Di Andrea Petta

INTRODUZIONE
Sappiamo che nella mitologia egizia il mondo ultraterreno è visto come un perpetuo viaggio che ricalca quello di Ra, il sole, che ogni sera viene inghiottito da Nut, il cielo, ed al mattino torna a nuova vita all’alba dopo un pericoloso viaggio popolato da mostri e demoni. Allo stesso modo il defunto assurge alla rinascita in una vita che sconfigga la morte dopo avere superato i pericoli che mettono a repentaglio la sua anima.
In questa ottica, secondo gli studiosi, Ra rappresenterebbe l’evoluzione dell’uomo, dalla nascita dell’alba al massimo vigore a mezzogiorno, fino alla senescenza ed alla morte al tramonto, in attesa della perpetua rinascita. Il microcosmo della singola esistenza si sovrappone al macrocosmo del genere umano nella visione egizia della Vita.
A partire dal Primo Periodo Intermedio troviamo raffigurate delle “mappe” di questo mondo ultraterreno – inizialmente sui sarcofagi delle mummie non appartenenti alla famiglia del Faraone – divise dagli studiosi in cinque composizioni fondamentali: l’Amduat, il Libro delle Porte, il Libro dell’Unità Solare-Osiriaca, il Libro delle Caverne ed il Libro della Terra (o di Aker). Ognuno di questi libri illustra una parte di questo viaggio, compresa una geografia fisica dell’Aldilà.
Parti del Libro della Terra appaiono solo a partire della XIX Dinastia con il cenotafio di Sethy I ad Abydos (Osireion); il testo principale appare invece durante la XX Dinastia con Ramses VI, dipinto nella sua camera del sarcofago. È stato descritto anche come “un trattato di embriologia divina”, raffigurando la gestazione di Horus. Il nome di “Libro della Terra” è comunque arbitrario, non avendo un suo “titolo” esplicito.

Il Libro è sommariamente diviso in 80 “scene”, di cui andremo ad esplorare quelle legate più direttamente alla nascita di Horus.
Come per molti altri testi legati all’Oltretomba, il Libro della Terra è estremamente criptico. Molti simboli hanno una grafia diversa dal solito, con molti glifi “enigmatici”; la parte ortografica e fonetica presenta dei cambiamenti ed anche alcune forme grammaticali sono peculiari. Tutto ciò rende l’interpretazione delle varie “scene” molto complessa per gli studiosi moderni.
LA VISIONE EGIZIA DELLA VITA
Nota: l’interpretazione del Libro della Terra qui presentata è stata elaborata da Bruno Hugo Stricker, storico olandese delle religioni, e Franz Renggli, psicoanalista e ricercatore sui miti della nascita. Come sottinteso dal termine, è una “interpretazione” non condivisa da tutti gli studiosi, ma è l’analisi più completa ad oggi del significato del Libro stesso.
Per gli antichi egizi il mondo era un disco piatto, circondato dal mare (visto come un enorme fiume intorno), a sua volta circondato da montagne. Visto “in sezione”, con il sole che sorge al centro, viene raffigurato con il simbolo geroglifico N27, quello dell’akhet, l’orizzonte. Se a questo sovrapponiamo il cielo, visto come un “coperchio” (Gardiner N1) il mondo diventa chiuso come una sorta di grotta. Secondo Renggli, che riprende le teorie di Stricker, questa “grotta” è un grembo materno, un utero che genera l’intera umanità e più in generale tutto ciò che la Terra produce: uomini, animali, vegetazione.

In quest’ottica ci si è spinti fino a vedere il simbolo N27 non come il sole che sorge ma come Horus nel grembo divino di Iside (“il sole sorge tra le montagne come un uccello, Horus emerge dall’utero materno come un falcone”, Striker). In alcune raffigurazioni il simbolo N27 “porta” una croce ansata (ankh), simbolo della Vita.

