C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

MENTUHOTEP II (HORO SAMTAWY)

Di Piero Cargnino

Il Medio Regno nel quale Manetone fa confluire due dinastie, la XI e la XII, in realtà ha inizio solo alla fine della XI dinastia con la riunificazione dell’Egitto ad opera di Mentuhotep II, figlio di Antef III, che regnò dal 2061 al 2010 a.C. circa. L’XI dinastia inizia nel Primo Periodo Intermedio o, meglio, in quella fase in cui si fa più aspra la rivalità fra Tebe ed Eracleopoli. I tre Antef che precedono Mentuhotep II hanno gettato le basi e preparato la strada al loro successore.

Sono molti gli studiosi che considerano la nascita del Medio Regno con l’avvento di Mentuhotep II. A Tebe ora è lui a regnare, con lui ha inizio una lunga lotta per sottomettere i governatori della regione del Delta, lotta che durerà fino al suo 40° anno di regno e terminerà con la riunificazione delle Due Terre sotto un unico sovrano.

A lungo si è dibattuto su quale fosse la corretta identità di questo faraone a causa del fatto che per ben tre volte cambiò il suo nome. In un primo momento, senza però adottare il titolo di “Re dell’Alto e Basso Egitto”, assunse il nome di Horo Seankhibtawy. Poi, dopo aver represso una rivolta nei distretti tiniti nel 14° anno di regno, lo cambiò in Netjerihedjet per cambiarlo nuovamente in Samatatwi.

Con l’avvenuta riunificazione dell’Egitto e la sua incoronazione mutò ancora il suo nome in Horo Nebhepetre.

Mentuhotep II fissa la sua residenza a Tebe, la “Città dalle 100 porte”, (Pi-Amon, o Wast, o Niwt per gli egiziani), dove la divinità più importante era Montu, dio della guerra, ma pure un’altra divinità fino ad allora poco conosciuta che diverrà di gran lunga la più famosa, Amon.

Gli anni bui del Primo Periodo Intermedio hanno stravolto l’antica concezione religiosa secondo la quale solo al faraone è riservata l’oltretomba, l’immortalità è adesso raggiungibile da tutti. Mentuhotep II si dedicò alla riorganizzazione dell’amministrazione statale con l’obiettivo primario di indebolire il potere dei nomarchi locali ed il conseguente rafforzamento del potere centrale. L’Egitto era stremato dal lungo periodo passato e richiedeva riforme urgenti per risollevarsi.

Mentuhotep II favorì la nascita di un ceto commerciale e riaprì le cave di pietra di Assuan, dello Uadi Hammamat e di Hatnub. A Tebe fece giungere alti funzionari ed artisti specializzati, in gran parte da Menfi, e presto si giunse ad una rinnovata concezione artistica in cui la letteratura godette di un momento di particolare fioritura. Nascono nuovi generi letterari e la lingua raggiunge la massima purezza ed eleganza. L’egiziano che studiamo ancora oggi è quello scritto e parlato nel Medio Regno, la lingua classica per eccellenza.

Mentuhotep II si dedicò anche alla politica estera provvedendo alla difesa della regione del Delta del Nilo rendendone sicuri i confini orientali ed occidentali. Scese in Nubia, che nel frattempo si era proclamata indipendente e la riconquistò. Sempre a sud Mentuhotep II iniziò l’espansione dell’Egitto superando la prima cateratta per garantirsi lo sfruttamento delle miniere d’oro della Nubia e quelle di Berenice Pancrisia oltre al controllo dell’oasi di Kurkuk.

Dopo molto tempo finalmente ripresero nuovamente le spedizioni commerciali a sud verso Punt, anche grazie alla riapertura della pista commerciale che da Coptos conduce al Mar Rosso. Altre spedizioni si diressero a nord, verso il Libano per procurare legno di cedro. Documenti giunti fino a noi parlano di campagne militari di Mentuhotep II contro le tribù nomadi libiche, i Temehu e i Tenehu e contro gli Amu della Terra di Djahi, i  Setjetiu e i Mentju, popolazioni nomadi della penisola del Sinai.

Tra le mogli del sovrano ricordiamo la regina Tem ma poi sposò anche Neferu, forse una sorella. Mentuhotep II scelse per erigere la sua tomba un pendio roccioso, sulla riva occidentale del Nilo, vicino all’odierna Deir el-Bahari.

