C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

LA REGINA TAUSERT

Di Piero Cargnino

Siamo alla fine della XIX dinastia, come avevo già anticipato questo è un periodo non molto chiaro dove le notizie sono spesso confuse. Pare comunque che a chiudere questa dinastia sia toccato ad una donna, Tausert (o Tausret o Twosret).

Figlia di Meremptah e forse della regina Takhat, quindi forse sorella del faraone usurpatore Amenmesse, fu la seconda Grande Sposa Reale di Seti II con il quale pare non abbiano avuto figli. Alla morte di Seti II, in quanto unica matrigna del giovane Siptah il quale aveva solo una decina di anni, governò con lui come reggente ed alla sua morte gli successe al trono come faraone.

Durante la reggenza non fu sola ma sempre affiancata dall’onnipotente cancelliere Bay di cui abbiamo già ampiamente parlato.

Secondo la tradizione avrebbe governato per sette anni anche se ciò non corrisponde alla realtà. Tausert iniziò a contare i suoi anni di regno partendo dalla morte di Seti II annullando i sei anni in cui regnò Siptah, lei governò per circa un anno e mezzo. In realtà potrebbe aver regnato anche qualche anno in più, è quanto emerge da un riferimento al suo nono anno di regno che è stato scoperto nel suo tempio funerario a Gurna.

Una curiosità che ci arriva da Manetone per mezzo dei suoi epitomatori, lo storico ellenistico colloca il regno di Tausert nello stesso periodo in cui cadde Troia, Joyce Tyldesley, nel suo libro “Chronicle of the Queens of Egypt” ci riporta il testo:

Theodore Davis, egittologo statunitense, durante una campagna di scavi nella tomba KV56 rinvenne dei gioielli che riportavano il nome della regina e del suo consorte Seti II, trovò anche altri gioielli appartenenti a Ramesse II.

Per quanto riguarda la tomba KV56 il titolare è sconosciuto, secondo Cyril Aldred sarebbe appartenuta alla stessa Tausert e ad una figlia di Seti II, secondo altri, tra cui Gaston Maspero, non si tratterebbe di una vera tomba ma solo di un nascondiglio per parti del corredo funerario di Tausert.

Alla morte di Siptah, Tausert si attribuì prerogative reali, e, come se ciò non bastasse si autodefinì, “Figlia di Ra, Signora di Ta-Merit, Tausert di Mut” e tale si proclamò a partire dalla morte di Seti II annullando l’esistenza del giovane Siptah. Arrivò anche a far modificare le pitture già predisposte nella sua tomba (KV14) facendo sostituire, le figure che la ritraevano in compagnia di Siptah, con Seti II.

Secondo alcuni questa condanna postuma indurrebbe a credere che Siptah non fosse figlio di Seti II ma del faraone usurpatore Amenmesse, su quest’ultima ipotesi si sta ancora dibattendo.

Anche Tausert, come prima di lei Hatshepsut, in quanto donna, incontrò alcune difficoltà nell’affrontare il protocollo reale. A differenza della regina Hatshepsut, Tausert non compare mai con la barba posticcia tipica dei faraoni anche se in una statua ad Eliopoli dove compare come donna, i titoli che sono in essa riportati sono equivoci in quanto sono misti, femminili e maschili. Come regina assunse anche il ruolo di “Sposa del Dio”, riferito ad Amon di Tebe, una  carica di notevole prestigio tanto che nel tempio di Amada viene rappresentata in queste vesti.

Contrariamente a quanto  per anni gli egittologi hanno creduto, ovvero che Tausert abbia regnato con l’appoggio del cancelliere Bay, in effetti la regina poté contare sul cancelliere solo per un certo periodo della reggenza poiché nel suo quinto anno di regno Siptah lo fece giustiziare.

Certo non dovette stare con le mani in mano, la regina, si ha notizia di varie spedizioni minerarie in Palestina ed in Siria ai giacimenti di turchese, mentre iscrizioni riconducibili a Tausert compaiono in varie località. Il suo nome compare ad Abido, Ermopoli, Menfi ed in Nubia e statue che la ritraggono si trovano a Eliopoli ed a Tebe.

Altre testimonianze che ci parlano di lei compaiono sulla Stele di Bilgai, eretta in occasione dell’inaugurazione di un monumento presso Sebennito nel Delta; una statua che la rappresenta con in braccio il piccolo Siptah; e inoltre il suo nome compare accanto a quello di Siptah nelle miniere di turchese di Serabit el-Khadim e Timna nel Sinai; il suo cartiglio è stato trovato impresso su di un vaso in faience a Tell Deir Alla, in Giordania. Tausert iniziò a farsi edificare un tempio funerario nei pressi del Ramesseum la cui esecuzione fu presto interrotta, dagli scavi eseguiti sia da Petrie, prima, poi da Wilkinson e Creasman è emerso che, se ultimato, avrebbe avuto una struttura più complessa di quanto si ritenesse.

Non sappiamo se Tausert sia morta serenamente come regina o per un complotto di palazzo quello che si sa è che alla sua morte, o poco prima, scoppiò una guerra civile il cui svolgimento è raccontato sulla Stele di Elefantina fatta erigere dal successore di Tausert, Sethnalht. Sethnalht  emerse vittorioso dalla contesa e divenne il primo faraone della XX dinastia anche se pare non subito, secondo il Papiro Harris alla morte di Tausert ci fu un breve periodo in cui nessuno ricoprì il rango di sovrano, l’Egitto attraversò un periodo di disgregazione e di grande debolezza del potere centrale; questa affermazione però non è supportata da altre prove storiche. Seguì purtroppo un tempo buio dove si cercò di nascondere il più possibile la discendenza precedente, Sethnalht usurpò la tomba di Seti II e Tausert modificandone la struttura, fece porre Seti II in un’altra tomba, la KV15 e fece togliere le immagini di Tausert, sostituendole con le sue nella KV14.

Le vicende di questa tomba sono un po’ confuse, venne iniziata da Seti II, in alcune scene troviamo Tausert con Siptah anche se il suo nome è stato scalpellato e sostituito con quello di Seti II, il sarcofago della regina venne usurpato dal principe Amonherkhepeshef, cinquant’anni dopo ed usato per lui nella tomba KV13.

Il sarcofago di Tausert è un monolite di granito rosso lungo 2,80 metri e largo 1,20 metri pesante 6 tonnellate, rinvenuto spezzato in più parti è stato restaurato e dal 2019 è esposto al museo di Luxor, ai lati sono rappresentati i quattro figli di Horus e preghiere per la regina. La mummia di Tausert non è mai stata ritrovata, si pensa che Setnakht l’abbia fatta distruggere, cosa che sarebbe ancora più spregevole della damnatio memoriae per la religione egizia. Qualcuno ha ipotizzato che potrebbe essere la mummia della cosiddetta “Donna Sconosciuta” rinvenuta nella tomba KV35 ma in nessun caso esistono prove di alcun genere.

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alfred Heuss e al., “I Propilei”. I, Verona, Mondadori, 1980
  • Università di Cambridge, “Storia Antica. II, 3. Il Medio Oriente e l’area Egea 1380-1000 a.C.”, Milano, Il Saggiatore, 1975
  • Mario Tosi, “Tausert, l’ultima regina”, Torino, Ananke, 2007
  • Joyce Tydesley, “Chronicle of the Queens of Egypt”, Londra, Thames & Hudson, 2006  
  • Vivienne G. Challender, “Queen Tausert and in the End of Dynastyy 19”. Studies Zur Altagyptischen Kultur, 2004
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

BAY – IL CANCELLIERE ONNIPOTENTE

Di Piero Cargnino

Vi chiederete perché voglio dedicare la mia attenzione ad una figura che passerebbe forse del tutto inosservata a coloro che seguono la storia egizia raccontata attraverso i grandi, o meno grandi, faraoni che hanno governato le Due Terre. Personalmente la trovo interessante anche perché arriva al crepuscolo di una grande dinastia, la XIX, alla quale seguiranno momenti meno esaltanti per l’Egitto e poi perché è comunque storia dell’Egitto.

Bay, Ramesse Khamenteru, anche Iarsu, funzionario già sotto i faraoni Merenptah ed Amenmesse, se non addirittura di Ramses II, sotto il regno di Siptah assurge ai più alti gradini della burocrazia egizia. Oggi diremmo “uno che si è fatto da se”, non si sa come, ma si era fatto da se. Come ci sia arrivato è tutto da vedere, potrebbe essergli tornata utile una probabile relazione con la madre di Siptah, una concubina di Seti II (o di Amenmesse) di origini cananee, la siriana Tia’a.

Le sue origini erano siriane, era un Hurrita, lo troviamo per la prima volta durante il regno di Seti II, dapprima come scriba e maggiordomo, posizione assai importante nell’antico Egitto. E’ probabile però che i primi incarichi gli siano stati affidati in precedenza da Merenptah o addirittura da Ramses II. Assunse una grande importanza, tanto da diventare un politico determinante sul finire della XIX dinastia al punto, come già detto in precedenza, da autodefinirsi:

Sicuramente dovette ricoprire un ruolo preminente a corte poiché in alcune raffigurazioni compare in piedi dietro al trono di Siptah, o dietro al sovrano mentre questi fa offerte ad Amon, una posizione mai occupata da un personaggio di origini non nobili. Una figura simile, chiamata Iarsu, viene descritta in questo periodo nel “Grande Papiro Harris” anche se nulla ci prova che si tratti della stessa persona. Bay potrebbe aver rivestito dapprima il ruolo di sacerdote, lo testimonierebbe una sua statuetta rinvenuta nel tempio di Eliopoli.

Sul finire del regno di Seti II divenne cancelliere assumendo un ruolo di primo piano anche nei confronti dell’ascesa al trono dell’adolescente Siptah. Acquisì un potere talmente elevato che, su vari monumenti del re, a dispetto di quanto prevedeva l’arte ufficiale egizia, che il faraone venisse ritratto in scala maggiore rispetto a ogni altro personaggio, con l’unica eccezione delle divinità, su numerosi monumenti compare con le stesse dimensioni del re.

Non solo, ma su alcune iscrizioni Bay si pone come colui che pose il re << sul trono di suo padre >> senza che venga specificato come e perché ciò sarebbe avvenuto. Durante il suo terzo anno di regno Siptah lo nominò responsabile del proprio culto personale. In tutta la storia egizia non incontriamo alcun personaggio, di stirpe plebea, che possa vantare un potere così elevato presso la corte di un faraone.

L’importanza raggiunta dovette essere tale che il faraone Seti II (ma più probabilmente Siptah) gli concessero di farsi costruire una tomba nella Valle dei Re (la KV13). Un privilegio decisamente inaudito mai concesso ad alcuno tanto meno ad un personaggio straniero. La sua tomba, come quella della regina Tausert (KV14) fa parte di un complesso di tre tombe, con quella di Siptah, solo che le loro sono copie più piccole di quella del re.

Su alcune tavolette emerse dagli scavi a Ras Shamre emerge una serie di scambi epistolari tra Ugarit e Bay dove quest’ultimo compare come << Capo delle guardie del Corpo del Grande Re, del Re d’Egitto >>.

