C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XX Dinastia

IL FARAONE  SETHNAKHT

Di Piero Cargnino

Parlare dei faraoni della XX dinastia è un problema, come abbiamo detto in precedenza gli epitomatori di Manetone fanno riferimento a quanto avrebbero appreso dallo stesso nelle sue “Aegyptiaca” cioè che regnarono dodici sovrani di Diospoli (Tebe) per 135 o 178 anni, anche se in realtà furono solo dieci.

La XIX dinastia finì con un periodo di anarchia, dopo i regni di Siptah e Tausert, ma subito giunse Sethnakht che con tutta probabilità non era di stirpe reale ma un comandante dell’esercito nel quale aveva già servito fin dai tempi di Merenptah. Potrebbe essere stato imparentato in qualche modo con la famiglia reale ma non certo al punto da vantare diritti alla successione. Visto lo sfacelo provocato dai sovrani che lo avevano preceduto, Sethnakht si ribellò ed assunse i pieni poteri riportando rapidamente l’ordine in tutto l’Egitto.

Sethnakht fu il primo sovrano della XX dinastia ma di lui non sappiamo quasi nulla. Il suo glorioso passato come militare lo portò a rifiutare di essere considerato successore di Siptah e Tausert tanto che non li considerò mai ritenendosi successore di Seti II. Da alcuni viene considerato un usurpatore (ma di chi?), dopo Tausert non è che ci fossero pretendenti al trono. Dal suo nome teoforo riferito a Seth si può ritenere che la sua provenienza fosse il Delta del Nilo.

Abbiamo già accennato, parlando di Tausert, del fatto che alla sua morte, o poco prima, scoppiò una guerra civile il cui svolgimento è raccontato sulla Stele di Elefantina fatta incidere nel secondo anno di regno di Sethnakht nella quale si parla di una guerra civile innescata da suoi oppositori nel nord dell’Egitto appoggiati da non meglio specificati mercenari “asiatici”. Sethnakht emerse vittorioso dalla contesa riuscendo a schiacciare i suoi oppositori ed a impadronirsi dell’oro, ornamenti e vesti preziose che avevano accumulato i mercenari asiatici. A questo punto si dedicò alla ricostruzione e riorganizzazione del suo regno. Troviamo conferma anche nel Papiro Harris che attribuisce a Sethnakht il merito di aver riportato l’ordine e la tranquillità nell’intero Egitto.

La sua Grande Sposa Reale, e madre dell’erede Ramses III, fu Tiy-Mereneset, forse figlia di Merenptah. Si pensava che il suo regno fosse durato 2 o 3 anni ma nel 2007 è stata rinvenuta una stele di quarzo, appartenuta a Bakenkunshu “Primo Profeta di Amon” dove è citato il quarto anno di regno di Sethnakht. In quanto a costruzioni non troviamo opere di rilievo ad eccezione del tempio di Amon-Ra a Karnak che Sethnakht fece iniziare ma a completarlo ci penserà poi suo figlio Ramses III. Fece anche iniziare la costruzione della tomba KV11 che sarà poi del figlio Ramses III, ma dovette interrompere i lavori perché durante lo scavo andò a sconfinare nella KV10 di Amenmesse.

Quando Sethnakht assunse al trono fece traslare il corpo di Seti II nell’attuale KV15 usurpando la tomba e forse facendo distruggere il corpo di Tausert sostituendosi a lei nelle decorazioni parietali. Va chiarito che queste sono solo supposizioni poiché nulla dimostra che ciò corrisponda al vero.

La tomba KV14 venne fatta ampliare da Sethnakht rendendola una delle più estese della Valle dei Re, dall’ingresso si dipartono otto corridoi in discesa attraverso i quali si raggiunge una camera funeraria con  soffitto a volta sorretto da otto pilastri con quattro camere incompiute agli angoli, probabilmente questa doveva essere la camera funeraria di Tausert e forse dello stesso Seti II.

Sul lato posteriore, due corridoi in piano portano alla camera funeraria che il faraone Sethnakht aveva fatto costruire per se, qui si trova un sarcofago in granito danneggiato con il relativo coperchio, segue un altro corridoio, non ultimato. I corridoi sono decorati con i capitoli del “Libro dei Morti” e del “Libro delle Porte”, in quella che avrebbe dovuto essere la camera di Tausret si trova un soffitto astronomico e sulle pareti testi del “Libro delle Porte” e del “Libro delle Caverne”. Molto simile a questa è anche la camera funeraria di  Sethnakt.

Per quanto riguarda il sarcofago di  Sethnakht si pensa che anche questo sia stato usurpato a Seti II. Alla sua morte, Sethnakht venne in un primo tempo collocato nella tomba KV14 poi non si hanno più notizie sulla collocazione della sua mummia.

Nel 1898, l’egittologo Victor Loret scoprì la tomba KV35, la tomba, inizialmente prevista per Amenhotep II, venne usurpata poi agli inizi del Terzo Periodo Intermedio. Durante la XXI dinastia venne utilizzata come deposito per la mummie che venivano riposte nelle varie stanze della tomba per salvarle dalle incursioni dei ladri che si facevano sempre più frequenti. Mentre le mummie collocate nel locale h2 della tomba sono state riconosciute, negli altri locali si trovano numerosi corpi o resti non identificabili. Secondo alcuni la mummia di Sethnakht sarebbe la cosiddetta “mummia nella barca” (una mummia rinvenuta già sbendata, forse per un antico saccheggio, riversa in una barca rituale di legno).

Inutile dire che altri non la pensano così, l’egittologo Aidan Dodson non concorda con l’assegnazione a Sethnakht della mummia in quanto a suo parere sarebbe la mummia di un parente di Amenhotep II proprietario della tomba. Il dibattito non ha più ragione di esistere perché nel frattempo la “mummia nella barca” è sparita in seguito ad un saccheggio nel 1901 prima che fosse possibile ogni analisi.  

Fonti e bibliografia:

  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Alfred Heuss e atri., “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XX Dinastia

LA XX DINASTIA

Di Piero Cargnino

Per quanto riguarda la XX dinastia, oltre al solito Manetone (che va sempre preso con cautela) ci viene in aiuto il famoso Papiro Harris. Risalente al regno di Ramses IV il papiro scritto in ieratico è di carattere religioso-storico e chi parla è Ramses III. La parte religiosa non è altro che un elenco di donazioni fatte dallo stesso Ramses III ai templi delle varie divinità da Tebe a Eliopoli a Menfi, Karnak e molti altri, elenco che occupa quasi per intero il papiro e si conclude con la richiesta di benedizione al proprio figlio Ramesse IV. Nella parte storica del papiro vengono narrati gli avvenimenti e i torbidi sociali che hanno caratterizzato l’inizio della dinastia e di come Ramesse III avesse riportato la stabilità riorganizzando l’amministrazione dello stato e soprattutto l’esercito.

Nel papiro il sovrano descrive le spedizioni da lui organizzate a Punt, per l’approvvigionamento della mirra, nel Sinai per il turchese, pietra magica molto ricercata, ed in un luogo non specificato per il rame. Sono descritte le varie guerre contro i popoli del mare condotte anche grazie all’integrazione nell’esercito dei Shardana e dei Mashuash fatti prigionieri che avevano fatto atto di sottomissione allo Stato. Ovviamente, come era uso in Egitto, il papiro a noi giunto, forse copia di un originale, voleva essere un elogio al padre Ramses III da parte del figlio perché incontrasse il favore degli dei nel suo viaggio nell’aldilà, nel contempo dimostrare la fedeltà di Ramses IV nei confronti del padre e dello stato, non deve essere preso alla lettera in quanto non ha alcuna pretesa storica.

Come abbiamo detto il papiro ci parla anche del periodo successivo alla morte della regina Tausert che fu caratterizzato da disordini che non permisero una successione immediata di Setnakht cosa che avvenne dopo un certo lasso di tempo. Lasso di tempo che potrebbe essersi protratto per qualche anno secondo un brano nel quale si paragona questo periodo ad uno precedente di depressione, anche se pare in gran parte immaginario:

Il testo continua a raccontare di stragi e della negligenza verso il culto degli dei finché la pace non venne ristabilita con l’ascesa al trono del faraone Setnakht. E’ chiaro che lo scopo di questo brano è più che altro quello di esaltare il nuovo sovrano e per farlo lo scriba è ricorso a notizie che riguardano la XVIII e XIX dinastia e che risalgono a tempi precedenti la dominazione degli Hyksos.

Viene da pensare che l’accenno ad “Arsu, un siriaco” altro non sia che un velato riferimento a “colui che aveva fatto il re“, il cancelliere Bay.

Manetone parla di dodici sovrani di Diospoli (Tebe) che si sarebbero avvicendati al trono per 136 anni secondo Sesto Africano, o per 178 secondo Eusebio da Cesarea, racconta di un periodo di eventi emozionanti, e di almeno un grande faraone (che però non cita). Nonostante i nemici dell’Egitto, dopo le umilianti sconfitte subite in precedenza premessero sempre più ai confini, gli inizi della XX dinastia lasciavano presagire un periodo di relativo splendore.

In realtà i faraoni di questa dinastia furono dieci e se escludiamo Setnakht, Ramses III, Ramses IX e Ramses XI, la durata degli altri fu alquanto breve, decisamente inferiore a quella che Manetone cita per l’intera dinastia (in totale circa 110 anni). Questi faraoni continuarono a far scavare le loro tombe nella Valle dei Re ma non tutti i Ramessidi vennero sepolti nelle loro tombe e le mummie di almeno tre di essi furono in seguito traslate nella tomba di Amenhotep II con le altre.

Cosa strana è il fatto che, a differenza dei loro predecessori, i faraoni della XX dinastia costruirono le loro tombe secondo uno stile diverso, invece di occultare l’ingresso della tomba per prevenire eventuali violazioni, questi dotarono l’ingresso di un maestoso portale completamente visibile. Immaginatevi che manna per i razziatori di tombe. Va detto inoltre  che questi, per la maggior parte insignificanti sovrani, si muovevano assai raramente dai loro palazzi nel Delta noncuranti dell’importanza e delle ricchezze che accumulavano i sacerdoti di Amon-Ra. Come vedremo questo atteggiamento avrà conseguenze molto gravi nella storia successiva.

