IL RECUPERO DELLA DECORAZIONE POLICROMA
Di Ivo Prezioso
Hisham el-Leithy, Christian Leitz e Daniel von Recklinghausen ci svelano gli straordinari rilievi recentemente restaurati di questo affascinante tempio greco-romano
Introduzione
Il tempio di Esna – situato nell’Alto Egitto, a circa 60 km a sud di Luxor – è uno dei più importanti esempi di architettura templare egizia del periodo greco-romano ancora oggi visibili. L’unica parte sopravvissuta del tempio, il pronao o sala ipostila, fu completata nel I secolo d.C. (presumibilmente durante il regno di Tiberio, 14-37 d.C., o poco più tardi), mentre i lavori di ornamento continuarono fino al regno di Traiano Decio (249-251 d.C.). Il tempio è famoso per la sua decorazione e in particolare per le iscrizioni geroglifiche. Le divinità principali sono il dio ariete Khnum e la dea Neith. Entrambi rappresentano un aspetto demiurgico: Khnum modella tutti gli esseri viventi sulla ruota del vasaio, mentre Neith* dà vita alla creazione con la semplice enunciazione dei suoi pensieri. La decorazione consiste in scene di offerta sulle pareti, con raffigurazioni degli imperatori romani al cospetto del pantheon locale, oltre a lunghe iscrizioni sulle colonne e a elementi astronomici sul soffitto. Le iscrizioni geroglifiche ci forniscono informazioni uniche sulla vita religiosa e sulla teologia del luogo nel periodo romano. Nella loro interezza, questi testi costituiscono l’ultimo corpus significativo di iscrizioni geroglifiche oggi conosciuto. Mostrano uno stile di scrittura geroglifica molto sofisticato e complesso.
Il Pronao
Le misure del pronao romano superano di gran lunga quelle dell’edificio templare tolemaico originario. Il tetto poggia su 24 colonne, di cui 18 autoportanti. Rispetto ad altri templi contemporanei, il modello di decorazione delle colonne è straordinario, poiché sono in gran parte coperte da iscrizioni. I testi descrivono con dovizia di particolari le feste tipiche del distretto, oltre a presentare inni e litanie in lode degli dei. Anche la disposizione dei capitelli è unica, poiché ogni capitello ha un disegno diverso. Le colonne autoportanti sono disposte su 3 file (3×6, da nord a sud – vedi sotto); sei architravi, orientati in direzione est-ovest, collegano ciascuna tre colonne con le pareti del pronao, in modo da sostenere il pesante tetto. Questi sei architravi suddividono il soffitto in sette zone. Il Tempio di Esna (Immagini nn. 1-2-3) si trova nel centro della città a circa 10 m sotto il livello della superficie odierna.

E’ sfuggito alla demolizione nel XIX secolo (il destino di molti altri santuari faraonici) per il semplice motivo che fu ritenuto un deposito adatto per lo stoccaggio del cotone durante il regno di Muhammad Ali Pasha (1805-1848). Sebbene il tempio sia stato in parte liberato dalla sabbia e dai detriti, ampie porzioni dell’edificio sono rimaste sepolte.

Agli albori dell’egittologia, il pronao era piuttosto noto tra gli studiosi e i viaggiatori. Tuttavia, il tempio entrò nel mirino della ricerca scientifica solo quando l’egittologo francese Serge Sauneron (1927-1976) si rese conto della ricchezza della sua decorazione. Negli anni Cinquanta pulì la parete esterna sud, che già allora era parzialmente sepolta. Negli anni successivi ha curato meticolosamente l’edizione di tutte le iscrizioni (l’ultimo volume di testi è stato pubblicato postumo nel 2009). Dopo la sua morte prematura in un incidente stradale, i lavori a Esna si fermarono per molto tempo.

