Di Piero Cargnino

Dopo meno di due anni di coreggenza col padre Ramses I, Seti-Merenptah (Uomo di Seth-amato da Ptah), figlio della Grande Sposa Reale Sitra, sale al trono, dopo essere stato Sommo Sacerdote di Seth, ed assume il nome regale Menmaatra (Stabile è la Giustizia di Ra).

Non è chiara la ragione per cui un faraone abbia assunto il nome di Seth, il nome di questa divinità non veniva più usato fin dalla II dinastia anche se il suo culto è sempre stato diffuso nel Delta. E’ un uomo nel pieno vigore fisico ed intenzionato a riportare l’Egitto ai fasti del passato superando quel che ancora restava dell’eresia amarniana. Al trono con lui sale anche la sua Grande Sposa Reale Tuya di provenienza non regale ma figlia di un generale dell’esercito.

La durata del regno di Seti I non è ben definita ed è oggetto di varie interpretazioni, Manetone, che lo considera il fondatore della XIX dinastia, gli assegna una durata improponibile di 55 anni. Come per i suoi predecessori il compito maggiore consisteva nel ripristinare la sovranità egizia in Asia, in modo particolare nella terra di Canaan ed in Siria, territori considerati appetibili dall’espansionismo ittita. E’ curioso notare quanto la volontà di tornare ai vecchi dei si riscontri nella titolatura di questo faraone che per esteso è: Menmaatra Seti-Merenptah dove vengono citati Ra, Ptah, Amon e Seth, questo anche per ridimensionare in parte l’eccessivo potere che il clero di Amon di Karnak vantava prima della rivoluzione religiosa di Akhenaton e riaffermare il primato teologico del dio Ra.
Seti I si dedicò in modo particolare all’attività edilizia, le sue opere più importanti furono, tra le altre il completamento della grande Sala Ipostila a Karnak ed il suo tempio funerario ad Abydos sulle cui pareti volle realizzare l’importante rilievo, noto col nome di “Lista Reale di Abydos” dove lui rende omaggio a 76 suoi predecessori a partire da Narmer, estremamente utile come fonte per ricostruire la cronologia dei sovrani egizi.


Fece costruire numerosi obelischi in onore di Ra nel tempio di Eliopoli, uno di questi è il famoso “obelisco flaminio”, alto 26 metri, completato poi dal figlio Ramses II, e che oggi svetta in Piazza del Popolo a Roma dove venne fatto portare dall’imperatore Augusto nel 10 a.C.. Su un lato compare un’iscrizione dove si afferma:
<<…….(Sethi …) che riempie Eliopoli di obelischi affinché i raggi possano illuminare il tempio di Ra……>>.