Non si costruirono più grandiosi monumenti, salvo in alcuni casi, non scoppiarono più guerre con gli asiatici e con Ramses VI cessarono pure le spedizioni in Sinai. L’Egitto si trovò ad affrontare un progressivo e lento decadimento, ma nonostante tutto incontriamo in questo periodo numerose iscrizioni e papiri di grande interesse che trattano argomenti di varia natura completamente slegati fra loro come fossero articoli a se stanti senza alcun collegamento materiale o geografico tra loro. Verso la fine della dinastia il faraone era in effetti il sovrano solo del Nord mentre al Sud il vero sovrano era il pontefice di Karnak.

Come abbiamo detto questo è un periodo dove abbondano le testimonianze scritte più che in qualsiasi altro periodo della storia egizia. Queste però provengono in massima parte dalla zona di Tebe, abbiamo numerosi diari di lavoro degli operai delle necropoli i quali lamentano l’assenza di direttive precise per i lavori tanto che per lunghi periodi di tempo rimangono in ozio. In alcuni scritti si lamenta l’eccessiva presenza di stranieri a Tebe, Libi o Meshwesh. Certamente costoro non erano graditi e non facevano nulla per esserlo e spesso erano causa di sollevamenti o tumulti con evidenti e disastrose conseguenze sulla popolazione indigena.

Le difficoltà politiche ed economiche che caratterizzano questo periodo storico portano ad una sospensione delle razioni dei lavoratori. A causa di questo si innesca un lungo conflitto tra i lavoratori che vivono a Deir el-Medina e le autorità governative. Abbiamo notizie certe sulle difficoltà che dovevano affrontare gli operai in quel periodo. Più di una volta le razioni furono distribuite ai lavoratori con due mesi di ritardo. Al Museo Egizio di Torino è custodito un papiro che riveste una grande importanza per illustrare la situazione, in modo particolare quella che si venne a creare durante il regno di Ramses III, il cosiddetto “Papiro dello sciopero”.

Il testo in ieratico, scritto dallo scriba Amunnakht, riporta la notizia di quello che si può considerare a tutti gli effetti il primo “sciopero” della storia. In un primo tempo i lavoratori si ribellano rifugiandosi prima nella necropoli di Tebe e poi nei templi di Tutmosi III e Ramses II. Le autorità decidono di accordare agli scioperanti il pagamento delle razioni di grano mensili da loro richieste ma i tumulti continuano perché gli scioperanti volevano parlare direttamente col faraone. Il resto del papiro si perde in una confusione di differenti testi.

Fonti e bibliografia:

  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Alfred Heuss e altri., “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

LA REGINA TAUSERT

Di Piero Cargnino

Siamo alla fine della XIX dinastia, come avevo già anticipato questo è un periodo non molto chiaro dove le notizie sono spesso confuse. Pare comunque che a chiudere questa dinastia sia toccato ad una donna, Tausert (o Tausret o Twosret).

Figlia di Meremptah e forse della regina Takhat, quindi forse sorella del faraone usurpatore Amenmesse, fu la seconda Grande Sposa Reale di Seti II con il quale pare non abbiano avuto figli. Alla morte di Seti II, in quanto unica matrigna del giovane Siptah il quale aveva solo una decina di anni, governò con lui come reggente ed alla sua morte gli successe al trono come faraone.

Durante la reggenza non fu sola ma sempre affiancata dall’onnipotente cancelliere Bay di cui abbiamo già ampiamente parlato.

Secondo la tradizione avrebbe governato per sette anni anche se ciò non corrisponde alla realtà. Tausert iniziò a contare i suoi anni di regno partendo dalla morte di Seti II annullando i sei anni in cui regnò Siptah, lei governò per circa un anno e mezzo. In realtà potrebbe aver regnato anche qualche anno in più, è quanto emerge da un riferimento al suo nono anno di regno che è stato scoperto nel suo tempio funerario a Gurna.

Una curiosità che ci arriva da Manetone per mezzo dei suoi epitomatori, lo storico ellenistico colloca il regno di Tausert nello stesso periodo in cui cadde Troia, Joyce Tyldesley, nel suo libro “Chronicle of the Queens of Egypt” ci riporta il testo:

Theodore Davis, egittologo statunitense, durante una campagna di scavi nella tomba KV56 rinvenne dei gioielli che riportavano il nome della regina e del suo consorte Seti II, trovò anche altri gioielli appartenenti a Ramesse II.

Per quanto riguarda la tomba KV56 il titolare è sconosciuto, secondo Cyril Aldred sarebbe appartenuta alla stessa Tausert e ad una figlia di Seti II, secondo altri, tra cui Gaston Maspero, non si tratterebbe di una vera tomba ma solo di un nascondiglio per parti del corredo funerario di Tausert.

Alla morte di Siptah, Tausert si attribuì prerogative reali, e, come se ciò non bastasse si autodefinì, “Figlia di Ra, Signora di Ta-Merit, Tausert di Mut” e tale si proclamò a partire dalla morte di Seti II annullando l’esistenza del giovane Siptah. Arrivò anche a far modificare le pitture già predisposte nella sua tomba (KV14) facendo sostituire, le figure che la ritraevano in compagnia di Siptah, con Seti II.

Secondo alcuni questa condanna postuma indurrebbe a credere che Siptah non fosse figlio di Seti II ma del faraone usurpatore Amenmesse, su quest’ultima ipotesi si sta ancora dibattendo.

Anche Tausert, come prima di lei Hatshepsut, in quanto donna, incontrò alcune difficoltà nell’affrontare il protocollo reale. A differenza della regina Hatshepsut, Tausert non compare mai con la barba posticcia tipica dei faraoni anche se in una statua ad Eliopoli dove compare come donna, i titoli che sono in essa riportati sono equivoci in quanto sono misti, femminili e maschili. Come regina assunse anche il ruolo di “Sposa del Dio”, riferito ad Amon di Tebe, una  carica di notevole prestigio tanto che nel tempio di Amada viene rappresentata in queste vesti.

Contrariamente a quanto  per anni gli egittologi hanno creduto, ovvero che Tausert abbia regnato con l’appoggio del cancelliere Bay, in effetti la regina poté contare sul cancelliere solo per un certo periodo della reggenza poiché nel suo quinto anno di regno Siptah lo fece giustiziare.

Certo non dovette stare con le mani in mano, la regina, si ha notizia di varie spedizioni minerarie in Palestina ed in Siria ai giacimenti di turchese, mentre iscrizioni riconducibili a Tausert compaiono in varie località. Il suo nome compare ad Abido, Ermopoli, Menfi ed in Nubia e statue che la ritraggono si trovano a Eliopoli ed a Tebe.

Altre testimonianze che ci parlano di lei compaiono sulla Stele di Bilgai, eretta in occasione dell’inaugurazione di un monumento presso Sebennito nel Delta; una statua che la rappresenta con in braccio il piccolo Siptah; e inoltre il suo nome compare accanto a quello di Siptah nelle miniere di turchese di Serabit el-Khadim e Timna nel Sinai; il suo cartiglio è stato trovato impresso su di un vaso in faience a Tell Deir Alla, in Giordania. Tausert iniziò a farsi edificare un tempio funerario nei pressi del Ramesseum la cui esecuzione fu presto interrotta, dagli scavi eseguiti sia da Petrie, prima, poi da Wilkinson e Creasman è emerso che, se ultimato, avrebbe avuto una struttura più complessa di quanto si ritenesse.

Non sappiamo se Tausert sia morta serenamente come regina o per un complotto di palazzo quello che si sa è che alla sua morte, o poco prima, scoppiò una guerra civile il cui svolgimento è raccontato sulla Stele di Elefantina fatta erigere dal successore di Tausert, Sethnalht. Sethnalht  emerse vittorioso dalla contesa e divenne il primo faraone della XX dinastia anche se pare non subito, secondo il Papiro Harris alla morte di Tausert ci fu un breve periodo in cui nessuno ricoprì il rango di sovrano, l’Egitto attraversò un periodo di disgregazione e di grande debolezza del potere centrale; questa affermazione però non è supportata da altre prove storiche. Seguì purtroppo un tempo buio dove si cercò di nascondere il più possibile la discendenza precedente, Sethnalht usurpò la tomba di Seti II e Tausert modificandone la struttura, fece porre Seti II in un’altra tomba, la KV15 e fece togliere le immagini di Tausert, sostituendole con le sue nella KV14.

Le vicende di questa tomba sono un po’ confuse, venne iniziata da Seti II, in alcune scene troviamo Tausert con Siptah anche se il suo nome è stato scalpellato e sostituito con quello di Seti II, il sarcofago della regina venne usurpato dal principe Amonherkhepeshef, cinquant’anni dopo ed usato per lui nella tomba KV13.

Il sarcofago di Tausert è un monolite di granito rosso lungo 2,80 metri e largo 1,20 metri pesante 6 tonnellate, rinvenuto spezzato in più parti è stato restaurato e dal 2019 è esposto al museo di Luxor, ai lati sono rappresentati i quattro figli di Horus e preghiere per la regina. La mummia di Tausert non è mai stata ritrovata, si pensa che Setnakht l’abbia fatta distruggere, cosa che sarebbe ancora più spregevole della damnatio memoriae per la religione egizia. Qualcuno ha ipotizzato che potrebbe essere la mummia della cosiddetta “Donna Sconosciuta” rinvenuta nella tomba KV35 ma in nessun caso esistono prove di alcun genere.

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alfred Heuss e al., “I Propilei”. I, Verona, Mondadori, 1980
  • Università di Cambridge, “Storia Antica. II, 3. Il Medio Oriente e l’area Egea 1380-1000 a.C.”, Milano, Il Saggiatore, 1975
  • Mario Tosi, “Tausert, l’ultima regina”, Torino, Ananke, 2007
  • Joyce Tydesley, “Chronicle of the Queens of Egypt”, Londra, Thames & Hudson, 2006  
  • Vivienne G. Challender, “Queen Tausert and in the End of Dynastyy 19”. Studies Zur Altagyptischen Kultur, 2004
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

BAY – IL CANCELLIERE ONNIPOTENTE

Di Piero Cargnino

Vi chiederete perché voglio dedicare la mia attenzione ad una figura che passerebbe forse del tutto inosservata a coloro che seguono la storia egizia raccontata attraverso i grandi, o meno grandi, faraoni che hanno governato le Due Terre. Personalmente la trovo interessante anche perché arriva al crepuscolo di una grande dinastia, la XIX, alla quale seguiranno momenti meno esaltanti per l’Egitto e poi perché è comunque storia dell’Egitto.

