Di Andrea Petta e Franca Napoli
I papiri egizi più interessanti per l’anatomia descrivono le parti del corpo procedendo dall’alto verso il basso, e sono sopravvissute le sezioni relative alla metà superiore del corpo. Particolare attenzione viene rivolta al cranio, anche se la funzione del cervello in esso contenuto non venne mai riconosciuta dagli Egizi.
Navigare in questo mare di termini ci fa capire quanto evoluta fosse la conoscenza anatomica dei medici dell’epoca. Senza farne l’elenco completo, vediamo i più “particolari”.

Paradossalmente, il termine più “ostico” è quello per indicare la testa nel suo complesso. Il fatto che esista un simbolo geroglifico specifico (Gardiner D1𓁶) che indica la testa stessa, non è stato d’aiuto. Lo troverete infatti con due traslitterazioni ben distinte, “ḏꜣḏꜣ” (“dada”) e “tp”e gli studiosi discutono ancora su quale sia la più appropriata – benché la prima, “dada” sia la più accettata sia per l’assonanza con il copto che per l’uso figurativo che si incontra nei testi egizi (l’avanguardia di una formazione militare, ad esempio)
“Djennet” è la scatola cranica in sé (più specificatamente l’insieme delle ossa craniali – frontale, etmoide sfenoide, occipitale, parietali e temporali, escluse le ossa facciali) e ci si riferisce ad esso soprattutto per le fratture – ma a volte non da prendere in senso letterale: pare che “una rottura del cranio, che schiaccia il cervello e rende dolorosi i sette fori della testa” sia una forma un po’ melodrammatica per indicare l’influenza. “Ajs n djennet”, le “visceri del cranio” è il termine per indicare il cervello
“Paqyt” o “paket” (pꜣḳt – “guscio di tartaruga” o “coccio di vaso”) sono le ossa parietali. Buon per noi maschietti, per gli Egizi la “tartaruga” era sulla testa, non sugli addominali… Le ossa parietali prendono questo nome probabilmente per il fatto di essere relativamente sottili ma estremamente resistenti proprio come il carapace elle tartarughe o probabilmente perché essendo un osso quadrangolare con la sua faccia esocranica convessa più pronunciata nella sua parte di mezzo dove si trova una tuberosità con linee che lo percorrono ricorda molto il guscio della tartaruga. Per distinguere il significato del termine viene sempre usato in combinazione con il termine “djennet” diventando “il guscio del cranio”
“Tepau” è “ciò che c’è tra le due tartarughe, ed è di pelle”: con ogni probabilità è la “fontanella”, ma è stato ipotizzato che sia la “grande falce” o “falce cerebrale” (la membrana fibrosa derivata dalla dura madre che divide i due emisferi cerebrali) esposta in caso di frattura, o che si riferisca alle suture tra le ossa del cranio.

“Netnet” è, ben descritta con straordinaria precisione nel sesto caso illustrato dal papiro Edwin Smith, la dura mater. Il suo determinativo è una pelle di bovino ad indicare la natura membranosa.

“Ma” (mꜣꜥ) è la tempia (regione temporale). È uno dei termini più utilizzati per indicare dove insorge il mal di testa, tanto da essere utilizzato anche come sinonimo di malessere
E il cervello? Tutta questa struttura complessa per proteggere cosa?

Purtroppo la medicina egizia non riuscì mai a comprendere le funzioni cerebrali. Abbiamo visto la descrizione fatta sempre nel papiro Edwin Smith del cervello (“Quando esamini un uomo con una ferita sulla testa, che arriva fino all’osso e il suo cranio è fratturato, il suo cervello è esposto; vedrai degli avvolgimenti che sembrano immersi in metallo fuso. Sentirai qualcosa che trema (e) palpita sotto le tue dita come il punto debole nella testa di un bambino che non si è ancora indurita”), ma il fatto stesso che il cervello venisse estratto e gettato durante il processo di imbalsamazione ci racconta come fosse considerato inutile anche per l’aldilà. Però…
Però in qualche modo le funzioni di controllo dovevano essere state intuite.
Il caso 31 del papiro Edwin Smith riporta un caso di dislocazione del collo con danno al midollo spinale (che era conosciuto e descritto, avendo addirittura un simbolo geroglifico dedicato, Gardiner F39 𓄪) e dice che il paziente “non conosceva (controllava) più le braccia e le gambe a causa di ciò”. Perciò in qualche modo si sapeva che interrompendo il midollo spinale il controllo sugli arti veniva perso, ma probabilmente si considerava il midollo soltanto come un “metu” che, affetto da influenze nocive, bloccava gli arti stessi. Peccato, sarebbe stato un enorme passo avanti nella conoscenza medica.