Harem Faraonico

L’HAREM NEI SECOLI

Di Luisa Bovitutti

Le numerose sepolture sussidiarie associate alle tombe reali della prima dinastia scoperte ad Abydos offrono la prova dell’esistenza già all’epoca di una comunità femminile facente capo al sovrano.

Egli infatti concedeva a funzionari di alto rango ed a personaggi che in vita gli erano stati particolarmente legati l’onore di essere seppelliti accanto a lui, e gli scavi hanno consentito di accertare che la maggior parte degli occupanti di queste tombe erano donne; nel complesso funerario di Djer, ad esempio, su 97 defunti identificati dalla stele apposta sulla sepoltura ben 76 erano donne, probabilmente concubine reali in quanto dotate di pregevoli corredi funerari.

Statua di Hormin, capo dell’harem di Menfi – XIX dinastia, da Sakkara. Ora a Leida.

Per i monarchi dell’Antico Regno divenne usuale tenere accanto a sé nel palazzo le mogli principali, le figlie e la madre, che venivano poi sepolte nelle tombe sussidiarie costruite intorno alle piramidi reali; alcune donne di secondaria importanza venivano invece collocate anche nel “khener”, ossia “circolo di musicanti e danzatrici”, le cui ospiti si occupavano dell’accompagnamento musicale della vita di corte e delle cerimonie religiose statali; esso era gestito da personale femminile, ed è documentata l’esistenza di una “sorvegliante delle danzatrici” e di una “sorvegliante di tutti i piaceri del re”.

Le prove dell’esistenza dell’harem reale nel Medio Regno provengono dal papiro Boulaq 18 risalente alla XIII dinastia tebana, che spiega che l’entourage del sovrano era composto da almeno otto ufficiali di corte (e non più di tredici), dalla famiglia reale (una regina, un principe, tre figlie del re e nove sorelle del re) e da diciannove dame di alto rango incaricate di accudire i bambini reali.

Tutte queste donne vivevano insieme nel palazzo reale, in una zona definita “Jpt nswt”, una serie di stanze attigue ai quartieri privati ​​del re che venivano gestite da personale maschile; un’iscrizione nella tomba di Iha, sorvegliante dell’harem, lo descrive come “colui che conduce le donne … che ha accesso al luogo segreto, che vede la danza nei quartieri privati”.

Raffigurazione di Amenhotep Hui come portatore di ventaglio, dalla sua tomba; egli fu sovrintendente dell’harem, poi visir di Amenhotep III

I resti archeologici ed i rilievi tombali provano invece che nel Nuovo Regno la Grande Sposa Reale talvolta viveva con la sua corte in una propria residenza, che era una struttura indipendente collegata al Palazzo Reale tramite una porta laterale.

Le mogli secondarie del sovrano ed il loro seguito composto da giovani nobildonne, le “amate del re” (mrwt nswt), ossia le favorite, e infine le “belle” (nfrwt), ossia le ragazze che con canti e danze avevano il compito di allietarlo abitavano invece nell’harem, che ospitava all’epoca diverse centinaia di persone.

Esso divenne quindi una complessa istituzione organizzata ed indipendente dall’amministrazione statale; definito “per-khener”, aveva sede a Menfi, a Tebe, ad Amarna ed a Mer-wer (Medinet el-Ghurob), all’ingresso dell’oasi del Fayyum.

Nel corso degli scavi effettuati a Ghurob vennero alla luce la famosa testina in ebano raffigurante la regine Tyie, oggi conservata a Berlino, ed un papiro contenente una lista di indumenti personali di Maathorneferura, la principessa ittita divenuta grande sposa reale di Ramses II (si tratta del papiro UCL 32795 della collezione Petrie di Gurob contiene riferimenti a biancheria reale, copricapi, tunica da borsa e tessuti triangolari, tutti di prima qualità), e ciò ha indotto alcuni studiosi a pensare che, forse, anche la Grande Sposa Reale si ritirasse a vivere in un harem dopo essere rimasta vedova.

Testa in ebano della regina Tiye, da Ghurob, ora al museo di Berlino.

L’harem era diretto da un “Capo dell’harem reale” scelto dal sovrano, che aveva la responsabilità di coordinare il lavoro di molti altri funzionari, anch’essi di nomina regia; i nomi di alcuni di essi sono giunti fino a noi incisi su stele ed oggetti trovati a Ghurob: si tratta di Usermaatra-em-heb “vice dell’harem di Mer-wer”; di Djarwy “servitore dell’harem”; di Sety “scriba reale, sorvegliante delle donne dell’harem di Mer-wer”.

Essi erano incaricati di gestire quella che era in effetti una piccola città, al servizio della quale c’erano una molteplicità di dipendenti salariati come artigiani, contadini, allevatori e commercianti.

L’harem egizio infatti non deve essere visto solo come un luogo destinato ai piaceri del sovrano: esso era anche un potente centro economico, che disponeva di un proprio patrimonio, che produceva reddito e si manteneva con gli introiti che derivavano dai suoi terreni dati in affitto o fatti coltivare, dal bestiame che veniva allevato nelle sue fattorie e dai prodotti di lusso dei suoi laboratori artigiani (tessuti, gioielli, profumi) che permettevano di mantenere l’organizzazione e di procurare tutto ciò che serviva a garantire agli abitanti un tenore di vita lussuoso ed adeguato al loro rango.

Statua cubo di Keret, sovrintendente dell’harem sotto Amenhotep II e Thutmose IV, ora al Museo Egizio di Torino

I laboratori per la produzione di filati e di tessuti avevano sede nell’harem fin dal Medio Regno, ed alcuni testi indicano che le donne che lo abitavano filavano, tessevano e cucivano (o quanto meno sorvegliavano chi se ne occupava), producendo tessuti per tutto l’Egitto e addirittura per l’esportazione.

La principale occupazione delle donne reali, tuttavia, era compiacere il Faraone, per cui dedicavano la maggior parte del loro tempo alla musica, alla danza, alla poesia, ad apprendere le buone maniere, la raffinatezza e le arti della seduzione femminile.

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