Bay, Ramesse Khamenteru, anche Iarsu, funzionario già sotto i faraoni Merenptah ed Amenmesse, se non addirittura di Ramses II, sotto il regno di Siptah assurge ai più alti gradini della burocrazia egizia. Oggi diremmo “uno che si è fatto da se”, non si sa come, ma si era fatto da se. Come ci sia arrivato è tutto da vedere, potrebbe essergli tornata utile una probabile relazione con la madre di Siptah, una concubina di Seti II (o di Amenmesse) di origini cananee, la siriana Tia’a.

Le sue origini erano siriane, era un Hurrita, lo troviamo per la prima volta durante il regno di Seti II, dapprima come scriba e maggiordomo, posizione assai importante nell’antico Egitto. E’ probabile però che i primi incarichi gli siano stati affidati in precedenza da Merenptah o addirittura da Ramses II. Assunse una grande importanza, tanto da diventare un politico determinante sul finire della XIX dinastia al punto, come già detto in precedenza, da autodefinirsi:

Sicuramente dovette ricoprire un ruolo preminente a corte poiché in alcune raffigurazioni compare in piedi dietro al trono di Siptah, o dietro al sovrano mentre questi fa offerte ad Amon, una posizione mai occupata da un personaggio di origini non nobili. Una figura simile, chiamata Iarsu, viene descritta in questo periodo nel “Grande Papiro Harris” anche se nulla ci prova che si tratti della stessa persona. Bay potrebbe aver rivestito dapprima il ruolo di sacerdote, lo testimonierebbe una sua statuetta rinvenuta nel tempio di Eliopoli.

Sul finire del regno di Seti II divenne cancelliere assumendo un ruolo di primo piano anche nei confronti dell’ascesa al trono dell’adolescente Siptah. Acquisì un potere talmente elevato che, su vari monumenti del re, a dispetto di quanto prevedeva l’arte ufficiale egizia, che il faraone venisse ritratto in scala maggiore rispetto a ogni altro personaggio, con l’unica eccezione delle divinità, su numerosi monumenti compare con le stesse dimensioni del re.

Non solo, ma su alcune iscrizioni Bay si pone come colui che pose il re << sul trono di suo padre >> senza che venga specificato come e perché ciò sarebbe avvenuto. Durante il suo terzo anno di regno Siptah lo nominò responsabile del proprio culto personale. In tutta la storia egizia non incontriamo alcun personaggio, di stirpe plebea, che possa vantare un potere così elevato presso la corte di un faraone.

L’importanza raggiunta dovette essere tale che il faraone Seti II (ma più probabilmente Siptah) gli concessero di farsi costruire una tomba nella Valle dei Re (la KV13). Un privilegio decisamente inaudito mai concesso ad alcuno tanto meno ad un personaggio straniero. La sua tomba, come quella della regina Tausert (KV14) fa parte di un complesso di tre tombe, con quella di Siptah, solo che le loro sono copie più piccole di quella del re.

Su alcune tavolette emerse dagli scavi a Ras Shamre emerge una serie di scambi epistolari tra Ugarit e Bay dove quest’ultimo compare come << Capo delle guardie del Corpo del Grande Re, del Re d’Egitto >>.

In un primo momento si pensò che Bay avesse continuato nei suoi incarichi anche durante il regno della regina Tausert ma il recentissimo rinvenimento di un ostrakon, scoperto nel 2000 da Pierre Grandet e pubblicato su BIFAO (Bulletin de l’Institut Français d’Archéologie Orientale), col titolo “L’execution du chancelier Bay”, rivela una realtà del tutto diversa.

In effetti Bay venne giustiziato già nel quinto anno di regno di Siptah, sul recto dell’ostrakon è riportato un annuncio per gli operai che stavano lavorando alla sua tomba. Il testo recita:

Subito si provvide a cancellare il nome di Bay dalla tomba e lo stesso venne del tutto censurato forse ad opera dei successori, principalmente di Sethnakht che decisero che non doveva essere considerato alcun successore legittimo di Seti II, cosa che in parte aveva già fatto la regina Tausert che fece scalpellare i cartigli di Siptah. Questo ci induce a pensare che Bay dovette averla combinata proprio grossa, si raccontava che avesse avuto una tresca con la regina Tausert della quale fu anche amante. Secondo alcuni si tratta solo di ipotesi non confermate da alcun riscontro, non solo ma Bay venne giustiziato nel quinto anno del regno di Siptah, almeno due anni prima che Tausert ascendesse al trono.

Bay, ormai considerato traditore, non fu sepolto nella sua lussuosa tomba che venne usurpata parecchi anni dopo dal principe Montuherkhepshef, figlio di Ramses IX. Il “Papiro Harris” non è certo tenero nei confronti di Bay in quanto afferma che nel periodo in cui era in carica l’Egitto attraversò un periodo di caos durante il quale si negavano addirittura le offerte agli dei.

Il successore di Tausert, Sethnakht, primo re della XX dinastia, fece espellere dall’Egitto tutti gli asiatici che erano stati fatti arrivare da Bay i quali fuggendo abbandonarono molto oro, argento e rame che, nel frattempo, avevano rubato. L’editto di Sethnakht è riportato su di una stele sull’isola di Elefantina. E per finire torniamo a parlare di Esodo. Nei suoi Aegyptiaca Manetone racconta che, in questo periodo, un sacerdote di nome Osarseph guidò un numero imprecisato di lebbrosi asiatici fuori dall’Egitto, molti vedono in questo l’Esodo di Mosè. Secondo alcuni studiosi, Bay sarebbe il biblico Giuseppe mentre Osarseph potrebbe essere Mosè.

Sul cancelliere Bay vedi anche: IL GRAN CANCELLIERE D’EGITTO BAY

Fonti e bibliografia:

  • Pierre Grandet, “L’execution du chancelier Bay O. IFAO 1864”,  BIFAO 100, 2000
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alfred Heuss e al., “I Propilei”. I, Verona, Mondadori, 1980
  • Università di Cambridge, “Storia Antica. II, 3. Il Medio Oriente e l’area Egea 1380-1000 a.C.”, Milano, Il Saggiatore, 1975
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

IL FARAONE SIPTAH

Di Piero Cargnino

Abbiamo già parlato di Siptah in altra occasione, di lui si è per molto tempo ritenuto che fosse figlio di Seti II e della prima Grande Sposa Reale Takhat, alcuni obiettano che potrebbe essere stato il figlio della terza Sposa di Seti II, la siriana Tia’a. Secondo alcuni egittologi che hanno esaminato un rilievo custodito al Louvre (E 26901) hanno notato che il nome di Siptah è affiancato a quello di Sutulja, una concubina reale, nel rilievo Sutulja viene definita come madre di Siptah. Sul padre è stata avanzata l’ipotesi secondo cui potrebbe essere il figlio del faraone Amenmesse poiché, come lui, durante la XX dinastia era considerato illegittimo.

Che sia di stirpe reale non dovrebbero esistere dubbi in quanto compare in una statua seduto sulle ginocchia di un Faraone mancante della testa. Salito al trono intorno ai 10 – 12 anni ebbe un regno molto breve, poco più di cinque anni, alla sua morte non era ancora ventenne. Erede dei grandi Seti I e Ramses II, fu l’ultimo sovrano della discendenza maschile, ultimo della XIX dinastia che si chiuderà con la regina Tausert, vedova di Seti II e forse matrigna di Siptah.

Data la giovane età gli egittologi suppongono che abbia governato con la reggenza della Grande Sposa Reale di Seti II, Tausert. In questo periodo comparivano due sovrani con lo stesso nomen, Ramses Siptah e Merenptah Siptah ma grazie agli studi dell’egittologo Alan Gardiner è stato appurato che si trattava dello stesso Siptah che, intorno al secondo o terzo anno di regno, inspiegabilmente, cambiò il prenomen da Ramses Siptah a Meremptah Siptah.

Va detto che il regno di Siptah, come quello seguente della regina Tausert, furono condizionati fortemente dalla figura di un funzionario di corte, il cancelliere Bay, un personaggio non di nobili origini, giunto nella sua posizione non si sa come, raggiunse un grado di influenza a corte decisamente inusuale tanto da autodefinirsi: << Grande Sovrintendente dei Sigilli dell’intero Paese, Colui che pose il Re sul trono di Suo Padre; amato dal suo Signore: Bay >>. Una strana, oltre che interessante figura della quale parleremo in seguito.

Siptah fu sepolto nella Valle dei Re, nonostante la sua tomba, la KV47 non fosse ancora terminata. Nel 1905, quando Edward Russell Ayrton la scoprì era in cattive condizioni e l’egittologo si limitò a scavare i corridoi e l’anticamera prima di smettere per il timore di crolli. Rilievi epigrafici vennero effettuati nel 1907 da Harold Jones ma fu solo nella campagna di scavi del 1912-13 che Harry Burton proseguì gli scavi giungendo fino alla camera funeraria. Anche Howard Carter, nel 1922, eseguì alcuni scavi ma solo nei pressi dell’ingresso. Passarono oltre settant’anni finché nel 1994 il Supremo Consiglio delle Antichità egizio procedette ad effettuare lavori di consolidamento e restauro che vennero ripresi e conclusi nel 1999 dal MISR Projet Mission Siptah-Ramses X.

In un primo tempo già Ayrton e poi Burton ipotizzarono che la KV47 avesse ospitato la mummia di Siptah e della madre Tia’a. All’interno della tomba sono chiaramente visibili segni di manomissione o tentativi di usurpazione infatti i cartigli di Siptah risultano abrasi e poi, in seguito, restaurati ma solo pittoricamente. Gli studiosi escludono che si tratti di una sorta di damnatio memoriae in quanto non esistono motivazioni che possano suffragare una simile ipotesi.

La tomba KV47 segue il tipico sviluppo delle tombe della XIX dinastia, dall’ingresso si accede, attraverso una scala in leggera pendenza, a tre corridoi sempre in pendenza, da qui si sbuca in una prima camera molto piccola dalla quale parte un brevissimo corridoio che porta ad una camera grande il cui soffitto è sorretto da quattro pilastri. Da questa camera si dipartono due corridoi in piano al termine dei quali si trovano l’anticamera e la camera funeraria anch’essa sorretta da quattro pilastri.

Tra l’anticamera e la camera funeraria, sulla sinistra, si incontra un corridoio che si interrompe quasi subito perché se proseguito avrebbe intercettato la tomba KV32 che si trova molto vicina.

