Di Andrea Petta e Franca Napoli

Come sappiamo, i polmoni erano tra gli organi che venivano estratti nel processo di mummificazione e conservati nei vasi canopi; nello specifico venivano messi sotto la protezione di Hapy, uno dei figli di Horus spesso raffigurato con testa di babbuino, ed affidati a Nephtys.


Tale procedimento non ha sicuramente favorito la conservazione dei polmoni stessi, ridotti dopo millenni ad una poltiglia densa difficilmente studiabile. Al di là delle evidenze di tubercolosi emerse dagli scheletri pervenutici (vedi https://laciviltaegizia.org/2023/01/21/virus-e-batteri/) anche il buon Ruffer, che abbiamo conosciuto come uno dei massimi esperti nello studio delle mummie all’inizio del XX secolo, trovò infatti una marea di difficoltà a fornire informazioni affidabili. Credette di aver ritrovato tracce di polmonite, ma tale interpretazione è ancora molto discussa.
In anni più recenti è stato invece possibile identificare con relativa certezza i segni di silicosi dovuta alla sabbia ed alla polvere di roccia, frequente negli scalpellini ancora oggi, e di antracosi dovuta all’inalazione del fumo di carbone – probabilmente frequente nei lavoratori delle necropoli o comunque dovuta ai fuochi mantenuti accesi nei luoghi chiusi – oltre a tracce molecolari di diversi virus respiratori. In epoca Covid qualche studioso aveva proposto anche di studiare i coronavirus rintracciati nelle mummie egizie per studiarne l’evoluzione.


Da quanto emerge dai papiri medici, raffreddori ed influenze affliggevano già gli Egizi: “quando i suoi occhi sono infiammati ed il naso cola…tu dirai: è frutto della putrefazione del suo muco…”; per i medici egizi però il catarro proveniva dallo stomaco, e la patologia dipendeva dal fatto che non scendesse nell’intestino per essere espulso.

Il rimedio per raffreddori/influenze prevedeva una pagnotta di grano selvatico con molto assenzio, cipolla, aglio, carne grassa di bovino ed impastata con la birra; la pagnotta andava mangiata dal paziente accompagnata da “birra per le offerte” (un altro legame con la magia?) fino alla scomparsa dei sintomi.

Sicuramente la tosse derivante dalle infiammazioni ai polmoni era fonte di numerose chiamate per i medici di allora: ben 20 paragrafi del Papiro Ebers sono infatti dedicati ai rimedi per la tosse. La maggior parte contiene polpa di carrube mescolata ad acqua e bevuta per quattro giorni (il 4 sembra essere una sorta di prescrizione standard per la medicina egizia) – ancora una volta i medici egizi avevano scoperto empiricamente le qualità antiinfiammatorie della pianta.

Alcuni rimedi sono abbastanza complessi; uno prevede l’uso di fichi, un frutto chiamato “balsamo egiziano”, uva, cumino, foglia di acacia, ocra, mentuccia, un’altra pianta sconosciuta chiamata gngnt fatti macerare in birra dolce e somministrati (ovviamente) per quattro giorni.
Altri rimedi sono francamente incomprensibili: si suggerisce di tritare finemente un dente di maiale e mescolarlo all’impasto di quattro tortine, da consumare una al giorno. In questi casi si scopre la dimensione ancora a metà tra scienza e magia della medicina egizia.
Ed infine, tra i rimedi sbuca proprio “quello della nonna”: latte e miele. A dir la verità, nella versione egizia prevede di usare la panna al posto del latte, di essere molto denso e di essere buttato giù con dosi abbondanti di birra raffinata. Ditelo alle vostre nonne: magari la tosse non passa ma si affronta con tutt’altro stato d’animo…

Grazie per queste informazioni, sono molto utili. 😉
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