A cura di Piero Cargnino
Il geologo Robert M. Schoch del College of General Studies dell’Università di Boston, che studiò a fondo la Sfinge negli anni ’90, giunse alla conclusione che le tracce di erosione che si riscontrano sul corpo della Sfinge e sulle pareti del recinto siano di origine alluvionale dovuta a piogge, piogge torrenziali che a suo parere cadevano copiose nell’antichità e non potevano essere cadute dopo il 10.000 a.C. circa, periodo in cui il Sahara iniziò a trasformarsi in deserto e le piogge a scarseggiare fino quasi a cessare del tutto. Molti geologi contestano le affermazioni di Schoch contrapponendo la tesi secondo cui, essendo ricavata in un avvallamento, la Sfinge è soggetta ad essere sepolta nelle sabbie, la relativa vicinanza al Nilo e le annuali esondazioni del fiume, che in passato inondavano la valle, hanno sicuramente causato periodici innalzamenti della falda freatica con la conseguenza che il corpo della Sfinge si sarebbe trovato avvolto da sabbia bagnata, questa sarebbe a loro giudizio la causa dell’erosione. Tali convinzioni non sarebbero però confermate dal fatto che i segni dell’erosione presenti risultano più evidenti in alto e meno marcati in basso, cosa incompatibile con un’erosione da falda freatica che risulterebbe più evidente alla base della statua. Schoch afferma: “Ero convinto che la datazione degli egittologi fosse corretta. Ma, ben presto, ho scoperto che le prove geologiche non erano compatibili con quello che gli egittologi dicevano”. Schoch ritiene inoltre che in origine potrebbe non essere stata una sfinge, ma un leone. Secondo il geologo già all’epoca del faraone Chefren, che l’avrebbe fatta disseppellire per la prima volta, la statua si presentava in uno stato di avanzato degrado dovuto all’erosione e che il faraone decise quindi di effettuare un restauro, con l’occasione avrebbe fatto modificare decisamente la testa. Afferma ancora Schoch: “La Sfinge era già lì da migliaia di anni, è evidente a chiunque che l’attuale testa non è quella originale, essa avrebbe mostrato, più o meno, gli stessi segni di erosione del corpo”. Com’era ovvio supporre si è verificata subito una levata di scudi contro questa ipotesi da parte di molti scienziati, storici ed egittologi accademici, secondo i quali è impossibile che sia esistita una civiltà in grado di costruire un monumento come la Sfinge in tempi così antichi.




Non è nelle mie intenzioni schierarmi a favore o contro le varie ipotesi circa la costruzione della Grande Sfinge di Giza, trovo eccessive alcune ipotesi fantascientifiche, ma preferisco essere aperto ad eventuali novità, ancorché sia possibile dimostrarle, senza chiudermi nell’accademismo imperante. Prendiamo ora in esame alcune delle teorie che vengono avanzate e supportate da evidenze più o meno tangibili. Lo storico greco antico Erodoto, nel secondo dei 9 libri di cui si compone la sua opera storiografica del mondo antico, “Storie”, parla dell’Egitto che lo affascinò a tal punto che ne fornisce una dettagliata descrizione non trascurando nulla, luoghi, paesaggi, palazzi, templi, usanze e tradizioni, soffermandosi sull’importanza del Nilo. Descrive inoltre con grande precisione le piramidi che lo lasciarono stupefatto, in particolare quella di Cheope, ma non fa alcun accenno alla Sfinge. C’è da chiedersi come sia possibile che la visione di una simile gigantesca statua non abbia colpito uno storico così attento a tutte le meraviglie di quella stupenda civiltà. Sorge spontaneo pensare che alla sua epoca Erodoto non abbia neppure notato la Sfinge in quanto questa doveva trovarsi completamente sommersa dalla sabbia e quel poco della testa che spuntava, assomigliava ad uno sperone roccioso che non attrasse la sua attenzione. Come detto sopra, osservando l’intera statua notiamo che si presenta maggiormente erosa nel corpo che nella testa. Dal punto di vista geologico è stato confermato che, mentre il corpo è stato ricavato in uno strato di pietra calcarea fragile e di qualità inferiore di origine più antica, la parte superiore che rappresenta la testa è formata da pietra calcarea dura e massiccia, che diventa sempre più pura verso l’alto permettendo una migliore conservazione nel tempo ed una maggiore resistenza alla corrosione.


