A cura di Ivo Prezioso

Sulla falsariga delle ipotesi di West e Schoch, si inseriscono Graham Hanckock (giornalista), Robert Bauval (ingegnere e saggista) e Adrian G. Gilbert (scrittore), con una serie di pubblicazioni che negli anni ’90 del secolo scorso, hanno riscosso un enorme successo di pubblico. Non solo, grosso modo concordano con la retrodatazione della Sfinge e delle Piramidi (con uno stranissimo distinguo che chiarirò in seguito), ma si spingono ben oltre con una suggestiva teoria nota come “Mistero di Orione”.
In pratica, le Piramidi di Giza non sarebbero altro che la rappresentazione di una mappa celeste in terra, che riproduce la costellazione di Orione così come si presentava più o meno 12.500 anni fa. A corredo, Bauval, allega una straordinaria fotografia che mostrerebbe come i vertici delle tre piramidi di Giza e il loro disallineamento sarebbero perfettamente simili alla disposizione delle tre stelle che ne costituiscono la famosa cintura.
L’idea di per sé, potrebbe anche non apparire troppo fantasiosa: in effetti gli egizi erano eccellenti osservatori del cielo e sappiamo che orientavano con precisione i loro monumenti servendosi delle stelle, per cui non ci sarebbe motivo per escludere a priori che avessero potuto concepire un progetto del genere. Ma le obiezioni sono serie e dimostrano quanto l’ipotesi sia discutibile.

Innanzitutto, c’è l’immagine a cui mi riferivo prima che si è rivelata falsa e ritoccata pesantemente (a tal proposito, per non dilungarmi, rimando ad un post di Piero Cargnino che ha già affrontato l’argomento: https://www.facebook.com/…/4499…/posts/1052965555506815/).
Inoltre è palese, che i vertici delle piramidi non puntano affatto in quella direzione; con la forzatura del ritocco e l’utilizzo di software, si è riusciti nell’impresa di trovare un’ epoca in cui (a loro dire) grosso modo l’allineamento potesse coincidere e, guarda caso, è saltata fuori la data del 10.500 a.C., o giù di lì. Esattamente ciò che si voleva dimostrare! Le evidenze storiche, con buona pace della seduzione della teoria, ci raccontano altro. Ad esempio, è stato riportato alla luce il villaggio dei costruttori, con i resti di abitazioni, forni, cucine, avanzi di cibo, oggetti, nomi, tombe e anche corpi che, sottoposti ad analisi, hanno rivelato non solo l’appartenenza all’epoca della IV Dinastia e notevoli tracce di traumi da lavoro, ma anche fratture e ferite curate e l’evidenza di un’alimentazione abbondante e altamente proteica (per inciso, ennesima prova che dovrebbe, una volta per tutte, mettere una pietra tombale sulla così assurdamente ostinata convinzione che si trattasse di schiavi). Inoltre, abbiamo il nome di Khufu (Cheope) inciso in una parte della piramide e gli strumenti con cui furono costruite. So bene che su queste due ultime evidenze ci sono diatribe anche molto accese, ma intanto, fino a prova contraria, per il momento, ne confermano l’attribuzione. Tra l’altro i recenti ritrovamenti di Wadi el-Jarf, di cui si tratterà ampiamente in seguito, aggiungono una preziosa documentazione, contemporanea all’epoca di Khufu (Cheope) sulla parte conclusiva dei lavori della Grande Piramide. Se esistono ancora dubbi sul fatto che con strumenti così primitivi si siano potuti erigere monumenti simili, è pur vero che dovrebbe porne ancor di più pensare che potessero essere stati costruiti all’incirca 10.000 anni prima: sempreché non si voglia ricorrere alla pretesa esistenza di una civiltà superiore preesistente (che non si sa che fine abbia fatto e che oggi non viene quasi più menzionata, ma che ai miei tempi aveva una precisa collocazione nel mitico continente di “Atlantide”) o all’ancor più fantasioso intervento degli alieni.


Comunque, già in epoca preistorica gli egizi riuscivano a modellare oggetti in pietra e, a partire dalla Terza Dinastia, erano perfettamente in grado di padroneggiarla, tanto da lasciare capolavori immortali anche in grandi sculture realizzate con elementi particolarmente duri come la diorite o il granito. Possiamo, inoltre seguire l’evoluzione delle tecniche costruttive. Dalla piramide a gradoni di Zoser (III Dinastia), che in realtà è la sovrapposizione di “mastabas”, ma che sicuramente ne suggerì la forma, ai tentativi di Snefru (la piramide di Meidum, collassata per i continui asporti di materiale a partire dall’epoca greco-romana e il cui nucleo superstite ne rivela ancora la derivazione da quella a gradoni, quella romboidale, a Dashur, la cui pendenza fu cambiata, fino ad arrivare al profilo corretto con la Piramide Rossa, anch’essa a Dashur, alta in origine ben 105 metri). Sappiamo che grandi squadre (aper) composte da centinaia di persone venivano arruolate allorquando si iniziava la costruzione di una piramide e di alcune ce ne sono giunte i nomi. Davvero c’è da chiedersi cos’altro mai occorra per convincersi a lasciare la Grande Piramide al suo legittimo proprietario.