In un primo momento si pensò che Bay avesse continuato nei suoi incarichi anche durante il regno della regina Tausert ma il recentissimo rinvenimento di un ostrakon, scoperto nel 2000 da Pierre Grandet e pubblicato su BIFAO (Bulletin de l’Institut Français d’Archéologie Orientale), col titolo “L’execution du chancelier Bay”, rivela una realtà del tutto diversa.

In effetti Bay venne giustiziato già nel quinto anno di regno di Siptah, sul recto dell’ostrakon è riportato un annuncio per gli operai che stavano lavorando alla sua tomba. Il testo recita:

Subito si provvide a cancellare il nome di Bay dalla tomba e lo stesso venne del tutto censurato forse ad opera dei successori, principalmente di Sethnakht che decisero che non doveva essere considerato alcun successore legittimo di Seti II, cosa che in parte aveva già fatto la regina Tausert che fece scalpellare i cartigli di Siptah. Questo ci induce a pensare che Bay dovette averla combinata proprio grossa, si raccontava che avesse avuto una tresca con la regina Tausert della quale fu anche amante. Secondo alcuni si tratta solo di ipotesi non confermate da alcun riscontro, non solo ma Bay venne giustiziato nel quinto anno del regno di Siptah, almeno due anni prima che Tausert ascendesse al trono.

Bay, ormai considerato traditore, non fu sepolto nella sua lussuosa tomba che venne usurpata parecchi anni dopo dal principe Montuherkhepshef, figlio di Ramses IX. Il “Papiro Harris” non è certo tenero nei confronti di Bay in quanto afferma che nel periodo in cui era in carica l’Egitto attraversò un periodo di caos durante il quale si negavano addirittura le offerte agli dei.

Il successore di Tausert, Sethnakht, primo re della XX dinastia, fece espellere dall’Egitto tutti gli asiatici che erano stati fatti arrivare da Bay i quali fuggendo abbandonarono molto oro, argento e rame che, nel frattempo, avevano rubato. L’editto di Sethnakht è riportato su di una stele sull’isola di Elefantina. E per finire torniamo a parlare di Esodo. Nei suoi Aegyptiaca Manetone racconta che, in questo periodo, un sacerdote di nome Osarseph guidò un numero imprecisato di lebbrosi asiatici fuori dall’Egitto, molti vedono in questo l’Esodo di Mosè. Secondo alcuni studiosi, Bay sarebbe il biblico Giuseppe mentre Osarseph potrebbe essere Mosè.

Sul cancelliere Bay vedi anche: IL GRAN CANCELLIERE D’EGITTO BAY

Fonti e bibliografia:

  • Pierre Grandet, “L’execution du chancelier Bay O. IFAO 1864”,  BIFAO 100, 2000
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alfred Heuss e al., “I Propilei”. I, Verona, Mondadori, 1980
  • Università di Cambridge, “Storia Antica. II, 3. Il Medio Oriente e l’area Egea 1380-1000 a.C.”, Milano, Il Saggiatore, 1975
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IL FARAONE SIPTAH

Di Piero Cargnino

Abbiamo già parlato di Siptah in altra occasione, di lui si è per molto tempo ritenuto che fosse figlio di Seti II e della prima Grande Sposa Reale Takhat, alcuni obiettano che potrebbe essere stato il figlio della terza Sposa di Seti II, la siriana Tia’a. Secondo alcuni egittologi che hanno esaminato un rilievo custodito al Louvre (E 26901) hanno notato che il nome di Siptah è affiancato a quello di Sutulja, una concubina reale, nel rilievo Sutulja viene definita come madre di Siptah. Sul padre è stata avanzata l’ipotesi secondo cui potrebbe essere il figlio del faraone Amenmesse poiché, come lui, durante la XX dinastia era considerato illegittimo.

Che sia di stirpe reale non dovrebbero esistere dubbi in quanto compare in una statua seduto sulle ginocchia di un Faraone mancante della testa. Salito al trono intorno ai 10 – 12 anni ebbe un regno molto breve, poco più di cinque anni, alla sua morte non era ancora ventenne. Erede dei grandi Seti I e Ramses II, fu l’ultimo sovrano della discendenza maschile, ultimo della XIX dinastia che si chiuderà con la regina Tausert, vedova di Seti II e forse matrigna di Siptah.

Data la giovane età gli egittologi suppongono che abbia governato con la reggenza della Grande Sposa Reale di Seti II, Tausert. In questo periodo comparivano due sovrani con lo stesso nomen, Ramses Siptah e Merenptah Siptah ma grazie agli studi dell’egittologo Alan Gardiner è stato appurato che si trattava dello stesso Siptah che, intorno al secondo o terzo anno di regno, inspiegabilmente, cambiò il prenomen da Ramses Siptah a Meremptah Siptah.

Va detto che il regno di Siptah, come quello seguente della regina Tausert, furono condizionati fortemente dalla figura di un funzionario di corte, il cancelliere Bay, un personaggio non di nobili origini, giunto nella sua posizione non si sa come, raggiunse un grado di influenza a corte decisamente inusuale tanto da autodefinirsi: << Grande Sovrintendente dei Sigilli dell’intero Paese, Colui che pose il Re sul trono di Suo Padre; amato dal suo Signore: Bay >>. Una strana, oltre che interessante figura della quale parleremo in seguito.

Siptah fu sepolto nella Valle dei Re, nonostante la sua tomba, la KV47 non fosse ancora terminata. Nel 1905, quando Edward Russell Ayrton la scoprì era in cattive condizioni e l’egittologo si limitò a scavare i corridoi e l’anticamera prima di smettere per il timore di crolli. Rilievi epigrafici vennero effettuati nel 1907 da Harold Jones ma fu solo nella campagna di scavi del 1912-13 che Harry Burton proseguì gli scavi giungendo fino alla camera funeraria. Anche Howard Carter, nel 1922, eseguì alcuni scavi ma solo nei pressi dell’ingresso. Passarono oltre settant’anni finché nel 1994 il Supremo Consiglio delle Antichità egizio procedette ad effettuare lavori di consolidamento e restauro che vennero ripresi e conclusi nel 1999 dal MISR Projet Mission Siptah-Ramses X.

In un primo tempo già Ayrton e poi Burton ipotizzarono che la KV47 avesse ospitato la mummia di Siptah e della madre Tia’a. All’interno della tomba sono chiaramente visibili segni di manomissione o tentativi di usurpazione infatti i cartigli di Siptah risultano abrasi e poi, in seguito, restaurati ma solo pittoricamente. Gli studiosi escludono che si tratti di una sorta di damnatio memoriae in quanto non esistono motivazioni che possano suffragare una simile ipotesi.

La tomba KV47 segue il tipico sviluppo delle tombe della XIX dinastia, dall’ingresso si accede, attraverso una scala in leggera pendenza, a tre corridoi sempre in pendenza, da qui si sbuca in una prima camera molto piccola dalla quale parte un brevissimo corridoio che porta ad una camera grande il cui soffitto è sorretto da quattro pilastri. Da questa camera si dipartono due corridoi in piano al termine dei quali si trovano l’anticamera e la camera funeraria anch’essa sorretta da quattro pilastri.

Tra l’anticamera e la camera funeraria, sulla sinistra, si incontra un corridoio che si interrompe quasi subito perché se proseguito avrebbe intercettato la tomba KV32 che si trova molto vicina.

Solo i primi corridoi sono ben rifiniti e decorati con le “Litanie di Ra” e capitoli del “Libro dei Morti”, in una immagine si vede il re al cospetto di Ra-Horakhti. Tutto il resto della tomba, compresa la camera funeraria, non venne mai finito. Al centro della camera funeraria si trova il sarcofago di Siptah decorato con Anubi ed una serie di demoni dell’oltretomba, anche sul sarcofago si notano i cartigli abrasi.

Ayrton rinvenne inoltre frammenti di un altro sarcofago oltre ad altri di due sarcofagi antropoidi e due vasi canopi. All’interno del sarcofago erano contenute ossa relative a sepolture postume, forse della XXI dinastia. La mummia, come quella di molti altri faraoni, venne riposta nella tomba di Amenhotep II (KV35) durante la XXI dinastia e venne trovata da Victor Loret nel 1898. Il corpo, pesantemente danneggiato dai predatori, risultava chiaramente deformato, probabilmente da poliomielite, la  gamba sinistra più corta ed il piede deformato.

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Alfred Heuss e al., “I Propilei”. I, Verona, Mondadori, 1980
  • Università di Cambridge, “Storia Antica. II, 3. Il Medio Oriente e l’area Egea 1380-1000 a.C.”, Milano, Il Saggiatore, 1975
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IL FARAONE SETI II

Di Piero Cargnino

Seti II salì al trono alla morte del padre Merenptah ed avrebbe regnato per circa sei anni anche se durante il suo regno dovette far fronte all’interferenza di Amenmesse, di cui abbiamo già parlato in precedenza. C’è da dire che questo è un periodo abbastanza oscuro per l’Egitto, i pochi dati di cui dispongono gli studiosi non permettono neppure di tracciare una sequenza sicura nella successione degli ultimi sovrani della XIX dinastia. Addirittura Ramses III, nella sua lista degli antenati, salta da Seti II a Sethnakht, suo padre, primo faraone della XX dinastia.

Come già ampiamente spiegato in precedenza, Amenmesse non ebbe mai il controllo di tutto l’Egitto ma solo quello dell’Alto Egitto e non è neppure certo che Seti II si sia imposto con una vera e propria guerra civile o più semplicemente con un serrato confronto politico. Alcuni sostengono che Seti II potrebbe aver sposato la regina Takhat dalla quale avrebbe avuto come figlio proprio Amenmesse, ipotesi ritenuta inverosimile in quanto Seti II era già in età assai avanzata, per quei tempi, cosa che renderebbe poco credibile che potesse avere già un figlio in età adatta a tentare la scalata al potere.

Sposò però la Regina Tausert dalla quale ebbe un figlio Siptah. Tausert, alla morte di Seti II diventerà coreggente del figlio ancora fanciullo ed alla morte prematura di Siptah diverrà lei stessa faraone.

Seti II esercitò una certa attività edilizia, inoltre restaurò ed ampliò altri monumenti oltre ad usurpare quelli di suoi predecessori in particolare quelli eretti da Amenmesse. Il suo breve regno non fu caratterizzato da guerre o campagne militari oltre i confini egiziani.

Alla sua morte Seti II venne dapprima sepolto nella tomba KV14 della Grande Sposa Reale Tausert, poi trasferito nella KV15 che era ancora in costruzione ma venne frettolosamente ultimata.

In seguito ai già più volte citati saccheggi, durante la XXI dinastia, la sua mummia fu trasferita nella tomba di Amenhotep II (KV35) dove venne rinvenuta.