La simbologia della nascita si ripete nelle acque primordiali, viste come il liquido amniotico di questo macrocosmo, e nella ninfea, che emerge dalle acque primordiali con uno stelo che rappresenterebbe il cordone ombelicale di Horus.
Secondo Stricker, che coniò la definizione di “Trattato di embriologia divina” per il Libro della Terra, quest’ultimo rappresenterebbe la storia di Horus dal suo concepimento fino alla nascita, raffigurandone tutti i passaggi.
I GENITALI MASCHILI
Al centro di questa figura, detta anche “Il Sacrario di Osiride”, il dio si trova in un sacrario le cui pareti sono formate da tre serpenti. Osiride (denominato “colui che è nella stanza nascosta”) è posizionato tra due colline; sopra una di queste si vede un uccello con la testa di un uomo, rappresentazione del suo ba (indicato nel testo come “Il ba di Osiride nell’Occidente”), mentre l’altra figura che emerge da un tumulo è indicata come “il corpo di Geb”.
Nel registro inferiore, sotto Osiride, Anubi ed una figura umana denominata “Colui che nasconde” proteggono un piccolo sacrario (“il sacrario misterioso di Osiride”), simile al secondo e terzo sacrario di Tutankhamon, identificato come il sacrario canopico di Osiride. Nell’interpretazione di Stricker, i quattro figli di Horus che proteggono i quattro vasi canopi rappresentano i quattro elementi fondamentali della creazione – acqua, aria, terra e fuoco.
Sul bordo superiore dell’immagine è raffigurato Ra, che sembra spuntare a testa in giù dal tetto della caverna, e che tiene in ciascuna mano un uomo decapitato. Al posto delle teste, due raggi di sole cadono in due ciotole a sinistra e a destra. Ogni ciotola è tenuta in alto da una dea.

Secondo Stricker, nella mitologia egizia dopo la morte l’anima del re vola in cielo. Al momento della procreazione avviene l’opposto: l’anima (o parte di essa) discende sulla terra sotto forma di raggi solari inviati da Ra e diretti verso i testicoli.
Le due ciotole nell’immagine rappresenterebbero i testicoli: il destro, che contiene tre simboli simili a parasole invertiti e tre simboli Gardiner Aa2 = secrezione, crea un bambino maschio; il sinistro, che contiene solo i tre simboli Aa2, una bambina femmina. Sarà compito umano ricongiungere questa essenza divina con il grembo materno.
Da notare che l’anima lascia Ra circondata dal dolore, creando un desiderio di ritorno al dio che durerà tutta la vita e sarà reso possibile solo con la morte. Nella visione egizia della vita, l’anima viene donata al nascituro solo attraverso il padre.
I GENITALI FEMMINILI

La figura centrale, descritta come “la signora misteriosa” (una variante della figura di Nut nel Libro delle Caverne) è circondata da due serpenti grandi, a testa umana, che rappresenterebbero l’utero materno. Il serpente di sinistra nell’illustrazione è Tepy o “colui con la testa umana”, mentre quello di destra è Nehaher o “Terribile in viso”.
Nella mano sinistra regge un uccello-ba a testa di ariete e nella mano destra un disco solare, identificati come “i due ba” o l’unione tra Ra e Osiride.
Il serpente più piccolo all’interno simboleggia secondo Stricker il cordone ombelicale, mentre il coccodrillo a destra il liquido amniotico.

Come nel Libro delle Caverne la figura gigante di Nut è contrapposta a quella, gigante ed itifallica, di Osiride, così nel Libro della Terra le due figure sono nuovamente contrapposte ad indicare il genere maschile e quello femminile ed il loro contributo indipendente alla creazione di una nuova vita.