Certamente non trascurò la politica estera dove era necessario riportare un po’ d’ordine. Dalle scene di battaglia che ancora oggi possiamo ammirare, scolpite sulla parete esterna settentrionale della Grande Sala Ipostila a Karnak e su numerose stele, apprendiamo delle numerose campagne militari condotte in Medio Oriente, principalmente a Canaan, in Libia e in Nubia.
Fin dal primo anno di regno Seti I si dedicò a ristabilire la sovranità egizia ripristinando la “Via di Horus”, strada che, partendo dalla fortezza di Tjaru, all’estremità orientale del Delta, terminava in Palestina, nei rilievi del tempio di Karnak sono ben dettagliate le numerose fortezze e pozzi che costellavano la strada. Durante il percorso attraverso il Sinai vennero debellati i riottosi beduini detti Shasu, entrando in Canaan pretese tributi dalle varie Città-Stato presso le quali ebbe modo di soffermarsi. Non fu così per alcune altre, come Beir She’an e Yenoam contro le quali Seti I non partecipò direttamente ma inviò solo le sue truppe. La spedizione proseguì poi fino al Libano dove i sovrani locali si sottomisero cedendo come tributo una ingente quantità di legno di cedro. Tornato in patria Seti I si rivolse contro le tribù libiche dei Tehenu, dei Libu e dei Mashuash che premevano ai confini creando non pochi problemi, e li sconfisse. Durante l’ottavo anno di regno dovette inviare l’esercito per reprimere una rivolta in Nubia, non si recò egli stesso ma potrebbe averlo fatto come comandante il figlio, futuro Ramses II.
Il pericolo maggiore però arrivava dalla Siria, nonostante il trattato di pace stipulato a suo tempo dai sovrani ittiti con Amenhotep III e siglato con matrimoni reali, ultimo quello di Tadukhipa con Amenhotep III. Il trattato prevedeva il riconoscimento da parte ittita dei diritti egiziani sul regno di Amurru, sulla valle dell’Oronte e sulla città di Kadesh ottenendo in cambio la rinuncia da parte egiziana dei territori dei Mitanni conquistati da Tutmosi III.
Per fronteggiare la minaccia degli ittiti che erano avanzati in territorio egiziano, Seti I intraprese una campagna militare con la quale conseguì qualche successo arrivando a riconquistare il regno di Amurru e, anche se per poco, la città di Kadesh sulla quale ormai non aveva più alcuna influenza a causa della politica inetta di Akhenaton, impresa che non era riuscita a Tutankhamon ed a Horemheb. Per celebrare l’impresa Seti i fece erigere una stele dedicata agli dei Amon, Seth e Montu. I frutti della vittoria non durarono però a lungo, gli ittiti si ripresero presto Kadesh e Amurru a causa dell’impossibilità, o dell’incapacità da parte egizia di mantenere un congruo contingente militare in zona. A causa di ciò non è da escludere che sia stato raggiunto un accordo tra Seti I e Muwatalli II col quale vennero ridisegnati i confini. Ci proverà poi, ma senza successo, il figlio Ramses II a riconquistare Kadesh cinque anni dopo la morte di Seti I.
Per quanto riguarda le vittoriose campagne militari di Seti I ci sarebbe da avanzare qualche dubbio, come di consueto nei riguardi dei faraoni che sono molto propensi a glorificare i propri meriti magari usurpando quelli degli altri. Dagli studi effettuati sulle “lettere di Amarna” in un primo momento si pensò che con il regno di Akhenaton l’Egitto fosse sprofondato nel caos privo della fermezza di un sovrano che avesse polso. In realtà le cose non andarono proprio così, certo che per il faraone eretico esisteva quasi solo la religione dell’Aton e lui personalmente non seguiva molto i fatti dell’impero, meno che mai Tutankhamon, c’è da dire però che i suoi predecessori avevano creato una amministrazione statale molto efficiente che provvedeva alla gestione degli interessi dello stato anche senza precise direttive del sovrano.
Oggi sono stati condotti studi più approfonditi per cui gli egittologi non credono che la politica di Akhenaton abbia portato alla perdita dell’impero, se si escludono quei pochi territori poi riconquistati da Seti I. Sicuramente Seti I, come molti altri prima e dopo di lui, ha fatto costruire monumenti anche importanti (alcuni li ha usurpati), riempiendoli di rilievi ed iscrizioni nelle quali vantava anche meriti non propriamente suoi o esagerando i suoi.
Secondo alcuni Seti I nominò il figlio Ramses coreggente intorno al suo nono anno di regno ma al riguardo non esistono fonti certe. L’egittologo canadese Peter J. Brand non crede che i rilievi presenti in vari templi di Karnak, Gurna e Abydos, dove sono raffigurati insieme Seti I e il figlio Ramses II, siano significativi per suffragare la coreggenza tra i due in quanto la maggior parte di essi vennero realizzati per volere di Ramses II dopo la morte di Seti I.
Sulla coreggenza o meno si sono espressi diversi egittologi tra cui William Murnane e Kenneth Kitchen e molti altri; In conclusione una coreggenza appare assai improbabile se fanno testo due importanti descrizioni che compaiono nel tempio di Abydos e su di una stele commemorativa a Kuban nelle quali Ramses II è sempre descritto come principe e non come coreggente, nelle iscrizioni sono riportati, oltre ai vari titoli militari, il titolo di “Primogenito del re” e “Principe ereditario ed Erede”.

