“COSE (ANCORA PIÙ) MERAVIGLIOSE”, Sarcofagi, XVIII Dinastia

LA BARA INTERNA DI MERIT

Museo Egizio di Torino, cat. Suppl. 8470

Come abbiamo visto, Merit morì prematuramente e fu necessario adattare una delle bare predisposte per Kha per accogliere la sua salma.

A questo punto però si poneva un problema: mancava una bara del “set” usuale per l’epoca, che rappresentava il viaggio del defunto verso la rinascita – dal nero del sarcofago esterno all’oro della bara interna (che abbiamo visto per Kha).

Il sarcofago è finora unico nel suo genere, perché fonde in sé i due diversi modelli decorativi osservabili. rispettivamente, sul sarcofago mediano e quello interno di Kha: la cassa è coperta infatti da resina nera con figure ed iscrizioni in foglia d’oro, mentre il coperchio è completamente dorato. È stato ipotizzato che ciò abbia forse permesso di integrare in un solo sarcofago antropoide la funzione simbolica dei due normalmente previsti all’epoca. Il fatto però che i testi funerari siano a nome di Kha rende dubbia questa ipotesi, in quanto non sarebbe stato concepito per questa funzione

Secondo l’ipotesi più accreditata, gli artigiani dell’epoca ebbero però un’idea geniale, rimasta unica nell’arte egizia: “fusero” le due bare interne (o meglio, le loro “funzioni” simboliche) in una sola.

La cassa della bara interna di Merit, infatti, ricorda la seconda bara di Kha, con il fondo nero ma con le scritte e le immagini dorate, mentre il coperchio è interamente dorato.

Da notare però che le iscrizioni funerarie sono rimaste a nome di Kha, e che quindi sarebbe stato già inizialmente concepito con questa doppia funzione.

Difficile dire se il volto della bara interna sia quello di Kha o se sia stato “adattato” a quello di Merit

Al momento della scoperta, il sarcofago interno di Merit era avvolto in un telo e racchiudeva, proteggendole, la mummia della donna e la preziosa maschera funeraria posta sul capo.

Si notano bene nelle fotografie originali le lenzuola usate come imbottitura per riempire lo spazio derivante dalla “taglia” sbagliata e la maschera funeraria
“COSE (ANCORA PIÙ) MERAVIGLIOSE”, Sarcofagi, XVIII Dinastia

IL SARCOFAGO DI MERIT

Museo Egizio di Torino, cat. Suppl. 8517

Con ogni probabilità, Merit morì prima del marito ed in maniera inattesa. Si dovette quindi adattare la sua sepoltura, utilizzando una parte del corredo già preparato per il marito e finendo in fretta ciò che faceva parte del suo.

Il sarcofago esterno è un po’ più semplice di quello di Kha, senza la struttura a forma di slitta sottostante, e conteneva una sola bara antropomorfa, le cui iscrizioni erano per Kha. Costruito in legno di sicomoro e formato da cinque pezzi più il coperchio, il sarcofago esterno è lungo 228 cm per una larghezza di 97 ed un’altezza di 113.

La qualità del legno è inferiore rispetto al sarcofago di Kha, con la presenza di alcune giunte e una copertura in resina stesa in maniera non uniforme, a testimonianza della morte prematura di Merit e della preparazione affrettata della sepoltura.

Fonte: Museo Egizio di Torino

“COSE (ANCORA PIÙ) MERAVIGLIOSE”, Sarcofagi, XVIII Dinastia

LA BARA INTERNA DI KHA

ovvero dall’oscurità alla luce divina

La bara più interna di Kha, che conteneva la sua mummia, è anch’essa di pregevolissima fattura, interamente ricoperta da foglia d’oro posata su uno strato di gesso, a testimonianza ulteriore della posizione altolocata del defunto.

Era originariamente decorata da ghirlande floreali, e completa un “percorso” di rigenerazione: dal nero del sarcofago esterno alla luce dell’oro, passando attraverso la bara esterna dove dove gli esseri divini e i testi sacri sono mostrati “solarizzati” sullo sfondo nero.

L’espressione che è stata conferita al volto di Kha nella bara interna è di serenità estrema

Viene così ricreata la “camera sepoltura di Osiride” o “camera d’oro”, quel luogo segreto e magico in cui Osiride si unisce a Ra, la cui luce, come l’oro, risplende in eterno, nel percorso di resurrezione che si trasla anche al defunto.