IL GREMBO MATERNO
Posta al centro della parete sud della camera sepolcrale di Ramses VI, esattamente a metà tra le figure di Osiride (= genitali maschili) e di Nut (= genitali femminili) che abbiamo visto nelle puntate precedenti, si trova la rappresentazione del grembo materno ed il suo ruolo nella fecondazione.
Una figura divina è posta tra un disco più piccolo, sulla sua testa, ed uno più grande, sotto i suoi piedi. Ai suoi lati, due urei emettono due raggi di fuoco che vengono raccolti da due paia di braccia.
All’esterno delle braccia Amaunet e Atenet, le dee dell’occidente e dell’oriente (ancora un riferimento all’orizzonte akhet, sostengono una costellazione di 12 stelle e 12 piccoli dischi solari, rappresentazione delle ore della notte e del giorno.
Il complesso di tutte le figure viene indicato come “coloro che vivono in Nun”, il dio creatore padre di Ra, legando la scena alla creazione primordiale.
Nell’interpretazione di Stricker, la figura divina al centro rappresenta il macrocosmo (Stricker lo chiama “uomo macrocosmico”) che collega la Terra (sotto di lui) ed il mondo ultraterreno (sopra di lui), mentre i raggi di fuoco emessi dai due urei (i suoi testicoli) rappresentano lo sperma divino, la forza generante, raccolto dalle braccia che, abbracciando il disco più grande, rappresenterebbero l’utero. Ci sarebbe quindi un parallelismo tra i raggi di fuoco o del sole (macrocosmo) ed il seme maschile (microcosmo), destinati entrambi a generare la vita.

Il concetto che ne deriverebbe secondo Stricker è che il mondo terreno sia divino in ogni sua manifestazione (uomini, animali, piante ed oggetti), avendo tutto una sua “anima” derivante da questa divinità creatrice. Il concetto di mondo derivato dal corpo di un dio si ritrova peraltro anche nella mitologia indiana (il gigante Parusa) ed in quella babilonese (la dea Tiāmat).
L’intera figura inferiore, chiusa dal cielo raffigurato con le stelle ed i piccoli soli, richiama il simbolo dell’akhet, l’orizzonte cosmico simbolo del mondo come grembo materno, con al centro ciò che diventerà il piccolo Horus. Viene d’altra parte descritto anche dal testo sovrastante come “il grande orizzonte”.
Nella filosofia egizia, l’uomo sarebbe quindi permeato da un’essenza divina (il raggio di sole) che entra nel cuore dell’uomo e di lì viene diretta ai suoi testicoli. Il seme maschile rappresenta quindi una sorta di emanazione del divino, che al divino si unisce per generare. Questa parte “eterea” si combinerà con la “materia” della donna, rappresentata dal suo sangue mestruale, a creare la nuova Vita.

Dopo la fecondazione, l’utero si “chiuderà”: i due urei avvolgeranno l’embrione e con la loro essenza fiammeggiante lo proteggeranno dai pericoli. Ma prima il grembo materno, ora pronto a generare nuova vita grazie al seme divino, deve accogliere il seme umano.
IL SEME MASCHILE

Il corpo ricurvo di Osiride, inteso come padre, essenza maschile, giace in una goccia di sperma. Dal suo corpo emerge il figlio Horus a testa di falco.
Il padre risorge come feto nel grembo della donna: una sorta di unità tra padre e figlio che ritroveremo anche in altre religioni.
Il dio Ra, onnipresente, è rappresentato come un piccolo disco dietro Horus, e completa una trinità che si rinnova nella procreazione.
Il corpo di Osiride, con il torso e le gambe sollevate, ricorda nuovamente le montagne gemelle dell’orizzonte Akhet, da cui sorge il sole.