Alla sua morte Seti I fu sepolto nella Valle dei Re in quella che oggi è chiamata KV17, (Tomba Belzoni). Questa fu scoperta per l’appunto da Giovanni Battista Belzoni nel 1817 mentre lavorava per Henry Salt. Alessandro Ricci, che lavorava con Belzoni, fu il primo a disegnare i rilievi della tomba che venne attribuita ad un ipotetico re Psammuthis.

Con la decifrazione dei geroglifici ad opera di Champollion nel 1822 si scoprì che apparteneva a Seti I. La tomba fu sottoposta a numerosi lavori di restauro e conservazione prima da Burton, poi da Rosellini e da Carter ed infine da Barsanti. Dal 1979 fino al 2000 è stata oggetto di mappatura, rilievi epigrafici e ad ulteriori lavori di conservazione e restauro.

Lunga 136 metri è la più profonda di tutte quelle del Nuovo Regno, è la prima che presenta tutte le pareti completamente decorate con bassorilievi e pitture dai colori molto vivaci. In essa compaiono per intero i testi del libro dell'”Amduat” e le “Litanie di Ra” oltre alla rappresentazione di molti dei, tra cui Hathor, Osiride, Ptah, Nefertum e Iside.

Le successive tombe del Nuovo Regno cercarono sempre di imitarla. Il sarcofago di Seti I è ricavato da un unico imponente blocco di alabastro decorato con rilievi in ogni sua parte, all’interno si trova un’immagine della dea Nut che avvolge il corpo del faraone.

Sulla parte esterna del sarcofago è inciso parte del “Libro delle Porte” oltre ad un testo sul viaggio notturno di Ra nell’oltretomba. Nel 1825 il sarcofago venne acquistato da Sir Soane del “Jhon Soane Museum”, dove si trova tutt’ora, era completamente bianco ma col tempo, a causa del clima e dell’inquinamento di Londra, ha assunto un colore bruno più scuro perdendo anche alcune decorazioni.

La mummia di Seti I, come quelle di altri faraoni, venne trasportata nella cachette di Deir el-Bahari dove fu rinvenuta nel 1881 e riconosciuta grazie al fatto che il suo nome era inscritto sul coperchio del sarcofago; traslata al Museo Egizio del Cairo fu sbendata da Gaston Maspero nel 1886. Gli esami condotti sulla mummia, che si trova in ottime condizioni, hanno rivelato che all’atto della morte Seti I non aveva ancora cinquant’anni.

Subito apparve una stranezza, forse a causa di una disattenzione degli imbalsamatori, il cuore, che la prassi prevedeva che fosse rimosso, mummificato e poi rimesso al suo posto, si trovava nella parte destra del torace anziché in quella sinistra.
La mummia, lunga 170 cm era talmente ben conservata che sbendandola Maspero ebbe a dire:
<<……era un capolavoro dell’arte dell’imbalsamatore, e l’espressione del volto era quella di uno che appena qualche ora prima ha esalato l’ultimo respiro…….un calmo e mite sorriso aleggiava ancora sulla bocca e le palpebre semiaperte lasciavano intravedere sotto le ciglia una riga apparentemente umida e brillante, era il riflesso dei bianchi occhi di porcellana introdotti nelle orbite al momento della sepoltura …….>>.

Prima di addentrarci nel grande tempio di Seti I ad Abydos vorrei parlare di una curiosità, il tempio racchiude una delle più enigmatiche raffigurazioni che rappresenta una manna per i più accaniti fanta-egittologi pieni di fantasia aliena sulla quale sono stati spesi fiumi di libri di fantarcheologia.
La scena in questione rappresenta un insieme molto confuso di glifi e geroglifici ai quali non è stato possibile dare una spiegazione pratica anche se studiosi esperti hanno chiarito quale mistero si cela dietro questi strani geroglifici. Certamente per alcuni esistono ancora molti dubbi ma la spiegazione data appare attendibile e fondata su basi concrete. Certo che se osservate in modo del tutto spontaneo vi trovate di fronte alla rappresentazione di quali armi disponeva l’esercito di Seti I, aerei a reazione, sottomarini, e persino elicotteri e, se vogliamo pure degli UFO.