Insieme alla bara esterna di Kha ed al suo sarcofago, rappresenta quindi uno dei reperti (a mio personalissimo parere) più simbolici ed affascinanti del Museo Egizio di Torino.

Fonti:

  • Museo Egizio di Torino
  • Sousa, R. (2019). Gilded flesh: coffins and afterlife in Ancient Egypt.
“COSE (ANCORA PIÙ) MERAVIGLIOSE”, Sarcofagi, XVIII Dinastia

LA BARA ESTERNA DI KHA

Museo Egizio di Torino, Inv. Suppl. 8316/01

La bara antropomorfa esterna (o sarcofago intermedio) di Kha riproduce l’immagine della mummia rivitalizzata e, al momento della scoperta, vi erano appoggiate due grandi ghirlande di loto e un papiro contenente il Libro dei Morti.

La pregevole fattura della bara di Kha è pienamente rivelata dal suo volto. Ricordiamoci che Kha non era un faraone, ma un artigiano – sia pure di alto livello – e la sua vita deve essere stata di grande successo personale e professionale.

La superficie è caratterizzata da elementi in rilievo ricoperti da gesso e foglia d’oro che evocano la luce solare ed evidenziano i simboli del risveglio a nuova vita di Kha. Tra questi si notano la maschera funeraria, l’ampio collare chiamato “Usekh” e le bande (ad imitazione delle fasce che stringono il lenzuolo funerario intorno al defunto) che recano formule e preghiere a Nut, Thot, Anubi e i figli di Horus, divinità tradizionalmente associate con l’Aldilà e chiamate a proteggere l’integrità del corpo del defunto. Nekhbet in forma di avvoltoio dorato in rilievo protegge il petto della bara.

Nel dettaglio possiamo ammirare l’opera di rivestimento in foglia d’oro dei rilievi

Fonte: Museo Egizio di Torino

“COSE (ANCORA PIÙ) MERAVIGLIOSE”, Sarcofagi, XVIII Dinastia

IL SARCOFAGO DI KHA

Il sarcofago esterno di Kha è lungo tre metri, con una larghezza di 110 cm ed un’altezza massima di 160 cm – Museo Egizio di Torino, Inv. Suppl. 8210

Kha, come abbiamo visto, era un uomo facoltoso. Decise quindi di essere sepolto in una serie di sarcofagi come d’uso nella XVIII Dinastia, uno esterno squadrato e due bare antropomorfe interne.

Il sarcofago esterno di Kha, originariamente protetto da un grande lenzuolo di lino, è in legno di sicomoro ricoperto da una sostanza di colore scuro, a ricordare il colore della terra fertile, simbolo di rigenerazione. Contrariamente a quanto si pensava inizialmente, non è bitume ma pece riscaldata e mescolata con olio di cedro e carbone.

Il sarcofago di Kha come apparve ai suoi scopritori

La cassa è composta da cinque parti smontabili e da un coperchio di forma arcuata che gli conferisce l’aspetto di un santuario. La base è lavorata in modo da imitare la forma della slitta usata per trasportare il catafalco alla tomba durante il funerale.

Fonte: Museo Egizio di Torino

III Periodo Intermedio, Mai cosa simile fu fatta, Sarcofagi

I SARCOFAGI DELLA XXV DINASTIA

Coperchio del sarcofago interno di Renpetnefret

Legno

Altezza 176 cm

Museo Egizio di Torino

C. 2231/1

  

Coperchio del sarcofago interno di Tapeni

Legno

Altezza 191 cm

Museo Egizio di Torino

C. 2215/1

Coperchio del sarcofago interno di Tamit

Legno

Altezza 173 cm

Museo Egizio di Torino

C. 2218/01

I sarcofagi della XXV Dinastia hanno chiari elementi distintivi che possiamo riconoscere negli esemplari delle tre sorelle, Tapeni, Tamut e Renpetnefret, figlie del sacerdote di Amon Ankh-Khonsu.

Le tre mummie sono conservate in un sarcofago antropoide, a sua volta contenuto in un sarcofago rettangolare a colonnette. (qeresu).

La decorazione dei sarcofagi riproduce l’ambiente della camera sepolcrale, con le dee Iside e Nefti ai piedi e alla testa dello stesso, un arcaismo che lega questi sarcofagi ai modelli del Medio e Nuovo Regno, una fila di divinità disposte intorno alla mummia.