La goccia di sperma è sorretta nuovamente da Iside e Nephtys, diventando ancora una rappresentazione dell’orizzonte cosmico Akhet, questa volta come una sorta di “grembo cosmico” gravido.
Horus ha quindi apparentemente due madri, forse a ricordare ancora il concetto della doppia “essenza” (quella divina e quella paterna) che confluiscono nel figlio generato
LA FECONDAZIONE

Probabilmente è sbagliato parlare di “fecondazione”, in quanto sappiamo che nella visione egizia il figlio veniva generato dal solo seme paterno, ma piuttosto di “unione” del seme maschile con il sangue mestruale femminile.
Da qui inizia anche la “divergenza” tra le scritte che accompagnano le rappresentazioni raffigurate e le interpretazioni teologiche/filosofiche, a sottolineare ancora una volta come l’approccio a questi argomenti debba essere multidisciplinare onde evitare clamorosi svarioni.
Questo è infatti uno dei passi più controversi dell’interpretazione di Stricker, che confonde la figura centrale (che secondo lui sarebbe maschile, mentre è chiaramente Hathor) e fa riferimento alla mitologia indiana, in un forzato parallelismo che qui c’entra veramente poco o nulla.
Nella scena vediamo comunque, a destra, le braccia di Nun, il dio creatore, che sostengono un disco solare, il grembo materno che riceve il seme.
Ra (a destra) e una divinità chiamata “Il Capo” (a sinistra) osservano altre due divinità, Atum (a destra) e “Colui che possiede” (a sinistra) che manovrano un doppio bastone, a testa di serpente, che sembra passare alla base della testa di Hathor che emerge da un disco solare.
Hathor, raffigurata di fronte e non di profilo come di consueto, rappresenta probabilmente l’occhio di Ra, mentre i due urei alla base, “Fiamma” e “Divoratore”, le sue emanazioni.

Nell’interpretazione di Stricker, le due divinità ai lati del disco solare starebbero usando i due bastoni a forma di corpo di serpente per “mescolare” il seme maschile ed il sangue mestruale femminile a mo’ di zangola per generare la nuova vita che inizia a formarsi. Come il latte in questo modo si trasforma e si separa in burro e siero, così il sangue mestruale, unito allo sperma, si “trasforma” in un feto e nel liquido amniotico.
LO SVILUPPO DEL FETO
Gli antichi egizi conoscevano molto bene lo sviluppo del feto e consideravano che passasse da una “natura” vegetale a quella animale ed infine umana.
Nel primo trimestre predominava la “natura” vegetale ed il feto rimane immobile. Il cordone ombelicale è visto come una “radice” da cui trae alimento.

Nella prima rappresentazione secondo Stricker il feto è raffigurato come Khepri, lo scarabeo sacro, con le ali spiegate, orizzontali, in posizione di riposo. I due urei sono al fianco con la funzione di protezione della nuova vita. Il disco solare fra le zampe dello scarabeo è molto piccolo, l’embrione ha appena cominciato il suo sviluppo.
A destra, Ra (raffigurato con la testa di ariete del sole calante) assiste allo sviluppo di Khepri inteso come sole nascente. Le braccia in atteggiamento di adorazione sono di “Colui che è della Terra”. Le quattro figure mummiformi sono (dall’alto e in senso antiorario): “Il toro dell’Occidente”, “Il Feroce”, “Quello del Serpente” e “Quello del Ba”

Nella seconda figura, invece, lo scarabeo ha le ali sollevate, rappresentando il movimento e quindi il “passaggio” alla fase animale con i primi movimenti del feto nel grembo materno. Il disco solare è già più grande, a rappresentare la crescita. Insieme a Ra, a destra, ben 11 figure mummiformi circondano Khepri, indicate come le salme di Iside, Nut, Tefnut e Khepri (in alto a sinistra), Anubis, Horus il Primo (a testa di ibis) e Horus del Duat (a testa di falco) (in basso a sinistra), Geb e Osiride (in alto a destra) e “Colui del Sarcofago” e Shu (in basso a destra.
Stranamente, la figura indicata come “Salma di Iside” è una figura maschile
Curiosamente, anche nella tradizione ebraica ogni feto ha una luce sopra la sua testa, attraverso cui Jahvè infonde la conoscenza al nascituro per fargli conoscere cosa succede al di fuori del grembo materno. Al momento della nascita perderà però questo “dono” e dovrà imparare di nuovo tutto.
LA PREPARAZIONE AL PARTO?