Il tempio non è stato completato durante il ciclo di vita di Seti I, ma da suo figlio, Ramesses II, all’inizio del suo regno. Il lavoro fatto eseguire da Ramesses II è di qualità nettamente inferiore a quello di suo padre, lo si capisce dal lavoro scadente effettuato nelle varie modifiche apportate al tempio. Come risultato di questo “scadente” lavoro, alcuni iscrizioni sono state cesellate e riscolpite in fretta, utilizzando il gesso in alcuni casi solo per rintonacare le iscrizioni superflue, intonacature che ovviamente nei millenni si sono sbriciolate o seccate, facendo riaffiorare dalla pietra i vecchi geroglifici che si confondono con i nuovi.

Una spiegazione dettagliata di questi strani geroglifici QUI
A questo punto va detto che nulla di simile è mai stato riscontrato in nessun altro tempio, piramide o strutture presenti in Egitto. Pensare a soluzioni aliene o a civiltà precedenti appare comunque del tutto fuori luogo in quanto se tali glifi volessero proprio rappresentare i mezzi tecnologici a cui assomigliano il contesto in cui sono inseriti non permette la ricostruzione di una frase a senso compiuto. Il mondo accademico da come spiegazione che tale rappresentazione è solo frutto della casualità. “Omnes cogitant quod volunt”.
LA TOMBA KV17
Soffermiamoci ad ammirare la stupenda tomba di Seti I, la KV17 nella Valle dei Re, ne vale la pena.

Purtroppo Belzoni, per agevolare l’ingresso alla parte ipogea, fece scavare un profondo pozzo verticale quasi all’inizio dell’ingresso della tomba, questo riempiendosi d’acqua causò numerose inondazioni alle quali lo stesso Belzoni cercò di porvi rimedio innalzando un muro, la cosa però si rivelò inutile. Il tutto, con l’umidità, causò un’escursione termica che con la dilatazione delle rocce provocò parecchi crolli dell’intonaco dipinto. Come se ciò non bastasse, l’inesperienza delle tecniche di restauro in auge a quei tempi portò Belzoni e Wilkinson a cercare di ravvivare i colori parietali per mezzo di spugnature umide, cosa che fecero pure i visitatori della tomba in assenza di controlli. A questi danni se ne aggiunsero altri causati da interventi maldestri di ricercatori, spesso anche malintenzionati, che distrussero parti di intonaco affrescato nel tentativo di cercare altre camere nascoste, senza contare poi quelli che strapparono letteralmente parti di intonaco per portarseli via.

Oggi le pareti si presentano alquanto sbiadite e, per evitare di danneggiare ulteriormente i dipinti, con il vapore acqueo causato dalla respirazione dei molti visitatori la tomba è stata chiusa al pubblico per oltre dieci anni, dopo gli opportuni interventi il 1 novembre 2016 è stata riaperta contemporaneamente a quella di Nefertari.



Fortunatamente nel 1825 intervenne l’egittologo James Burton che dette inizio ad importanti lavori di protezione e consolidamento della tomba, fece erigere un nuovo muro di fronte all’ingresso riuscendo questa volta ad impedire ulteriori inondazioni, fece svuotare il pozzo verticale di Belzoni ed installò una robusta porta all’ingresso.

Gli interventi di Burton ottennero i risultati sperati e da allora la tomba KV17 non ha subito ulteriori inondazioni limitando così i danni. Sulla tomba tornò anche Carter, nella campagna del 1902-1903, durante la quale svolse numerosi lavori di restauro e consolidamento (in modo particolare nella camera funeraria) dove tentò, purtroppo senza successo, di sanare alcune crepe che si erano aperte nelle pareti.
<< Seguite sulla planimetria la descrizione della tomba >>.

