I MICOBATTERI
Di Andrea Petta e Franca Napoli

Fino a pochi decenni fa le prove delle malattie infettive nell’Antico Egitto erano sostanzialmente indiziarie, non potendo dimostrare la presenza dell’agente infettivo nelle mummie pervenute fino a noi. La possibilità di analizzare il materiale genetico o di rintracciare antigeni specifici costituisce ora un grosso aiuto, ma le difficoltà procedurali sono comunque notevoli – si vedano tutte le contestazioni fatte al lavoro pubblicato da Hawass nel 2010 sull’analisi del DNA delle mummie reali della XVIII Dinastia.
Non aiuta inoltre la quasi totale mancanza di riferimenti diretti nei papiri medici – ricordiamoci infatti che la medicina egizia trattava i sintomi, ma aveva scarsissima conoscenza delle cause.
Per questo motivo – la mancata correlazione diretta con le patologie – i rimedi utilizzati dai medici egizi verranno trattati successivamente sulla base invece dei sintomi.
LA TUBERCOLOSI (Mycobacterium tubercolosis)

Ci sono evidenze della presenza di tubercolosi, probabilmente veicolata dai bovini, fin dalle prime dinastie con statuette che raffigurano persone con il morbo di Pott (infezione della colonna, che inizia in un corpo vertebrale e spesso si diffonde a vertebre adiacenti, con un restringimento dello spazio discale tra di esse causando deformazioni tipiche della colonna vertebrale).


Segni di spondilite da tubercolosi in mummie della necropoli tebana (Nuovo Regno). Si nota la perdita di materiale osseo (osteolisi) che arriva alla perforazione dei copri vertebrali (da Zink, Albert, et al. “Molecular analysis of skeletal tuberculosis in an ancient Egyptian population.” Journal of medical microbiology 50.4 (2001))


Anche in questo caso, però, si è dovuta aspettare la fine del XX secolo per avere le prove definitive della tubercolosi nell’Antico Egitto. Anche la prima mummia in assoluto sottoposta ad esame autoptico (la cosiddetta “mummia del Dr. Granville” dal medico che la esaminò nel 1825) ed il cui decesso fu inizialmente (ed erroneamente) attribuito ad un carcinoma ovarico, fu causata dalla tubercolosi.

Soffriva di un tumore ovarico, che alla luce delle moderne tecniche di indagine si è scoperto benigno, mentre i suoi polmoni erano devastati dalla tubercolosi.

Evidenza di tubercolosi in un bambino di circa 6 anni. La malattia ha colpito la colonna vertebrale in larga misura, distruggendo completamente i corpi di alcune vertebre lombari con conseguente collasso spinale e una forte angolazione della colonna vertebrale indicata come morbo di Pott.
LA LEBBRA (Mycobacterium leprae)
La lebbra è un’infezione progressiva cronica, acquisita con il contatto stretto e prolungato con la persona infetta (spesso un componente famigliare). Le manifestazioni più evidenti sono deformità dovute a noduli nella pelle e la perdita di sensibilità periferica che conduce spesso alla perdita delle dita delle mani e dei piedi.

La lebbra è causata dal Mycobacterium leprae, un patogeno obbligato che non può crescere se non in un ospite vivente; predilige cute e nervi causando neuropatia periferica con perdita definita di sensibilità e disabilità. Il Mycobacterium leprae può essere riconosciuto nei resti scheletrici umani dai tipici cambiamenti paleopatologici riscontrati principalmente nella regione naso-mascellare del viso, nelle ossa lunghe delle braccia e delle gambe e nelle piccole ossa delle mani e dei piedi. E’ simile al Mycobacterium tuberculosis, dal quale si distingue per una dimensione del genoma sensibilmente più corto.
La malattia è nota all’uomo da tempo immemorabile. Il DNA prelevato dai resti di un uomo scoperto in una tomba vicino alla città vecchia di Gerusalemme è la prima dimostrazione della lebbra finora riscontrata. I resti sono stati datati con metodi al radiocarbonio all’1–50 d.C. La malattia probabilmente ebbe origine in Egitto e in altri paesi del Medio Oriente già secoli prima, ma al momento non ne abbiamo prove.
Ad oggi ci sono solo sospetti di lebbra in alcune mummie dell’epoca tolemaica (la prima apparizione relativamente sicura con l’esame del DNA risale al IV-V secolo CE), ma esiste un riferimento nel Papiro Ebers molto misterioso (Ebers 874) in cui si parla del “tumore di Khonsu” (aaa net khonsu):
“…è terribile ed ha molti noduli; ha qualcosa dentro come se fosse aria di cui è gonfio…non farai nulla per guarirlo”

È quindi “un male che non posso curare”; l’identificazione non è però così semplice: molti termini sono ancora oscuri e misteriosi, e alcuni Autori hanno riferito questi sintomi alla peste – di cui però non c’è traccia nelle mummie pervenute fino a noi e da cui l’Egitto apparentemente rimase immune fino alla conquista islamica.
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