* tra le varie cosmogonie egizie, c’è anche una divinità femminile in qualità di “taumaturgo”: quest’antichissima dea è originaria di Sais nel Delta
Un nuovo progetto
Un aspetto della decorazione, tuttavia, è stato finora ampiamente trascurato: la colorazione originale, ancora intatta in ampie zone del pronao. Ciò è comprensibile, in quanto la colorazione policroma era stata ricoperta da polvere, fuliggine ed escrementi animali, rimanendo così inosservata. Per recuperarla e garantirne la conservazione per le generazioni future, il Ministero delle Antichità egiziano (ora Ministero del Turismo e delle Antichità) e l’ Istituto Egittologico dell’Università di Tubinga nel 2018 hanno avviato un progetto congiunto per la conservazione, la documentazione e la ricerca della decorazione policroma. In precedenza, negli anni 2000, il Ministero aveva pulito parte della parete interna occidentale e il nuovo progetto ha offerto l’opportunità di riprendere i lavori su larga scala e con un’attenzione più ampia.
Il lavoro più importante è il restauro dei colori antichi. Nelle stagioni 2018-2020, un team di restauratori locali, guidati dal conservatore capo Ahmed Emam, ha ottenuto risultati molto promettenti. Nella parte settentrionale dell’interno del pronao, il colore originale su parti del soffitto, delle pareti e delle colonne è stato nuovamente riportato alla luce.
Prima che i restauratori potessero iniziare il loro difficile compito, è stato necessario analizzare le condizioni attuali e cercare i metodi di conservazione appropriati. È emerso che diversi agenti esterni potevano potenzialmente causare gravi danni alla decorazione antica, ed era imperativo sviluppare una strategia di trattamento che riducesse il loro impatto sia sulla struttura muraria che sulla decorazione. Una delle principali preoccupazioni era il livello di umidità relativamente alto, che provoca il movimento di sale dall’interno dei blocchi di pietra verso gli strati esterni, causando l’accumulo di efflorescenze sulle superfici iscritte. Questi cristalli di sale possono causare la scheggiatura delle superfici e lo sbiadimento dei colori dei rilievi dipinti. Un notevole strato di fuliggine ricopre la maggior parte della superficie decorata, forse come risultato delle attività svolte quando il pronao fu utilizzato come deposito. La fuliggine ha causato un notevole deterioramento dei pigmenti blu e verdi, soprattutto nelle zone del soffitto. Accumuli di polvere ed escrementi di uccelli erano presenti su tutte le pareti del tempio, causando un ulteriore scolorimento delle aree dipinte e insozzando ampie zone.
Una volta recuperata e conservata una sezione della decorazione, si procede quanto prima alla documentazione fotografica. Le foto mostrano scene in cui la decorazione è stata restaurata, ma anche parti che devono ancora essere lavorate (Immagini n. 4-5), dimostrando chiaramente l’efficacia degli sforzi dei conservatori.


Il lavoro di post-elaborazione della decorazione sulla base del materiale fotografico viene condotto presso l’Università di Tubinga e comprende un’analisi dell’impatto della colorazione all’interno dello schema decorativo antico. A questo punto, con solo una piccola parte degli ornamenti rivelati, è evidente che uno studio della colorazione offra un approccio raro e innovativo nella ricerca sulla decorazione dei templi del periodo greco-romano. L’analisi combinata dei materiali, delle figure e dei testi in rilievo e/o dipinti, così come l’evidenza testuale, mostra che tutti facevano parte di un unico schema decorativo. Grazie all’impegno dei restauratori nelle stagioni 2018-2020 (che hanno lavorato anche durante la pandemia di Covid19), gran parte del soffitto e delle colonne sono stati riportati a qualcosa di molto vicino al loro stato originale: la decorazione policroma del tempio. La ricchezza dei decori, un tempo vivacemente colorati, è visibile nelle immagini fotografiche (Immagine n. 6).

Nuove iscrizioni
Oltre alla ricostruzione della decorazione policroma, è stato portato alla luce un gran numero di iscrizioni finora sconosciute. Queste iscrizioni sono solo dipinte sulla superficie, non incise. Poiché erano coperte da fuliggine e polvere, nessuno ne conosceva l’esistenza prima del processo di pulizia.
Tutti i testi “nascosti” si trovano nella zona del soffitto e risalgono a un periodo piuttosto tardo della decorazione complessiva (fine del II secolo d.C. circa). Finora queste iscrizioni sembrano limitate a tre contesti:
1. Didascalie di costellazioni e di fenomeni celesti nelle zone del soffitto
2. L’incorporazione di nomi e titoli reali (in cartigli) in iscrizioni in rilievo già esistenti.
3. Testi completi sulle facce inferiori delle architravi
Mentre le didascalie nelle zone del soffitto sono eseguite solo in pigmento rosso (e in modo un po’ goffo), le altre decorazioni mostrano uno stile elaborato e policromo. Ciò è particolarmente vero per le facce inferiori degli architravi , vale a dire la zona tra due colonne. Quello che una volta era uno strato nero di fuliggine (Immagine n. 7) si è rivelato essere un’iscrizione di due testi separati in quattro colonne, che elogiavano Khnum e Neith (Immagine n. 8).