La sua tomba, come molte altre, era già conosciuta fin dall’antichità, già nel 1737 Richard Pocoke eseguì una prima mappatura ma una mappatura più approfondita venne eseguita durante la spedizione di Napoleone nel 1799. In seguito venne esplorata da James Burton nel 1825, la tomba venne ulteriormente rilevata da Ippolito Rosellini ed in seguito da Karl Richard Lepsius nel 1844. Fu poi Haward Carter ad eseguire  scavi sistematici nel 1903.

L’ingresso alla tomba avviene attraverso una piccola entrata dalla quale si accede a  tre lunghi corridoi in leggera pendenza dopo i quali si accede ad un’anticamera sorretta da quattro pilastri, sempre proseguendo troviamo la camera funeraria, da questa prosegue un breve corridoio mai finito. Tutti i locali sono intonacati di bianco e denunciano la fretta che dovette assillare gli esecutori in quanto il re venne sepolto prima ancora che i lavori fossero ultimati, all’inizio si trovano dei bassorilievi mentre proseguendo questi sono sostituiti da decorazioni solo dipinte.

Le decorazioni della tomba si sono conservate molto bene, inspiegabilmente però si riscontra che i cartigli di Seti II furono dapprima scritti, poi cancellati ed in seguito riscritti, la motivazione di ciò è del tutto inspiegabile.

All’ingresso della tomba troviamo un motivo predominante che si ripete poi in altre parti della tomba, si tratta della rappresentazione della dea Maat inginocchiata sulle piante araldiche dell’Alto e Basso Egitto. Sulle pareti dei tre corridoi che seguono sono rappresentasti, a partire dal primo e poi a seguire, le “Litanie di Ra” ed il “Libro dell’Amduat”, segue una piccola camera dove sono rappresentate suppellettili funerarie in modo talmente realistico che ricordano alcune di quelle trovate nella tomba di Tutankhamon. L’anticamera è decorata con i testi del “Libro delle Porte” mentre i quattro pilastri presentano su ciascun lato una grande figura, il breve corridoio che segue non è mai stato ultimato.

La mummia di Seti II venne sbendata da Elliot Smith nel 1905 e presenta un uomo di mezza età, alto 1 metro e 64 centimetri accuratamente imbalsamato anche se la violenza, di cui è stata oggetto da parte dei saccheggiatori in cerca di gioielli e amuleti preziosi, l’ha ridotta molto male, il capo è stato mozzato con asce o coltelli così come le braccia e le dita, tanto che l’avambraccio destro con la mano non sono mai stati trovati.

A dispetto di così tanta crudeltà e violenza, sono stati trovati alcuni amuleti in faience che erano stati legati ai piedi. Con spirito di umana pietà i sacerdoti della XXI dinastia restaurarono, per quanto possibile, la mummia in occasione del suo trasbordo dalla KV15 alla KV35, la avvolsero poi in un sudario sul quale trascrissero la vicenda dei suoi resti. A seguire vi parlerò della statua colossale di Seti II, che fa bella mostra di se, con i suoi 5,16 metri di altezza e del peso di 6 tonnellate, nella Galleria dei Re del Museo Egizio di Torino. Insieme a un’altra simile, oggi conservata al Louvre, questa statua si trovava originariamente davanti all’ingresso di una cappella edificata da Seti II nel gran cortile del tempio di Karnak.

IL TORINESE COLOSSO DI OSIMANDIA

Visitando il Museo Egizio di Torino, dopo aver ammirato i reperti esposti, si raggiunge il piano terreno e ci si trova immersi nella meravigliosa Galleria dei Re, allestita in occasione delle Olimpiadi di Torino del 2006 dallo scenografo Dante Ferretti, premio Oscar nel 2005, (“The Aviator” di Martin Scorzese). Sul fondo, si staglia una colossale statua.

Trattasi di una statua in arenaria quarzosa molto compatta di colore giallo rossastro, alta 5,16 metri e del peso di 6 tonnellate che raffigura il faraone Sethi II Merenptah in piedi con veste sacerdotale e regge un’insegna sacra. La postura, stante, caratteristica delle statue maschili antico egizie, col piede sinistro avanzato ed il peso del corpo insistente sulla gamba destra verticale costituisce un esempio di notevole statuaria monumentale capace di esprimere la stabilità e la forza del re attraverso l’armonia della muscolatura e la geometricità dei volumi e delle linee.

Sul capo cinge la corona “Atef” ornata lateralmente da due piume di struzzo. Al fianco sinistro porta uno stendardo sulla cui sommità si trovava un’immagine del dio Seth oggi non più presente. Tenuto conto che, a parte un’iscrizione sul retro della statua, tutte le altre iscrizioni sono state abrase, questo porta a pensare che, anche la mancanza dell’immagine di Seth, sia stata un’azione deliberata.

La statua, contrassegnata col n. Cat. 1383, faceva parte della Collezione Drovetti e ad essa era stato assegnato il nome de “Il torinese colosso di Osimandia”.

Così iniziano le “Osservazioni intorno all’età, ed alla persona rappresentata dal maggiore colosso del Reale Museo Egiziano di Torino”, opera del Cav. Giulio Cordero di S. Quintino, edita dall’Accademia delle Scienze di Torino in data 19 agosto 1824. L’opera viene pure ricordata dal Prof. Silvio Curto nel suo libro dove ne fornisce una dettagliata spiegazione.

Parlando della statua di Sethi II il S. Quintino racconta che essa fu trovata dal Drovetti nelle rovine di Tebe nel 1818, con un’altra uguale ma rotta in più pezzi che fu portata a Roma. Trasportata a Livorno con la nave norvegese Trondheim, vi rimase fino al 24 gennaio 1824 quando il re Carlo Felice concluse col Drovetti il contratto di acquisto della sua Collezione. Presa in consegna ufficialmente, il Cav. di S. Quintino la fece trasportare, sempre via mare, a Genova e da qui a Torino dove giunse a settembre 1824. Intanto Carlo Felice aveva fatto sistemare la Collezione Drovetti nel Palazzo dell’Accademia delle Scienze, costituendo così un museo che era unico del genere al mondo, non solo ma documentava compiutamente l’antica civiltà egizia, nell’arte, nella storia, nella religione ed in ogni altro aspetto. Direttore venne nominato lo stesso Cav. S. Quintino. Il colosso venne collocato nel cortile nel Palazzo dell’Accademia delle Scienze, dove rimase per tutto il gelido inverno torinese. Frattanto già dal maggio dello stesso anno era giunto a Torino un giovane orientalista di Grenoble che due anni prima aveva trovato la chiave per decifrare i geroglifici, tale Jean Francois Champollion. Accolto entusiasticamente dai più, lo fu meno dal S. Quintino, fermo nelle sue idee reazionarie mentre lo Champollion vantava un passato bonapartista. Tra i due ne nacque un contrasto che si accentuò quando Champollion, rese noto il suo sdegno nel vedere che il colosso, che secondo lui apparteneva al re “Osimandia”, se ne stava abbandonato alle intemperie. Nonostante tutto il Direttore, alle prese con i tanti problemi che causava la sistemazione dei reperti, ad un certo punto accettò una collaborazione pertanto favoriva in tutti i modi Champollion fino a diventare un suo ardente sostenitore circa la lettura fonetica dei geroglifici.

Sorse però una nuova contesa tra gli studiosi circa l’attribuzione al re “Osimandia” del colosso. Questo sovrano viene citato una sola volta da Diodoro Siculo nella “Biblioteca”, I, 47, dove lo storico descrive, ma non per conoscenza diretta, un grandioso edificio a Tebe, fronteggiato da due statue colossali, chiamato appunto “Sepolcro di Osimandia”. Quando poi Champollion si recò in Egitto con la spedizione Franco-Toscana del 1828-29, riuscì a stabilire che l’edificio in questione era appartenuto a Ramses, che egli individuò come il III. A questo punto gli studiosi chiarirono che “Osimandia” altro non era che il prenome di Ramses II il Grande ovvero “User-maat-Ra”.

La disputa continuò finché, nel 1839, il primo compilatore di un “Catalogo illustrato dei monumenti egizii del Regio Museo di Torino”, descriveva con esattezza la statua come appartenuta al faraone Sethi II della XIX dinastia. A puro titolo di curiosità possiamo dire che mancano iscrizioni dell’epoca di Seti II ma in compenso, come era in uso agli inizi dell’ottocento quando il commercio di reperti era ancora legale, troviamo le iscrizioni di coloro che scoprivano o negoziavano i reperti:

“DECOUVERT PAR. j. RIFAUD / sculpteur . au . SERVICE / DE . MR . DROVETTI / A Thebès . 1818”
“FORT FRA EGYBTEN / TIL LIVORNO . I . SKIBET / TRONHIEN cap n. RICHELIEU / 1819”.

Fonti e bibliografia:

  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Alfred Heuss e atri., “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980

Per “Il torinese colosso di Osimandia”:

  • Prof. Silvio Curto, “Attraverso l’Egittologia”, ed. Egyptbook s.a.s. Dicembre 2001
  • Cav. Giulio Cordero di S. Quintino, “Lezioni archeologiche intorno ad alcuni monumenti del Regio Museo Egiziano di Torino”, Stamperia Reale 1824
  • Paolo Bondielli, “Anche le statue parlano, anzi…scrivono!”, Articolo da Mediterraneo Antico, 2020)
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IL “FARAONE” AMENMESSE  E LA REGINA TAKHAT

Di Piero Cargnino

Amenmose (Nato da Amon), ellenizzato in Amenmesse, portava il nome regale di Menmira-Setepenra (Eterno come Ra, Scelto da Ra) accompagnato dellepiteto Hekauaset (Signore di Tebe). Tutti questi nomi per indicare un’effimero sovrano di cui non si conosce con certezza il padre, potrebbe essere un figlio di Merenptah e della regina Takhat, o uno degli innumerevoli figli di Ramses II o addirittura di Seti I.

Governò parte dell’Egitto per un breve periodo, 3 o 4 anni. Secondo alcuni egittologi, tra questi Kennet Kitchen e Jurgen von Beckerath, Amenmesse non fu mai designato a succedere al trono di Merenptah, molto probabilmente, approfittando di una momentanea debolezza di Seti-Merenptah (Seti II), vero principe ereditario, mentre questi si trovava in Asia, si creò un regno fittizio nell’Alto Egitto.

Il regno di Amenmesse e la sua posizione all’interno della XIX dinastia sono particolarmente oscuri. La maggior parte degli egittologi ritiene che Seti II sia salito al trono alla morte del padre Merenptah senza l’intermezzo di Amenmesse e che quindi costui non debba essere considerato un vero faraone ma forse semplicemente un governatore locale, o un membro della famiglia reale, che si arrogò il diritto alla successione, successione che non gli riuscì per cui fu solo un temporaneo appropriarsi dei poteri, in modo particolare in Nubia e nella tebaide.

A Tebe si trovano alcune attestazioni riferite ad Amenmesse mentre non se ne trovano di relative al terzo e quarto anno di Seti II. Questo ci porta a pensare che Seti II salì al trono ed iniziò la costruzione della sua tomba a Tebe ma nel suo terzo anno di regno perse il controllo dell’Alto Egitto a causa della rivolta di Amenmesse che, oltre ad autoproclamarsi re, tentò pure di usurpare la tomba di Seti II, non ancora terminata, e ne fece sfregiare le pareti. Seti II non si fece attendere, attaccò le truppe di Amenmesse e le sconfisse entrando trionfatore a Tebe. Subito ordinò il ripristino della propria tomba.