La raffigurazione della dea Nut sul petto, anche questo motivo ripreso dal Nuovo Regno, è il pilastro djed sulla schiena connettono il sarcofago con la terra e il cielo, la dea Nut, e il mondo ultraterreno, il pilastro djed simbolo del dio Osiride.

Diminuiscono la dimensione e la varietà dei dipinti, mentre aumentano i testi sacri tratti dal Libro dei Morti.

I testi sono disposti in bande diversi colori, arancione, giallo e verde.

Tra le bande di testo sono raffigurate divinità stanti e occhi udjat sopra i piedi.

Sarcofago esterno di Renpetnefret
Legno, larghezza 207 cm.
Museo Egizio di Torino - C. 2232

L’alveo del sarcofago esterno imita la tomba del dio Osiride, come conferma la presenza del fregio khekeru, elemento decorativo della parte superiore delle pareti in struttura architettoniche a partire all’antico Regno, e il motivo serekh, decorazione a linee verticali e orizzontali che imita la faccia di un palazzo.

Sui lati corti corti sono raffigurati, a una estremità le dee Iside e Nefti, il disco solare adorato da due babbuini, all’altra estremità il geroglifico neferet che indica la dimora di Osiride o del defunto, situata a Occidente.

  

Il coperchio, bombato, raffigura il cielo identificato con la dea Nut ed è diviso in due parti da una colonna di testo: una metà raffigura il viaggio notturno, l’altra metà raffigura il viaggio diurno dell’imbarcazione del Sole.

Entrambi le barche sono trainate con corde da divinità, personificazione di corpi celesti.

I testi sono costituiti principalmente dalla forma canonica di offerta in cui si supplica il dio affinché protegga il defunto.

  

La cassa esterna è così contemporaneamente rifugio per le defunto durante la veglia notturna e santuario dove si potranno risvegliare a nuova vita per ascendere al cielo in modo da unirsi al dio sole e partecipare con lui al suo eterno e ciclico viaggio.

Fonte

Museo Egizio di Torino – Fondazione del Museo delle Antichità Egizie di Torino – Franco Cosimo Panini Editore.

Sarcofagi, Testi

SARCOFAGO DI USAI

Il sarcofago di Usai a Bologna.

Il sarcofago è in legno di sicomoro dipinto, di forma rettangolare con quattro pilastrini che ne rifiniscono gli angoli e con un coperchio a forma bombata.

Sopra, alle due estremità del coperchio, sono posti due sciacalli accovacciati rivolti l’uno verso l’altro, che rappresentano la divinità dei morti delle due parti dell’Egitto. Tra i due sciacalli, in mezzo al coperchio, sta seduto in posizione di riposo un grande sparviero dorato, simbolo di Ra. Altri quattro più piccoli si vedono sopra i pilastrini (uno dei quattro e mancante).

Nella parte sinistra superiore del coperchio (vedi Tavole 1 e 2), e dipinta una barca sacra trainata da 10 personaggi.

Innanzi ai personaggi, è presente un testo che riporta i nomi dei genitori del defunto. Stessa rappresentazione con alcune differenziazioni si trova sui personaggi sulle barche.

Le due fiancate lunghe sono illustrate da divinità antropomorfe, 6 sul lato destro e 6 sul lato sinistro. Davanti a ogni personaggio, il testo comincia con la classica formula

Dd-mdw in ”Recitazione di”, citando successivamente una divinità. Le divinità sono le seguenti:

• Tavola 1: Imsety, Duamutef, Hapy, Qebehsenuef, Anubi, Horus-Khenty-Irty.1

  

• Tavola 2: Imsety, Hapy, Duamutef, Qebehsenuef, Anubi, Geb.

La traduzione completa in PdF è inserita nella pag. web del gruppo al link:

https://laciviltaegizia.org/wp-content/uploads/2023/12/sarcofago-di-usai.pdf

Foto: Museo civico archeologico Bologna.

III Periodo Intermedio, Mai cosa simile fu fatta, Sarcofagi

IL SARCOFAGO DI AMENOFI I

   

Legno di cedro dipinto, lunghezza cm 203
Tebe Ovest, tomba della regina Inhapy (TT 320)
Scavi del Servizio delle Antichità 1881
Museo Egizio del Cairo – CG 61OO5

Il sarcofago con il nome di Amenofi I non era stato realizzato per questo faraone, ma fu utilizzato per racchiudervi la mummia quando nel corso della XXI Dinastia, il sommo sacerdote di Amon Pindujem II decise di mettere al sicuro le spoglie di sovrani e sacerdoti tebani nella tomba della regina Inhapy.