Solo i primi corridoi sono ben rifiniti e decorati con le “Litanie di Ra” e capitoli del “Libro dei Morti”, in una immagine si vede il re al cospetto di Ra-Horakhti. Tutto il resto della tomba, compresa la camera funeraria, non venne mai finito. Al centro della camera funeraria si trova il sarcofago di Siptah decorato con Anubi ed una serie di demoni dell’oltretomba, anche sul sarcofago si notano i cartigli abrasi.

Ayrton rinvenne inoltre frammenti di un altro sarcofago oltre ad altri di due sarcofagi antropoidi e due vasi canopi. All’interno del sarcofago erano contenute ossa relative a sepolture postume, forse della XXI dinastia. La mummia, come quella di molti altri faraoni, venne riposta nella tomba di Amenhotep II (KV35) durante la XXI dinastia e venne trovata da Victor Loret nel 1898. Il corpo, pesantemente danneggiato dai predatori, risultava chiaramente deformato, probabilmente da poliomielite, la  gamba sinistra più corta ed il piede deformato.

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alfred Heuss e al., “I Propilei”. I, Verona, Mondadori, 1980
  • Università di Cambridge, “Storia Antica. II, 3. Il Medio Oriente e l’area Egea 1380-1000 a.C.”, Milano, Il Saggiatore, 1975
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

IL FARAONE SETI II

Di Piero Cargnino

Seti II salì al trono alla morte del padre Merenptah ed avrebbe regnato per circa sei anni anche se durante il suo regno dovette far fronte all’interferenza di Amenmesse, di cui abbiamo già parlato in precedenza. C’è da dire che questo è un periodo abbastanza oscuro per l’Egitto, i pochi dati di cui dispongono gli studiosi non permettono neppure di tracciare una sequenza sicura nella successione degli ultimi sovrani della XIX dinastia. Addirittura Ramses III, nella sua lista degli antenati, salta da Seti II a Sethnakht, suo padre, primo faraone della XX dinastia.

Come già ampiamente spiegato in precedenza, Amenmesse non ebbe mai il controllo di tutto l’Egitto ma solo quello dell’Alto Egitto e non è neppure certo che Seti II si sia imposto con una vera e propria guerra civile o più semplicemente con un serrato confronto politico. Alcuni sostengono che Seti II potrebbe aver sposato la regina Takhat dalla quale avrebbe avuto come figlio proprio Amenmesse, ipotesi ritenuta inverosimile in quanto Seti II era già in età assai avanzata, per quei tempi, cosa che renderebbe poco credibile che potesse avere già un figlio in età adatta a tentare la scalata al potere.

Sposò però la Regina Tausert dalla quale ebbe un figlio Siptah. Tausert, alla morte di Seti II diventerà coreggente del figlio ancora fanciullo ed alla morte prematura di Siptah diverrà lei stessa faraone.

Seti II esercitò una certa attività edilizia, inoltre restaurò ed ampliò altri monumenti oltre ad usurpare quelli di suoi predecessori in particolare quelli eretti da Amenmesse. Il suo breve regno non fu caratterizzato da guerre o campagne militari oltre i confini egiziani.

Alla sua morte Seti II venne dapprima sepolto nella tomba KV14 della Grande Sposa Reale Tausert, poi trasferito nella KV15 che era ancora in costruzione ma venne frettolosamente ultimata.

In seguito ai già più volte citati saccheggi, durante la XXI dinastia, la sua mummia fu trasferita nella tomba di Amenhotep II (KV35) dove venne rinvenuta.

La sua tomba, come molte altre, era già conosciuta fin dall’antichità, già nel 1737 Richard Pocoke eseguì una prima mappatura ma una mappatura più approfondita venne eseguita durante la spedizione di Napoleone nel 1799. In seguito venne esplorata da James Burton nel 1825, la tomba venne ulteriormente rilevata da Ippolito Rosellini ed in seguito da Karl Richard Lepsius nel 1844. Fu poi Haward Carter ad eseguire  scavi sistematici nel 1903.

L’ingresso alla tomba avviene attraverso una piccola entrata dalla quale si accede a  tre lunghi corridoi in leggera pendenza dopo i quali si accede ad un’anticamera sorretta da quattro pilastri, sempre proseguendo troviamo la camera funeraria, da questa prosegue un breve corridoio mai finito. Tutti i locali sono intonacati di bianco e denunciano la fretta che dovette assillare gli esecutori in quanto il re venne sepolto prima ancora che i lavori fossero ultimati, all’inizio si trovano dei bassorilievi mentre proseguendo questi sono sostituiti da decorazioni solo dipinte.

Le decorazioni della tomba si sono conservate molto bene, inspiegabilmente però si riscontra che i cartigli di Seti II furono dapprima scritti, poi cancellati ed in seguito riscritti, la motivazione di ciò è del tutto inspiegabile.

All’ingresso della tomba troviamo un motivo predominante che si ripete poi in altre parti della tomba, si tratta della rappresentazione della dea Maat inginocchiata sulle piante araldiche dell’Alto e Basso Egitto. Sulle pareti dei tre corridoi che seguono sono rappresentasti, a partire dal primo e poi a seguire, le “Litanie di Ra” ed il “Libro dell’Amduat”, segue una piccola camera dove sono rappresentate suppellettili funerarie in modo talmente realistico che ricordano alcune di quelle trovate nella tomba di Tutankhamon. L’anticamera è decorata con i testi del “Libro delle Porte” mentre i quattro pilastri presentano su ciascun lato una grande figura, il breve corridoio che segue non è mai stato ultimato.

La mummia di Seti II venne sbendata da Elliot Smith nel 1905 e presenta un uomo di mezza età, alto 1 metro e 64 centimetri accuratamente imbalsamato anche se la violenza, di cui è stata oggetto da parte dei saccheggiatori in cerca di gioielli e amuleti preziosi, l’ha ridotta molto male, il capo è stato mozzato con asce o coltelli così come le braccia e le dita, tanto che l’avambraccio destro con la mano non sono mai stati trovati.

A dispetto di così tanta crudeltà e violenza, sono stati trovati alcuni amuleti in faience che erano stati legati ai piedi. Con spirito di umana pietà i sacerdoti della XXI dinastia restaurarono, per quanto possibile, la mummia in occasione del suo trasbordo dalla KV15 alla KV35, la avvolsero poi in un sudario sul quale trascrissero la vicenda dei suoi resti. A seguire vi parlerò della statua colossale di Seti II, che fa bella mostra di se, con i suoi 5,16 metri di altezza e del peso di 6 tonnellate, nella Galleria dei Re del Museo Egizio di Torino. Insieme a un’altra simile, oggi conservata al Louvre, questa statua si trovava originariamente davanti all’ingresso di una cappella edificata da Seti II nel gran cortile del tempio di Karnak.

IL TORINESE COLOSSO DI OSIMANDIA

Visitando il Museo Egizio di Torino, dopo aver ammirato i reperti esposti, si raggiunge il piano terreno e ci si trova immersi nella meravigliosa Galleria dei Re, allestita in occasione delle Olimpiadi di Torino del 2006 dallo scenografo Dante Ferretti, premio Oscar nel 2005, (“The Aviator” di Martin Scorzese). Sul fondo, si staglia una colossale statua.

Trattasi di una statua in arenaria quarzosa molto compatta di colore giallo rossastro, alta 5,16 metri e del peso di 6 tonnellate che raffigura il faraone Sethi II Merenptah in piedi con veste sacerdotale e regge un’insegna sacra. La postura, stante, caratteristica delle statue maschili antico egizie, col piede sinistro avanzato ed il peso del corpo insistente sulla gamba destra verticale costituisce un esempio di notevole statuaria monumentale capace di esprimere la stabilità e la forza del re attraverso l’armonia della muscolatura e la geometricità dei volumi e delle linee.

Sul capo cinge la corona “Atef” ornata lateralmente da due piume di struzzo. Al fianco sinistro porta uno stendardo sulla cui sommità si trovava un’immagine del dio Seth oggi non più presente. Tenuto conto che, a parte un’iscrizione sul retro della statua, tutte le altre iscrizioni sono state abrase, questo porta a pensare che, anche la mancanza dell’immagine di Seth, sia stata un’azione deliberata.

La statua, contrassegnata col n. Cat. 1383, faceva parte della Collezione Drovetti e ad essa era stato assegnato il nome de “Il torinese colosso di Osimandia”.

Così iniziano le “Osservazioni intorno all’età, ed alla persona rappresentata dal maggiore colosso del Reale Museo Egiziano di Torino”, opera del Cav. Giulio Cordero di S. Quintino, edita dall’Accademia delle Scienze di Torino in data 19 agosto 1824. L’opera viene pure ricordata dal Prof. Silvio Curto nel suo libro dove ne fornisce una dettagliata spiegazione.

Parlando della statua di Sethi II il S. Quintino racconta che essa fu trovata dal Drovetti nelle rovine di Tebe nel 1818, con un’altra uguale ma rotta in più pezzi che fu portata a Roma. Trasportata a Livorno con la nave norvegese Trondheim, vi rimase fino al 24 gennaio 1824 quando il re Carlo Felice concluse col Drovetti il contratto di acquisto della sua Collezione. Presa in consegna ufficialmente, il Cav. di S. Quintino la fece trasportare, sempre via mare, a Genova e da qui a Torino dove giunse a settembre 1824. Intanto Carlo Felice aveva fatto sistemare la Collezione Drovetti nel Palazzo dell’Accademia delle Scienze, costituendo così un museo che era unico del genere al mondo, non solo ma documentava compiutamente l’antica civiltà egizia, nell’arte, nella storia, nella religione ed in ogni altro aspetto. Direttore venne nominato lo stesso Cav. S. Quintino. Il colosso venne collocato nel cortile nel Palazzo dell’Accademia delle Scienze, dove rimase per tutto il gelido inverno torinese. Frattanto già dal maggio dello stesso anno era giunto a Torino un giovane orientalista di Grenoble che due anni prima aveva trovato la chiave per decifrare i geroglifici, tale Jean Francois Champollion. Accolto entusiasticamente dai più, lo fu meno dal S. Quintino, fermo nelle sue idee reazionarie mentre lo Champollion vantava un passato bonapartista. Tra i due ne nacque un contrasto che si accentuò quando Champollion, rese noto il suo sdegno nel vedere che il colosso, che secondo lui apparteneva al re “Osimandia”, se ne stava abbandonato alle intemperie. Nonostante tutto il Direttore, alle prese con i tanti problemi che causava la sistemazione dei reperti, ad un certo punto accettò una collaborazione pertanto favoriva in tutti i modi Champollion fino a diventare un suo ardente sostenitore circa la lettura fonetica dei geroglifici.