L’ingresso avviene attraverso una breve scala (a) che sbuca in un corridoio in forte pendenza (b), questo termina in una nuova scala che da accesso ad un nuovo corridoio (c), anch’esso in pendenza che porta ad un pozzo verticale (d) profondo circa 6 metri. Superato il pozzo si accede ad una camera (e) con quattro pilastri delle dimensioni di 8 x 8 metri circa, da questa si accede ad una seconda camera (f), grande come la precedente, con due pilastri. Sulla sinistra della camera (e), tramite una scala che sbuca in un corridoio (g), dal quale si diparte un’ulteriore scala (h) si raggiunge l’anticamera (i) e da qui la camera funeraria (j) che si presenta su due livelli mentre sei pilastri sostengono l’imponente soffitto a volta.




Alla sinistra della camera funeraria si trova ancora una camera (m) con due pilastri mentre sul lato posteriore si trova una camera (n) con quattro pilastri disposta ortogonalmente rispetto all’asse principale della tomba. Quasi al centro del lato posteriore si estende uno scavo non rifinito, da qui si raggiunge una scala male intagliata nella roccia che prosegue attraverso un profondo budello (o) che prosegue nella Valle per oltre 150 metri.
Nel 2007 si è tentato di sgomberare il tunnel dalle macerie per accertarsi se si trovavano altri locali con esito negativo, dopo 150 metri il tunnel si interrompe bruscamente.
La tomba di Seti I viene altresì chiamata la “Cappella Sistina egiziana” in quanto è l’unica tomba della Valle dei Re ad avere tutte le pareti dei corridoi e delle camere interamente ricoperte di decorazioni, inoltre in essa sono contenuti tutti i testi religiosi relativi al culto del defunto.
Le decorazioni sono state eseguite con maestria inusuale, è la prima volta che le “Litanie di Ra” ed i capitoli del “Libro dell’Amduat” non vengono rappresentati nella camera funeraria ma solo sulle pareti dell’ingresso e dei primi due corridoi. Anche le pareti del pozzo sono decorate con immagini di Seti I in compagnia di divinità.
La camera (e) presenta capitoli del “Libro delle Porte” (descrizione della quinta ora) oltre ad una cappella dedicata a Osiride. Le pareti della camera (f), che Belzoni chiamò “Sala dei disegni”, sono per l’appunto ricoperte da disegni incompleti, mai terminati, che si riferiscono alle ore Nona, Decima e Undicesima dell’Amduat oltre a Seti I in compagnia di Ra-Horakhti.
Nel corridoio (g) e nel passaggio (h) è riportata la classica cerimonia dell’apertura della bocca e degli occhi mentre nell’anticamera (i) sono rappresentate molte divinità. La camera funeraria (j) presenta uno splendido soffitto a volta decorato con la volta blu intenso, gli astri e le più importanti costellazioni sono dipinte di un giallo pallido che spicca sul blu del soffitto.
Sulla pareti compaiono i testi del “Libro delle Porte” e di quello dell'”Amduat” dove è descritto il viaggio della barca solare di Ra, numerose altre divinità tra cui Anubi intento a praticare l’apertura della bocca con il dio Osiride. Interessanti anche le decorazioni dell’annesso (k) dove, nella Quarta ora del Libro delle Porte, alcuni geni minori mantengono vivo il fuoco dei “Pozzi Ardenti” dove finiscono i dannati.




Come abbiamo detto all’interno della camera funeraria si trovava il sarcofago di alabastro con una particolarità quasi unica nel suo genere, le sue pareti sono spesse solo 5 centimetri attraverso le quali filtra la luce. Al contrario il coperchio è spesso 30 centimetri e venne rinvenuto spezzato dai saccheggiatori. All’interno si trovavano parecchi oggetti, o parti di essi, tra cui degli ushabty in legno alti 1 metro, tutti i reperti si trovano oggi al Sir John Soane’s Museum di Londra.
In uno dei locali, all’interno della tomba, è stata trovata la mummia di un toro cosa che gli è valso anche il nome di “Tomba di Api”. Di Seti I è stata rinvenuta un’altra tomba ad Abydos la cui struttura ricorda quella della KV17, si tratta di un cenotafio al centro del quale si trova una vera e propria isola circondata dall’acqua, sull’isola è situato un falso sarcofago. Simbolica associazione al mito di Osiride ed alle forze primeve della creazione. Questa realizzazione ha fatto sorgere il dubbio che il profondo tunnel della KV17 sia stato realizzato allo scopo di intercettare l’acqua dal sottosuolo.