Dalle varie iscrizioni che si è potuto reperire diventa molto complesso capire fin dove si può prestare fede, queste sono state più volte modificate a turno da Amenmesse e Seti II. Quello che pare certo è che la madre di Amenmesse fosse effettivamente una “regina Takhat”, ma chi fosse in realtà  costei è oggetto di dibattito, sappiamo che uno dei suoi titoli è quello di “Figlia del Re”, ma quale Re? Merenptah o Ramses II? Su una lista di principesse, oggi al Louvre risalente al cinquantatreesimo anno di regno di Ramses II compare il nome di una Takhat, che potrebbe essere coetanea di Seti II.

Takhat compare in molte sculture con Amenmesse, in particolare su una di esse, presente nel complesso templare di Karnak, Takhat viene indicata come “Figlia del Re e Sposa del Re”, (si può facilmente intuire che la parola “Sposa” è stata successivamente impressa sulla originale “Madre”).

Gli egittologi Dodson e Hilton suggeriscono che il titolo di madre venne sostituito da quello di sposa quando Seti II riconquistò l’intero Egitto riappropriandosi del potere, se così fosse allora Takhat potrebbe aver sposato Seti II precedentemente. A questo punto Amenmesse sarebbe figlio di Seti II  che si sarebbe ribellato al proprio padre cercando di strappargli il trono.

Il dilemma si complica se si esamina un’altra statua, sempre proveniente da Karnak ma oggi al Museo del Cairo, dove Takhat viene sempre nominata come “Figlia del Re e Sposa del Re”, senza che siano state apportate modifiche, mentre il nome del re è stato più volte modificato, secondo Dodson e Hilton in origine era Seti, poi fu modificato in Amenmesse quando questi la usurpò, infine, con la conquista definitiva del potere, rimodificato in Seti.

Un’altra teoria suggerisce che Seti non sposò mai Takhat, sostituì solo il nome per cancellare ogni traccia di suo figlio Amenmesse. Altri ancora ritengono che Takhat fosse figlia di Merenptah cosa che porterebbe a pensare che Seti II e Amenmesse sarebbero stati fratellastri. Questo tira e molla di sostituzioni di nomi e titoli si protrae ancora, nella Grande Sala Ipostila del tempio di Amon a Karnak, sei statue in quarzite che raffiguravano Amenmesse, pare che Seti II che le abbia modificate apponendovi i suoi cartigli.

Alla sua morte Amenmesse fu sepolto nella Valle dei Re nella tomba conosciuta come KV10. La tomba fu profanata già fin dall’antichità anche se il principale profanatore fu proprio Seti II il quale ordinò che le iscrizioni e le immagini dipinte sulle pareti venissero raschiate ed in parte furono usurpate dagli incaricati di Seti II, cancellando ogni riferimento ad Amenmesse.

All’interno della tomba furono rinvenute tre mummie due femminili e una maschile, secondo alcuni si tratterebbe di Amenmesse, della madre Takhat e di una probabile sposa di nome Baketurel. E’ più facile però che si tratti di sepolture successive in quanto si può ritenere che Seti II abbia fatto distruggere il corpo di Amenmesse allo scopo di infliggergli la più terribile delle punizioni per la religione egizia, con la distruzione del corpo gli veniva impedito di raggiungere la vita eterna. Inoltre un tale atto dovette servire da esempio e sottolineare la gravità del tradimento.

Per quanto riguarda la regina Takhat fu sepolta nella stessa tomba di Amenmesse in un sarcofago che era appartenuto a una principessa e regina di nome Anuketemheb del tutto sconosciuta, forse una figlia di Ramses II. In seguito la tomba fu usurpata da componenti della famiglia di Ramses IX.

Fonti e bibliografia:

  • Frank Joseph Yurco, “Amenmesse era il viceré di Kush, Messuwy?”, Jarce34, 1997
  • Aidan Dodson, “La tomba del re Amenmesse: alcune osservazioni”., DE 2,  1985
  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Alfred Heuss e atri., “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

IL FARAONE MERENPTAH

Di Piero Cargnino

Il Grande faraone se ne è andato, il trono passa dunque al suo fedele figlio Merenptah. Tredicesimo nell’ordine di discendenza, figlio della Grande Sposa Reale Isinofret, Merenptah, il cui nome di Horo era “Kha Nekhet Hajm-maat”, quando salì al trono era già anziano, avendo superato i 60 anni di età, ed il suo regno non dovette durare più di 9 anni.

La sua Grande Sposa Reale fu Isinofret II, omonima della madre. Formato e plasmato alla scuola del padre, Merenptah non fu in grado di imprimere il suo carattere alla politica dell’Egitto e continuò sulla strada di Ramses II, Dopo l’accordo stipulato con il regno di Hatti, la politica egizia marciò per proprio conto senza curarsi troppo di ciò che accadeva in Asia dove stavano prendendo piede gli assiri che iniziarono a premere contro l’impero ittita. Non sappiamo se gli ittiti chiesero aiuto agli egiziani, come era stato previsto dal trattato, sappiamo però che Merenptah non si mosse in loro aiuto quando l’esercito assiro di Tukulti-Ninurta attaccò l’esercito ittita sbaragliandolo.

Nel medio oriente crebbe l’instabilità e di conseguenza diminuì l’influenza egizia in quell’area. Alcuni signori locali iniziarono a dare segni di insofferenza nei confronti degli egiziani ed allora, ma solo in questo caso durante tutto il suo regno, Merenptah ordinò una spedizione in Canaan per riportare sotto il controllo dell’Egitto questi popoli. La spedizione non è documentata alla maniera di Ramses pertanto quello che sappiamo è che l’esito fu ovviamente a favore dell’esercito egiziano.

Quel poco che si conosce di questa spedizione in parte ci proviene dalla cosiddetta “Stele di Merenptah”.

Si tratta di una stele di basalto nero rinvenuta da Flinders Petrie nel 1896 a Tebe presso il tempio funerario di Merenptah ed oggi custodita presso il Museo Egizio del Cairo. Venne fatta erigere dal faraone Amenhotep III e cita l’esito di una sua vittoria militare contro i Libi e i Mashuash nella Libia avvenuta nel “Quinto anno, terzo mese di shemu, terzo giorno”. Venne in seguito riutilizzata da Merenptah che fece incidere le ultime righe dove raccontò l’esito vittorioso della sua spedizione militare condotta verso la terra di Canaan.

Nell’elenco delle popolazioni sconfitte nella spedizione viene citata tra gli altri “Ysrir” che molti vogliono leggere Israele. Le poche righe recitano testualmente:

Molti studiosi si sono tuffati con grande interesse per cercare di interpretare queste ultime tre righe della stele, principalmente per sostenere che il vocabolo “Ysrir” andrebbe interpretato come “Israele”, cosa che costituirebbe un evento storico unico in quanto sarebbe la prima volta che Israele viene citata in una fonte storica e non solo biblica.

Va detto che il nome Ysrir non è scritto nella forma che servirebbe ad individuare un regno, cioè con tre montagne stilizzate ma semplicemente con un uomo e una donna che starebbero ad indicare una popolazione di natura nomade. A questo punto però non dobbiamo dimenticare un problema, l’invasione egiziana di Canaan da parte di Merneptah risalirebbe al tempo in cui gli israeliani erano “governati” dai Giudici e durante questo periodo la Bibbia non fa alcun cenno ad improbabili invasioni e distruzioni a causa dell’esercito egiziano. I sostenitori della tesi che si tratti di Israele sono talmente sicuri che stavolta non si curano del fatto che la Bibbia non citi un evento così disastroso per il popolo.

Dobbiamo dire a questo proposito che durante il periodo dei Giudici Israele in quanto tale non esisteva e fin dalla morte di Giosuè il popolo si era allontanato dal loro dio:

Al che significa che chiamarli “ebrei”, nel senso di seguaci del dio di Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe, è del tutto fuori contesto. Non solo ma qui c’è una contraddizione biblica, il libro dei Giudici non parla mai del fatto che il popolo di Israele, quello uscito dall’Egitto con Mosè prima e poi seguendo Giosuè, invase Canaan distruggendo le città con battaglie tipo Gerico, dal libro dei Giudici apprendiamo che la popolazione di Israele entrò in Canaan attraverso un’infiltrazione graduale e pacifica, almeno nella fase iniziale (Libro dei Giudici – A.Alt, M. Noth). La Bibbia si perde in racconti confusi, cita Debora, Gedeone, poi altri giudici, indi l’episodio di Sansone terminando il racconto con:

Scavi archeologici documentano la nascita, intorno al 1200, di numerosi (circa 250) insediamenti di piccole comunità quasi del tutto insignificanti tra le quali probabilmente anche quelle di Israele. La cultura di questi insediamenti non si differenzia per nulla da quella cananea per cui risulta pressoché impossibile distinguere quale fosse ebrea e quale cananea.

Pensare che con il vocabolo Ysrir gli egizi intendessero un insieme disomogeneo di comunità locali, o che Israele, al tempo del faraone Merenptah, fosse già abbastanza forte da combattere contro l’Egitto, al pari delle altre entità politiche menzionate nell’iscrizione a me pare quanto meno arduo ed arbitrario. Personalmente non credo che il vocabolo Ysrir voglia dire Israele ma lascio che ad interpretarlo siano gli studiosi che ne sanno più di me. Per correttezza ed equità io ho citato la stele come “Stele di Merenptah” e non come “Stele di Israele” o, come vogliono gli egiziani “Stele della Vittoria”.

Finora abbiamo parlato della spedizione in terra di Canaan dove Merenptah ha sbaragliato parecchi popoli addirittura elencandoceli nelle tre righe aggiunte alla stele che fece erigere  Amenhotep III per vantare le sue vittorie. Trovo alquanto strano che un faraone, che di vittorie ne conseguì parecchie, anziché farsi fare una sua stele per evidenziare la sua gloria, abbia sfruttato quella di un altro faraone aggiungendoci solo poche righe. Misteri dell’antico Egitto.

Ma tornando a Merenptah dobbiamo riconoscere che l’evento militare di maggiore importanza fu quello combattuto tra il quinto ed il sesto anno di regno in difesa del Basso Egitto, a Perire nel Delta occidentale, dove ad attaccare l’esercito egiziano fu la cosiddetta confederazione “dei Nove Archi”, un’insieme di vari popoli, libici alleati con i Popoli del Mare. Composta da tribù libiche, Libu, Kehek, Mashuash alle quali si erano unite cinque stirpi appartenenti ai Popoli del mare: Akawasha (Achei), Lukka (Lici), Tursha (Tirreni ?) Sheklesh (Siculi ?) e Danuna (forse i Danai omerici) e, con molta probabilità anche gli Shardana (Sardi ?). Questo insieme di predoni e saccheggiatori aveva invaso quella regione e la teneva con il terrore tanto che la popolazione l’aveva 

All’inizio le sorti della guerra furono incerte, gli invasori conquistarono le oasi giungendo fino al Fayyum e da qui posero l’assedio a Menfi. L’esito della battaglia alla fine fu favorevole all’esercito egiziano che sconfisse ed allontanò gli aggressori. Mertenptah questa volta non si limita alle tre righe della sua stele di cui abbiamo parlato sopra ma racconta la battaglia in altre parti, nella cosiddetta “Grande Iscrizione di Karnak”. L’iscrizione, che si trova sulla parete tra il VI ed il VII pilone del Primo cortile del Grande Tempio di Amon, costituisce una importante documentazione delle campagne di Merenptah contro i Popoli del Mare.

