Di Luisa Bovitutti
Kagemni, detto Memi, fu un alto dignitario vissuto durante i regni di Isesi, di Unas e infine di Teti, primo sovrano della VI dinastia del quale probabilmente fu il genero, avendone sposato la figlia Nebtynubkhet detta Sesheshet.
All’ingresso della sua mastaba si legge la sua autobiografia, nella quale ricorda il ruolo preminente da lui ricoperto sotto tre sovrani:
“Dice il Visir di Stato, Kagemni: Io fui il favorito di Isesi. Ricoprii l’incarico di funzionario dello Stato, al tempo di Unas. Sua Maestà mi ricompensò molto generosamente (…). La maestà di Teti, mio Signore, colui che vive in eterno, mi ha nominato capo di tutti gli uffici, in servizio a qualsiasi ora (presso) la Residenza. Sua Maestà aveva fiducia riguardo a tutte le cose che aveva ordinato che fossero fatte, perché ero capace, perché ero apprezzato da Sua Maestà”.
“(…) compii giustizia per il re, perché è la giustizia che piace a Dio (…) Ho giudicato le parti in modo che fossero soddisfatte, ho nutrito il povero, [ho rimosso il dolore dell’afflitto.“
Egli in effetti era il più importante personaggio d’Egitto dopo il faraone e vantava oltre 50 titoli, tra i quali quelli di visir (e quindi di sovrintendente degli scribi dei documenti reali e delle opere pubbliche, ispettore della piramide e delle sei grandi corti), di ministro della giustizia, di tesoriere del Faraone, di sorvegliante dei due guardaroba del re, di direttore dei palazzi delle corone bianca e rossa e di custode delle decorazioni della testa.
Importanti erano anche le sue attribuzioni in campo religioso, in quanto era capo dei sacerdoti lettori, sacerdote di Anubi e di Min, sacerdote sem, sacerdote delle piramidi.
Il re doveva stimarlo moltissimo, in quanto gli aveva conferito anche il titolo di unico amico, e pare che siano riferibili a lui i famosi “Insegnamenti di Kagemni”, un testo sapienziale risalente alla VI Dinastia sebbene esso sembri fare riferimento ad un visir che servì Snefru, padre di Cheope.

La sua grande mastaba a Sakkara venne scoperta nel 1843 da Richard Lepsius; essa ha la forma di una L, fu costruita con grandi blocchi di calcare locale e rivestita di calcare bianco di Tura oggi perduto in quanto la mastaba venne utilizzata in passato come cava di pietra.

Ha l’accesso ad est, fiancheggiato da una doppia rappresentazione del defunto con i suoi nomi ed i suoi titoli sugli stipiti della porta; ha una cappella composta da sei stanze, una sala colonnata, cinque magazzini, due fosse per le barche (rimaste vuote) del tutto insolite per un privato, un serdab separato dal resto della tomba e già vuoto al momento della scoperta, un pozzo che dava accesso alla struttura funeraria sotterranea nella quale si trovava il sarcofago di Kagemni ed una scala che dava accesso al tetto, la cui effettiva funzione è ancora oggi sconosciuta.

La camera sepolcrale e la nicchia sul lato ovest sono decorate con immagini di sacrifici e con testi di offerta ed al momento della scoperta conteneva ancora i canopi, alcuni beni facenti parte del corredo funerario (oggi al museo del Cairo) ed un sarcofago in pietra recante il nome ed i titoli di Kagemni, all’interno del quale si trovava un altro sarcofago ligneo il cui coperchio ed i cui lati erano caduti sulla mummia, danneggiandola. Essa era riccamente avvolta nel lino ed era stata sepolta con due grandi collari ed almeno tre bastoni e scettri cerimoniali di legno.
Le pareti della mastaba sono decorate ad altorilievo su sfondo grigio azzurro (conservato solo nella sala VIII) con scene naturalistiche e di vita quotidiana estremamente vivide, recanti iscrizioni che riportano scambi di battute tra i servi.

I registri inferiori sono ben conservati ma quelli superiori sono quasi tutti perduti, tranne che nella zona posteriore della tomba; le aree non decorate erano dipinte in rosso e grigio, ad imitazione del granito; vicino all’ingresso si trovano alcune scene incompiute ed altre scene tracciate in modo frettoloso.
Le scene offrono vividi spaccati della vita quotidiana nell’antico Egitto: i temi decorativi scelti da Kagemni, infatti, sono quelli tipici dell’epoca, finalizzati ad illustrare le sue attività terrene e le sue ricchezze per poterne godere anche nell’Aldilà.

Nelle prime stanze sono rappresentate feste e danze, la caccia all’ippopotamo, la pesca nelle paludi alla quale partecipa lo stesso Kagemni su di una barca di papiro, l’uccellagione e la vita selvatica, con libellule, rane, fauna acquatica e terrestre, servi che alimentano forzatamente oche e iene, una lotta tra un coccodrillo ed un ippopotamo: le immagini, molto dettagliate, permettono di ricostruire tecniche di caccia e di pesca e di identificare specie di uccelli e di pesci che a quell’epoca popolavano le rive del Nilo.

Le scene relative al banchetto funebre decorano invece la parte più interna della mastaba.

Al di là del significato immediatamente percepibile, la caccia e la pesca nella palude ed in particolare la caccia all’ippopotamo avevano una valenza simbolica di grande importanza:

La palude simboleggiava la zona di confine tra il caos ed il mondo della Maat, che doveva essere difeso combattendo le forze del male, rappresentate dagli ippopotami e dagli animali pericolosi per l’uomo; la caccia al pachiderma poteva anche simboleggiare le prove che il defunto doveva superare per ottenere l’Aldilà (per un’analisi più approfondita del significato dell’ippopotamo maschio, si veda https://laciviltaegizia.org/2021/12/23/lippopotamo-maschio/).
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