Sorse però una nuova contesa tra gli studiosi circa l’attribuzione al re “Osimandia” del colosso. Questo sovrano viene citato una sola volta da Diodoro Siculo nella “Biblioteca”, I, 47, dove lo storico descrive, ma non per conoscenza diretta, un grandioso edificio a Tebe, fronteggiato da due statue colossali, chiamato appunto “Sepolcro di Osimandia”. Quando poi Champollion si recò in Egitto con la spedizione Franco-Toscana del 1828-29, riuscì a stabilire che l’edificio in questione era appartenuto a Ramses, che egli individuò come il III. A questo punto gli studiosi chiarirono che “Osimandia” altro non era che il prenome di Ramses II il Grande ovvero “User-maat-Ra”.

La disputa continuò finché, nel 1839, il primo compilatore di un “Catalogo illustrato dei monumenti egizii del Regio Museo di Torino”, descriveva con esattezza la statua come appartenuta al faraone Sethi II della XIX dinastia. A puro titolo di curiosità possiamo dire che mancano iscrizioni dell’epoca di Seti II ma in compenso, come era in uso agli inizi dell’ottocento quando il commercio di reperti era ancora legale, troviamo le iscrizioni di coloro che scoprivano o negoziavano i reperti:

“DECOUVERT PAR. j. RIFAUD / sculpteur . au . SERVICE / DE . MR . DROVETTI / A Thebès . 1818”
“FORT FRA EGYBTEN / TIL LIVORNO . I . SKIBET / TRONHIEN cap n. RICHELIEU / 1819”.

Fonti e bibliografia:

  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Alfred Heuss e atri., “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980

Per “Il torinese colosso di Osimandia”:

  • Prof. Silvio Curto, “Attraverso l’Egittologia”, ed. Egyptbook s.a.s. Dicembre 2001
  • Cav. Giulio Cordero di S. Quintino, “Lezioni archeologiche intorno ad alcuni monumenti del Regio Museo Egiziano di Torino”, Stamperia Reale 1824
  • Paolo Bondielli, “Anche le statue parlano, anzi…scrivono!”, Articolo da Mediterraneo Antico, 2020)
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IL “FARAONE” AMENMESSE  E LA REGINA TAKHAT

Di Piero Cargnino

Amenmose (Nato da Amon), ellenizzato in Amenmesse, portava il nome regale di Menmira-Setepenra (Eterno come Ra, Scelto da Ra) accompagnato dellepiteto Hekauaset (Signore di Tebe). Tutti questi nomi per indicare un’effimero sovrano di cui non si conosce con certezza il padre, potrebbe essere un figlio di Merenptah e della regina Takhat, o uno degli innumerevoli figli di Ramses II o addirittura di Seti I.

Governò parte dell’Egitto per un breve periodo, 3 o 4 anni. Secondo alcuni egittologi, tra questi Kennet Kitchen e Jurgen von Beckerath, Amenmesse non fu mai designato a succedere al trono di Merenptah, molto probabilmente, approfittando di una momentanea debolezza di Seti-Merenptah (Seti II), vero principe ereditario, mentre questi si trovava in Asia, si creò un regno fittizio nell’Alto Egitto.

Il regno di Amenmesse e la sua posizione all’interno della XIX dinastia sono particolarmente oscuri. La maggior parte degli egittologi ritiene che Seti II sia salito al trono alla morte del padre Merenptah senza l’intermezzo di Amenmesse e che quindi costui non debba essere considerato un vero faraone ma forse semplicemente un governatore locale, o un membro della famiglia reale, che si arrogò il diritto alla successione, successione che non gli riuscì per cui fu solo un temporaneo appropriarsi dei poteri, in modo particolare in Nubia e nella tebaide.

A Tebe si trovano alcune attestazioni riferite ad Amenmesse mentre non se ne trovano di relative al terzo e quarto anno di Seti II. Questo ci porta a pensare che Seti II salì al trono ed iniziò la costruzione della sua tomba a Tebe ma nel suo terzo anno di regno perse il controllo dell’Alto Egitto a causa della rivolta di Amenmesse che, oltre ad autoproclamarsi re, tentò pure di usurpare la tomba di Seti II, non ancora terminata, e ne fece sfregiare le pareti. Seti II non si fece attendere, attaccò le truppe di Amenmesse e le sconfisse entrando trionfatore a Tebe. Subito ordinò il ripristino della propria tomba.

Dalle varie iscrizioni che si è potuto reperire diventa molto complesso capire fin dove si può prestare fede, queste sono state più volte modificate a turno da Amenmesse e Seti II. Quello che pare certo è che la madre di Amenmesse fosse effettivamente una “regina Takhat”, ma chi fosse in realtà  costei è oggetto di dibattito, sappiamo che uno dei suoi titoli è quello di “Figlia del Re”, ma quale Re? Merenptah o Ramses II? Su una lista di principesse, oggi al Louvre risalente al cinquantatreesimo anno di regno di Ramses II compare il nome di una Takhat, che potrebbe essere coetanea di Seti II.

Takhat compare in molte sculture con Amenmesse, in particolare su una di esse, presente nel complesso templare di Karnak, Takhat viene indicata come “Figlia del Re e Sposa del Re”, (si può facilmente intuire che la parola “Sposa” è stata successivamente impressa sulla originale “Madre”).

Gli egittologi Dodson e Hilton suggeriscono che il titolo di madre venne sostituito da quello di sposa quando Seti II riconquistò l’intero Egitto riappropriandosi del potere, se così fosse allora Takhat potrebbe aver sposato Seti II precedentemente. A questo punto Amenmesse sarebbe figlio di Seti II  che si sarebbe ribellato al proprio padre cercando di strappargli il trono.

Il dilemma si complica se si esamina un’altra statua, sempre proveniente da Karnak ma oggi al Museo del Cairo, dove Takhat viene sempre nominata come “Figlia del Re e Sposa del Re”, senza che siano state apportate modifiche, mentre il nome del re è stato più volte modificato, secondo Dodson e Hilton in origine era Seti, poi fu modificato in Amenmesse quando questi la usurpò, infine, con la conquista definitiva del potere, rimodificato in Seti.

Un’altra teoria suggerisce che Seti non sposò mai Takhat, sostituì solo il nome per cancellare ogni traccia di suo figlio Amenmesse. Altri ancora ritengono che Takhat fosse figlia di Merenptah cosa che porterebbe a pensare che Seti II e Amenmesse sarebbero stati fratellastri. Questo tira e molla di sostituzioni di nomi e titoli si protrae ancora, nella Grande Sala Ipostila del tempio di Amon a Karnak, sei statue in quarzite che raffiguravano Amenmesse, pare che Seti II che le abbia modificate apponendovi i suoi cartigli.

Alla sua morte Amenmesse fu sepolto nella Valle dei Re nella tomba conosciuta come KV10. La tomba fu profanata già fin dall’antichità anche se il principale profanatore fu proprio Seti II il quale ordinò che le iscrizioni e le immagini dipinte sulle pareti venissero raschiate ed in parte furono usurpate dagli incaricati di Seti II, cancellando ogni riferimento ad Amenmesse.

All’interno della tomba furono rinvenute tre mummie due femminili e una maschile, secondo alcuni si tratterebbe di Amenmesse, della madre Takhat e di una probabile sposa di nome Baketurel. E’ più facile però che si tratti di sepolture successive in quanto si può ritenere che Seti II abbia fatto distruggere il corpo di Amenmesse allo scopo di infliggergli la più terribile delle punizioni per la religione egizia, con la distruzione del corpo gli veniva impedito di raggiungere la vita eterna. Inoltre un tale atto dovette servire da esempio e sottolineare la gravità del tradimento.

Per quanto riguarda la regina Takhat fu sepolta nella stessa tomba di Amenmesse in un sarcofago che era appartenuto a una principessa e regina di nome Anuketemheb del tutto sconosciuta, forse una figlia di Ramses II. In seguito la tomba fu usurpata da componenti della famiglia di Ramses IX.

Fonti e bibliografia:

  • Frank Joseph Yurco, “Amenmesse era il viceré di Kush, Messuwy?”, Jarce34, 1997
  • Aidan Dodson, “La tomba del re Amenmesse: alcune osservazioni”., DE 2,  1985
  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Alfred Heuss e atri., “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
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IL FARAONE MERENPTAH

Di Piero Cargnino

Il Grande faraone se ne è andato, il trono passa dunque al suo fedele figlio Merenptah. Tredicesimo nell’ordine di discendenza, figlio della Grande Sposa Reale Isinofret, Merenptah, il cui nome di Horo era “Kha Nekhet Hajm-maat”, quando salì al trono era già anziano, avendo superato i 60 anni di età, ed il suo regno non dovette durare più di 9 anni.

La sua Grande Sposa Reale fu Isinofret II, omonima della madre. Formato e plasmato alla scuola del padre, Merenptah non fu in grado di imprimere il suo carattere alla politica dell’Egitto e continuò sulla strada di Ramses II, Dopo l’accordo stipulato con il regno di Hatti, la politica egizia marciò per proprio conto senza curarsi troppo di ciò che accadeva in Asia dove stavano prendendo piede gli assiri che iniziarono a premere contro l’impero ittita. Non sappiamo se gli ittiti chiesero aiuto agli egiziani, come era stato previsto dal trattato, sappiamo però che Merenptah non si mosse in loro aiuto quando l’esercito assiro di Tukulti-Ninurta attaccò l’esercito ittita sbaragliandolo.

Nel medio oriente crebbe l’instabilità e di conseguenza diminuì l’influenza egizia in quell’area. Alcuni signori locali iniziarono a dare segni di insofferenza nei confronti degli egiziani ed allora, ma solo in questo caso durante tutto il suo regno, Merenptah ordinò una spedizione in Canaan per riportare sotto il controllo dell’Egitto questi popoli. La spedizione non è documentata alla maniera di Ramses pertanto quello che sappiamo è che l’esito fu ovviamente a favore dell’esercito egiziano.

Quel poco che si conosce di questa spedizione in parte ci proviene dalla cosiddetta “Stele di Merenptah”.

