A cura di Piero Cargnino
Da Saqqara saliamo verso nord di alcuni chilometri ed incontriamo il villaggio di Abusir (o Abu Sir) situato a sud-ovest del Cairo. Presso il villaggio si trova un’importante necropoli che prende il nome del villaggio stesso, fu la necropoli dei faraoni della V dinastia ma ospitò anche numerose tombe a mastaba dei nobili, tra queste si distingue per la sua imponenza la mastaba di Ptahshepses, recentemente è stata scoperta la tomba intatta di Neferinpu. Le sabbie del deserto hanno preservato sino a noi numerosi papiri, i primi furono ritrovati per caso durante scavi illegali nel 1893 nella vicina Abu Gurab ed in seguito ne furono scoperti numerosi altri presso la necropoli di Abusir. Purtroppo ridotti in frammenti, i “Papiri di Abusir”, come vennero chiamati, risalgono all’incirca al XXIV secolo a.C. all’epoca della V dinastia e sono tra i più antichi ad essere giunti sino a noi. Utilizzando le informazioni contenute nei primi papiri a metà degli anni settanta la missione ceca, guidata dall’egittologo Miroslav Verner, scavò il monumento funerario di Neferkhau dove, nei magazzini della parte nord-occidentale della struttura, rinvenne oltre 2000 frammenti di papiro. Documenti di vitale importanza, pare certo che questi fossero rilegati con copertine di pelle e contenuti in scatole di legno. Da essi sono state tratte importanti informazioni dettagliate su come veniva gestita una struttura mortuaria reale, in essi venivano riportati i turni per i sacerdoti, gli elenchi delle offerte, lettere e permessi.


Non mi dilungherò ulteriormente sulla storia dei papiri di Abusir rimandando gli interessati alla consultazione delle pubblicazioni specifiche, alcune delle quali sono citate nella bibliografia, per completezza aggiungo solo che, ricerche sempre più approfondite sono state effettuate negli anni settanta, oggi sono in corso ulteriori scavi da parte dell’Istituto di egittologia dell’Università di Waseda, lavori iniziati nel settembre del 1990. Ma veniamo alle piramidi, i primi esploratori ne rinvennero ben 14, purtroppo oggi rimangono solo più le rovine di quattro di esse, sono quelle di Nebkhau, Setibtawy, Userkhau ed una non meglio identificata, incompiuta che si pensa sia appartenuta a Neferefra (Neferkhau).

Neferefra, Cheres, Raneferef, Khaneferra, Horo Neferkhau è il quarto, (o quinto), faraone della V dinastia. Quasi del tutto sconosciuto, nonostante il suo nome sia citato, oltre che nelle liste dei re, in alcune tombe private, tra cui quelle di due sacerdoti addetti al suo culto funerario. Qualcosa in più si venne a sapere quando gli scavi effettuati dall’Università di Praga ad Abusir nel 1980-1986 portarono al ritrovamento dei citati “Papiri di Abusir”. La durata del suo regno è ancora oggetto di controversie, Manetone, come pure Sesto Africano gli attribuiscono 20 anni ma molti egittologi, basandosi sulla incompletezza dei suoi monumenti funerari, optano per assegnargli una durata decisamente inferiore. Stando agli archeologi, Neferefra fu probabilmente consorte, o figlio di Khentkaus II, quel poco che sappiamo riguardo al suo regno ci è stato restituito, come detto sopra, dalle sabbie del deserto grazie al ritrovamento dei “Papiri di Abusir”.

Per quanto riguarda la sua piramide incompiuta, questa venne ritenuta da Lepsius e De Morgan un edificio iniziato ed abbandonato anzitempo e mai utilizzato per lo scopo previsto, il seppellimento ed il culto di un faraone. Anche Borchardt, in un primo tempo, giunse alla medesima conclusione dopo aver esplorato l’interno. L’ingresso alla piramide, che venne chiamata “Divino di anima è Neferefra”, si trovava al centro della parete nord, appena sopra il livello del suolo. Di li si dipartiva un corridoio discendente che, dopo aver girato leggermente verso sud-est, terminava in un’anticamera. All’estremità inferiore era provvisto di un paramento in granito rosa sbarrato con altri blocchi dello stesso materiale. Al centro del corridoio si trovava un altro massiccio sbarramento in granito rosa con un sistema mai visto altrove, una specie di mandibole serrate tra di loro. L’anticamera come la camera funeraria erano sovrastate da un tetto a capriata fatto con grossi blocchi di calcare bianco. Purtroppo la forma incompiuta ed il facile accesso ha fatto si che già fin dall’antichità la piramide venisse utilizzata dai saccheggiatori come cava di pietra. Penetrati dall’alto i saccheggiatori approntarono una specie di laboratorio all’interno per tagliare le grosse pietre in parti più piccole e maneggiabili.

Dopo il primo saccheggio avvenuto probabilmente nel primo periodo intermedio, come per tutta l’area di Abusir, il saccheggio continuò per secoli, nel Nuovo Regno ed in epoca romana fino al XIX secolo. Agli archeologi non sono rimasti che piccoli reperti del corredo funerario. Alcuni pezzi del sarcofago in granito, frammenti di quattro canopi di alabastro, alcuni contenitori per offerte e, cosa più preziosa di tutte, resti di mummia del sovrano che si rivelarono appartenere ad un uomo di circa 20-25 anni. Anche il suo tempio solare, “Il cuore di Ra è nella gioia”, non è stato ancora identificato.
Fonti e bibliografia:
- Edda Bresciani, “I testi religiosi dell’antico Egitto”, Milano, Mondadori, 2001
- Franco Cimmino, “Storia delle piramidi”, Rusconi, 1998
- Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei Faraoni”, Mursia, 2012
- Mark Lehner, “The complete Pyramids”, Londra, Thames & Hudson Ltd., 1975
- Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Editori Laterza, Bari, 2008
- Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi”, Newton & Compton, 1997
- Guy Rachet, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
- Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, vol. II, Ananke, 2012)