A sinistra: la cosiddetta “Piramide romboidale” di Snefru un’ulteriore evoluzione verso la forma definitiva. Probabilmente a causa di cedimenti fu ridotta la pendenza dell’edificio che ci appare pertanto di aspetto irregolare. A destra: con la Piramide Rossa (o Piramide Nord) di Snefru si giunge alla forma definitiva che sarà resa ancor più elegante e maestosa con le successive costruzioni a Giza. Alta in origine ben 105 metri, oggi la sommità del monumento risulta abbassata di circa 13 metri a causa dei furti avvenuti nel Medio Evo, durante il quali fu asportato l’abbagliante rivestimento di calcare bianco. Il colore rossiccio delle pietre del nucleo ha dato l’attributo al monumento.
Ad ogni buon conto, Bauval (ed è questo il distinguo cui facevo cenno), forse per evitare uno scontro totale con l’egittologia ufficiale, non nega che le piramidi fossero state costruite durante la IV Dinastia. Semplicemente, conclude che furono erette in quel lasso temporale, ma seguendo un progetto di circa 8.000 anni prima(!). Per quanto riguarda la Sfinge sostiene che la data è ignota, ma più verosimilmente risalente al 10.500 a.C. Questo a causa dei fenomeni di erosione (di cui si è ampiamente discusso nelle puntate dedicate al saggio di Mark Lehner). Per di più, secondo Bauval, se si riporta la mappa celeste a come appariva 12.500 anni fa, l’ enorme scultura punterebbe ad una costellazione ben precisa (provate ad indovinare?). Ebbene sì, proprio quella del Leone. Straordinario, no? Peccato che gli studiosi abbiano smentito clamorosamente l’autore. Anche se ci riferiamo a quella lontanissima epoca né le Piramidi, né la Sfinge si allineavano rispettivamente con Orione e il Leone, né il Nilo alla Via Lattea (sì compare anche il sacro fiume d’Egitto, nell’ipotesi di rappresentazione di una mappa celeste in terra d’Egitto). E poi una considerazione del tutto personale: è credibile che 12.500 anni or sono una configurazione di stelle sia stata necessariamente immaginata come evocativa della figura di un leone? Tra l’altro, per quel che ne so, gli egizi raggruppavano e denominavano le costellazioni in modo diverso da quello che utilizziamo oggi che, se non erro, è di derivazione mesopotamica e non utilizzato dagli egizi almeno fino alla conquista macedone.

Per concludere brevemente l’argomento, senza entrare troppo in dettagli astronomici di cui non ho alcuna competenza, riporterò, semplificata al massimo, qualche valutazione di esperti in materia. Innanzitutto, occupiamoci velocemente di questa famosa costellazione che avrebbe ispirato gli Antichi Egizi. Il raggruppamento di Orione è facilmente riconoscibile, proprio per le tre stelle, leggermente disallineate, che ne costituiscono la cosiddetta cintura: si tratta Zeta di Orione, o “Al-Nitak”, Epsilon di Orione, o “Al-Nilam”, Delta di Orione o Mintaka. Quest’ultima stella appare collocata lievemente più a nord della diagonale ideale formata dalle 2 stelle più luminose.

E’ proprio questo disallineamento (che si ripete nelle tre piramidi di Gizah) che ha dato l’idea ad Hancock e Bauval, che, ovviamente, sono partiti alla ricerca di “prove” che ne confermassero la validità. Le loro affermazioni sono però state contestate, in particolare da due famosi astronomi: Ed Krupp dell’osservatorio Griffith di Los Angeles e Anthony Fairall, professore di astronomia presso l’Università di Città del Capo.

Edwin Charles Krupp ( Chicago, USA 18 novembre 1944).
Astronomo, ricercatore, autore e divulgatore scientifico americano. È un esperto riconosciuto a livello internazionale nel campo dell’archeo-astronomia, lo studio di come le antiche civiltà osservavano il cielo e dell’influenza che tali visioni esercitavano sulle loro culture. Ha insegnato a livello universitario, come docente di planetario È stato direttore dell’Osservatorio Griffith di Los Angeles. Krupp nutre un particolare interesse per l’impatto dell’astronomia sugli antichi sistemi di credenze È noto per i suoi numerosi contributi in materia su cui ha scritto ampiamente, Ha visitato e studiato quasi 2.000 siti preistorici e storici in tutto il mondo.

