Di Andrea Petta e Franca Napoli
Per tutto il periodo predinastico e dinastico, la vita e la morte in Egitto dipendevano dal Nilo, e dalla sua annuale esondazione che donava il fertile limo ai terreni assetati che lambiscono il deserto. Iniziava a metà luglio e terminava a ottobre (stagione di “akhet”).

Se il Nilo esondava troppo poteva creare problemi anche alle città; se esondava troppo poco causava mancanza d’acqua e carestia. Una situazione che ha sicuramente facilitato la nascita di pratiche magico-scaramantiche per cercare di evitare carestie come quella disastrosa che avvenne per ben 7 anni sotto il regno di Djoser e che rimase nell’immaginario fino all’epoca tolemaica, a cui risale la “Stele della Carestia” che ancora la ricordava e la paventava.

La “Stele della Carestia” di epoca tolemaica ma che narra gli eventi successi sotto il Faraone Djoser.: “Il dolore mi aveva inchiodato al mio trono e le persone intorno a me erano tristi.
Il mio cuore soffriva perché durante il mio regno il Nilo non era risorto a tempo debito da sette anni.
La coltivazione dei cereali era scarsa, i semi si seccavano per terra e non c’era cibo a sufficienza.
I bambini piangevano, i giovani svenivano e gli anziani si rannicchiavano a gambe incrociate sul pavimento.”
Anche nella piramide di Unas, un rilievo murale descrive gli effetti della carestia, un evento da scongiurare a tutti i costi.

La base della coltivazione egizia era la cosiddetta “aroura”, cioè un appezzamento di circa 2700 metri quadrati, capace di produrre probabilmente con il solo grano (al netto di tasse e perdite varie) circa 2600 kcal al giorno, sufficienti a nutrire una singola persona.
A ciascun contadino ed al suo nucleo familiare veniva normalmente assegnato un terreno di 20 “aroure”, capace di sfamare 20 adulti e di barattare il surplus con altre cose. Negli anni di piena normale del Nilo, si calcola che la coltivazione del grano avrebbe potuto sfamare 4 milioni di persone, rendendo l’Egitto Faraonico una formidabile potenza economica ed una fonte di cereali sfruttata fino all’epoca romana ed oltre.
Nella gestione dei lavoratori “statali”, ognuno riceveva una razione giornaliera ben precisa e la razione aveva il valore di salario: l’eccedenza poteva essere scambiata con altri beni o servizi.

Sono particolarmente interessanti, ad esempio, le iscrizioni rupestri dell’Wadi Hammamat, che contengono i ragguagli sulle razioni distribuite ai componenti delle spedizioni faraoniche per raggiungere le cave o il Mar Rosso nel Medio Regno, che potevano contare fino a 17,000 uomini come nel caso di Ameni sotto Sesostri I. In questo caso il capo spedizione riceveva 200 pani e 5 misure di birra, mentre a scalare gli alti dignitari, gli ufficiali ed i funzionari ricevevano 100 pani e 3 misure di birra fino ad un minimo di 15 pani e 3/4 di misura di birra per i cacciatori e l’armaiolo, 20 pani e 1/2 misura di birra per lo scultore mentre per gli operai c’erano 10 pani e 1/3 di misura di birra a testa. È possibile che i dignitari avessero le famiglie al seguito, oppure che ricevessero il loro compenso al ritorno.

Anche i minatori di Sethi I alle cave di Silsileh ricevevano 1.8 kg di pane al giorno, ma questa volta accompagnati da due cesti di verdure ed un arrosto di carne.

Ci è pervenuto anche un rapporto sulle consegne a Deir el Medina, da cui si evince che i capicantiere e gli scribi ricevevano l’equivalente di 48,000 kcal/giorno e via via a scendere, con i guardiani che ne ricevevano 29,000, i ragazzi 12,800 ed i semplici portatori d’acqua 9,600.
I medici – a sorpresa – sono in fondo a questa “classifica”, con solo 8,000 kcal/giorno, ma con ogni probabilità perché la loro mansione era una “aggiunta” ad altre, soprattutto a quella di scriba.
Il consumo di cibo medio durante il periodo dinastico era tra i 500 ed i 600 grammi – comparabile a quello dell’attuale America latina – prevalentemente pane di farro, lenticchie, ceci, lattuga, porri, ravanelli, aglio. Nella zona del Delta era comune una sorta di pane fatto con il loto essiccato.

Di norma si facevano tre pasti al giorno, fossero anche solo fatti di pane, frutta e birra. Un proverbio egizio racconta che “non mangiamo fino a quando non siamo affamati e non mangiamo fino ad essere sazi”. L’eccesso di cibo era considerata una causa di malattia.

Esclusa una quantità di proteine spesso non sufficiente, la dieta egiziana era decisamente sana, a tal punto che i greci, che approfondirono i contatti con la civiltà egizia dopo Alessandro Magno, ne furono stupiti attribuendola ai medici locali.

La frutta comprendeva datteri, fichi, uva e meloni. Veniva prodotto olio di sesamo, birra d’orzo e vino; il miele veniva usato come dolcificante.


Raccolta e conservazione del miele, dalla “Tomba delle api”, TT279, tomba di Pabasa, El-Assasif (foto Tiziana Giuliani). “Il dio Ra pianse, le lacrime scese dai suoi occhi caddero a terra e si trasformarono in api. Le api fecero il loro alveare e si operarono con i fiori di ogni pianta per produrre miele e cera. Così anche il miele e la cera d’api fuoriuscirono dalle lacrime di Ra”. Papiro Salt 825
La principale fonte di proteine era ovviamente il pesce, che veniva consumato in tutti i modi e costituisce l’unica derrata, oltre i cereali, che veniva distribuita come un componente normale della razione ed implicitamente del salario.
Una delle specie di pesce distribuita che è stata identificata era lo Synodontis schall, una sorta di pesce gatto poco pregiato. Si potevano tuttavia pescare nel Nilo (ma anche dalla zona marina del Delta) molte altre specie tra cui la tilapia nilotica, che divenne un simbolo della generosità del Grande Fiume. Era considerato fondamentale la rimozione delle interiora per prevenire le malattie. Secondo Erodoto, era un cibo impuro per i sacerdoti.

La carne di qualunque tipo era un lusso riservato ai ricchi; c’erano pochi pascoli, la maggior parte di essi nella zona del Delta, visto che lo spazio coltivabile era preziosissimo nella stretta del deserto. Si allevavano mucche, pecore, capre e maiali, anche se il maiale era considerato poco sano e riservato alle classi meno abbienti, ed insieme al pescato del fiume la loro carne veniva essiccata e salata.

La caccia ad anatre, oche e quaglie era riservata alla nobiltà e ne abbiamo molte testimonianze nelle tombe dei nobili tebani.

L’acqua proveniva ovviamente dal Nilo ed era considerata superiore a qualunque altra forma d’acqua al mondo; veniva inviata ai nobili all’estero in giare di terracotta. In Egitto, l’acqua era trasportata in sacche di pelle di capra e, se possibile, bollita prima dell’uso.
Latte e birra erano le bevande più comuni, mentre il vino era troppo costoso per le persone comuni; tuttavia ci sono diversi riferimenti all’ubriachezza che era considerata estremamente poco dignitosa per qualunque persona. Da notare che il latte umano (soprattutto se proveniente da una donna che aveva partorito un maschio) era usato a fini terapeutici.