Il suo complesso funerario, che egli chiamò “I luoghi (di culto) di Mentuhotep risplendono”, esce da tutti gli schemi precedenti. Gli egittologi concordano solo su un punto, il complesso unisce in se sia elementi delle “tombe-saff, (sepolcri la cui facciata è costituita da file, (saff in arabo), di pilastri), sia elementi dei complessi piramidali.

Henri Edouard Naville e Henry Hall indagarono il complesso per quattro anni, dal 1903 al 1907, Il Metyropolitan Museum di New York incaricò Herbert Winlock di effettuare degli scavi che si protrassero dal 1911 al 1931 ma, come i precedenti, non vennero mai completati. Bisognerà aspettare il 1968, quando il gruppo dell’Istituto archeologico tedesco del Cairo, sotto la guida di Stefan Arnold,  riprenda gli scavi.

Il complesso funerario di Mentuhotep II consisteva in un tempio a valle, i cui resti si trovano oggi sotto i campi sul bordo della valle del Nilo, una lunga rampa cerimoniale e la struttura a terrazze sovrapposte del tempio funerario, la cui parte occidentale è direttamente ricavata nella roccia. La rampa, scoperta, era costeggiata ad intervalli regolari, da statue del sovrano in forma osiriaca. Il tempio funerario si stagliava, coi suoi pilastri di calcare, sullo sfondo della parete rocciosa piena di crepacci, mentre una larga rampa dava accesso al tempio. La rampa si presentava contornata sui due lati da un bosco con file di sicomori e tamerici piantati artificialmente.

Il suo complesso sepolcrale, da lui chiamato “I luoghi (di culto) di  Mentuhotep risplendono”, per il periodo rappresenta un’innovazione in quanto consiste in uno dei primi esempi di architettura del Medio Regno a Tebe ovest di fronte al Grande tempio di Amon di Deir el-Bahari. La falesia tebana ne costituisce lo sfondo del complesso così come per altri templi tra i quali spicca quello della regina Hatshepsut. Ho detto che costituisce un’innovazione in quanto il tempio di Mentuhotep II è il primo caso di transizione dal classico complesso piramidale dell’Antico Regno a quello che sarà il “Tempio di Milioni di Anni” con tomba ipogea del Nuovo Regno.

In questo caso si tratta dell’unione della caratteristica tomba a “Saff” con la mastaba sormontato il tutto dal tumulo primordiale della II dinastia. Scoperto da Lord Frederik Dufferin nel corso di molte missioni svoltesi tra il 1859 ed il 1869 il quale però lo attribuì ad una necropoli. Fu Howard Carter a scoprire il cenotafio nel 1899 ed a pubblicarne il resoconto nel 1901. A differenza di quello di Hatshepsut, abbastanza simile ma di dimensioni più ridotte si trova in cattive condizioni.

Ora andiamo a visitare l’intero complesso cercando di capire come è composto. Secondo l’egittologo Herbert Winlok il complesso a terrazze venne eretto in tre fasi, mentre secondo Arnold in quattro: a) l tempio a valle, di cui oggi non rimane nulla poiché si trova sepolto sotto i campi, b) la rampa cerimoniale scoperta e costeggiata da statue del sovrano in forma osiriaca e c) il tempio vero e proprio formato da terrazze sovrapposte e da una camera funeraria sotterranea.

La facciata orientale del terrazzamento inferiore, con la cosiddetta “Aula a pilastri inferiore”, era costituita da un portico con due file di pilastri diviso a metà dalla rampa di accesso al primo terrazzamento le cui pareti erano decorate con scene di battaglia a rilievo. Una rampa, molto ampia, contornata sui due lati con file di sicomori e tamerici, dava accesso alla prima terrazza e quindi al tempio vero e proprio.

La terrazza si componeva di tre parti, il nucleo centrale in argilla indurita stava a rappresentare il colle primigenio formato da un corpo murario cubico. Intorno, sui quattro lati, si trovava un ambulacro colonnato a sua volta delimitato sui lati nord, sud ed est da un portico a pilastri, la cosiddetta “Aula a pilastri superiore”, costituita da due file di pilastri in calcare. La parte anteriore dei pilastri era interamente ricoperta da bassorilievi che rappresentavano il sovrano con delle divinità e numerose iscrizioni.