Anthony Patrick (Tony) Fairall (15 settembre 1943 – 22 novembre 2008)
Nato a Londra si è trasferito nel 1948 in Sudafrica con la sua famiglia. Ha studiato all’Università di Città del Capo Laureandosi in fisica nel 1965. Trasferitosi ad Austin, ha continuato i suoi studi presso l’Università del Texas. Lavorò con due dei più famosi astronomi dell’epoca: il francese Gerard de Vaucoileurs e lo svizzero Fritz Zwicky. Nel 1970, tornò a Città del Capo, dove fu impiegato come primo docente nel nuovo dipartimento di astronomia dell’UCT. Iniziò immediatamente un’importante indagine fotografica per trovare supernovae nelle galassie meridionali e nel 1977 scoprì la galassia Seyfert 1. Questa galassia, denominata ‘Fairall 9’, è successivamente diventata uno degli oggetti extragalattici più osservati. Nel 1988, è diventato direttore part-time del planetario di Città del Capo, incarico che ha ricoperto per 17 anni. In perfetto stile con il suo personaggio, incline all’amicizia e al rispetto, Fairall raramente ha assunto atteggiamenti critici sul lavoro dei colleghi. Un’eccezione notevole è stata quando è entrato in una discussione popolare sul significato astronomico dell’allineamento delle piramidi egiziane, confutando le affermazioni fatte da Graham Hancock e Robert Bauval. In proposito, Fairall scrisse: «È l’affermazione relativa alla data del 10.500 a.C. che contesto su basi astronomiche. Anche se non posso dire di approvare il modo in cui questo materiale è stato trasmesso al pubblico, riconosco che ha suscitato un notevole interesse sia per le piramidi che per le stelle». E venuto a mancare a seguito di un incidente occorso in una spedizione subacquea.
Effettuando ricerche separatamente studiarono l’angolo tra l’allineamento della Cintura di Orione con il Nord, nell’epoca citata dai due autori, scoprendo che la corrispondenza con il presunto allineamento delle piramidi era tutt’altro che perfetto: (47-50 gradi, nelle misurazioni fatte attraverso il planetari contro i 38 gradi delle piramidi). Krupp, osservando le immagini allegate da Bauval e Gilbert, notò inoltre che il leggero disallineamento delle piramidi risultava deviato verso nord, mentre quello della Cintura di Orione verso sud, per cui una delle due rappresentazioni doveva necessariamente essere stata capovolta. Krup e Fairall rilevarono altre incongruenze, tra le quali una davvero clamorosa riguardava la Sfinge. Se la colossale scultura doveva rappresentare il Leone, si sarebbe, dovuta trovare sulla riva opposta del Nilo (che, ricordo, i due autori affermano rappresentasse la Via Lattea per gli Antichi Egizi) rispetto alle piramidi e che nell’equinozio di primavera di 12.500 anni fa il sole era nella Vergine e non nel Leone. Senza contare il fatto che, come già ho esposto nella prima parte del post, le costellazioni come le conosciamo oggi nacquero in Mesopotamia e non furono riconosciute dagli egizi prima dell’epoca greco-romana.

Gli egittologi oggi accettano comunemente che la Sfinge rappresenti Chefren (al più c’è chi ne attribuisce la paternità a Cheope, ma cambia ben poco sotto l’aspetto temporale) e la retrodatazione supposta da Robert Schoch a causa dell’erosione è stata ampiamente contestata, da valenti studiosi (rimando a tal proposito al saggio di Mark Lehner presentato nell’ambito della stessa rubrica). In realtà è forte il sospetto che la data del 10.500 fu scelta per sostenere l’ipotesi dell’esistenza di un’antica civiltà scomparsa e tecnologicamente evoluta che sarebbe stata la progenitrice di tutte le altre. Resta da capire come mai, riferendosi a tempi così remote, ci sarebbero solo la Sfinge, le Piramidi e poco altro a testimoniarlo, mentre una miriade di manufatti rinvenuti ci conferma che l’umanità, all’epoca, si affacciava al Neolitico o era ancora nella fase finale del Paleolitico Superiore. Anzi, per quanto riguarda le Piramidi di Gizah, le ipotesi di Bauval e Gilbert, sembrano ancora più sconcertanti. Posto che furono realizzate secondo un piano stabilito all’incirca 8.000 anni prima(!), dove avrebbero trovato gli Antichi Egizi la documentazione che avrebbe permesso loro di realizzarlo? Su quale supporto e soprattutto in quale lingua avrebbero trasmesso questa idea?
Fonti:
- Maurizio Damiano, Egitto vol. 4 pp. 281-284
- Vassil Dobrev, dal volume I Tesori delle Piramidi a cura di
Zahi Hawass