Si tratta di una stele di basalto nero rinvenuta da Flinders Petrie nel 1896 a Tebe presso il tempio funerario di Merenptah ed oggi custodita presso il Museo Egizio del Cairo. Venne fatta erigere dal faraone Amenhotep III e cita l’esito di una sua vittoria militare contro i Libi e i Mashuash nella Libia avvenuta nel “Quinto anno, terzo mese di shemu, terzo giorno”. Venne in seguito riutilizzata da Merenptah che fece incidere le ultime righe dove raccontò l’esito vittorioso della sua spedizione militare condotta verso la terra di Canaan.

Nell’elenco delle popolazioni sconfitte nella spedizione viene citata tra gli altri “Ysrir” che molti vogliono leggere Israele. Le poche righe recitano testualmente:

Molti studiosi si sono tuffati con grande interesse per cercare di interpretare queste ultime tre righe della stele, principalmente per sostenere che il vocabolo “Ysrir” andrebbe interpretato come “Israele”, cosa che costituirebbe un evento storico unico in quanto sarebbe la prima volta che Israele viene citata in una fonte storica e non solo biblica.

Va detto che il nome Ysrir non è scritto nella forma che servirebbe ad individuare un regno, cioè con tre montagne stilizzate ma semplicemente con un uomo e una donna che starebbero ad indicare una popolazione di natura nomade. A questo punto però non dobbiamo dimenticare un problema, l’invasione egiziana di Canaan da parte di Merneptah risalirebbe al tempo in cui gli israeliani erano “governati” dai Giudici e durante questo periodo la Bibbia non fa alcun cenno ad improbabili invasioni e distruzioni a causa dell’esercito egiziano. I sostenitori della tesi che si tratti di Israele sono talmente sicuri che stavolta non si curano del fatto che la Bibbia non citi un evento così disastroso per il popolo.

Dobbiamo dire a questo proposito che durante il periodo dei Giudici Israele in quanto tale non esisteva e fin dalla morte di Giosuè il popolo si era allontanato dal loro dio:

Al che significa che chiamarli “ebrei”, nel senso di seguaci del dio di Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe, è del tutto fuori contesto. Non solo ma qui c’è una contraddizione biblica, il libro dei Giudici non parla mai del fatto che il popolo di Israele, quello uscito dall’Egitto con Mosè prima e poi seguendo Giosuè, invase Canaan distruggendo le città con battaglie tipo Gerico, dal libro dei Giudici apprendiamo che la popolazione di Israele entrò in Canaan attraverso un’infiltrazione graduale e pacifica, almeno nella fase iniziale (Libro dei Giudici – A.Alt, M. Noth). La Bibbia si perde in racconti confusi, cita Debora, Gedeone, poi altri giudici, indi l’episodio di Sansone terminando il racconto con:

Scavi archeologici documentano la nascita, intorno al 1200, di numerosi (circa 250) insediamenti di piccole comunità quasi del tutto insignificanti tra le quali probabilmente anche quelle di Israele. La cultura di questi insediamenti non si differenzia per nulla da quella cananea per cui risulta pressoché impossibile distinguere quale fosse ebrea e quale cananea.

Pensare che con il vocabolo Ysrir gli egizi intendessero un insieme disomogeneo di comunità locali, o che Israele, al tempo del faraone Merenptah, fosse già abbastanza forte da combattere contro l’Egitto, al pari delle altre entità politiche menzionate nell’iscrizione a me pare quanto meno arduo ed arbitrario. Personalmente non credo che il vocabolo Ysrir voglia dire Israele ma lascio che ad interpretarlo siano gli studiosi che ne sanno più di me. Per correttezza ed equità io ho citato la stele come “Stele di Merenptah” e non come “Stele di Israele” o, come vogliono gli egiziani “Stele della Vittoria”.

Finora abbiamo parlato della spedizione in terra di Canaan dove Merenptah ha sbaragliato parecchi popoli addirittura elencandoceli nelle tre righe aggiunte alla stele che fece erigere  Amenhotep III per vantare le sue vittorie. Trovo alquanto strano che un faraone, che di vittorie ne conseguì parecchie, anziché farsi fare una sua stele per evidenziare la sua gloria, abbia sfruttato quella di un altro faraone aggiungendoci solo poche righe. Misteri dell’antico Egitto.

Ma tornando a Merenptah dobbiamo riconoscere che l’evento militare di maggiore importanza fu quello combattuto tra il quinto ed il sesto anno di regno in difesa del Basso Egitto, a Perire nel Delta occidentale, dove ad attaccare l’esercito egiziano fu la cosiddetta confederazione “dei Nove Archi”, un’insieme di vari popoli, libici alleati con i Popoli del Mare. Composta da tribù libiche, Libu, Kehek, Mashuash alle quali si erano unite cinque stirpi appartenenti ai Popoli del mare: Akawasha (Achei), Lukka (Lici), Tursha (Tirreni ?) Sheklesh (Siculi ?) e Danuna (forse i Danai omerici) e, con molta probabilità anche gli Shardana (Sardi ?). Questo insieme di predoni e saccheggiatori aveva invaso quella regione e la teneva con il terrore tanto che la popolazione l’aveva 

All’inizio le sorti della guerra furono incerte, gli invasori conquistarono le oasi giungendo fino al Fayyum e da qui posero l’assedio a Menfi. L’esito della battaglia alla fine fu favorevole all’esercito egiziano che sconfisse ed allontanò gli aggressori. Mertenptah questa volta non si limita alle tre righe della sua stele di cui abbiamo parlato sopra ma racconta la battaglia in altre parti, nella cosiddetta “Grande Iscrizione di Karnak”. L’iscrizione, che si trova sulla parete tra il VI ed il VII pilone del Primo cortile del Grande Tempio di Amon, costituisce una importante documentazione delle campagne di Merenptah contro i Popoli del Mare.

Purtroppo l’impietosità del tempo ha eroso circa un terzo del contenuto ma si intuisce che doveva descrivere nei particolari la vittoria ed il suo ritorno con bottino e prigionieri. Visto l’età già avanzata del sovrano c’è da dubitare che Merenptah abbia partecipato di persona alla battaglia. La battaglia viene descritta anche sull’obelisco del Cairo e sulla stele di Atribis dove si trova una specie di riassunto dell’iscrizione di Karnak oltre alla già citata “Stele di Merenptah”. Secondo le iscrizioni la battaglia contro la confederazione “dei Nove Archi” si risolse in sole sei ore durante le quali vennero uccisi oltre 6000 soldati e 9000 vennero fatti prigionieri, (Qualcosa da suo padre deve pure aver preso).

Per quanto riguarda la sua attività edilizia non si perse d’animo, quello che non costruì lo usurpò ai suoi predecessori, mentre, dal punto di vista religioso risolse un’annosa questione che si protraeva fin dall’epoca di Akhenaton, quella di  restituire, dopo più di un secolo, al primo profeta di Amon del clero tebano, il titolo di “capo dei Profeti di tutti gli dei dell’Alto e Basso Egitto”. Questo fu purtroppo un guaio in quanto sarà una delle cause principali dello smembramento dello stato unitario al termine del Nuovo Regno.

Poi anche per Merenptah giunse il tempo di salire ai Campi di Iaru cosa che avvenne, secondo l’egittologo tedesco Jurgen Von Beckerath, il giorno corrispondente all’attuale 2 maggio del 1203 a.C. Merenptah fu sepolto in quella che oggi identifichiamo come KV8, anch’essa nota fin dall’antichità venne visitata, mappata, come quella di Ramses II, scavata da diversi egittologi tra cui Haward Carter nel 1905 che la chiuse con un cancello in ferro per proteggerla, dotandola anche di illuminazione elettrica.

Durante la sua permanenza Carter rinvenne i resti dei sarcofagi, parte dei vasi canopici e un ostraka che mostrava la sequenza dei sarcofagi.

Nella tomba di Merenptah possiamo notare una planimetria un po’ complessa, in un certo senso rispetta la linearità di quelle della XIX dinastia mantenendo un andamento abbastanza lineare che però risente ancora delle strutture contorte della XVIII anticipando nel contempo quelle rettilinee della XX.

L’ingresso avviene attraverso tre corridoi discendenti lineari che immettono in una anticamera dalla quale si accede ad un’altra camera laterale dedicata a Ramses II. Segue un altro corridoio, sempre discendente, che immette in un vestibolo nel quale si trova il coperchio del sarcofago più esterno, si tratta di un monolite lungo oltre 4 metri ed in origine doveva essere alto più di 2 metri.

Da qui, attraverso un ulteriore corridoio discendente, si accede alla camera funeraria decorata il cui soffitto a volta presenta una decorazione astronomica ed è sorretto da otto pilastri.

All’interno, in posizione trasversale, si trova il coperchio del sarcofago più interno in granito rosa. Lo trovò Haward Carter nel 1904, si trovava capovolto assieme ad un quinto dei pezzi che componevano l’intera struttura. Il coperchio è massiccio e rappresenta il re in forma di mummia, sia questo che quello più esterno erano decorati con capitoli del “Libro delle Porte e dell’Amduat”.

Ma non era finita così, esisteva un terzo sarcofago in granito rosso, con coperchio rappresentante Merenptah mummiforme, che venne asportato durante la XXI dinastia per essere usato dal faraone Psusennes I a Tanis, oltre ad un quarto sarcofago in alabastro oggi ridotto in rovina.

Le pareti sono interamente decorate con scene tratte dal “Libro delle Porte”, dalle “Litanie di Ra” e dal “Libro dell’Amduat”, è inoltre rappresentato lo stesso Merenptah al cospetto di Ra-Horakhti. I corridoi sono anch’essi decorati con scene tratte dal “Libro dei Morti” con la scena principale dell’apertura della bocca e degli occhi. Nella camera funeraria spiccano scene del “Libro delle Porte” e del “Libro delle Caverne”. Nel vestibolo compare il dio Osiride che indossa un pettorale con inciso il nome del sovrano, simbolo questo dell’identificazione del re con il dio dei morti.

La mummia di Merenptah venne scoperta nel 1898, si trovava all’interno della tomba di Amenhotep II (KV35), esaminata nel 1907 da G. Elliot Smith la mummia si presentava come quella di un uomo anziano sui 70 anni, alto circa 1 metro e 74 centimetri, in vita dovette soffrire di artrite ed arteriosclerosi; particolare interessante è privo dei testicoli.