Secondo Stricker, questa rappresentazione sulla parete sud della tomba di Ramses VI (classificata come “Scena 30 o prima scena della dannazione“) dovrebbe simboleggiare il feto che si capovolge nel grembo materno preparandosi per la nascita. Il fatto che sia quadruplicato e senza testa viene interpretato come una vittoria su quattro nemici di Ra nel percorso verso la rinascita. Secondo Renggli, il pavimento sarebbe inoltre il sacco amniotico pronto a rompersi per permettere la nascita.
In realtà l’interpretazione è quantomeno dubbia. Renggli si rifà soprattutto alla mitologia babilonese, in cui la nascita è un evento cruento, accompagnato da fiamme ed inondazioni (interpretate come il dolore e la rottura del sacco amniotico), mentre in questo caso l’interpretazione dei testi si limita a sottolineare la dannazione dei quattro cadaveri.
Le quattro divinità che sorreggono i cadaveri sono infatti (da sinistra): Colui che appartiene alla Decapitazione, Il Grande Decapitatore, Colui che è con i Decapitati e Il Massacratore. Se non fosse abbastanza chiaro, sotto ogni figura appare la didascalia “Decapitato”.
Il testo di accompagnamento indica che le quattro divinità custodiscono i cadaveri che decapitano, anche mentre “invertono i loro corpi”. L’inversione, insieme all’atto della decapitazione, rappresenta la peggiore forma di dannazione inflitta ai nemici degli dèi.
Capovolti, i dannati subirebbero l’umiliazione di nutrirsi di escrementi (come ricordato nei Testi dei Sarcofagi), ma la decapitazione porta addirittura all’oblio totale cancellando completamente l’identità dell’individuo, consegnandolo per sempre a una sofferenza anonima, senza memoria e senza offerte mortuarie.
L’interpretazione data da Stricker a questa scena è perciò molto dubbia, come vedremo ancora meglio nel suo “seguito”.

LA NASCITA COME SACRIFICIO?

In una ideale continuazione della scena precedente (le due scene sono affiancate sulla parete sud della camera del sarcofago di Ramses VI) abbiamo nuovamente quattro personaggi raffigurati, questa volta in ginocchio e le cui mani vengono legate da quattro dee. Dalle loro teste si innalza una lingua di fiamma che si piega poi verso il registro inferiore.
Le due dee che stanno conducendo via il nemico in piedi sono “Colei che Sottomette” e “Colei che assapora (il sangue dei nemici)”, mentre le quattro dee che legano le mani delle figure inginocchiate sono, da sinistra:, “Colei che Brucia”, “Fiamma”; “Colei che arrostisce” e “Colei del fuoco”. I quattro prigionieri inginocchiati sono identificati genericamente come “Nemici” e “Cadaveri di Igeret”, la terra del silenzio.
Nell’interpretazione di Stricker sarebbero quattro feti, visti nuovamente come nemici di Ra, mentre un quinto feto (a sinistra) è già stato fatto rialzare e viene condotto da due dee verso l’altare della nascita. Le dee rappresenterebbero la madre, che lega l’anima del feto alla materia.
Il testo che accompagna la scena recita però:
“Oh tu, immagine, Misterioso nelle Manifestazioni, che giace sotto i piedi del Misterioso
Piega le tue braccia!
Alza le spalle!
Guarda: io passo sopra i cadaveri del luogo misterioso, il mio ba lo attraversa, sopra quelli che sono con loro; io do la nascita a me stesso quando lo attraverserò.
Brucia, spegnendo le tue fiamme,
affinché io possa attraversare il luogo misterioso,
mentre sarai soddisfatto delle mie parole
quando ti ordino di respirare.
Rallegrati per me!
Rallegrati a nome tuo, perché tu sei colui che infligge dolore ai tuoi nemici”.
Secondo Stricker, la voce sarebbe quella del feto in prossimità del parto, e il riferimento al “luogo misterioso” sarebbe nuovamente una metafora per il grembo materno.
L’analisi del testo suggerisce invece che i personaggi raffigurati non rappresentino il feto stesso, ma i nemici sovrannaturali che impersonano i pericoli della gravidanza e del parto.
IL PARTO?