Il riutilizzo è documentato da una doppia iscrizione ieratica , databile proprio all’epoca di Pindujem II, tracciata con inchiostro nero sul coperchio, in corrispondenza del petto.

Si tratta di una delle rare testimonianze dell’ultimo grande saccheggio nella necropoli tebana, che indusse il clero a riseppellire le mummie di faraoni e sacerdoti nella cosiddetta Cachette di Deir El-Bahari.

Il sarcofago e la mummia di Amenofi I in un disegno all’epoca della scoperta

Il sarcofago è mummiforme e subì alcune modifiche per poter ospitare degnamente la salma del sovrano.

Il coperchio è formato da più parti unite per mezzo di elementi in legno e strisce di cuoio.

La parrucca era originariamente decorata con strisce gialle e nere, ma in seguito fu uniformemente dipinta di nero aggiungendo l’immagine di un avvoltoio giallo sulla sua sommità e inserendo sulla fronte un cobra reale con il corpo diviso in tre parti di colore blu, rosso e nero.

Il volto è dipinto di giallo e su di esso risaltano i grandi occhi e le sopracciglia.

Le labbra accennando un tenue sorriso e sono contrassegnate da una linea rossa, che sottolinea anche le piccole fossette sul mento, da cui pende la barba posticcia.

La superficie del coperchio un tempo era completamente dipinta di bianco, ma la vernice è stata poi eliminata, lasciando visibile il colore naturale del legno.

Sul petto era originariamente dipinta una collana circolare multicolore cancellata anch’essa allorché si decise di destinare il sarcofago a contenere la salma di Amenofi I.

Fu invece conservata l’immagine della dea Nekhbet in forma di avvoltoio con le ali spiegate, dipinta sul petto.

  

Al di sotto dell’avvoltoio si trova una colonna di geroglifici contenenti la formula d’offerte dedicata ad Amenofi I di cui è anche indicato il nome di incoronazione: Djeserkara, “Santo è il ka di Ra”.

L’iscrizione è intersecata da tre bande di geroglifici per parte che riportano i nomi di Anubi, Osiride e i quattro figli di Horus, dei protettori della salma.

Sotto i piedi del coperchio è raffigurata la dea Nephty, inginocchiata e con le braccia sollevate dalle quali pendono i segni ankh.

Originalmente anche le superfici dell’alveo del sarcofago dovevano essere dipinte, ma la vernice è stata asportata al momento dell’usurpazione, come è avvenuto per il coperchio.

Su entrambi i lati, all’altezza delle spalle, è raffigurato un occhio udjat al di sopra di un piccolo santuario con la porta rossa.

La restante superficie delle pareti laterali è suddivisa in quattro sezioni per mezzo di iscrizioni verticali ormai poco leggibili dentro ad ognuna di esse si trovava l’immagine di una divinità.

L’interno del sarcofago è interamente ricoperto di vernice nera.

Il colore originale e le tracce degli altri particolari obliterati al momento del riutilizzo inducono a datare la produzione del sarcofago alla prima parte della XVIII Dinastia.

Quello di Amenofi I, quando la sua salma fu prevata per essere nascosta, era forse stato distrutto dai ladri nel tentativo di asportare la lamina d’oro che sicuramente lo ricopriva.

Si provvide allora a trovare uno di fortuna che però, come per gli altri sovrani, risalisse approssimativamente all’epoca in cui il re era vissuto.

La salma di Amenofi I come fu scoperta all’interno del sarcofago

Fonte e fotografie

Tesori egizi nella collezione del Museo Egizio del Cairo – Silvia Einaudi – fotografie di Araldo De Luca – Edizioni White Star

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Sarcofagi

COPERCHIO DEL SARCOFAGO DI RAMSES II

Di Grazia Musso

Legno dipinto, altezza cm 206
Tebe Ovest – Tomba della regina Inhapy TT 320
Scavi del Servizio delle Antichità 1881
Museo Egizio del Cairo – JE 26214 = CG 61020

La Cachette di Deir el-Bahari si trova tra le rocce a sud del tempio della regina Hatshepsut.

Si tratta di una semplice galleria scavata nel terreno, a cui si accede tramite un pozzo, senza particolari sovrastrutture.

