il primo con abluzione di acqua e il secondo con fumigazione d’incenso.
Esempio:

Illustrazione tavola d’offerta della cappella di Mery Nesut

Seconda osservazione:

Dopo le due parole che indicano una purificazione, sono elencati i sette oli sacri.

Questi erano utilizzati nella preparazione del cadavere, per la mummificazione o per ungere occhi e bocca del corpo o della statua del defunto durante il “Rituale dell’apertura della bocca”.
Nelle tavole d’offerta reali, in corrispondenza con il nome dell’olio era ricavata una coppelle dove l’olio era realmente versato. (vedi foto sotto)

Tutte le versioni delle tavole sono concordi nell’elencare i sette oli. (in molte varianti di scrittura).

Tavola d’offerta di Defdji

Terza considerazione:

A questa ulteriore serie (mediamente 8), le offerte appartengono a diverse categorie,
tutte però sembrano indicare una sorta di indicazione alla persona, nel senso di tolettatura e alla purificazione, alle strutture funerarie.
Ad es:

  • le creme per il trucco degli occhi, le stoffe/abiti, per la persona.
  • L’incenso, il natron, tavolo d’offerta, preparazione ambiente e purificazione.
  • Offerta al re, offerta nell’ampia sala, a un luogo e a una simbolica citazione al re in quanto dio?

Anche questa serie è una costante per quasi tutte le tavole d’offerta.

Quarta considerazione:

La casella qui rappresentata (nella quasi totalità collocata in diciottesima posizione ) raffigura un qualcosa di non facile interpretazione.
Essa infatti non è una offerta vera e propria, ma una espressione di un qualcosa che non riesco a interpretare.
La traslitterazione è quasi universalmente tradotta in: sit down! (siediti!)che non sembra coerente con una lista di offerte.

Come determinativo è sempre impiegata una figura umana accovacciata assimilabile quasi sempre a A1

“La traduzione più attinente sarebbe piuttosto: “prender possesso”, come l’abitante
di un luogo che vive grazie alle offerte (cosa che d’altro canto è chiaramente simbolizzata dal gesto di tendere la mano verso la tavola, ossia come detto precedentemente “prendere possesso”).”

Questa interpretazione mi è stata suggerita da un amico. Però non mi convince molto, soprattutto perché non riesco a trovare collegamenti a questa traduzione con la parola , e anche i raffronti con i testi delle piramidi di diversi autori non danno questa interpretazione, confermando la traduzione classica di: siediti.

Tomb of Qar, Late Period, Offering Table, Alabaster

Da questo punto incomincia l’elencazione delle offerte vere e proprie.
Le offerte comprendono tutte le tipologie: pane, birra, uccelli, parti bovini o ovini, stoffe ecc.

Alcune traduzioni sono incerte. e si è preferito lasciare il temine nella sola traslitterazione.

Oggetti rituali

IL GIOCO DEL MEHEN

Di Franca Loi

Mehen è uno dei giochi da tavolo più antichi al mondo, assieme alla Tavola Reale di Ur e al Senet. Risale al periodo predinastico egiziano, databile a prima del 3100 a.C. ed è stato giocato per secoli prima di decadere in favore dei più famosi Senet, Aseb e Seejeh verso la fine dell’Antico Regno, intorno al 2300 a.C..

Mehen significa letteralmente “colui che è arrotolato” e fa riferimento sia alla forma a spirale del gioco, sia alla divinità predinastica Mehen, raffigurata per l’appunto in forma di serpente che si arrotola a spirale per proteggere il dio del Sole Ra nel suo viaggio attraverso la Duat nelle ore notturne come uno scudo dagli attacchi del dio del caos, il serpente Apophis.

Il serpente Mehen protegge il dio Ra con la testa di ariete accompagnato nel suo viaggio da Sia ed Heka

Verso la fine dell’Antico Regno la figura divina del Mehen decadde, lasciando come unica divinità a forma di serpente Apophis e il ruolo di protettore di Ra durante il viaggio nelle Terre d’Occidente passò per varie divinità: da Sia ed Heka finanche lo stesso Seth. Anche il significato del viaggio del Mehen potrebbe quindi essere cambiato, facendo sì che da viaggio sotto la protezione di “colui che è arrotolato” il gioco diventasse una gara contro il serpente del Caos. Ma sono solo ipotesi.

Il serpente Mehen protegge il dio Ra con la testa di ariete accompagnato nel suo viaggio da Sia ed Heka

La sua vera unicità, rispetto ad altri giochi anche di epoche successive, era di essere multigiocatore, prevendendo fino a un massimo di sei partecipanti. Pur non avendo riscontro archeologici o storiografici che ci consentano di risalire alle regole originali, sono stati trovati esemplari del gioco corredati da sei pedine a forma di cani, ippopotami o – più comunemente – leoni e di molte pedine tonde, per lo più somiglianti a piccole biglie. L’uso, ovviamente, non era chiaro.

Tomba dello scriba Rashepsis, IV dinastia

La conferma di come fosse il set completo di gioco del Mehen e, di conseguenza, del fatto che fosse per più giocatori, si è avuta con il ritrovamento della Mastaba di Hesy a Saqqara, dove è raffigurato su un affresco un set completo di giochi da tavolo, dal Mehen al Senet, all’Aseb. Qui oltre al tavoliere sono raffigurate sei pedine con la testa di leone e sei pietre sferiche probabilmente utilizzate come strumento di scommessa.