Purtroppo l’impietosità del tempo ha eroso circa un terzo del contenuto ma si intuisce che doveva descrivere nei particolari la vittoria ed il suo ritorno con bottino e prigionieri. Visto l’età già avanzata del sovrano c’è da dubitare che Merenptah abbia partecipato di persona alla battaglia. La battaglia viene descritta anche sull’obelisco del Cairo e sulla stele di Atribis dove si trova una specie di riassunto dell’iscrizione di Karnak oltre alla già citata “Stele di Merenptah”. Secondo le iscrizioni la battaglia contro la confederazione “dei Nove Archi” si risolse in sole sei ore durante le quali vennero uccisi oltre 6000 soldati e 9000 vennero fatti prigionieri, (Qualcosa da suo padre deve pure aver preso).

Per quanto riguarda la sua attività edilizia non si perse d’animo, quello che non costruì lo usurpò ai suoi predecessori, mentre, dal punto di vista religioso risolse un’annosa questione che si protraeva fin dall’epoca di Akhenaton, quella di  restituire, dopo più di un secolo, al primo profeta di Amon del clero tebano, il titolo di “capo dei Profeti di tutti gli dei dell’Alto e Basso Egitto”. Questo fu purtroppo un guaio in quanto sarà una delle cause principali dello smembramento dello stato unitario al termine del Nuovo Regno.

Poi anche per Merenptah giunse il tempo di salire ai Campi di Iaru cosa che avvenne, secondo l’egittologo tedesco Jurgen Von Beckerath, il giorno corrispondente all’attuale 2 maggio del 1203 a.C. Merenptah fu sepolto in quella che oggi identifichiamo come KV8, anch’essa nota fin dall’antichità venne visitata, mappata, come quella di Ramses II, scavata da diversi egittologi tra cui Haward Carter nel 1905 che la chiuse con un cancello in ferro per proteggerla, dotandola anche di illuminazione elettrica.

Durante la sua permanenza Carter rinvenne i resti dei sarcofagi, parte dei vasi canopici e un ostraka che mostrava la sequenza dei sarcofagi.

Nella tomba di Merenptah possiamo notare una planimetria un po’ complessa, in un certo senso rispetta la linearità di quelle della XIX dinastia mantenendo un andamento abbastanza lineare che però risente ancora delle strutture contorte della XVIII anticipando nel contempo quelle rettilinee della XX.

L’ingresso avviene attraverso tre corridoi discendenti lineari che immettono in una anticamera dalla quale si accede ad un’altra camera laterale dedicata a Ramses II. Segue un altro corridoio, sempre discendente, che immette in un vestibolo nel quale si trova il coperchio del sarcofago più esterno, si tratta di un monolite lungo oltre 4 metri ed in origine doveva essere alto più di 2 metri.

Da qui, attraverso un ulteriore corridoio discendente, si accede alla camera funeraria decorata il cui soffitto a volta presenta una decorazione astronomica ed è sorretto da otto pilastri.

All’interno, in posizione trasversale, si trova il coperchio del sarcofago più interno in granito rosa. Lo trovò Haward Carter nel 1904, si trovava capovolto assieme ad un quinto dei pezzi che componevano l’intera struttura. Il coperchio è massiccio e rappresenta il re in forma di mummia, sia questo che quello più esterno erano decorati con capitoli del “Libro delle Porte e dell’Amduat”.

Ma non era finita così, esisteva un terzo sarcofago in granito rosso, con coperchio rappresentante Merenptah mummiforme, che venne asportato durante la XXI dinastia per essere usato dal faraone Psusennes I a Tanis, oltre ad un quarto sarcofago in alabastro oggi ridotto in rovina.

Le pareti sono interamente decorate con scene tratte dal “Libro delle Porte”, dalle “Litanie di Ra” e dal “Libro dell’Amduat”, è inoltre rappresentato lo stesso Merenptah al cospetto di Ra-Horakhti. I corridoi sono anch’essi decorati con scene tratte dal “Libro dei Morti” con la scena principale dell’apertura della bocca e degli occhi. Nella camera funeraria spiccano scene del “Libro delle Porte” e del “Libro delle Caverne”. Nel vestibolo compare il dio Osiride che indossa un pettorale con inciso il nome del sovrano, simbolo questo dell’identificazione del re con il dio dei morti.

La mummia di Merenptah venne scoperta nel 1898, si trovava all’interno della tomba di Amenhotep II (KV35), esaminata nel 1907 da G. Elliot Smith la mummia si presentava come quella di un uomo anziano sui 70 anni, alto circa 1 metro e 74 centimetri, in vita dovette soffrire di artrite ed arteriosclerosi; particolare interessante è privo dei testicoli.

Nei primi anni del ‘900 alcuni radiologi statunitensi annunciarono di aver riscontrato tracce di sale sul corpo della mummia, (bella scoperta, l’elemento essenziale per la mummificazione era il natron). Subito iniziò a diffondersi la notizia che Merenptah fosse il faraone dell’Esodo che morì annegato travolto dalle acque del Mar Rosso mentre inseguiva Mosè e gli ebrei. Inutile aggiungere che il corpo del faraone non presentava segni di annegamento. Se poi, a scanso di equivoci, ci mettiamo pure che coloro che sostengono che Merenptah fu il faraone dell’Esodo, sono magari gli stessi che credono che nella “Stele di Merenptah” il vocabolo “Ysrir” voglia dire Israele, io mi taccio!

Fonti e bibliografia: 

  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Alfred Heuss e atr., “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

RAMSES II – IL DECLINO E LA MORTE

Di Piero Cargnino

Ma gli anni passavano anche per il sovrano, tranquilli ed in pace, anche se intorno al suo trentunesimo anno di regno ebbe modo di preoccuparsi a causa del verificarsi di un forte terremoto nella regione tebana e in Nubia, le scosse causarono il crollo di parte di una statua del faraone assiso nella facciata del suo tempio di Abu Simbel, la cosa sicuramente creò sgomento e dispiacere anche perché la riparazione del danno apparve subito molto ardua, avrebbe implicato un enorme lavoro, sempre che fosse stato possibile. Probabilmente non lo fu quindi venne deciso di lasciare il tutto come era. Alcuni danni minori invece furono discretamente riparati ma il suo torso e la sua testa rimasero per sempre a terra dove giacciono ancora oggi.

Ramses II compì settant’anni nel quarantaseiesimo anno del proprio regno, vista la breve aspettativa di vita degli antichi Egizi significa che si erano già avvicendate quasi due generazioni dall’epoca della battaglia di Qadesh ed il popolo non la ricordava neanche più. Ma il vecchio faraone resisteva, ai cinquant’anni di regno ritenne che fosse il caso di aggiungere qualche epiteto a quelli già numerosi che vantava, in onore del dio sole Ra si autonominò “Dio Signore di Eliopoli”, l’antica Iunu, centro del culto di Ra. Ora Ramses II si volle identificare con lo stesso Ra legandosi sempre più al dio, per questo aggiunse anche l’epiteto di “Grande Anima di Ra-Horakhti”.

Ormai circondato dall’aura di splendore divino che si era venuta a creare attorno a lui:

Gli anni che passavano e che logoravano il fisico del faraone non intaccarono mai la situazione politica esistente e la burocrazia continuava a funzionare all’ombra del sovrano, l’esatto contrario di ciò che era successo mille anni prima con il faraone centenario Pepi II (vedi Papiro di Ipuwer). Era un”epoca in cui abbondavano politici di grande valore (come servirebbe oggi) scusate la postilla.

Come abbiamo già accennato Ramses II non andava tanto per il sottile riguardo alla celebrazione delle feste dei giubilei, “heb-Sed” (come d’altronde altri sovrani prima di lui) infatti ne celebrò ben quattordici. Con il fisico che si ritrovava possiamo pensare che fino ad una certa età non fu per lui difficile superare le lunghe e complesse liturgie richieste ma dopo i sessant’anni la cosa dovette essere un po’ più complessa per lui, si dice che soffrisse di “devastanti forme di arteriosclerosi” e di una dolorosa forma di “spondiloartrite anchilosante”, debilitazioni che, nonostante la dura fibra del sovrano, che lo rendeva ostinato e orgoglioso, difficilmente gli permisero di affrontare da solo tutti i vari riti, certamente fu aiutato in modo particolare dal devoto, ed ormai anch’egli maturo, figlio Merenptah.

Secondo l’egittologa francese Christiane Desroches Noblecourt, una delle più autorevoli partecipanti al restauro della mummia di Ramses II, gli ultimi anni di vita videro il faraone afflitto dalle diverse patologie ed in uno stato pressoché vegetativo:

Dovette godere fino all’ultimo del rispetto e dell’affetto da parte della sua grande famiglia, Non si ha notizia di complotti di corte tra i famigliari per accaparrarsi la successione al trono, tutti coloro che avrebbero potuto avanzare pretese gli premorirono pertanto Ramses aveva già provveduto almeno dieci anni prima della sua morte a nominare principe ereditario il suo tredicesimo figlio Merenptah, nato da Isinofret, che fu sempre vicino al padre particolarmente nei momenti finali del suo regno, svolse in pratica le funzioni di reggente.

Alla morte di Ramses II gli successe al trono come sovrano dell’Alto e Basso Egitto. All’età di 93 anni, dopo 67 anni di regno, il vecchio faraone salpò sulla barca solare di Ra e questo onore oltre che a donargli gloria gli dava anche la sicurezza nel periglioso viaggio attraverso l’Occidente, verso la Duat per raggiungere i Campi Iaru.

Per la sua dipartita Ramses II, il Grande, scelse la città che aveva creato lui stesso, Pi-Ramses. Scrive l’egittologo britannico Kennet Kitchen:

Non esistono descrizioni delle circostanze inerenti la morte del sovrano, la notizia era talmente grave per tutto il popolo egizio che bisognava diffonderla prima possibile, messaggeri risalirono il Nilo in piena rischiando non poco per portare la notizia fino a Tebe. Tra il popolo si diffuse la desolazione, la maggior parte degli egizi non aveva  conosciuto altri sovrani all’infuori di Ramses II. Seguirono i rituali settanta giorni prescritti dopo di che ebbero inizio le cerimonie preparatorie per la mummificazione. Qui riscontriamo un episodio curioso, dopo essere imbalsamato il cuore venne posto in modo sbagliato, dalla parte destra. Ultimati i vari riti la mummia di Ramses II venne trasportata sulla barca regale del figlio Merenptah, scortata da un’enorme flotta lungo il Nilo fino a Tebe, nell’Alto Egitto. Giunti nella Valle dei Re il corteo, dopo il rito “dell’apertura della bocca”, eseguito dallo stesso Merenptah, il corpo del sovrano venne deposto nei sarcofagi, che dovettero essere preziosissimi, nella tomba KV7. Io sono sicuro che di li a poco in cielo si accese una grande e luminosa stella accanto a quella di Nefertari.