Era la sepoltura di Inhapy, una regina vissuta nel corso della XXI Dinastia, e anche il luogo scelto dai sacerdoti del dio Amon per nascondevi le salme di tutti i più celebri sovrani del Nuovo Regno.

Utilizzando un sepolcri esteriormente anonimi si riteneva, a ragione, che le mummie reali potessero essere più al sicuro dalle continue e sistematiche ruberie a cui si trovavano sottoposte le necropoli tebana sin dalla fine del Nuovo Regno

Prima di essere trasportate nell’impiego della regina Inhapy, le spoglie di Ramses II erano state nascoste nella tomba del padre Sethy I, evidentemente considerata più sicura del sepolcro dello stesso Ramses II.

Il trasferimento definitivo era stato deciso quando anche la tomba di Sethy era stata visitata dai ladri

Le peripezie dei resti mortali di Ramses II possono essere lette nell’iscrizione ieratica tracciata sul coperchio del sarcofago che lo conteneva

Il testo con i tre resoconti dei vari spostamenti è sovrastato da due cartigli con il nome del sovrano, apposti probabilmente per identificare la mummia contenuta all’interno.

Resta infatti ancora da risolvere il dubbio se questo sarcofago fosse stato preparato proprio per Ramses II già in origine.

Per un sovrano che ha regnato sull’Egitto 67 anni, costruendo più di quanti, prima e dopo di lui, abbiano mai fatto, sarebbe lecito attendersi un sarcofago d’oro come quello di Tutankhamon.

Quello che conteneva la salma di Ramses II, invece, è realizzato con pezzi di legno pregiato tenuti insieme per mezzo di un sistema di tenoni e mortase.

In passato si è supposto che potesse essere stato inizialmente ricoperto da una lamina d’oro, asportato in seguito da coloro che avevano violato la tomba del sovrano.

Questo però appare un po’ difficile, posto che lo stato attuale del sarcofago lascia pensare più a un oggetto non portato a termine, piuttosto che il risultato di un’azione di rapina.

Sono infatti assenti i segni di effrazione che risulterebbero dall’asportazione violenta della lamina d’oro.

Anche i lineamenti del volto, semplicemente dipinti e realizzati in uno stile ascrivibile al movimento artistico appena successivo al regno di Akhenaton, servono ad accrescere i dubbi su una reale e primaria attribuzione del sarcofago a Ramses II.

Sulla base dei pochi dati a disposizione e, la questione non può essere certo risolta in modo soddisfacente.

Sebbene si si possa supporre che, nel corso di uno dei trasferimenti, la mummia del sovrano sia stata posta nel sarcofago di un sovrano (come suggerirebbero l’ureo, la barba posticcia, il flagello e lo scettro) vissuto poco prima, questo non può essere affermato con certezza.

L’ureo infatti potrebbe essere stato aggiunto quando la salma del sovrano vi fu deposta

Fonte

Tesoro egizi nella collezione del Museo Egizio del Cairo – F. Tiradritti – fotografie Arnaldo De Luca – Edizioni White Star

Sarcofagi

LE MASCHERE DI SATDJEHUTI

E UN’INTRICATA STORIA FAMIGLIARE

Di Patrizia Burlini (introduzione) e Nico Pollone (analisi testuale)

In due diversi musei europei sono conservate due maschere funerarie lignee attribuite a Satdjehuti.

Maschera di Satdjehuty allo Staatliches Museum Ägyptischer Kunst di Monaco di Baviera, numero di inventario ÄS 7163, datata alla fine della XVII Dinastia. Foto: https://joyofmuseums.com/…/sarcophagus-lid-of-queen…/

La prima maschera si trova allo Staatliches Museum Ägyptischer Kunst di Monaco di Baviera, ha il numero di inventario ÄS 7163 ed è datata alla fine della XVII Dinastia. Satdjehuti è definita “Figlia del re e sorella del re, Satdjehuti, chiamata Satibu, la Giustificata, nata dalla moglie del re, Tetisheri” (XVII Dinastia)

La seconda maschera si trova al British Museum di Londra, reca il numero di inventario EA 29770 ed appartiene alla XVIII Dinastia. In questa maschera Satdjehuty è definita “favorita da Ahmose- Nefertari “ (regina della XVIII Dinastia)

La seconda maschera si trova al British Museum di Londra, reca il numero di inventario EA 29770 ed appartiene alla XVIII Dinastia. In questa maschera Satdjehuty è definita “favorita da Ahmose- Nefertari“ (regina della XVIII Dinastia). Foto British Museum

Com’è possibile questa datazione contrastante e questi titoli diversi? Si tratta della stessa persona o è una semplice omonimia? Chi era Satdjehuti?