I segni sono dipinti con precisione e vivacità e sembrano mostrare una scelta deliberata del colore per alcuni geroglifici. Un caso piuttosto particolare è quello dei passaggi lasciati in bianco nelle iscrizioni laterali degli architravi. Sauneron usava il termine “non scolpito” per questi passaggi, ma ora sappiamo che è presente del testo. Questi “spazi vuoti” sono attestati abbastanza spesso nei testi di architravi pubblicati da Sauneron e, per la maggior parte, compaiono verso la fine di un passaggio testuale. Finora sono venuti alla luce molti cartigli nelle zone precedentemente vuote (a sinistra) e si è tentati di ipotizzare che questi cartigli siano stati dipinti dopo che le iscrizioni in rilievo erano già state scolpite (Immagini nn. 9-10-11).

Immagine n. 9 Una nuova iscrizione, fino a poco tempo fa coperta di fuliggine, è stata scoperta sulla superficie inferiore dell’architrave A, nello spazio annerito tra le colonne n. 7 e 13.

Immagine n. 10 Dopo il processo di pulizia, è stata rivelata la nuova iscrizione. La fotografia qui è mostrata di lato, in modo che il testo appaia più facilmente visibile

Immagine n. 11 Il cartiglio finora sconosciuto contenente i titoli di “Autokrator” e “Kaisaros”, spesso utilizzati per gli imperatori romani, è stato eseguito in pittura, mentre il resto dell’iscrizione della parte settentrionale dell’architrave B è stato eseguito in rilievo.
Il soffitto
Un’area piuttosto particolare è il soffitto astronomico. Parte del soffitto astronomico del Tempio di Dendera, è l’unico esempio completamente conservato del periodo greco-romano. I pronai di entrambi i templi contengono sei campi, nel soffitto, a contenuto astronomico, tre per lato (adiacenti al soffitto centrale sull’asse principale del tempio). Offrono composizioni uniche che in parte differiscono notevolmente l’una dall’altra. I restauratori hanno finora terminato le prime due zone del soffitto nella parte settentrionale del pronao di Esna (chiamate Travée A e B secondo la designazione di Sauneron). Il soggetto principale della Travée A è il ciclo lunare, rappresentato dalle divinità della luna crescente e della luna calante disposte su due file. Ogni gruppo è composto da 14 divinità che si trovano sopra un disco. All’interno di ogni disco è raffigurato l’occhio Wdjat, un simbolo comune della luna. Gli occhi Wdjat erano solo dipinti sulla superficie; dopo il restauro divennero molto più visibili rispetto all’epoca di Sauneron, che poteva scorgerne solo deboli tracce. La fila nella parte meridionale del soffitto mostra le divinità della luna crescente. Il primo disco a ovest è rimasto privo di decorazioni, rappresentando il primo giorno lunare in cui la luna è ancora invisibile. Il secondo disco mostra già la luna crescente nella parte occidentale, che riflette la condizione del mondo reale. Il secondo giorno lunare la mezzaluna può essere osservata poco dopo il tramonto a ovest in circa il 70% di tutti i mesi lunari; negli altri mesi bisogna aspettare un giorno in più, fino al terzo giorno lunare, per osservare la prima mezzaluna. Ogni giorno successivo diventa visibile una porzione sempre maggiore della luna e, quindi, l’occhio Wdjat sul disco diventa sempre più completo. Nel caso di Osiride, che rappresenta il settimo giorno lunare, si vede già metà della luna e, di conseguenza, metà dell’occhio è dipinto (Immagine n. 12).

Nella parte settentrionale del soffitto la direzione è invertita. Si inizia con l’occhio Wdjat completo sul disco il 16° giorno lunare, procedendo verso ovest fino al 29° giorno lunare – l’ultima fase visibile della luna. Oltre al ciclo lunare, questa “Travée” mostra diverse costellazioni e all’estremità, ad est, uno dei “Quattro Venti”, che gli Egizi immaginavano a forma di animale. Nel nostro caso (Immagine n. 13) si tratta di uno scarabeo con quattro ali, una testa di ariete e una piuma di struzzo.