Questa affermazione in parte giustifica la differenza dell’erosione sulle due parti della statua, però ci sono altri fattori da considerare; il corpo della Sfinge è rimasto per migliaia di anni sepolto nella sabbia mentre la testa è sempre stata esposta alle intemperie. Come accennato in precedenza, va detto che, seppure costituita di roccia più dura, la testa della Sfinge è stata martellata per millenni dal “Kamsin” il terribile vento del deserto che solleva e trasporta un ingente quantitativo di polvere e sabbia fine che penetra dappertutto levigando e consumando anche le rocce più dure. Il fatto che la testa della Sfinge sia stata ricavata in uno strato di pietra più resistente non è sufficiente a giustificare l’enorme differenza di erosione, anzi, verrebbe da pensare il contrario. Per contro va ricordato che anche la testa in realtà si presentava più erosa di come la vediamo oggi. Nel primo quarto del XX secolo d.C. accertamenti più approfonditi sulle condizioni del collo della statua fecero temere che, nell’eventualità di un forte temporale, la testa avrebbe potuto essere spazzata via. Venne quindi deciso un importante restauro con il quale venne eretto un massiccio supporto in cemento armato largo quanto la parrucca che un tempo scendeva sulle spalle da entrambi i lati.
A questo punto pare ovvio ritenere che l’erosione del collo e della parrucca siano in questo caso da imputare alla sabbia sospinta dai forti venti. Il faraone Chefren è vissuto intorno al 2500 a.C., ma quando Thutmosi IV si fermò all’ombra della testa della Sfinge correva all’incirca il 1350 a.C., quindi 1150 anni dopo la sua presunta costruzione e la statua si trovava già completamente sommersa dalla sabbia da chissà quanto tempo. Thutmosi IV la liberò e la fece restaurare ma col passare del tempo ritornò ad essere sommersa e vi rimase per almeno altri mille anni. Furono i Tolomei a liberarla nuovamente, ma la sabbia la ricoprì ancora una volta. Esistono le testimonianze di un medico, scrittore ed egittologo arabo Abd el-Latif ibn Yūsuf al-Baghdādī il quale racconta che nel 1200 d.C., <<……..nei pressi delle Piramidi, si trova una enorme testa dipinta di rosso, che emerge dalla sabbia priva del corpo e che gli arabi chiamavano Abu el-Hol “Il padre della paura”……..>>. E ricoperta dalla sabbia vi rimase fino al 1816 quando il navigatore italiano ed egittologo Giovanni Battista Caviglia incominciò a scavare nella sabbia verso la spalla sinistra della Sfinge, al di sotto della testa, fino a raggiungere la base del monumento e le zampe anteriori. Un secondo scavo portò al ritrovamento dei resti della barba spezzata e della testa dell’Ureo o cobra reale, decorazione del copricapo, (oggi conservati al British Museum di Londra).
Fonti e bibliografia:
- Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Melita edizioni, 1995
- Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
- Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Roma, Newton Compton Editori, 2006
- Maurizio Damiano-Appia, “I tesori del Nilo”, Giunti Multimedia, 1997
- Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005
- Elio Moschetti, Mario Tosi, “Thutmosi IV un sogno all’ombra della sfinge”, Ananke, 2004
- Martin Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961, (Einaudi, Torino 1997
- Tiziana Giuliani, “Il Viale delle Sfingi che collega Karnak a Luxor”, da Mediterraneo Antico, 2017
- Paul Jordan, “Gli enigmi della Sfinge”, Nrwton & Compton editori, 1999
- Fugazza Stefano, “Simbolismo”, Arnoldo Mondadori arte, 1991)