Ultimata l’imbalsamazione il corpo del Grande Ramses II venne posto nei suoi sarcofagi e trasportato nella Valle dei Re dove lo attendeva la sua tomba. Possiamo immaginare il corteo che lo accompagnò, pianti e disperazione tra la gente e chissà quante prefiche che si strappavano i capelli e gli abiti e si cospargevano il capo di cenere. C’è da credere che la disperazione del popolo sia stata sincera, accentuata ancor più dalla credenza diffusa che il mondo sarebbe finito con la morte del Grande Faraone. Non credo di aver esagerato nella descrizione, viene spontaneo credere che dopo 67 anni sul trono a governare con magnanimità il suo popolo, questo gli avrà tributato tutti gli onori più che meritati.

La tomba di Ramses II era conosciuta fin dall’antichità ancorché intasata dai detriti che si erano accumulati in così tanti anni durante i quali, per di più, deve aver subito almeno dieci alluvioni, come risulta dai rilievi stratigrafici. Il risultato fu un notevole rigonfiamento delle pareti con il conseguente distacco di gran parte delle decorazioni parietali, infatti quando nel 1828 Ippolito Rossellini la visitò con la spedizione franco-toscana espresse la convinzione che la tomba non fosse mai stata completamente terminata. In precedenza la tomba fu individuata e mappata dal vescovo anglicano, viaggiatore e antropologo Richard Pococke nel 1737/38, fu poi nuovamente visitata dagli studiosi al seguito della spedizione di Napoleone nel 1799. Ma fu solo nel 1844, con Karl Richrd Lepsius che iniziarono i primi scavi che proseguirono poi con Harry Burton nel 1913/14.

Nel 1938 Charles Maystre effettuò una serie di rilievi epigrafici. Passaro quarant’anni finché venne nuovamente scavata nel 1978 dal Brooklyn Museum e nel 1993 venne inserita nel Theban Mapping Projet che provvide a scavarla ulteriormente fino al 2002 con Christian Leblanc.

La planimetria della tomba si presenta assai complessa, nella descrizione mi limiterò all’indispensabile rimandando i più esigenti alle foto planimetriche che seguono. L’ingresso presenta due rampe di scale che danno su un breve corridoio dal quale una terza scalinata porta ad un altro corridoio che sbuca in un’anticamera ed in una sala a pilastri, su un lato della stessa, attraverso una breve scalinata si accede ad un’altra sala con quattro pilastri. Attraverso altri due corridoi assiali si giunge in una stanza che conduce alla camera sepolcrale, anche questa sorretta da quattro pilastri quadrangolari.

Ai lati, in modo non simmetrico, si trovano quattro stanzette. Sugli angoli di fondo della camera sepolcrale due accessi immettono in altre due camere sorrette da due pilastri ciascuna, da una di queste si accede ad una terza identica, tramite un vestibolo.

La tomba, senza dubbio una fra le più grandi della Valle dei Re, si estende per quasi 900 metri quadrati e, come detto sopra, nonostante le alluvioni subite che hanno prodotto parecchi danni alle decorazioni parietali che si sono frammischiate con i vari strati di detriti, molte di esse sono ancora visibili. Nella Camera funeraria si possono ancora ammirare capitoli del “Libro delle Porte”, le pareti delle scale e dei corridoi presentano capitoli dell’ “Amduat”, delle “Litanie di Ra” e del “Libro della vacca celeste” compreso nei “Libri dei Cieli”. Nell’anticamera sono rappresentati molti capitoli del “Libro dei Morti” nei quali compare la cerimonia dell’ “Apertura della bocca”.

La tomba, oggi identificata con la sigla KV7 subì numerosi saccheggi già fin dall’antichità, solo pochi anni dopo la morte del sovrano e quello che doveva essere un imponente corredo funebre venne asportato e disperso fra i molti saccheggiatori. Nel “Papiro dello sciopero”, redatto sotto Ramses III, viene già citato un tentativo di intrusione da parte dei ladri. Fu solo durante la XXI dinastia che venne deciso di trasferire la mummia di Ramses II nella tomba KV17 dove giaceva suo padre Seti I. In seguito, sempre durante la XXI dinastia, l’Egitto si trovò ad attraversare un periodo di turbolenze politico-sociali durante il quale abbondavano i saccheggi alle tombe reali. Per contrastare questo fenomeno venne deciso di effettuare verifiche periodiche al fine di dissuadere i saccheggiatori.

Per poter seguire al meglio la situazione si ritenne opportuno riunire le mummie in una grande tomba più facile da controllare. Allo scopo venne scelta la tomba del Primo Profeta di Amon, Pinedjem II e di sua moglie Neskhons (secondo alcuni la tomba sarebbe in realtà appartenuta alla regina Inhapi, forse una moglie di Ahmose I). La tomba è la DB320 a Deir el-Bahari (la famosa cachette o Royal cache) dove vennero trasferite le mummie di oltre cinquanta faraoni tra i più famosi, tra questi anche le mummie di Seti I e Ramses II che vennero rinvenute nel 1881.

La mummia di Ramses II al Museo Egizio del Cairo

La mummia venne trasferita in seguito al Museo Egizio del Cairo dove era conservata in un’apposita sala con le altre mummie. Negli anni ’70 gli egittologi del Museo del Cairo si accorsero che la mummia si stava rapidamente deteriorando a causa della lunga esposizione in vetrine non sigillate, soggetta quindi all’aria, all’umidità e ai parassiti, pericolose minacce per un corpo disseccato preservatosi per millenni grazie all’avvolgimento in bende e al clima secco del deserto. Per correre ai ripari era necessario intervenire con apposite apparecchiature, cosa che era possibile solo se la mummia veniva trasferita a Parigi. All’inizio la cosa parve complicata ma, su sollecitazione di numerosi egittologi, tra cui Christiane Desroches Noblecourt, venne raggiunto un accordo tra il Presidente della Repubblica francese Giscard d’Estaing ed il suo omologo egiziano Anwar al-Sadat per trasportare la mummia a Parigi con un aereo militare. Da notare che, rispettosamente, all’arrivo a Parigi venne organizzata una processione funebre, dedicata alla mummia del faraone, alla quale vennero riservati gli onori militari come ad un Capo di Stato straniero.

Fonti e bibliografia: 

  • Franco Cimmino, “Ramesse II il Grande”, Milano, Tascabili Bompiani, 2000,
  • Sergio Pernigotti, “L’Egitto di Ramesse II tra guerra e pace”, Brescia, Paideia Editrice, 2010
  • Kenneth Kitchen, “Il Faraone trionfante. Ramses II e il suo tempo”, Bari, Laterza, 1994,
  • Edda Bresciani, “Ramesse II”, Firenze, Giunti, 2012
  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Christiane Desroche-Noblecourt e AA.VV . “Egitto” – Rizzoli Editore, 1981
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Manfred Claus, “Ramesse il Grande”, Roma, Salerno Editrice, 2011
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Henry James, “Ramesse II”, Vercelli, White Star, 2002
  • Mohamed Nasr, Mario Tosi, “La tomba di Nefertari”, Bonechi, 1997
  • Christian Leblanc, Alberto Siliotti, “Nefertari e la valle delle Regine”, Giunti, 1993
  • Elvira D’Amicone, “Nefer: la donna dell’Antico Egitto”, Federico Motta Editore, Milano, 2007
  • Claire Lalouette, “L’impero dei Ramses”, Roma, Newton & Compton, 2007
  • Anna Maria Donadoni Roveri, Alessandro Roccati, Enrica Leospo, “Nefertari. Regina d’Egitto”, La Rosa, 1999
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

LE SPOSE DI RAMSES II

Di Piero Cargnino

Stele di Assuan: sono riportati, da sinistra: nel registro superiore il principe Khaemuaset, Isinofret e Ramses davanti a Khnum; nel registro inferiore Ramses, Bitanath e il principe Merenptah

Certo che ad un faraone come Ramses II le donne non mancavano di certo. Non venne meno alla ormai consolidata tradizione della XIX dinastia di contrarre matrimoni con principesse straniere per ragioni di stato. Nel suo Harem abbondavano spose secondarie e concubine che il sovrano non trascurò di certo, per di più non ebbe modo di annoiarsi, durante la sua lunga vita, pare che avesse avuto più di 100 figli.

Le mogli più famose del sovrano, oltre la bella e più importante, Nefertari, di cui abbiamo già parlato ma parleremo ancora più avanti, furono, Isinofret “Bella Iside” che potrebbe essere una figlia del faraone Horemheb, non gli furono dedicate statue ne templi, compare solo accanto a Ramses su di una perla d’oro dove un’iscrizione la descrive come:

Alla morte di Nefertari divenne la “Grande Sposa Reale” e tale rimase fino al trentaquattresimo anno di regno di Ramses. Ironia della sorte fu lei e non l’amata Nefertari a generare l’erede al trono, il principe Merenptah.

Alla sua morte il ruolo di regina principale passò a sua figlia Bintanath (figlia della dea Anath) mentre la figlia di Nefertari dovette accontentarsi del ruolo di “Seconda regina”. Bintanath, di cui Ramses II fu sia padre che nonno, la troveremo in seguito tra le spose di suo figlio Merenptah.

Per quanto riguarda Meritamon, della quale possediamo una pregiatissima statua, la cosiddetta “Statua della Regina Bianca”, ad un certo punto scompare dalle fonti ed al suo posto si parla di Nebettaui quale “Grande Sposa Reale” anche se però non sappiamo nulla su di lei.

C’è da dire che con Ramses II i titoli si sprecavano, le “Grandi Spose Reali” furono parecchie oltre a un gran numero di spose minori e semplici concubine, il titolo fu assegnato a turno a Bintanath, Meritamon, Nebettaui e Henutmira oltre che ad una figlia di Hattusili III.

Ramses II sposò, tra le altre, una figlia del re di Babilonia e la figlia di un governante del nord della Siria, ma i matrimoni più “diplomatici” furono quelli con due principesse ittite. Una di esse, la figlia di Hattusili III, citata sopra, della quale conosciamo il nome egizio che assunse Maathorneferura (che significa “La verità è la bellezza di Ra”) secondo l’usanza che le principesse straniere giunte in Egitto cambiassero il proprio nome con uno egizio, questo matrimonio servì per siglare un accordo con il vecchio nemico ittita e porre termine alle ostilità che si protraevano da tempo. Il matrimonio si celebrò nel trentaquattresimo anno di regno di Ramses. La principessa giunse in Egitto con un carico d’oro, argento, gioielli, animali e schiavi e per lei Ramses versò un’ingente dote, essa prese residenza nell’harem di Medinet el-Ghurab.