Foto: Rodolfo Valverde
Due paia di braccia (le “braccia del fuoco” a sinistra e le “braccia del calderone” a destra) sostengono ai lati della scena due coppe/ciotole, in ciascuna delle quali possiamo vedere due teste e due parti del corpo non identificabili, forse due cuori a sinistra oppure una forma elaborata del simbolo geroglifico F51 che indica genericamente una parte del corpo.
Tra le braccia vediamo due teste, collegate alle ciotole da una specie di corda o di fiamma. Due divinità maschili (“Coloro con il coltello”) sorvegliano con un coltello in mano.
Al centro, due divinità femminili (“Colei del cuore” e “Colei del cuore spezzato”) proteggono un simbolo “ib” del cuore spirituale. La composizione, nel suo insieme, richiamerebbe nuovamente la forma dell’akhet, l’orizzonte cosmico, ma il fatto che il cuore protetto dalle due dee sia indicato nel testo di accompagnamento come un “cuore spezzato” è in contrato con questa ipotesi.
Nell’interpretazione di Stricker, le due paia di breccia rappresentano l’utero; la testa tra le braccia rappresenterebbe la madre che, attraverso la placenta, nutre il feto (le teste nelle ciotole). Le braccia spingonole ciotole, suggerendo l’espulsione del feto nel momento del parto. Non è chiaro perché le figure a destra non siano definite; forse momenti diversi dello sviluppo o due “destini” diversi del nascituro? Non può essere assolutamente un caso che le figure a destra siano solo colorate mentre quelle a sinistra abbiano i tratti ben definiti.

L’ipotesi avanzata che le quattro braccia rappresentino gli elementi fondamentali (aria, acqua, terra e fuoco) è stata respinta in quanto non coerente con la filosofia egizia. Anche l’ipotesi che le braccia ricordino il simbolo geroglifico per “granaio” (Gardiner O51 𓊚) sembra abbastanza campata in aria.
Il testo è nuovamente in disaccordo con le ipotesi di Stricker; recita infatti:
I custodi mettono le teste nei loro calderoni,
la carne e i cuori sono terrorizzati.
I guardiani ricevono i loro coltelli
Le due dee proteggono il cuore spezzato
Queste sono le quattro braccia del dio,
quando alzano i loro calderoni,
il Grande Dio ha sputato la sua lingua di fuoco,
le dee hanno sputato le loro lingue di fiamma;
i loro cadaveri sono stati nascosti,
le fiamme sono state date loro dall’inizio per terrorizzare i ribelli
La scena sembrerebbe quindi nuovamente una minaccia di dannazione eterna per i nemici di Ra (i “ribelli”). Ma nuovi misteri ci aspettano, legati al ruolo della madre.
IL CORPO DELLA DISTRUZIONE

Una figura mummiforme, chiaramente femminile per il seno messo in evidenza, giace nel suo sarcofago sormontato da sei figure, tre maschili e tre femminili, che sembrano emergere dal sarcofago stesso. È da notare il fatto che non siano rappresentati i piedi; anche se potrebbe sembrare che il sarcofago li copra, è più probabile che ciò indichi che le figure stiano “germogliando” o che comunque ricevano ancora nutrimento dal corpo nel sarcofago.
Nello studio di Roberson la figura femminile viene identificata sulla base del testo che la accompagna, come “la salma di Colei che Annichilisce”. Le figure femminili sono chiamate “Distruttrice dei volti”, Colei della cabina(?)” e “Colei del Mistero”, mentre quelle maschili a destra hanno gli stessi nomi declinati al maschile.
Che la figura femminile abbia una particolare importanza è evidenziato dal fatto che sia la figura umana più grande di tutta la rappresentazione del Libro della Terra nella tomba di Ramses VI e che sia posizionata esattamente sotto il grande disco solare che abbiamo visto su questa pagina (vedi: “IL GREMBO MATERNO“):