Di grande interesse il tempio funerario di Seti I, che si trova più a nord di ogni altro tempio, purtroppo è assai lontano dalle mete più frequentate dai turisti, il faraone lo dedicò, oltre che ad Amon, al proprio padre, Ramses I.

Al contrario del figlio Ramesse II o della regina Hatshepsut, col tempo la fama di Seti I svanì (e non poteva essere diversamente con un figlio come Rsmses II), ed anche il suo tempio cadde nell’oblio, un vero peccato perché il tempio si presenta di una bellezza veramente ammirevole dove il turista si trova immerso nell’epoca del faraone.

Seti non fece in tempo a vedere finito il suo tempio perché morì prima ma il figlio amorevolmente lo fece completare. La parte esterna, ormai in rovina, non rende merito alla parte interna, le sale e le anticamere del tempio principale sono ben conservate così come alcuni dei rilievi molto interessanti dove Seti I ed il figlio Ramses II sono rappresentati insieme nell’atto di porgere offerte ad Amon.

Come detto in precedenza, il tempio racchiude la famosa lista reale che Seti I volle per venerare gli antichi sovrani la cui necropoli si trovava presso le sue mura e conteneva sia le tombe che i cenotafi dei suoi predecessori.
Sette cappelle, con soffitti a volta, presentano sulle pareti dettagliati rilievi che mantengono ancora una vivace colorazione, queste fanno parte del tempio ed erano destinate al culto del re e dei principali dei tra i quali Ptah e Amon. In fondo ad ognuna di esse è presente una falsa-porta, tranne in quella di Osiride che possiede una vera porta che da accesso a una serie di santuari interni.



Nella parte posteriore si trovano grandi stanze dedicate al culto di Osiride. In origine il tempio misurava 180 metri di lunghezza, oggi purtroppo la maestosità di questo monumento è appena percettibile in confronto alla sua antica grandezza, in buono stato si trovano attualmente circa 80 metri per una larghezza di circa 120 metri.
Il pilone d’ingresso e i due cortili anteriori del tempio, da cui oggi si accede attraverso un portico che immette direttamente nelle due sale ipostile, sono quasi del tutto ridotti in rovina. La seconda sala ipostila è collegata all’ala sud del tempio tramite un lungo corridoio che riporta, su una parete un interessante rilievo finemente lavorato dove compare Sethi I che, con il figlio Ramesse II, stanno catturando un toro con una corda, la parete di fronte riporta la famosa “Lista dei Re”.

Facciamo ora un giro dietro al tempio e ci troviamo di fronte ad un’altra imponente costruzione religiosa, l’Osireion. Considerato uno dei più importanti monumenti sepolcrali, desta ancora oggi molte perplessità, non tutti concordano sul fatto che a farlo costruire sia stato proprio Seti I, la datazione è tutt’ora incerta e sono tante le ipotesi avanzate che si alimentano delle leggende legate al mito di Osiride (1).

Si ritiene che sia stato edificato nel luogo dove veniva custodita la testa di Osiride, era il centro religioso più importante dove si celebravano i cosiddetti “Misteri Osiriaci”, allo scopo venne utilizzata l’acqua perché secondo la leggenda il dio era stato sepolto su un’isola.

L’Osireion si raggiunge tramite una scala che parte dal tempio di Seti I ed è costituito da una estesa struttura in superficie, situata a circa 15 metri sotto il livello del tempio, e da un’ampia struttura sotterranea. Oggi purtroppo è per meta sepolto e in gran parte inaccessibile a causa delle infiltrazioni di acqua.
L’imponente struttura sotterranea, in parte sommersa dall’acqua, è costruita con enormi monoliti in granito rosa ed arenaria, alti da 4 a 8 metri, larghi circa 2,40 metri e con un peso medio da 100 a 200 tonnellate, lisci e perfettamente levigati incastrati e soprapposti con una precisione di altissimo livello tecnologico, non c’è traccia di malta o cemento, i blocchi sono assemblati tra loro solo con del fango; cosa che si riscontra solo in un altro posto in tutto l’Egitto, il tempio della Sfinge a Giza.