Dipinto della tomba di Hesy, inizio III dinastia

I tavolieri del Mehen ritrovati dagli scavi archeologici sono per lo più in terracotta o in legno e il numero di caselle è molto variabile, da quaranta a quattrocento. Tuttavia, sembra che il numero di caselle non influisca sulle regole del gioco, semmai sulla durata della partita.

La diffusione del gioco si riduce progressivamente fino a scomparire del tutto attorno al 2300 avanti Cristo. Successivamente riappare in altre aree del Mediterraneo, come, ad esempio, a Cipro nel 2000 a.C..

Copia del gioco reale di Ur esposto al British Museum

Assai accreditata è l’ipotesi che il Mehen fosse un gioco rituale da riservare ai defunti. Il defunto, in sostanza, giocava contro il serpente: se avesse vinto la partita, si sarebbe protetto dal suo morso velenoso. Questa congettura è confermata dalla formula 172 del Libro dei Morti. Non a caso il gioco è spesso presente all’interno delle tombe. Nella mitologia egizia il serpente che si mangia la coda era il simbolo dell’eternità.

Le regole del gioco sono pure illazioni basate su dati di fatto di carattere archeologico, che tuttavia sono privi di testimonianze scritte. Le ipotesi di gioco più accreditate sono quelle avanzate da Timothy Kendall.

Un gioco che sembra derivare dal Mehen è il Sig (o Sik), praticato ancora oggi da alcune tribù della Mauritania.

Un altro gioco sicuramente legato al Mehen è il gioco della Iena, oggi praticato dai beggara, tribù araba del Sudan.

La particolare forma del tavoliere del Mehen non può non far ricordare il disco di Festo, oggetto ancora indecifrato, ma che alcuni studiosi ritengono possa essere stato un gioco vero e proprio.

Fronte e retro del disco di festo. Fu trovato il 3 luglio del 1908 da una spedizione archeologica italiana guidata da Luigi Pernier e Federico Halbherr. Attualmente è conservato al museo archeologico di Candia a Creta. Foto Wikipedia

Fonte:

Amuleti, Oggetti rituali

L’AMULETO DELLE DUE DITA

A cura di Stefano Argelli

Nell’enorme varietà di amuleti utilizzati dagli Egizi, da tempo mi aveva incuriosito quello delle due dita, poco conosciuto e poco pubblicato nel nostro gruppo.(ne avevo pubblicato un esemplare tempo fa in ossidiana, con qualche informazione su questo bellissimo materiale.).

L’amuleto “a due dita” mostra l’indice e il medio, con le unghie e le articolazioni chiaramente indicate. Sono stati posti sulla mummia vicino all’incisione mediantela quale sono stati rimossi gli organi interni prima dell’imbalsamazione. Ciò potrebbe suggerire che l’amuleto avesse lo scopo di riaffermare il processo di imbalsamazione, le dita rappresentano quelle di Anubi, il dio dell’imbalsamazione. Tuttavia, l’amuleto avrebbe potuto anche essere destinato a “trattenere” l’incisione sigillata, per impedire l’ingresso di forze maligne nel corpo, come le placche a volte poste sopra la ferita.
A differenza di questo esempio di vetro, gli amuleti “a due dita” erano solitamente realizzati con una pietra dura scura come basalto, ossidiana (vetro vulcanico) o steatite. Il nero era associato agli Inferi. Le pietre nere venivano spesso utilizzate per realizzare statue di Osiride e per sarcofagi e altri oggetti che dovevano essere collocati all’interno delle tombe. Dei diversi tipi di amuleti posti sulla mummia, l’amuleto “a due dita” era un arrivo tardivo, evidente per la prima volta solo dopo il 600 a.C circa.

Fonte: metmuseum.org – In vetro periodo tardo, dinastia 26-30, 664-332 a.C. – Mis: 8,2×2,8 sp1 cm.

Utilizzato dal periodo tardo; circa dal 600a.C, ma cercando nel web ne risulta anche un esemplare risalente alla XVIII dinastia 🤫. Ma la maggioranza dei reperti, sembra confermare la datazione tarda.

A volte gli amuleti erano dorati e su questo esempio sono presenti deboli tracce di doratura.

Per quanto riguarda il significato di questo amuleto non c’è molta chiarezza, aspetto anche vostri gentili chiarimenti 😉.

Una prima versione è che questo amuleto fosse destinato a rappresentare le due dita, l’indice e il medio, che il dio Horus usò nell’aiutare suo padre Osiride su per la scala del paradiso.

Secondo un’altra versione rievocava anche il rituale dell’apertura della bocca, con l’aiuto di diversi strumenti e di due dita, l’indice e il medio.

Un’altra versione del significato la troverete nelle foto del post.

Concludo con il colore dell’amuleto che era quasi sempre di colore scuro o nero a volte anche con doratura superficiale.

Nell’antico Egitto, il colore (Iwen) era parte integrante di ogni aspetto della vita quotidiana. Era, infatti, un indizio della sostanza di ogni cosa o del significato di una questione.

Il nero (km) simboleggiava l’Egitto stesso, in quanto ricordava il colore del limo del Nilo: infatti, per indicare la regione, spesso si utilizzava il termine Kemet, ovvero “terra nera”. Era inoltre collegato ai concetti di rigenerazione e fertilità, ma anche alla notte e al mondo dell’Oltretomba: per questo motivo le divinità connesse a questa accezione venivano dipinte con il nero.

Fonti: aton.ra.com, cultorweb.com, google.com