È anche l’unica “struttura” inequivocabilmente identificabile con un sarcofago (le altre sono ovali completi o tronchi). Stricker la chiama “Il Corpo della Distruzione”, correlando nascita e distruzione, e la identifica come la Madre Terra da cui viene generata l’umanità nella forma delle figure che da essa riemergono in una sorta di ciclo della Vita. Lo studioso olandese correla inoltre le sei figure che emergono dal sarcofago alle sei figure mostrate decapitate e con le mani legate dietro la schiena, probabilmente una forzatura derivante solo dal numero dei personaggi ritratti.

OSIRIDE REINCARNATO

Nella scena principale conclusiva, un serpente viene bloccato da tre divinità a testa di ariete (“Colui che stringe Apophis“, e “Coloro che annichiliscono il suo ba“) mentre la sua testa sta per essere tagliata. Il corpo del serpente forma una sorta di tetto, sotto al quale una figura mummiforme, ancora all’interno di un ovale e identificata come “Osiride, il Capo dell’Occidente”, è protetto da altre due divinità (“la Salma di Tatenen” e “la Salma di Geb“, entrambe divinità della Terra). Le tre divinità centrali sembrano emergere dal pavimento, a sottolineare il loro legame con il mondo sotterraneo, ultraterreno.

.
Nell’interpretazione di Stricker, la figura centrale rappresenta Horus come reincarnazione di Osiride, mentre il serpente sarebbe la metafora del cordone ombelicale, che ha nutrito il feto nel grembo materno ma che al momento della nascita (o ri-nascita) deve essere tagliato o potrebbe ucciderlo. Allo stesso modo l’acqua, che componeva il liquido amniotico ed era Vita, dopo la nascita diventa il pericolo dell’annegamento e la Morte.
Nel microcosmo, il bambino deve “uccidere” il cordone quando si rompe il sacco amniotico, mentre nel macrocosmo diventa la lotta eterna di Ra contro Apophis – la cui vittoria è rappresentata dalla nascita di Horus.
CONCLUSIONI
Il Libro della Terra, di cui abbiamo visto le “scene” principali (ma, come si evince dalla numerazione, quelle totali sono molte di più) è sicuramente una metafora del percorso di rinascita dopo la morte. Che possa essere anche un “trattato di embriologia divina”, come è stato definito, a mio personalissimo parere è onestamente molto dubbio.
Come tutti i Libri egizi legati al mondo ultraterreno è oscuro, criptico sia nelle forme (ha segni e costruzioni delle frasi uniche) che nei contenuti.
Le interpretazioni filosofiche o teologiche, come quelle di Stricker, non possono e non devono fare a meno della corretta lettura filologica dei testi, nonché del confronto con gli studiosi di altri campi legati alla civiltà egizia perché è troppo facile cadere nell’errore di modernizzare i concetti o riferirli ad altre culture che con quella egizia non hanno mai avuto contatti. Stricker, scomparso nel 2005, parlava (e scriveva i suoi testi) solo in olandese, il che non ha facilitato l’interscambio ed il confronto.
Il Libro della Terra rimane comunque un testo estremante affascinante, la cui corretta e completa interpretazione rimarrà probabilmente impossibile a meno di ulteriori scoperte.
Fonti:
- Roberson, Joshua Aaron. The Ancient Egyptian Books of the Earth. Vol. 1. ISD LLC, 2012.
- Renggli, Franz. “The sunrise as the birth of a baby: The Prenatal Key to Egyptian Mythology.” Journal of Prenatal and Perinatal Psychology and Health 16 (2002): 215-236.