All’ambulacro colonnato si accedeva dall’ala orientale dell’aula in corrispondenza dell’asse principale del complesso. L’ambulacro era sostenuto da centoquaranta colonne ottagonali che si ergevano su tre file, ad ovest solo su due. Una scarsa illuminazione proveniva solo dai lucernari presenti nel muro esterno.

Sul lato occidentale della terrazza centrale, dietro agli edifici principali, sono state rinvenute sei tombe a pozzo scavate nel fondo roccioso, sormontate da cappelle costruite con blocchi di calcare con false porte e statue cultuali. Si tratta delle tombe delle regine e principesse della famiglia di Mentuhotep II, Aashait, Henhenet, Kawit, Kemsit, Sadeh e Mayet. Le indagini portano a presumere che siano morte più o meno nello stesso periodo forse per una disgrazia o una epidemia.

Aashait, dalla cui carnagione marrone si deduce che fosse nubiana, il cui rango era palesato sul suo sarcofago dorato, vantava tra gli altri il titolo di “Amata Sposa del Re”, lei e altre tre delle sei donne furono regine e la maggior parte di loro, secondo Arnold, sarebbero tutte appartenenti alla categoria delle “Sacerdotesse di Hathor”, dea protettrice della necropoli tebana. Callender invece pensa abbiano fatto parte dell’Harem di Mentuhotep II in qualità di garanti delle alleanze che il sovrano si sforzava di mantenere per rendere stabile la situazione politica e mantenere unito il paese. Il sarcofago in calcare di Aashait è un manufatto di notevole pregio.

All’interno il corpo della regina giaceva in un sarcofago di legno mentre dalla tomba proviene anche una statua lignea della regina, il tutto è conservato al Museo Egizio del Cairo. Dalla tomba di un’altra moglie, Kawit, fu rinvenuto un sarcofago in calcare con stupendi rilievi, anch’esso oggi si può ammirare al Museo Egizio del Cairo.

In un secondo tempo il complesso di Mentuhotep II venne ampliato verso ovest, al livello della terrazza centrale, formando il cortile colonnato aperto, la sala ipostila, formata da ottantadue colonne ottagonali ed il tempio rupestre, (speos). Lo Speos si trovava nella parte più occidentale del complesso ed era formato da un ambiente stretto e lungo con il soffitto a volta in blocchi di calcare ed il pavimento in arenaria.

Qui fu scoperta una statua del dio Amon assiso ed altri strumenti per il culto delle varie divinità, Amon, Month, Osiride e Hathor. Nella terza parte scenderemo nell’ipogeo ed esamineremo le varie supposizioni avanzate dagli egittologi sia sulla forma che sul significato, soprattutto religioso, del monumento funerario di Mentuhotep II

Proseguiamo nell’esplorazione del tempio funerario di Mentuhotep II e andiamo a visitare l’ipogeo. Superato l’ingresso un corridoio discendente, con soffitto a volta,, lungo alcune dozzine di metri, conduce alla camera funeraria. Indagato da Naville nel 1906 poi da Arnold nel 1971 il corridoio presenta numerose nicchie sulle pareti laterali dove erano collocate seicento figure in legno che riproducono modelli di botteghe, panifici ed imbarcazioni che appartenevano al corredo funerario.

La camera funeraria è costruita in granito con il soffitto a doppio spiovente. Gran parte della camera era occupato da una cappella in alabastro il cui accesso avveniva da una porta di legno a doppio battente. L’assenza di un sarcofago al suo interno venne interpretata da Naville come trattarsi di una camera simbolica per il Ka reale. Arnold arrivò ad una diversa conclusione rifacendosi ad un’altra scoperta curiosa.

Nel 1899, Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamon, stava facendo una cavalcata nella parte anteriore del cortile del complesso di Mentuhotep II quando all’improvviso il cavallo inciampò in qualcosa, sceso per controllare che il cavallo non si fosse ferito, Carter fece una straordinaria scoperta, davanti a lui si presentò un ingresso che accedeva al sottosuolo. In seguito a quell’episodio gli arabi lo chiamarono poi, “Bab el-hussan”, (Porta del cavallo).