Nei primi anni del ‘900 alcuni radiologi statunitensi annunciarono di aver riscontrato tracce di sale sul corpo della mummia, (bella scoperta, l’elemento essenziale per la mummificazione era il natron). Subito iniziò a diffondersi la notizia che Merenptah fosse il faraone dell’Esodo che morì annegato travolto dalle acque del Mar Rosso mentre inseguiva Mosè e gli ebrei. Inutile aggiungere che il corpo del faraone non presentava segni di annegamento. Se poi, a scanso di equivoci, ci mettiamo pure che coloro che sostengono che Merenptah fu il faraone dell’Esodo, sono magari gli stessi che credono che nella “Stele di Merenptah” il vocabolo “Ysrir” voglia dire Israele, io mi taccio!

Fonti e bibliografia: 

  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Alfred Heuss e atr., “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

RAMSES II – IL DECLINO E LA MORTE

Di Piero Cargnino

Ma gli anni passavano anche per il sovrano, tranquilli ed in pace, anche se intorno al suo trentunesimo anno di regno ebbe modo di preoccuparsi a causa del verificarsi di un forte terremoto nella regione tebana e in Nubia, le scosse causarono il crollo di parte di una statua del faraone assiso nella facciata del suo tempio di Abu Simbel, la cosa sicuramente creò sgomento e dispiacere anche perché la riparazione del danno apparve subito molto ardua, avrebbe implicato un enorme lavoro, sempre che fosse stato possibile. Probabilmente non lo fu quindi venne deciso di lasciare il tutto come era. Alcuni danni minori invece furono discretamente riparati ma il suo torso e la sua testa rimasero per sempre a terra dove giacciono ancora oggi.

Ramses II compì settant’anni nel quarantaseiesimo anno del proprio regno, vista la breve aspettativa di vita degli antichi Egizi significa che si erano già avvicendate quasi due generazioni dall’epoca della battaglia di Qadesh ed il popolo non la ricordava neanche più. Ma il vecchio faraone resisteva, ai cinquant’anni di regno ritenne che fosse il caso di aggiungere qualche epiteto a quelli già numerosi che vantava, in onore del dio sole Ra si autonominò “Dio Signore di Eliopoli”, l’antica Iunu, centro del culto di Ra. Ora Ramses II si volle identificare con lo stesso Ra legandosi sempre più al dio, per questo aggiunse anche l’epiteto di “Grande Anima di Ra-Horakhti”.

Ormai circondato dall’aura di splendore divino che si era venuta a creare attorno a lui:

Gli anni che passavano e che logoravano il fisico del faraone non intaccarono mai la situazione politica esistente e la burocrazia continuava a funzionare all’ombra del sovrano, l’esatto contrario di ciò che era successo mille anni prima con il faraone centenario Pepi II (vedi Papiro di Ipuwer). Era un”epoca in cui abbondavano politici di grande valore (come servirebbe oggi) scusate la postilla.

Come abbiamo già accennato Ramses II non andava tanto per il sottile riguardo alla celebrazione delle feste dei giubilei, “heb-Sed” (come d’altronde altri sovrani prima di lui) infatti ne celebrò ben quattordici. Con il fisico che si ritrovava possiamo pensare che fino ad una certa età non fu per lui difficile superare le lunghe e complesse liturgie richieste ma dopo i sessant’anni la cosa dovette essere un po’ più complessa per lui, si dice che soffrisse di “devastanti forme di arteriosclerosi” e di una dolorosa forma di “spondiloartrite anchilosante”, debilitazioni che, nonostante la dura fibra del sovrano, che lo rendeva ostinato e orgoglioso, difficilmente gli permisero di affrontare da solo tutti i vari riti, certamente fu aiutato in modo particolare dal devoto, ed ormai anch’egli maturo, figlio Merenptah.

Secondo l’egittologa francese Christiane Desroches Noblecourt, una delle più autorevoli partecipanti al restauro della mummia di Ramses II, gli ultimi anni di vita videro il faraone afflitto dalle diverse patologie ed in uno stato pressoché vegetativo:

Dovette godere fino all’ultimo del rispetto e dell’affetto da parte della sua grande famiglia, Non si ha notizia di complotti di corte tra i famigliari per accaparrarsi la successione al trono, tutti coloro che avrebbero potuto avanzare pretese gli premorirono pertanto Ramses aveva già provveduto almeno dieci anni prima della sua morte a nominare principe ereditario il suo tredicesimo figlio Merenptah, nato da Isinofret, che fu sempre vicino al padre particolarmente nei momenti finali del suo regno, svolse in pratica le funzioni di reggente.

Alla morte di Ramses II gli successe al trono come sovrano dell’Alto e Basso Egitto. All’età di 93 anni, dopo 67 anni di regno, il vecchio faraone salpò sulla barca solare di Ra e questo onore oltre che a donargli gloria gli dava anche la sicurezza nel periglioso viaggio attraverso l’Occidente, verso la Duat per raggiungere i Campi Iaru.

Per la sua dipartita Ramses II, il Grande, scelse la città che aveva creato lui stesso, Pi-Ramses. Scrive l’egittologo britannico Kennet Kitchen:

Non esistono descrizioni delle circostanze inerenti la morte del sovrano, la notizia era talmente grave per tutto il popolo egizio che bisognava diffonderla prima possibile, messaggeri risalirono il Nilo in piena rischiando non poco per portare la notizia fino a Tebe. Tra il popolo si diffuse la desolazione, la maggior parte degli egizi non aveva  conosciuto altri sovrani all’infuori di Ramses II. Seguirono i rituali settanta giorni prescritti dopo di che ebbero inizio le cerimonie preparatorie per la mummificazione. Qui riscontriamo un episodio curioso, dopo essere imbalsamato il cuore venne posto in modo sbagliato, dalla parte destra. Ultimati i vari riti la mummia di Ramses II venne trasportata sulla barca regale del figlio Merenptah, scortata da un’enorme flotta lungo il Nilo fino a Tebe, nell’Alto Egitto. Giunti nella Valle dei Re il corteo, dopo il rito “dell’apertura della bocca”, eseguito dallo stesso Merenptah, il corpo del sovrano venne deposto nei sarcofagi, che dovettero essere preziosissimi, nella tomba KV7. Io sono sicuro che di li a poco in cielo si accese una grande e luminosa stella accanto a quella di Nefertari.

Ultimata l’imbalsamazione il corpo del Grande Ramses II venne posto nei suoi sarcofagi e trasportato nella Valle dei Re dove lo attendeva la sua tomba. Possiamo immaginare il corteo che lo accompagnò, pianti e disperazione tra la gente e chissà quante prefiche che si strappavano i capelli e gli abiti e si cospargevano il capo di cenere. C’è da credere che la disperazione del popolo sia stata sincera, accentuata ancor più dalla credenza diffusa che il mondo sarebbe finito con la morte del Grande Faraone. Non credo di aver esagerato nella descrizione, viene spontaneo credere che dopo 67 anni sul trono a governare con magnanimità il suo popolo, questo gli avrà tributato tutti gli onori più che meritati.

La tomba di Ramses II era conosciuta fin dall’antichità ancorché intasata dai detriti che si erano accumulati in così tanti anni durante i quali, per di più, deve aver subito almeno dieci alluvioni, come risulta dai rilievi stratigrafici. Il risultato fu un notevole rigonfiamento delle pareti con il conseguente distacco di gran parte delle decorazioni parietali, infatti quando nel 1828 Ippolito Rossellini la visitò con la spedizione franco-toscana espresse la convinzione che la tomba non fosse mai stata completamente terminata. In precedenza la tomba fu individuata e mappata dal vescovo anglicano, viaggiatore e antropologo Richard Pococke nel 1737/38, fu poi nuovamente visitata dagli studiosi al seguito della spedizione di Napoleone nel 1799. Ma fu solo nel 1844, con Karl Richrd Lepsius che iniziarono i primi scavi che proseguirono poi con Harry Burton nel 1913/14.

Nel 1938 Charles Maystre effettuò una serie di rilievi epigrafici. Passaro quarant’anni finché venne nuovamente scavata nel 1978 dal Brooklyn Museum e nel 1993 venne inserita nel Theban Mapping Projet che provvide a scavarla ulteriormente fino al 2002 con Christian Leblanc.

La planimetria della tomba si presenta assai complessa, nella descrizione mi limiterò all’indispensabile rimandando i più esigenti alle foto planimetriche che seguono. L’ingresso presenta due rampe di scale che danno su un breve corridoio dal quale una terza scalinata porta ad un altro corridoio che sbuca in un’anticamera ed in una sala a pilastri, su un lato della stessa, attraverso una breve scalinata si accede ad un’altra sala con quattro pilastri. Attraverso altri due corridoi assiali si giunge in una stanza che conduce alla camera sepolcrale, anche questa sorretta da quattro pilastri quadrangolari.

Ai lati, in modo non simmetrico, si trovano quattro stanzette. Sugli angoli di fondo della camera sepolcrale due accessi immettono in altre due camere sorrette da due pilastri ciascuna, da una di queste si accede ad una terza identica, tramite un vestibolo.

La tomba, senza dubbio una fra le più grandi della Valle dei Re, si estende per quasi 900 metri quadrati e, come detto sopra, nonostante le alluvioni subite che hanno prodotto parecchi danni alle decorazioni parietali che si sono frammischiate con i vari strati di detriti, molte di esse sono ancora visibili. Nella Camera funeraria si possono ancora ammirare capitoli del “Libro delle Porte”, le pareti delle scale e dei corridoi presentano capitoli dell’ “Amduat”, delle “Litanie di Ra” e del “Libro della vacca celeste” compreso nei “Libri dei Cieli”. Nell’anticamera sono rappresentati molti capitoli del “Libro dei Morti” nei quali compare la cerimonia dell’ “Apertura della bocca”.

La tomba, oggi identificata con la sigla KV7 subì numerosi saccheggi già fin dall’antichità, solo pochi anni dopo la morte del sovrano e quello che doveva essere un imponente corredo funebre venne asportato e disperso fra i molti saccheggiatori. Nel “Papiro dello sciopero”, redatto sotto Ramses III, viene già citato un tentativo di intrusione da parte dei ladri. Fu solo durante la XXI dinastia che venne deciso di trasferire la mummia di Ramses II nella tomba KV17 dove giaceva suo padre Seti I. In seguito, sempre durante la XXI dinastia, l’Egitto si trovò ad attraversare un periodo di turbolenze politico-sociali durante il quale abbondavano i saccheggi alle tombe reali. Per contrastare questo fenomeno venne deciso di effettuare verifiche periodiche al fine di dissuadere i saccheggiatori.