La maschera di Monaco di Baviera (ÄS 7163) è in realtà un frammento, alto circa 60 cm, di uno splendido sarcofago ligneo dorato, pezzo forte della collezione egizia del Museo. Il sarcofago ligneo era sicuramente alto oltre 3 metri, a testimonianza dell’importanza politica di alcune regine e principesse (come ad esempio Ahhotep e Ahmose-Meritamon).I sarcofagi di queste regine, e anche quello di Satdjehuti, erano imponenti, mentre quelli dei re non raggiungono mai queste dimensioni.

Retro della maschera di Satdjehuty a Monaco, (in legno dorato, intarsiata con pietre preziose come corniola, turchese e lapislazzuli) corrispondente in realtà all’interno del sarcofago, è fittamente ricoperto di geroglifici, dove si può leggere “Figlia del re e sorella del re Satdjehuti, chiamata Satibu, la Giustificata, nata dalla moglie del re Teti-Sheri”.
Foto: https://www.reddit.com/…/sarcophagus_lid_of_queen…/…

Il retro della maschera, (in legno dorato, intarsiata con pietre preziose come corniola, turchese e lapislazzuli) corrispondente in realtà all’interno del sarcofago, è fittamente ricoperto di geroglifici, dove si può leggere “Figlia del re e sorella del re Satdjehuti, chiamata Satibu, la Giustificata, nata dalla moglie del re Teti-Sheri”. I geroglifici riportano alcuni capitoli del ” Libro dei Morti” nella sua “rielaborazione tebana”, come fa notare la Dott.ssa Sylvia Schoske, direttrice della Collezione Statale d’Arte Egizia di Monaco fino al 2021. Satdjehuti, era quindi figlia di Tetisheri (capostipite della XVII dinastia, alla fine del Secondo Periodo Intermedio) e probabilmente anche consorte reale, sposata con Seqenenre Tao. In questo periodo storico, caratterizzato dalle guerre con gli Hyksos, gli uomini, incluso il re, erano in impegnati in campagne di guerra che duravano mesi ed erano le donne reali, come Satdjehuti, a governare e gestire gli affari ufficiali.

Il sarcofago/maschera, in sicomoro, appartiene alla tipologia delle cosiddette bare rishi (in arabo “piuma”), in cui tutto il corpo è ricoperto da un motivo di piume. Alla base di questi sarcofagi c’è l’idea di una dea alata, come NUT, dea del cielo, che protegge il defunto con le sue braccia alate. Satdjehuti indossa la corona avvoltoio, il copricapo tipico delle regine e dee. Gli occhi sono contornati da una striscia di rame ingegnosamente piegata con un meccanismo a scatto, in modo che gli occhi si fissino meccanicamente nella loro cavità: Il bulbo oculare è realizzato in marmo, che si trova molto raramente in Egitto, mentre l’iride è realizzato con una sottile lastra di ossidiana.

Ricostruzione della bara di Monaco di Satdejuty

La maschera di Monaco di Baviera (ÄS 7163) è in realtà un frammento, alto circa 60 cm, di uno splendido sarcofago ligneo dorato, pezzo forte della collezione egizia del Museo. Il sarcofago ligneo era sicuramente alto oltre 3 metri, a testimonianza dell’importanza politica di alcune regine e principesse (come ad esempio Ahhotep e Ahmose-Meritamon).I sarcofagi di queste regine, e anche quello di Satdjehuti, erano imponenti, mentre quelli dei re non raggiungono mai queste dimensioni.
Foto: https://smaek.de/news/blogparade-femaleheritage/

L’approfondita ed interessante analisi testuale di Nico Pollone è disponibile QUI

La maschera di Londra (EA 29770) non presenta iscrizioni con il nome. Inizialmente era stata identificata come “principessa” del Medio Regno. Alcuni studiosi avevano sollevato dei dubbi su questa datazione ma fu solo nel 1993, a seguito della segnalazione di un visitatore del museo sulle dimensioni errate citate nella didascalia descrittiva, che il curatore del British Museum John Taylor fece ritirare la maschera dell’esposizione per misurarla e cercò di ricostruirne la storia.