Maathorneferura fu la prima delle spose straniere del prolifico e longevo faraone ad avere l’onore di portare il titolo di “Grande Sposa Reale”, troviamo la testimonianza sulla “Stele del Matrimonio” che si trova sul muro esterno del Tempio di Abu Simbel.

Per pura curiosità ricordo che durante il Nuovo Regno i sovrani egizi si sposavano con principesse straniere a scopo puramente politico per affermare alleanze o garantire accordi ma mai una principessa egiziana venne inviata all’estero come tributo diplomatico. La cosa è ovvia, poteva l’Egitto trovarsi un giorno con un principe straniero, figlio di una principessa egizia, che avanzasse pretese al trono? Un giorno il re di Babilonia chiese a Ramses II la mano di una delle sue figlie, Ramses II gli mandò a dire:

Queste erano le usanze dell’antico Egitto. Ma ogni tempo ha avuto le sue usanze, questo non deve indurre a pensare che l’amore, quello vero, non potesse esistere anche tra i grandi faraoni, Ramses II ci dimostra che doveva amare la sua prima “Grande Sposa Reale”, Nefertari fu per oltre vent’anni la più importante delle spose di Ramses che se la affiancò come la più grande figura preminente della politica egizia.

Stranamente riscontriamo però che dopo il ventesimo anno di regno l’influenza della Regina diminuì a tal punto che alcune sue immagini che la ritraggono con Ramses furono cancellate, non si sa da chi. Dei quattro figli maschi che nacquero da Nefertari nessuno sopravvisse al padre tanto da ereditarne il trono. Nefertari, come la regina madre di Akhenaton Tiy, fu la sola Grande Sposa Reale a essere deificata in vita, lo conferma l’imponente  tempio che Ramses II fece costruire per lei, assimilata ad Hathor, poco discosto dal suo ad Abu Simbel.

Quanto Ramses II tenesse in considerazione la sua Grande Sposa Reale è dimostrato dal fatto che sia sulla facciata dell’imponente tempio di Abu Simbel, dedicato a lei, che sulle pitture murali, la regina è rappresentata della stessa grandezza del sovrano.

L’importanza sociale e politica di cui godeva la possiamo rilevare da numerose lettere rinvenute negli scavi di Hattusa, scritte in alfabeto cuneiforme, dove è riportata la corrispondenza che Nefertari intratteneva con la moglie del re ittita, Puduhepa, dalle quali si evince l’importante ruolo di pacificazione tra i due regni. L’importanza che la regina rivestiva la possiamo dedurre dai titoli che poteva vantare: “Signora di Grazia”, “Dolce d’amore”, “Colei per cui splende il sole”, oltre al titolo più importante che mai una regina egizia poté vantare “Sovrana di tutte le terre”, solo il faraone poteva essere “Sovrano di tutte le terre”.

Intorno ai quarant’anni, nel venticinquesimo anno di regno di Ramses II, giunse per Nefertari il tempo di effettuare il viaggio nella Duat per raggiungere i Campi di Iaru. Moriva così una grande Regina, moglie di un grande Re, ma per Ramses II una stella nel cielo notturno era più brillante delle altre. Nel prosieguo vedremo la tomba dove andò a riposare il suo corpo nella Valle delle Regine la QV66.

Fonti e bibliografia: 

  • Franco Cimmino, “Ramesse II il Grande”, Milano, Tascabili Bompiani, 2000,
  • Sergio Pernigotti, “L’Egitto di Ramesse II tra guerra e pace”, Brescia, Paideia Editrice, 2010
  • Kenneth Kitchen, “Il Faraone trionfante. Ramses II e il suo tempo”, Bari, Laterza, 1994,
  • Edda Bresciani, “Ramesse II”, Firenze, Giunti, 2012
  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Manfred Claus, “Ramesse il Grande”, Roma, Salerno Editrice, 2011
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Henry James, “Ramesse II”, Vercelli, White Star, 2002
  • Christian Leblanc, Alberto Siliotti, “Nefertari e la valle delle Regine”, Giunti, 1993
  • Elvira D’Amicone, “Nefer: la donna dell’Antico Egitto”, Federico Motta Editore, Milano, 2007
  • Claire Lalouette, “L’impero dei Ramses”, Roma, Newton & Compton, 2007
  • Anna Maria Donadoni Roveri, Alessandro Roccati, Enrica Leospo, “Nefertari. Regina d’Egitto”, La Rosa, 1999
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

LA REGINA MADRE TUIA

Di Piero Cargnino

Ma anche Ramses II aveva una mamma, la Regina Madre Tuia fu per oltre vent’anni, con la Grande Sposa Reale Nefertari, la donna più onorata da Ramses.

Tuia non si mise molto in evidenza nella vita pubblica e politica durante il regno del marito Seti I e compare di rado sui suoi monumenti. Ma Ramses II era devoto a sua madre e con la sua ascesa al trono le attribuì considerevoli onori. Fece rappresentare la sua mamma sulla facciata del tempio maggiore di Abu Simbel con le stesse dimensioni di altre donne della famiglia reale e dei suoi figli. Ramses fece anche raffigurare la madre su di una sua statua colossale all’interno del Ramesseum, sulle pareti del tempio e fece costruire una cappella a lei dedicata assimilata alla dea Hathor.

Ramses II fece inoltre erigere una grande statua per sua madre, e, come era abituato a fare, riutilizzò una statua fatta fare da Amenhotep III per la propria Grande Sposa Reale Tyi. (L’usurpazione di opere del passato era la normalità durante il lungo regno di Ramses II, e non solo). La statua venne posta nel Ramesseum, il “Tempio di Milioni di anni” di Ramses. Fu l’imperatore romano Caligola, nel 40 d.C. circa a farla traslare a Roma con altre statue che fece posizionare negli “Horti Sallustiani” per decorare il proprio “Padiglione di famiglia”. Riscoperta nel 1714 negli Horti venne trasferita nei Musei Vaticani dove si trova tutt’ora.

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che una tale devozione per la propria madre fosse una cosa fuori dal normale per un faraone e sostengono che il sovrano lo fece a scopi politici. Siccome Tuia non era di stirpe regale ma figlia di Raia, luogotenente della guardia reale, molti sostengono che finché fu in vita Seti I lei non fu mai la Grande Sposa Reale, titolo che gli venne attribuito in seguito dallo stesso Ramses II. Questo sarebbe il meno, anche altri faraoni non ebbero madri di sangue reale, Thutmosi II e Thutmosi III erano figli di concubine o spose secondarie i cui natali sono sconosciuti. Pertanto Ramses II non aveva nulla di cui temere, ma come vi ho già detto Ramses era Ramses, il Grande, poteva lasciare che si insinuassero dubbi sulle sue origini? No di certo. Da persona istruita qual era conosceva bene i precedenti miti propagandistici di Hatshepsut nonché di Amenhotep III per cui si curò di crearsi il mito di una propria nascita divina, egli era Ramses figlio di Amon stesso.

Il mito è fissato sulle pareti di una cappella, dedicata alla regina madre Tuia, all’interno del Ramesseum, la “Storia della nascita miracolosa di Ramses II” è rappresentata in un ciclo iconografico (che ricalca i precedenti della XVIII dinastia), Tuia compare seduta sul suo letto di fronte al dio Amon, dal testo, alquanto danneggiato, si apprende che Tuia viene definita come:

Lascio a voi intendere cosa poi successe…..da qui nacque Ramses. A questo punto Ramses II aveva pieno diritto di affermare la legalità della sua successione al trono, non solo ma pure di essere lui stesso un semidio. Per non lasciare nulla al caso Ramses fece rappresentare la divinità dei suoi natali anche in un rilievo a Karnak dove è raffigurato lui, fanciullo, che viene allattato da una dea. Credete che basti? No, sia a Karnak ancora, che nel tempio funerario del padre Seti I ad Abydos si vede il dio Khnum, il vasaio degli dei, intento a formare sul suo tornio il corpo dello stesso Ramses.

Ad Abu Simbel ed a Karnak è stato rinvenuto un lungo testo, risalente al trentacinquesimo anno di regno di Ramses II, intitolato “La benedizione di Ptah a Ramses II” dove il dio Ptah viene indicato come padre celeste del sovrano:

All’epoca della firma del trattato egizio-ittita, dopo la battaglia di Qadesh, Tuia, sessantenne, era ancora in vita, morì l’anno successivo, il ventiduesimo anno di regno di Ramses II. Questo è quanto si deduce da un’iscrizione che compare su di un’anfora trovata nella tomba della Regina Madre dove compare:

Figuriamoci se Ramses non aveva già provveduto da tempo a preparare la tomba per la madre nella Valle della Regine, identificata come QV80. La tomba della regina Tuia si compone di tre sale ipogee che terminano in un ambiente ipostilo, finemente decorate, intagliate nella roccia. I suoi sarcofagi lignei furono riposti in un prezioso sarcofago in granito rosa. Le pareti erano finemente dipinte con scene che celebravano la gloria del regno della Regina Madre, oggi si trovano in cattivo stato non solo per gli anni passati ma perché la tomba venne più volte riutilizzata per ospitare sepolture durante il Terzo Periodo Intermedio e, con tutta probabilità, anche nel periodo tolemaico e Copto. All’interno della tomba sono stati rinvenuti alcuni oggetti di pregevole fattura, oltre al coperchio di un vaso canopo e frammenti di sarcofago e di ushabti.

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Fonti e bibliografia: 

  • Franco Cimmino, “Ramesse II il Grande”, Milano, Tascabili Bompiani, 2000,
  • Kenneth Kitchen, “Il Faraone trionfante. Ramses II e il suo tempo”, Bari, Laterza, 1994,
  • Edda Bresciani, “Ramesse II”, Firenze, Giunti, 2012
  • Alberto Siliotti, “Luxor, Karnak e i templi tebani”, The American University in Cairo Press, 2002
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Manfred Claus, “Ramesse il Grande”, Roma, Salerno Editrice, 2011
  • Henry James, “Ramesse II”, Vercelli, White Star, 2002
  • Claudio Gamba & alt., “Musei Vaticani”, Rizzoli/Skira, Roma, 2006
  • Claire Lalouette, “L’impero dei Ramses”, Roma, Newton & Compton, 2007
C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XIX Dinastia

I TEMPLI DI RAMSES II

Di Piero Cargnino

Poteva astenersi il Grande Ramses II dal fabbricare un tempio a Luxor? Magari costruirlo da zero no, gli bastava ampliare quello esistente, ampliarlo si, ma che mettesse in luce la sua grandezza.

Il Tempio di Luxor, in egiziano “Ipet-Resut” (Harem meridionale), dedicato ad Amon nella forma del dio itifallico Min, per tutto il Nuovo Regno fu il centro della “Grande Festa di Opet”, rito della fertilità durante il quale si trasferiva in processione la statua di Amon lungo il Nilo dal vicino Grande Tempio di Amon “Ipet-Sut”.