L’Osireion venne scoperto agli inizi del ‘900 dalla spedizione archeologica guidata dall’egittologo Flinders Petries, coadiuvato dalla dott.ssa Margaret Murray e per un certo periodo di tempo venne considerata da alcuni egittologi come l’ipogeo di Seti I, questo perché nel 1929 l’egittologo Henry Frankfort, docente presso l’Università di Londra, rinvenne un frammento di terracotta che riportava incisa la frase “Seti è al servizio di Osiride”.
Le pareti sono completamente prive di incisioni e geroglifici, su alcuni pilastri compaiono raffigurazioni di navi con le vele ammainate ed eccezionalmente il “Fiore della Vita”, un simbolo che troviamo in tutte le antiche culture del mondo.

A rendere ancora più affascinante il mistero che avvolge questa meravigliosa costruzione, è il riscontrare che il livello di perfezione con cui le pietre sono incastrate l’una con l’altra è inferiore al margine di errore ammesso oggi nel calcolo delle migliori autostrade moderne. Molti blocchi sono stati fissati con cambrette di metallo (bronzo?), metodo che veniva utilizzato in tutto il mondo, sono state rinvenute per la prima volta dagli archeologi dopo gli scavi condotti nella storica città greca di Delfi, sede del famoso oracolo.

(1) – Il Mito di Osiride – (per chi ancora non lo conosce)
Osiride e Seth erano figli del dio della terra Geb e della dea del cielo Nut. Osiride sposò la sorella Iside. Tra i due fratelli sorse una rivalità per cui Seth decise di uccidere suo fratello Osiride. Costruì un sarcofago e durante una festa disse che lo regalava a chi fosse riuscito ad entrarci perfettamente. Osiride cadde nell’inganno e appena entrò nel sarcofago Seth lo chiuse dentro e lo gettò nel Nilo. Il sarcofago scese lungo il fiume e raggiunse il mare dove si fermò a Biblo, qui si incastrò in una acacia e col tempo ne venne avvolto. Iside, dopo molte peripezie, venne in possesso del corpo di Osiride, cercando di rianimarlo rimase fecondata ed al momento giusto partorì Horo. Un giorno però Seth trovò il corpo di Osiride e si infuriò a tal punto che lo tagliò in vari pezzi che disperse per tutto l’Egitto. Iside ritrovò tutti i pezzi (con l’eccezione del fallo, mangiato da un pesce gatto) e lo ricompose. Con l’aiuto della sorella Nefti lo riportò in vita usando i suoi poteri magici. Osiride però non poteva più vivere sulla terra quindi diventò il re dei morti. Un’altra versione narra che Iside non trovò i pezzi in cui fu sezionato Osiride ma questi furono trovati dagli egizi che provvidero ad innalzare un tempio su ciascuno dei pezzi del dio. La storia è stata tramandata come mito per millenni tanto da essere ritenuta una realtà; è quindi giustificato pensare che per gli antichi egizi l’Osireion custodisse la reliquia più importante del dio.
Fonti e bibliografia:
- Alessandro Roccati, “L’area tebana, Quaderni di Egittologia”, n. 1, Roma, Aracne, 2005
- Murray Margaret, “The Osirion at Abydos”, British School of Egyptian Archeology, Londra, 1904.
- Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, vol. I, Torino, Ananke, 2004
- Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
- Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005
- Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
- Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
- Christian Jacq, “La Valle dei Re”, trad. di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
- Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’Antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
- Alfred Heuss et al., “I Propilei“. I, Verona, Mondadori, 1980
- Erik Hornung, “La Valle dei Re”, traduzione di Umberto Gandini, Torino, Einaudi, 2004)
(Le foto sono dell’amico Giuseppe Fornara che ringrazio vivamente)









