Harem Faraonico

LE COSPIRAZIONI – PEPI I

Di Luisa Bovitutti

L’harem era un ambiente nel quale nascevano con estrema facilità gelosie, rivalità ed alleanze: le numerose donne del sovrano, appoggiate dai familiari e dal proprio entourage entravano in competizione tra loro per ottenere il favore del re e talvolta complottavano affinché il proprio figlio ottenesse il trono al posto del principe ereditario.

Particolare della statua che raffigura Pepi I – oggi al Museo del Cairo – Fotografia di Heidi Kontkanen

Sono attualmente riconosciute tre cospirazioni dell’harem, ordite rispettivamente in danno di Pepi I, di Amenemhat I e di Ramses III; Naguib Kanawati, professore di egittologia della Macquarie University di Sidney, esperto dell’Antico Regno, ritiene altresì che Pepi I ne subì una seconda in età avanzata, così come spiegherò in seguito.

Pepi I salì al trono in giovanissima età e governò per oltre 40 anni cercando di rinsaldare l’autorità del governo centrale e di opporsi ai potenti nobili locali che portarono il paese alla crisi in pochi decenni.

Sulla base dell’unica fonte disponibile si ipotizza che egli dovette affrontare una congiura ordita da una donna dell’harem, probabilmente una moglie secondaria, madre di un pretendente al trono il cui nome è perduto, conosciuta come “Weret-Yamtes”, che alcuni studiosi (Grimal e Goedicke) interpretano come nome proprio, altri invece come titolo onorifico generico.

Gli egittologi non sono concordi nell’individuare la data del fatto: alcuni (Darrel Baker, Wilfried Seipel e Vivienne Callender) la collocano all’inizio del suo regno, la maggioranza (Hans Goedicke per primo), invece, non prima del ventunesimo anno, molto probabilmente attorno al quarantaquattresimo.

Di essa riferisce un alto funzionario del Faraone di nome Weni (o Unis) nella sua autobiografia, scolpita su di una grande stele di calcare (m. 2,75 x 1,13 x 0,30) oggi al Cairo e proveniente dalla sua mastaba ad Abydos, scoperta nel febbraio 1860 da Mariette.

Statua di Weni il vecchio trovata nel serdab della sua mastaba ad Abydos, ora al museo di Sohag

Weni entrò al servizio della corona con Teti e vi rimase con i suoi successori fino a Merenra; la sua carriera raggiunse l’apice sotto Pepi I, che lo insignì dei titoli di Giudice di Nekhen, Compagno unico, Responsabile dell’Harem, Custode superiore dei domini del faraone, e gli assegnò il processo istruito a seguito della cospirazione contro di lui.

La vicenda venne tenuta rigorosamente segreta per non offuscare l’immagine pubblica del sovrano, e nell’autobiografia egli vi allude solo in modo vago, limitandosi a riferire di avere presieduto il procedimento legale, senza specificare l’imputazione e l’esito.

“Ci fu un processo nell’harem contro la grande sposa del re Yamtes, in segreto, e Sua Maestà mi fece andare per giudicare, solo, senza che ci fosse nessun giudice-visir, nessun funzionario, eccetto me solo, perché ero apprezzato e piacevole nel cuore di Sua Maestà e Sua Maestà aveva riempito il suo cuore di me. Misi per scritto, solo con un giudice e «bocca di Nekhen», mentre la mia carica era quella di custode superiore del dominio del Faraone. Mai in passato era stato giudicato così un affare segreto dell’harem, precedentemente”.

Sorprende che un caso così delicato non sia stato assegnato ad un Visir o ad un Giudice di alto rango, ma è possibile che il Faraone, in un momento certamente difficile del suo regno, non si sentisse sicuro della fedeltà dei suoi dignitari ed abbia quindi loro preferito il responsabile dell’harem, che ben conosceva gli equilibri e le dinamiche della struttura e di cui egli si fidava ciecamente.

“(…) Sua Maestà mi elesse giudice e «bocca di Nekhen», poiché il suo cuore aveva fiducia in me più che in ogni suo servitore. Giudicavo le cose solo con il giudice-visir in ogni faccenda segreta e provvedevo in nome del re per l’harem regale e per la Grande Casa dei Sei; poiché il cuore di Sua Maestà di me si fidava più che di ogni suo funzionario, più di ogni suo dignitario, più di ogni suo servo”.

Weni seppe gestire la situazione in modo talmente efficiente da guadagnarsi la riconoscenza del suo re, che lo ricompensò donandogli un sarcofago di pietra, stipiti e architravi per la sua tomba e un tavolo per offerte in calcare fine di Tura, il più pregiato d’Egitto.

“Sua Maestà fece sì che un portasigilli del dio, insieme ad una squadra di marinai al suo comando, traversasse il fiume per portarmi questo sarcofago da Tura. Arrivò per suo mezzo, in una zattera grande della Residenza, col suo coperchio, una falsa porta, un architrave, gli stipiti e la soglia. Mai era stata fatta in passato una cosa simile per nessun servitore, tanto ero apprezzato nel cuore di sua Maestà (…)”

“Sua Maestà fece sì che un portasigilli del dio, insieme ad una squadra di marinai al suo comando, traversasse il fiume per portarmi questo sarcofago da Tura. Arrivò per suo mezzo, in una zattera grande della Residenza, col suo coperchio, una falsa porta, un architrave, gli stipiti e la soglia. Mai era stata fatta in passato una cosa simile per nessun servitore, tanto ero apprezzato nel cuore di sua Maestà (…)”

I partecipanti alle cospirazioni in danno di Pepi I e di suo padre Teti, assassinato dalle sue guardie del corpo, furono identificati e puniti e subirono la damnatio memoriae, rilevabile dall’esame delle loro mastabe, molte delle quali si trovano nella necropoli associata alla piramide di Teti perché il figlio non volle che i suoi dignitari venissero sepolti accanto a lui.

In alcune di esse furono erase sia l’immagine che il nome del proprietario; in altre solo il nome e furono mutilate parti del corpo (occhi, orecchie, naso, polsi o caviglie); in altre ancora furono scalpellate figure secondarie di figli o di servitori; in un altro gruppo la decorazione venne interrotta; un ultimo gruppo di sepolture, infine, furono espropriate al titolare ed assegnate ad altri.

Pilastro della mastaba di Weni il vecchio, raffigurato in adorazione: il nome del personaggio è scritto sopra di lui: la lepre, wn, l’acqua n , la canna i, ed il determinativo di vecchio smsw (l’uomo curvo con il bastone)

L’ipotesi formulata dagli studiosi è che il grado di distruzione dei rilievi, da intendersi quale sanzione accessoria per il crimine commesso, fosse proporzionale al ruolo rivestito nella congiura dal titolare della tomba o dai suoi figli, e quindi alla gravità del suo coinvolgimento; più in particolare l’abrasione della figura sarebbe conseguita all’irrogazione della pena capitale, mentre le mutilazioni potevano raffigurare la punizione in concreto applicata, tenuto conto che il taglio del naso, delle orecchie e di altre parti anatomiche era la sanzione tipica per determinati crimini.

Le tombe danneggiate e poi restaurate potevano appartenere a soggetti inizialmente condannati e poi perdonati o riabilitati, o forse furono cedute ad altri dopo che il proprietario era caduto in disgrazia, mentre quelle rimaste incomplete, ove non appartenenti a soggetti deceduti prima che fossero terminate, erano forse appartenute a funzionari destituiti dall’incarico come punizione per il crimine commesso e quindi rimasti privi dei mezzi finanziari necessari per portare a compimento il proprio sepolcro.

Anche il visir Rawer subì la damnatio memoriae: i rilievi parietali che lo raffigurano nella sua mastaba di Sakkara sono stati profanati, il nome, le mani ed i piedi sono stati scalpellati, così come le figure di alcuni offerenti.

Il prof. Kanawati fonda la sua teoria in merito all’esistenza di una seconda congiura osservando che egli visse nella seconda metà del lungo regno di Pepi I e quindi non poteva aver preso parte al primo complotto, a suo parere verificatosi nel decimo anno di governo.

Egli sarebbe stato l’organizzatore, insieme ad altri funzionari, di una seconda cospirazione ai danni di Pepi I, collocata verso la fine del regno di costui e finalizzata ad usurpare il trono; il colpo di stato fallì, e per consolidare la posizione dell’erede da lui designato, Pepi fece incoronare suo figlio Merenre che regnò al suo fianco.

Questa fu la prima coreggenza della storia d’Egitto, ed è documentata da un ciondolo d’oro recante i nomi di Pepi I e Merenre I associati come sovrani e da un’iscrizione di quest’ultimo trovata ad Hatnoub, dalla quale si desume che cominciò a contare i suoi anni di regno quando ancora governava il padre.

FONTI:

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