Il tempio di Luxor, subì un massiccio rifacimento durante il regno di Amenhotep III “il Magnifico”, che fece erigere due piloni, gran parte del colonnato che si trova dietro alla nuova entrata, dopo aver fatto  smantellare il quarto pilone del Tempio di Amon a Karnak fece costruire un nuovo pilone, il terzo. Al centro del nuovo cortile, anche detto “Cortile dell’obelisco” o “Cortile di Amanhotep III”, che si venne a creare fece erigere due file di colonne con i capitelli a forma di papiro. Le decorazioni che spiccavano all’interno del cortile rappresentavano le barche sacre degli dei Amon, Mut e Khonsu.

Al Tempio di Luxor sia Horemhab, che nel Tempio volle essere incoronato, che Tutankhamon che Ay fecero erigere statue e colonne ma fu con Ramses II che si verificò l’espansione maggiore. Con il carattere che si ritrovava questo faraone non si accontentò di ordinare la costruzione ma supervisionò a tutte le fasi dei lavori coi quali costruì a nuovo un grande pilone, peraltro già previsto da suo padre Seti I, preceduto da un cortile nel quale fece collocare alcuni obelischi e sei enormi statue alte sei metri e mezzo, quattro delle quali (oggi ne sono rimaste solo due), erano in granito nero dove compare assiso con sul capo la doppia corona dell’Alto e del Basso Egitto, le altre due sono in granito rosso e lo rappresentano stante.

Il cortile interno comprende 74 colonne papiriformi alle quali si inframmezzano alcune statue di Ramses II (ed anche qui prendiamo atto del suo vizio, anche se non solo suo), alcune di queste statue sono state usurpate ad Amenhotep III (bastò cambiargli il nome), inoltre due enormi statue del sovrano fanno bella mostra di se all’inizio del colonnato di Amenhotep III. Ed anche qui non possiamo fare a meno di apprezzare quanto Ramses amasse le sue “Grandi Spose Reali”, ne compaiono in effige alcune di esse, la bella Nefertari per prima, ma anche Bintanath e Meritamon mentre la sfuggente Isinofret non compare.

Ricordiamo per chi non lo sapesse che uno degli obelischi di Ramses II oggi si staglia in Place de la Concorde nel centro di Parigi donato alla Francia da Mehmet Ali Pasha, Wali e Chedivè dell’Egitto nel 1829; in realtà il Chedivè li donò tutti e due ma l’altro non fu mai rimosso e si trova tuttora nella sua posizione originaria a Luxor.

Le pareti del Tempio sono interamente ricoperte dalla rappresentazione, ripetuta per ben tre volte, della guerra contro gli ittiti esaltando come una sua vittoria la battaglia di Qadesh. Ma, devoto ad Amon-Ra, il sovrano non dimentica di farsi raffigurare nell’atto di adorare il dio in compagnia della sua sposa Nefertari. La Regina è intenta a suonare il sistro mentre pronuncia queste parole:

Che Ramses II possedesse una personale cognizione teologica appresa consultando gli archivi del Tempio e basando su di essa i propri interventi architettonici ce lo conferma un’iscrizione che ci è pervenuta in modo frammentario:

Sappiamo che vennero fatti eseguire lavori di restauro da Alessandro Magno e dall’imperatore romano Tiberio. Durante l’occupazione romana parte dell’antico Tempio di Luxor divenne un luogo religioso; nel 395 d.C. i cristiani lo convertirono in chiesa, tale rimase fino al 640 d.C. quando il tempio venne poi abbandonato finché, nel 1286 d.C. gli arabi, che allora occupavano l’Egitto, decisero la costruzione dell’attuale Moschea di Abu el-Hajjaj all’interno del Grande Cortile di Ramses II. Si tratta di una costruzione in stile ayyubide che fungeva da mausoleo di Abu al-Hajjaj Yusuf, uno Shaykh Sufi nato a Bagdad ma vissuto per la maggior parte della sua vita a Luxor in Egitto.

Questa sorse sicuramente sulle rovine di una precedente costruzione sempre di carattere religioso in quanto sembra che il minareto della moschea sia precedente, forse risalente all’XI secolo. La moschea fu ricostruita diverse volte, l’ultima nel XIX secolo.  Oggi, nei pressi della moschea  si aggiunge un villaggio arabo.

Non vorrei tediarvi ma di Ramses II c’è da dire molto ed anche di più. Mi piace descrivere il suo regno perché per me rappresenta, anche se in parte piuttosto simbolicamente, più d’ogni altro, quello che era il Nuovo Regno del grande Egitto. Lui ha fatto di tutto per farsi ricordare, e chi siamo noi per tradire questa sua aspettativa? Era bello, forte ma presuntuoso, prepotente ma non cattivo, esibizionista, ma sono certo che in parte lo faceva anche per la gloria delle Due Terre. Il sentimento che ha saputo trasmetterci per la sua Grande Sposa Reale è sincero, amava la sua sposa e ce lo ha trasmesso nel modo migliore per quei tempi.

Ora basta con le lodi e torniamo alle sue attività di costruttore nelle quali eccelleva. Restiamo ancora nell’immenso complesso templare di Karnak. Di Ramses II dobbiamo dire che non trascurò i suoi antenati, fece ultimare la grande sala ipostila, iniziata da Amenhotep II ed alla quale ci lavorarono pure Horemheb e suo padre Seti I.

Fece eseguire grandi decorazioni con rilievi celebrativi ed ordinò la creazione di un lago sacro che resiste ancora ai giorni nostri. Scopo del lago era quello di rappresentare simbolicamente l’origine di tutte le forme di vita. Nel lago si purificavano i sacerdoti che celebravano i culti del Sole e di Osiride.

Certo, tale ostentazione di grandezza indusse i posteri ad interpretazioni arbitrarie e spesso non coerenti con la realtà. Nel I secolo d.C. Publio Cornelio Tacito, storico oratore e senatore romano raccontando nei suoi “Annali” (II, 60), la visita che fece a Tebe Germanico Giulio Cesare, più noto semplicemente come Germanico, politico e militare della famiglia Giulio-Claudia, parlando del tempio di Karnak, descrisse con particolare precisione le varie imprese militari che avrebbe compiuto Ramses II. Imprese del tutto leggendarie ed inverosimili perché al faraone venivano attribuite la conquista della Persia, della Scizia oltre a varie altre terre asiatiche. Scrisse Cornelio Tacito:

Il sacerdote raccontò che a Karnak alloggiavano “settecentomila uomini atti alle armi” coi quali Ramses II avrebbe conquistato la Libia, l’Etiopia, la Media, la Persia, la Battriana, la Scizia, avrebbe pure conquistato la Siria, l’Armenia e la Cappadocia arrivando, da un lato fino al mare di Bitinia e dall’altro fino al mare di Licia. Il racconto continua affermando:

Attribuzioni del tutto arbitrarie ed inverosimili, ma si sa che il culto di un grande porta ad ingigantirne le gesta.

Anche ad Abydos Ramses il Grande volle comparire pur se si accontentò di farlo in forma minore di suo padre, Seti I che costruì un nuovo tempio a sud della città di Abydos per onorare i sovrani delle precedenti dinastie, ancora oggi leggiamo i nesut byti (prenomen) di 76 sovrani dell’Egitto nella famosa Lista di Abydos.

Il tempio che si fece costruire Ramses II, dedicato a se stesso e ad Osiride, è più piccolo di quello del padre e si trova ad alcune centinaia di metri, le sue mura in pietra sono alte all’incirca due metri, ma nonostante il suo stato di conservazione oggi non sia dei migliori, in origine dovette rappresentare una delle architetture più raffinate e preziose dell’epoca ramesside.

I rilievi, probabilmente opera degli stessi artisti che lavoravano per Seti I, dimostrano tutta la  qualità straordinaria dell’opera, era impreziosito da decorazioni, di cui rimangono soltanto più le parti inferiori, che riportano fatti storici ed il Poema di Pentaur di cui abbiamo già parlato. Anch’egli fece compilare una lista di sovrani simile a quella di Seti I, i pochi frammenti rimasti furono asportati e venduti al British Museum. Si riscontrano inoltre tracce di portali in granito rosa e nero, pilastri di arenaria oltre ad una piccola, ma ricca, cappella in alabastro.

Il Tempio era accessibile attraverso due piloni che davano su altrettanti cortili dotati di peristili. Un portale in granito rosa, attraverso il primo pilone ed al relativo cortile, conduceva ad un secondo cortile le cui decorazioni rappresentavano scene di nemici vinti ed i tributi versati, questo era contornato da una serie di pilastri dove il sovrano compariva in forma osiriaca, tutti mancano della parte superiore.

Sul lato verso meridione a sinistra si trovavano due cappelle, una dedicata a Seti I l’altra agli antenati divinizzati; anche a destra due cappelle erano dedicate una alle divinità dell’Enneade, l’altra a Ramses-Osiride. La prima sala ipostila, la “Sala delle Apparizioni”, denota chiaramente che ad erigerla fu Seti I quando Ramses era ancora reggente, è decorata con rappresentazioni di divinità nilotiche fra le quali compare Ramses che adora Osiride e poi mentre viene incoronato.

Nella seconda sala ipostila si trovano due cappelle dedicate una alle divinità di Tebe e l’altra a quelle di Abydos, sono visibili due rare immagini; quella della dea Heket, “Signora di Abydos” e la sola immagine conosciuta di Anubi, “Signore della Sacra Terra” in forma completamente umana. Al centro, una cappella in alabastro, dedicata ad Osiride, conteneva un gruppo statuario in granito grigio dove erano rappresentati Osiride, Iside, Horus, Seti I e Ramses. Forse pensavate che almeno qui non comparissero rilievi che celebravano la “vittoria” di Ramses II a Qadesh? Sbagliavate, Ci sono!

Fonti e bibliografia: 

  • Silvio Curto, “L’arte militare presso gli antichi egizi”, Torino, Pozzo Gros Monti S.p.A, 1973
  • Franco Cimmino, “Ramesse II il Grande”, Milano, Tascabili Bompiani, 2000,
  • Sergio Pernigotti, “L’Egitto di Ramesse II tra guerra e pace”, Brescia, Paideia Editrice, 2010
  • Kenneth Kitchen, “Il Faraone trionfante. Ramses II e il suo tempo”, Bari, Laterza, 1994,
  • Edda Bresciani, “Ramesse II”, Firenze, Giunti, 2012
  • Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Alberto Siliotti, “Luxor, Karnak e i templi tebani”, The American University in Cairo Press, 2002
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
  • Bernard O’Kane, “The Mosques of Egypt”, American University In Cairo Press, 2016
  • Manfred Claus, “Ramesse il Grande”, Roma, Salerno Editrice, 2011
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
  • Henry James, “Ramesse II”, Vercelli, White Star, 2002
  • Claire Lalouette, “L’impero dei Ramses”, Roma, Newton & Compton, 2007
  • Anna Maria Donadoni Roveri, Alessandro Roccati, Enrica Leospo, “Nefertari. Regina d’Egitto”, La Rosa, 1999