La maschera di Londra (EA 29770). Foto David G.Robbins, 2022

Studiando i documenti d’ingresso, Taylor scoprì che la maschera era stata acquisita nel 1861 e registrata nel 1880 come parte di oggetti acquisiti dalla “vendita di Mr. Hull”. Nel cercare i documenti originali, il curatore scoprì in un registro che, oltre alla maschera, era stata acquistato anche del tessuto con iscrizioni geroglifiche in inchiostro proveniente dalla stessa collezione e probabilmente appartenenti, secondo l’ipotesi avanzata da John Taylor, alla stessa maschera (inv. EA 31074/31075). Nel tessuto era indicato sia il nome che il periodo storico in cui la donna era vissuta. Si trattava di Satdjehuty, descritta come la “favorita ” delle regina Ahmose-Nefertari, consorte del re Ahmose I (circa 1550-1525), fondatore della XVIII Dinastia. La nuova datazione della maschera alla XVIII Dinastia si basa anche su analisi stilistiche e raffronti con altre maschere conservate al Museo: la forma del viso con il leggero sorriso, le sopracciglia arcuate e il sottile trucco attorno agli occhi ricordano le statue della regina Hatshepsut. La parrucca con le larghe strisce blu alternate a strisce bianche più sottili, presenta caratteristiche riconoscibili agli inizi della XVIII Dinastia.

Vista della corona avvoltoio sul capo della maschera di Londra , tipica di dee e regine. EA29770. Foto British Museum

Secondo John Taylor, l’alta qualità della maschera suggerisce che sia stata realizzata in un laboratorio reale. Il nome Satdjehuty era piuttosto diffuso agli inizi della dinastia e appartenente a importanti famiglie tebane del periodo: la mummia di Satdjehuty si trova in luogo sconosciuto, forse entrata in Inghilterra assieme alla maschera e poi scomparsa.

Le due Satdjehuty di Monaco e Londra sono quindi la stessa persona? Il British Museum non lo dice ma in rete si trovano vari documenti che affermano che quello di Monaco sia il sarcofago mentre quella di Londra sia la maschera funeraria della stessa persona.

Cercando riscontri, scopriamo che anche il Museo di Torino riserva delle sorprese.

Con il numero di inventario S.5051 e S.5065 sono conservati alcuni frammenti del telo funerario della principessa Ahmose/Ahmes, KV 47, scoperta da Schiaparelli. Anche la mummia di Ahmose si trova conservata al Museo Egizio di Torino (S.5050) ma l’aspetto sorprendente della vicenda è che tale telo funerario definisce Ahmes come figlia e sorella del re, “generata dal buon dio, Senakhtenre Ahmose , figlio di Rê Tao, e messa al mondo dalla figlia del re, sorella del re, moglie dl re Satdehouty.

Quindi sappiamo che il sarcofago di Monaco appartiene alla principessa Satdejuty, figlia dl faraone Seqenenrao e della regina Tetisheri e sposa di Seqenenre Tao da cui ebbe la figlia Ahmes, sepolta nella KV47 e la cui mummia si trova oggi al Museo Egizio di Torino.

Marianna Luban, una ricercatrice americana indipendente, nota per aver formulato nel 1999 l’ipotesi che la Younger Lady sia Nefertiti, indispettendo enormemente Zahi Hawass, sostiene, in maniera non proprio convincente, a mio parere, che la maschera di Londra e il sarcofago di Monaco appartengano alla stessa donna, una regina, e che il tessuto trovato a Londra con il nome di Satdejuty, definita favorita di Ahmose-Nefertari, appartenga in realtà ad un’altra Satdejuty, essendo questo un nome diffuso a corte in quell’epoca.

Per concludere, è possibile che la Satdjehuty del British Museum e di Monaco siano la stessa persona, una regina della XVII dinastia, figlia di Tetisheri e probabile sposa di Seqenenre Ta , oltre che madre della principessa Ahmes a Torino, ma mancano riscontri certi all’identificazione, nonostante il nostro affascinante viaggio virtuale tra tre prestigiosi musei europei.

Un ringraziamento particolare al carissimo Dave Robbins per l’aiuto fornito nel reperire le informazioni sulla maschera a Londra e per le foto da lui gentilmente concesse.

Foto di Monaco: vedi didascalia

Foto della maschera di Londra: Dave Robbins, 2022

Fonti e link: