Antico Regno, C'era una volta l'Egitto

IL FARAONE SEKHEMKHET

Di Piero Cargnino

Come si sa l’ordine di successione dei sovrani della III dinastia è scarsamente documentato e vi sono molti dubbi anche sull’esistenza o meno di alcuni di questi. Permangono notevoli differenze tra la Lista di Abydos, la Lista di Saqqara, Il Canone Reale di Torino e quello che ci racconta Manetone.

L’ipotesi ad oggi maggiormente accettata è quella proposta dall’egittologo egiziano Nabil Muhamed Abdel Swelim, il quale giunse alla conclusione che la III dinastia comprendesse i seguenti faraoni: Sanakht (o Nebka), Djoser, Sekhemkhet, Khaba e Uni.

Djoser fu il primo a costruire una piramide ed il suo successore probabilmente non gli volle essere da meno. Nella necropoli di Saqqara troviamo quella che si può considerare la seconda piramide egizia, anche se in realtà non c’è più, o forse non c’è mai stata, la piramide di Sekhemkhet che, per una serie di considerazioni oggettive, consente di confermare che tale re fu l’immediato successore di Djoser.

Ancora dopo la II guerra mondiale di Sekhemkhet non si sapeva nulla, fu l’egittologo egiziano Muhammed Zakaria Goneim a scoprire il suo complesso funerario nel 1950.

Goneim, fin da prima della II guerra mondiale, scavava il tempio di Unas, ultimo faraone della V dinastia, durante la guerra sospese gli scavi e si ritirò a Luxor. Finita la guerra tornò a Saqqara e fu subito attratto da un enorme edificio rettangolare che affiorava tra le dune del deserto a poche centinaia di metri dalla piramide di Unas. Su suggerimento di Lauer, si impegnò nella ricerca dei quattro angoli di questo misterioso complesso. I suoi sforzi vennero premiati quando con sua, e di Lauer, meraviglia emerse che i quattro angoli erano quelli di una cinta muraria in blocchi di calcare che racchiudeva un tempio ed un complesso piramidale fino ad allora sconosciuto.

Gli scavi di Goneim, iniziati nel 1951, si protrassero fino alla metà degli anni 50, a questo punto parve che il mistero si avviasse alla soluzione.

Innanzitutto si riuscì a stabilire che per l’erezione del complesso si sia reso necessario spianare l’area mediante il riempimento di dislivelli alti fino a 10 metri. E qui il mistero ritornava puntuale, perché fu scelta un’area che necessitava di interventi così gravosi per di più in quanto la stessa si trovava così lontana da risultare appena visibile dalla valle del Nilo? Forse la scelta fu dettata non tanto dalla necessità di rendere visibile la magnificenza del monumento ma dal fatto che nei dintorni insistevano già altre antiche tombe reali risalenti alla II dinastia. Alcune di queste sono già state scoperte ma si pensa che ne esistano molte altre nascoste sotto la sabbia.

Va detto che sicuramente coloro che si fecero costruire quelle tombe non ambivano certo a catturare l’attenzione di eventuali osservatori o, peggio, di saccheggiatori di tombe. La cosa però cambiò dopo la dimostrazione di opulenza voluta da Djoser.

Le dimensioni del complesso sono di poco inferiori a quello di Djoser del quale ne imita anche l’aspetto, era circondato da un muro, alto oggi 3,10 m dei 10 verosimilmente previsti, a rientranze e sporgenze, era formato da blocchi di calcare bianco sfavillante proveniente dalle cave di Tura con una serie di nicchie alternate a porte fittizie di cui pare una sola era quella vera.

Ho detto pare in quanto gli scavi non sono mai terminati per cui è difficile stabilirlo con precisione.

Da una breve iscrizione in geroglifico corsivo, presente sul muro di cinta, si è dedotto che forse anche il complesso di Sekhemkhet fu realizzato dall’architetto di Djoser, Imhotep. Il nome del brillante architetto è menzionato sul muro a nord confermando che questo monumento è stato costruito dallo stesso Imhotep del quale si riscontra la stessa tecnica di costruzione.

Gli scavi eseguiti hanno confermato che il complesso non venne mai ultimato. Goneim, il quale, dopo numerose ricerche, propende per la piramide, afferma che dopo un attento esame, le rovine hanno permesso di stabilire che la stessa, con una base quadrata di 120 m e con un’inclinazione di circa 15°, avrebbe raggiunto un’altezza di circa 70 m sviluppandosi su sei o sette gradoni.

Dagli scavi di Goneim si deduce che la costruzione della piramide si interruppe inspiegabilmente ad un’altezza di soli 8 metri, in funzione di ciò, molti egittologi discordano sul fatto che l’intento fosse proprio quello di costruire una piramide a gradoni come quella di Djoser ma solo quello di costruire una grande mastaba.

La causa per cui la piramide non venne ultimata è probabilmente dovuta al fatto che Sekhemkhet regnò per soli sei anni e quindi alla sua morte la costruzione venne abbandonata. Tutto ciò che è possibile vedere oggi è una muratura al centro non più alta di 2 metri e mezzo. In contrasto con l’incompletezza della sovrastruttura, gli appartamenti sotterranei erano quasi completamente ultimati.

L’ingresso si trova sulla facciata Nord, ma al di fuori della piramide, dà accesso ad una rampa che scende per 36 m e sbuca in un corridoio discendente lungo 80 metri che conduce alla camera funeraria.

Come anche in altre mastabe contemporanee il corridoio era interrotto da un pozzo verticale che scendeva in profondità per impedire l’accesso alla camera funeraria. Al suo interno Goneim rinvenne ossa e corni di montoni, manzi e gazzelle, residuo forse di sacrifici in onore del sovrano.

Scendendo più in profondità emersero 62 papiri risalenti al regno di Ahmes della XXVI dinastia. Scendendo ancora trovò circa 700 vasi di pietra, sulle chiusure di argilla di alcuni di essi furono rinvenute le impronte di sigilli con il nome di Sekhemkhet, prova che avvalora la paternità del complesso.

Ma la cosa più sorprendente fu il ritrovamento di una notevole quantità di oggetti d’oro quali: 21 armille, conchiglie e grani di faience rivestiti di foglia d’oro. Rimane inspiegabile come un simile tesoro sia potuto sfuggire ai saccheggiatori di tombe che asportarono l’intero corredo funerario.

La camera funeraria si trova a 32 metri di profondità esattamente in corrispondenza di quello che sarebbe stato l’asse verticale della piramide. La camera misura 8,70 m di lunghezza, 5,20 m di larghezza e 4,50 m di altezza e non è mai stata completamente ultimata. Al suo interno una larga asta verticale entra dal soffitto, molto probabilmente per bloccare l’accesso quando fosse risultato necessario.

Su un lato della camera spicca il sarcofago del sovrano, ricavato da un unico blocco di alabastro con le superfici completamente lisce. La cosa stupì non poco Goneim poiché sarcofagi realizzati con quel tipo di pietra sono stati trovati solo nella tomba della regina Hetepheres della IV dinastia ed in quella di Sethos I della XIX dinastia.

Il sarcofago era privo del classico coperchio ma chiuso da una sponda di testa con due aperture per passare una corda per aprirlo e presentava ancora i sigilli originali. 

Ritenendo di aver rinvenuto una sepoltura intatta, Goneim, organizzò una pubblica apertura che attirò l’attenzione dei media locali ed internazionali ed alla quale furono anche invitate autorità dello stato e team cinematografici. Questa purtroppo si risolse in un fallimento poiché il sarcofago era vuoto! Goneim cadde in disgrazia e non si riprese più, gli venne anche proibito di tornare sul luogo degli scavi. Deluso ed avvilito Goneim dovette pure difendersi dall’accusa di essersi appropriato di una imbarcazione, rinvenuta da Lauer e Quinbell, ed averla venduta all’estero. Subì l’interrogatorio da parte della polizia ma poi il reperto venne rinvenuto presso un deposito del Museo del Cairo. La violenta campagna negativa che si era scatenata lo prostrò  psicologicamente a tal punto che nel gennaio 1959 si suicidò gettandosi nel Nilo.

Altri corridoi, anch’essi incompleti, conducevano in nuove gallerie, che probabilmente erano gli “appartamenti,” come nel caso della piramide di Djoser.

Intorno alle facciate Nord, Est e Ovest del muro di cinta si alternano 132 corte gallerie sotterranee (magazzini) costruite a forma di U che non sono mai state completate. I lavori di scavo si conclusero nel 1959, per poi essere ripresi da Lauer nel 1963. In poche settimane Lauer riuscì a scoprire le fondamenta della parete sud del muro di cinta presso il quale sperava di trovare una tomba sud come per il complesso di Djoser.

Impiegò quattro anni ma finalmente nel 1967 riportò alla luce, come già era accaduto per il complesso di Djoser, una mastaba in blocchi di calcare molto danneggiata poiché utilizzata in antichità come cava di pietre già lavorate, anche questa non è ancora stata esplorata a fondo.

Sulla base delle loro ricerche gli egittologi italiani Maragioglio e Rinaldi ipotizzano che Sekhemkhet non abbia mai pensato di farsi costruire una piramide ma semplicemente una grande mastaba sul tipo di quella originale di Djoser sulla quale poi vennero costruiti gli ulteriori gradoni.

Nella tomba sud di  Sekhemkhet vennero trovati i resti di un bambino di circa due anni, nulla si sa in proposito, era figlio di  Sekhemkhet? Premorì al padre oppure morì successivamente? E quando e come morì il faraone? Sono state avanzate numerose ipotesi ma sono considerate mere speculazioni poiché nessuna è comprovabile da dati archeologici.

La piramide è visitabile, ma al pubblico non è consentito l’accesso alla base e alle sottostrutture.

Fonti e Bibliografia:

  • Miroslav Verner, “Il mistero delle Piramidi”, Newton & Compton Ed. (1997) traduzione 2002
  • Maragioglio Vito e Rinaldi Celeste Ambrogio, “L’architettura delle piramidi menfite”, Tip. Artale, 1963
  • Sergio Donadoni, “Le grandi scoperte dell’Archeologia”, Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Enrica Leospo, “Saqqara e Giza”, Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976 
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, trad. di G. Scandone Matthiae, Bari, Laterza, 2002
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, vol. II, Ananke, 2012 Cyril Aldred, “Gli Egiziani – tre millenni di civiltà”, Roma, Newton & Compton, 1966

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