Dapprima si presentava come un fossato a cielo aperto poi continuava in un corridoio in mattoni crudi con il soffitto a volta. Carter si inoltro all’interno e, ad una profondità di circa 17 metri scoprì una porta sigillata da un muro di mattoni largo 4 metri. Alle spalle dello sbarramento il passaggio continuava per un tratto verso ovest per poi piegare a nord nella parte terminale. Nel punto in cui il passaggio svoltava Carter scoprì un pozzo profondo circa 2 metri con sul fondo i resti di una cassa di legno sulla quale era riportato il nome di Mentuhotep. Il corridoio continua fino ad un altro pozzo sul pavimento del quale si trova l’ingresso alla camera funeraria situata sotto il tempio.

All’interno furono rinvenuti i resti di un sarcofago vuoto e privo di iscrizioni, oggetti in ceramica e ossa di animali probabilmente offerti in sacrificio. Ma la sorpresa fu il ritrovamento di un oggetto più prezioso di tutti, avvolta in tele di lino fine, una statua di calcare policromo che raffigurava un uomo assiso. La statua raffigura Mentuhotep II con la corona del Basso Egitto, questa è diventata uno dei più celebri reperti custoditi al Museo del Cairo e contrassegnata con la sigla JR 36.1957.

E qui la conclusione cui arrivò Arnold, questa sarebbe una tomba simbolica costruita forse in occasione di una festa sed di Mentuhotep II. Sulla terrazza superiore del monumento, secondo Naville, avrebbe spiccato una piccola piramide, Arnold obiettò che, in assenza di almeno un frammento di roccia che presentasse un’inclinazione tipica delle piramidi, sulla sommità del tempio ci sia stata una massiccia costruzione rettangolare con una bassa terrazza di coronamento, il tutto a rappresentare in forma stilizzata il colle primigenio. Stadelmann avanzò un’ulteriore ipotesi, sull’ultima terrazza avrebbe trovato posto una collinetta di sabbia con alberi, secondo la sua rielaborazione il tutto avrebbe rappresentato una fusione del colle primigenio e della tomba di Osiride dio dei morti.

Indipendentemente dalle varie supposizioni persistono ancora molti dubbi motivati da un’altra importante scoperta, un documento risalente ad oltre mille anni dopo. Come noto a seguito dei crescenti episodi di saccheggio di tombe, i sovrani cercarono di porvi rimedio ordinando periodiche ispezioni alle varie tombe.

Dal Papiro Abbot, risalente all’epoca di Ramesse IX, apprendiamo:

<< Diciottesimo giorno del terzo mese della stagione dell’inondazione, nel sedicesimo anno del regno del sovrano dell’Alto e Basso Egitto, il signore dei due paesi Neferkare Stepenre.……..che viva a lungo, che goda di buona salute e sia prospero……..figlio di Ra……..Ramesse Miamun……piramidi, tombe.…….visitate dagli ispettori……..>>.

Nel documento il complesso di Mentuhotep II viene espressamente definito come una piramide. Malgrado ciò i dubbi rimangono anche perché il Papiro Abbot nomina come piramidi anche altre tombe dell’XI dinastia che in realtà non lo sono affatto.

Graffiti risalenti al Nuovo Regno scoperti nei dintorni, che si riferiscono alla tomba di Mentuhotep II, ricordano una terrazza sormontata da un obelisco con tanto di pyramidion. Il tutto nasce probabilmente da un equivoco, in passato, descrivendo la tomba di un sovrano gli scribi usavano accostare al nome il determinativo che designa la piramide, è probabile che la cosa sia continuata anche quando la tomba del sovrano non era più una piramide.

Comunque sia è innegabile che la forma così originale di questo monumento abbia ispirato gli architetti posteriori. Ciò è testimoniato dal fatto che circa mezzo secolo dopo, proprio vicino a quello di Mentuhotep II, sia stato realizzato il tempio a terrazze della regina Hatshepsut della XVIII dinastia.

Nel 2014, a soli 150 metri dal tempio di Seti I di Abydos, è stata scoperta una cappella funeraria in pietra calcarea, le iscrizioni in essa trovate confermano che trattasi di una cappella del faraone Nebhepetre Mentuhotep II dedicata a Khenti-Amentiu, antica divinità di Abydos.  Le foto di “Luxor Times Magazine” sono pubblicate su autorizzazione de “Il Fatto Storico” rilasciata il 27.04.2021), “Una cappella egizia di Mentuhotep II ad Abydos”, 15 luglio 2014

Fonti e bibliografia:

  • Guy Racket, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, Torino, 2006
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, (Einaudi, Torino, 1997), Oxford University Press, 1961
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Mursia, 2012
  • Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi” Newton & Compton editori, 2002

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