Un’iscrizione dipinta, ora decifrabile, si trova accanto alla sua testa: “Il bel vento d’Oriente”. Il motivo per cui tutte le iscrizioni di questo settore non sono state incise non è, per il momento, palese. Nell’angolo sud-orientale della “Travée A” è raffigurato in rilievo un cobra seduto su un papiro (Immagine n. 14).

Davanti alla testa del cobra si trova un’altra iscrizione dipinta finora sconosciuta che, tradotta, recita “La grande fiamma”. Si tratta di una designazione della dea cobra Wadjet (per saperne di più: https://laciviltaegizia.org/2021/09/26/wadjet/…), rappresentante del Nord e manifestazione della corona del Basso Egitto nella religione egizia. Ad una prima osservazione, questo simbolismo non è conforme alla posizione effettiva del cobra nella parte meridionale di questa “Travée”. Il collegamento diventa chiaro e logico solo quando si prende in considerazione la totalità del soffitto, dove la “Travée A” è la più settentrionale e quindi in posizione perfetta per la dea della corona del Basso Egitto.

Passando alla “Travée B” (Immagine n. 15), restaurata in gran parte nel 2020, i soggetti principali sono i 36 decani. I decani erano stelle o, nella maggior parte dei casi, costellazioni (contrassegnate come tali dalle stelle che le accompagnavano). Il loro scopo era quello di indicare le dodici ore della notte attraverso la loro posizione, che cambia di giorno in giorno. Qui i decani sono raffigurati ciascuno nella propria barca (apparentemente un decano è stato omesso , dato che ci sono solo 35 figure e barche). In un caso eccezionale, due barche sono rappresentate una sopra l’altra: ciò è, reso possibile dall’iconografia insolita di questo decano che raffigura una mummia adagiata su una bara (Immagine n. 16).

All’estremità orientale della Travée si trovano due costellazioni. La prima nella metà meridionale è Orione, manifestazione di Osiride e costellazione dell’emisfero meridionale. In alcuni testi la designazione egizia di Orione (Sah) è anche un equivalente del sud. Egli guarda alle spalle la sua consorte Iside (cfr. Immagine n. 15) che è – nel mondo astrale – una manifestazione di Sirio (Sothis per i greci, Sopdet per gli egizi), la stella più luminosa del cielo. Iside-Sothis sorge sempre più tardi rispetto a Orione-Sah, ma lo segue all’incirca lungo lo stesso percorso. Il suo sorgere eliaco è precedente di circa 22 giorni e quello giornaliero è circa un’ora e mezza prima della sua apparizione; per questo viene raffigurato mentre si gira a guardarla. La seconda costellazione nella metà settentrionale è l’Orsa Maggiore (alias L’Aratro, Immagine n. 17), rappresentata come coscia di toro.

La sua designazione egizia Mesekhtyw è equiparata al nord in alcuni testi del periodo tardo. La gamba è incatenata e la catena è tenuta da una divinità ippopotamo (“La Grande”) per impedire che scenda negli inferi. nel mondo sotterraneo. È la manifestazione di Seth, l’assassino di suo fratello Osiride. Nel cielo, Seth non potrà mai raggiungere Osiride nella sua forma di Orione, ma come costellazione circumpolare è in grado di scendere un po’ al di sotto dell’orizzonte, almeno fino ad un luogo a sud come Esna, nell’Alto Egitto. Tuttavia, la catena gli impedisce di scendere oltre per danneggiare Osiride, il Signore degli Inferi. La disposizione di queste due costellazioni sul soffitto indica il Sud (Orione) e il Nord (Orsa Maggiore) nella loro posizione geograficamente corretta.
Prospettive future
È evidente, anche solo osservando questi pochi esempi, che il pronao di Esna è ricco di decorazioni policrome. Ora questa bellissima decorazione, accurata e vivida, può essere studiata in combinazione con l’impianto architettonico del tempio, cosa che non è stata tentata, e non poteva esserlo, fino a poco tempo fa. Ma il lavoro svolto dai restauratori ha portato anche alla scoperta di nuove iscrizioni e quindi alla conoscenza della teologia locale durante una delle ultime fasi della civiltà faraonica.
Fonte: Hisham el-Leythy, Christian Leitz e Daniel von Recklinghausen in “Ancient Egypt, The History, People, and Culture of the Nile Valley” vol. 21, N. 5 , Maggio/Giugno 2021. Pagine 13-21
Tutte le immagini sono tratte dal testo citato