Per poter seguire al meglio la situazione si ritenne opportuno riunire le mummie in una grande tomba più facile da controllare. Allo scopo venne scelta la tomba del Primo Profeta di Amon, Pinedjem II e di sua moglie Neskhons (secondo alcuni la tomba sarebbe in realtà appartenuta alla regina Inhapi, forse una moglie di Ahmose I). La tomba è la DB320 a Deir el-Bahari (la famosa cachette o Royal cache) dove vennero trasferite le mummie di oltre cinquanta faraoni tra i più famosi, tra questi anche le mummie di Seti I e Ramses II che vennero rinvenute nel 1881.

La mummia di Ramses II al Museo Egizio del Cairo

La mummia venne trasferita in seguito al Museo Egizio del Cairo dove era conservata in un’apposita sala con le altre mummie. Negli anni ’70 gli egittologi del Museo del Cairo si accorsero che la mummia si stava rapidamente deteriorando a causa della lunga esposizione in vetrine non sigillate, soggetta quindi all’aria, all’umidità e ai parassiti, pericolose minacce per un corpo disseccato preservatosi per millenni grazie all’avvolgimento in bende e al clima secco del deserto. Per correre ai ripari era necessario intervenire con apposite apparecchiature, cosa che era possibile solo se la mummia veniva trasferita a Parigi. All’inizio la cosa parve complicata ma, su sollecitazione di numerosi egittologi, tra cui Christiane Desroches Noblecourt, venne raggiunto un accordo tra il Presidente della Repubblica francese Giscard d’Estaing ed il suo omologo egiziano Anwar al-Sadat per trasportare la mummia a Parigi con un aereo militare. Da notare che, rispettosamente, all’arrivo a Parigi venne organizzata una processione funebre, dedicata alla mummia del faraone, alla quale vennero riservati gli onori militari come ad un Capo di Stato straniero.

Fonti e bibliografia: 

  • Franco Cimmino, “Ramesse II il Grande”, Milano, Tascabili Bompiani, 2000,
  • Sergio Pernigotti, “L’Egitto di Ramesse II tra guerra e pace”, Brescia, Paideia Editrice, 2010
  • Kenneth Kitchen, “Il Faraone trionfante. Ramses II e il suo tempo”, Bari, Laterza, 1994,
  • Edda Bresciani, “Ramesse II”, Firenze, Giunti, 2012
  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Manfred Claus, “Ramesse il Grande”, Roma, Salerno Editrice, 2011
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Henry James, “Ramesse II”, Vercelli, White Star, 2002
  • Mohamed Nasr, Mario Tosi, “La tomba di Nefertari”, Bonechi, 1997
  • Christian Leblanc, Alberto Siliotti, “Nefertari e la valle delle Regine”, Giunti, 1993
  • Elvira D’Amicone, “Nefer: la donna dell’Antico Egitto”, Federico Motta Editore, Milano, 2007
  • Claire Lalouette, “L’impero dei Ramses”, Roma, Newton & Compton, 2007
  • Anna Maria Donadoni Roveri, Alessandro Roccati, Enrica Leospo, “Nefertari. Regina d’Egitto”, La Rosa, 1999
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

LE SPOSE DI RAMSES II

Di Piero Cargnino

Stele di Assuan: sono riportati, da sinistra: nel registro superiore il principe Khaemuaset, Isinofret e Ramses davanti a Khnum; nel registro inferiore Ramses, Bitanath e il principe Merenptah

Certo che ad un faraone come Ramses II le donne non mancavano di certo. Non venne meno alla ormai consolidata tradizione della XIX dinastia di contrarre matrimoni con principesse straniere per ragioni di stato. Nel suo Harem abbondavano spose secondarie e concubine che il sovrano non trascurò di certo, per di più non ebbe modo di annoiarsi, durante la sua lunga vita, pare che avesse avuto più di 100 figli.

Le mogli più famose del sovrano, oltre la bella e più importante, Nefertari, di cui abbiamo già parlato ma parleremo ancora più avanti, furono, Isinofret “Bella Iside” che potrebbe essere una figlia del faraone Horemheb, non gli furono dedicate statue ne templi, compare solo accanto a Ramses su di una perla d’oro dove un’iscrizione la descrive come:

Alla morte di Nefertari divenne la “Grande Sposa Reale” e tale rimase fino al trentaquattresimo anno di regno di Ramses. Ironia della sorte fu lei e non l’amata Nefertari a generare l’erede al trono, il principe Merenptah.

Alla sua morte il ruolo di regina principale passò a sua figlia Bintanath (figlia della dea Anath) mentre la figlia di Nefertari dovette accontentarsi del ruolo di “Seconda regina”. Bintanath, di cui Ramses II fu sia padre che nonno, la troveremo in seguito tra le spose di suo figlio Merenptah.

Per quanto riguarda Meritamon, della quale possediamo una pregiatissima statua, la cosiddetta “Statua della Regina Bianca”, ad un certo punto scompare dalle fonti ed al suo posto si parla di Nebettaui quale “Grande Sposa Reale” anche se però non sappiamo nulla su di lei.

C’è da dire che con Ramses II i titoli si sprecavano, le “Grandi Spose Reali” furono parecchie oltre a un gran numero di spose minori e semplici concubine, il titolo fu assegnato a turno a Bintanath, Meritamon, Nebettaui e Henutmira oltre che ad una figlia di Hattusili III.

Ramses II sposò, tra le altre, una figlia del re di Babilonia e la figlia di un governante del nord della Siria, ma i matrimoni più “diplomatici” furono quelli con due principesse ittite. Una di esse, la figlia di Hattusili III, citata sopra, della quale conosciamo il nome egizio che assunse Maathorneferura (che significa “La verità è la bellezza di Ra”) secondo l’usanza che le principesse straniere giunte in Egitto cambiassero il proprio nome con uno egizio, questo matrimonio servì per siglare un accordo con il vecchio nemico ittita e porre termine alle ostilità che si protraevano da tempo. Il matrimonio si celebrò nel trentaquattresimo anno di regno di Ramses. La principessa giunse in Egitto con un carico d’oro, argento, gioielli, animali e schiavi e per lei Ramses versò un’ingente dote, essa prese residenza nell’harem di Medinet el-Ghurab.

Maathorneferura fu la prima delle spose straniere del prolifico e longevo faraone ad avere l’onore di portare il titolo di “Grande Sposa Reale”, troviamo la testimonianza sulla “Stele del Matrimonio” che si trova sul muro esterno del Tempio di Abu Simbel.

Per pura curiosità ricordo che durante il Nuovo Regno i sovrani egizi si sposavano con principesse straniere a scopo puramente politico per affermare alleanze o garantire accordi ma mai una principessa egiziana venne inviata all’estero come tributo diplomatico. La cosa è ovvia, poteva l’Egitto trovarsi un giorno con un principe straniero, figlio di una principessa egizia, che avanzasse pretese al trono? Un giorno il re di Babilonia chiese a Ramses II la mano di una delle sue figlie, Ramses II gli mandò a dire:

Queste erano le usanze dell’antico Egitto. Ma ogni tempo ha avuto le sue usanze, questo non deve indurre a pensare che l’amore, quello vero, non potesse esistere anche tra i grandi faraoni, Ramses II ci dimostra che doveva amare la sua prima “Grande Sposa Reale”, Nefertari fu per oltre vent’anni la più importante delle spose di Ramses che se la affiancò come la più grande figura preminente della politica egizia.

Stranamente riscontriamo però che dopo il ventesimo anno di regno l’influenza della Regina diminuì a tal punto che alcune sue immagini che la ritraggono con Ramses furono cancellate, non si sa da chi. Dei quattro figli maschi che nacquero da Nefertari nessuno sopravvisse al padre tanto da ereditarne il trono. Nefertari, come la regina madre di Akhenaton Tiy, fu la sola Grande Sposa Reale a essere deificata in vita, lo conferma l’imponente  tempio che Ramses II fece costruire per lei, assimilata ad Hathor, poco discosto dal suo ad Abu Simbel.

Quanto Ramses II tenesse in considerazione la sua Grande Sposa Reale è dimostrato dal fatto che sia sulla facciata dell’imponente tempio di Abu Simbel, dedicato a lei, che sulle pitture murali, la regina è rappresentata della stessa grandezza del sovrano.

L’importanza sociale e politica di cui godeva la possiamo rilevare da numerose lettere rinvenute negli scavi di Hattusa, scritte in alfabeto cuneiforme, dove è riportata la corrispondenza che Nefertari intratteneva con la moglie del re ittita, Puduhepa, dalle quali si evince l’importante ruolo di pacificazione tra i due regni. L’importanza che la regina rivestiva la possiamo dedurre dai titoli che poteva vantare: “Signora di Grazia”, “Dolce d’amore”, “Colei per cui splende il sole”, oltre al titolo più importante che mai una regina egizia poté vantare “Sovrana di tutte le terre”, solo il faraone poteva essere “Sovrano di tutte le terre”.

Intorno ai quarant’anni, nel venticinquesimo anno di regno di Ramses II, giunse per Nefertari il tempo di effettuare il viaggio nella Duat per raggiungere i Campi di Iaru. Moriva così una grande Regina, moglie di un grande Re, ma per Ramses II una stella nel cielo notturno era più brillante delle altre. Nel prosieguo vedremo la tomba dove andò a riposare il suo corpo nella Valle delle Regine la QV66.

Fonti e bibliografia: 

  • Franco Cimmino, “Ramesse II il Grande”, Milano, Tascabili Bompiani, 2000,
  • Sergio Pernigotti, “L’Egitto di Ramesse II tra guerra e pace”, Brescia, Paideia Editrice, 2010
  • Kenneth Kitchen, “Il Faraone trionfante. Ramses II e il suo tempo”, Bari, Laterza, 1994,
  • Edda Bresciani, “Ramesse II”, Firenze, Giunti, 2012
  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Manfred Claus, “Ramesse il Grande”, Roma, Salerno Editrice, 2011
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Henry James, “Ramesse II”, Vercelli, White Star, 2002
  • Christian Leblanc, Alberto Siliotti, “Nefertari e la valle delle Regine”, Giunti, 1993
  • Elvira D’Amicone, “Nefer: la donna dell’Antico Egitto”, Federico Motta Editore, Milano, 2007
  • Claire Lalouette, “L’impero dei Ramses”, Roma, Newton & Compton, 2007
  • Anna Maria Donadoni Roveri, Alessandro Roccati, Enrica Leospo, “Nefertari. Regina d’Egitto”, La Rosa, 1999