Di Piero Cargnino
Meidum, (Muhāfazat Banī Suwayf in arabo), è un moderno villaggio nel governatorato di Beni Suef nel centro del paese, a sud del Cairo. Si trova sulla riva sinistra del Nilo ed è un’area basata sull’agricoltura e l’allevamento, esistono anche alcune industrie, cementifici e fabbriche per la produzione tessile, alimentare, calzaturiere e per la produzione del tabacco. Sulle rive del Nilo si trovano alcune cave di alabastro.
A 9 km dal villaggio moderno si trova il complesso piramidale dell’Antico Regno risalente a Snefru, primo faraone della IV dinastia e le rovine delle città di Eracleopoli e di El-Hiba.

Il complesso di Maidum ospita la grandiosa piramide di Snefru, (Djed Snefru, “Snefru è duraturo”) (o Uni), che è la piramide più meridionale dei sovrani di Menfi. Sul lato nord-est del complesso funerario si trova la necropoli contenente diverse mastabe, decorate con sontuosità, appartenute a famigliari dello stesso Snefru.
Degna di nota la mastaba n. 17, indagata da Petrie nel 1910 dove rinvenne una mummia al suo interno, con ogni probabilità appartenuta ad uno dei figli del faraone Snefru. Auguste Mariette si recò poco più a nord, dove si trova una seconda necropoli che ospita parte della corte reale della IV dinastia.



Qui Mariette, nel 1871, scoprì la mastaba n. 16, il cui proprietario era il principe Nefermaat, (Maat è splendida), e di sua moglie Atet. All’interno furono rinvenuti due bassorilievi raffiguranti scene di caccia e piccoli animali.
La cosa più sorprendente però fu quello che Mariette dichiarò di aver trovato all’interno, un pannello, delle dimensioni di cm 27 di altezza per cm 172 di lunghezza, situato nella cappella di Atet, realizzato con pittura su stucco, opposto dell’affresco, con notevole tecnica pittorica, che rappresenta una scena di caccia sulle rive del Nilo.

L’affresco riporta, con notevole tecnica pittorica in modo simmetrico sei oche, divise in due gruppi speculari, molto realistiche nella forma e nei colori. L’arte pittorica egizia ebbe nel periodo storico dell’Antico Regno, la massima attenzione per i dettagli di animali e piante, tanto che ancora oggi è possibile individuare la specie delle oche, dal piumaggio stilizzato.

L’affresco originale delle ormai famose “Oche di Meidum”, (soprannominato “La Monna Lisa d’Egitto”), è oggi conservato al Museo Egizio del Cairo, mentre una copia si trova al British Museum di Londra.
Recentemente alcuni archeologi hanno avanzato dubbi sull’autenticità del dipinto che presenterebbe diverse anomalie. In tal senso si è espresso l’egittologo italiano Francesco Tiradritti, docente di Egittologia all’Università di Enna e direttore della Missione archeologica italiana in Egitto.
Nell’aprile 2015, in seguito a studi condotti sul dipinto, Tiradritti pubblicò un articolo sul Giornale dell’Arte nel quale espresse le sue convinzioni sul fatto che il dipinto non risalisse all’epoca assegnata da Mariette. Mise in risalto il fatto che quattro delle sei oche non erano originarie dell’Egitto e, per di più, non erano neanche attestate altrove nell’arte egizia. Tra le altre anomalie riscontrò che anche le tonalità dei colori usati non è riscontrabile in altre pitture egizie in quanto il tipo di stesura sarebbe possibile soltanto con l’utilizzo di pennelli moderni, inoltre esisterebbe una eccessiva “sproporzione” tra le oche.
Secondo l’egittologo il dipinto sarebbe un falso realizzato, in accordo con Mariette, dal pittore ottocentesco italiano Luigi Vassalli per conto del Museo di Bulaq per cui lavorava.
Un altro indizio confermerebbe il falso, nella cappella di Atet c’è un frammento di una pittura che rappresenta un avvoltoio e un cesto, questi nel linguaggio dei geroglifici egizi corrispondono alle lettere G e A. Sarebbero le iniziali della seconda moglie di Vassalli, Angiola Gigliati.

La firma occulta di uno scherzo colossale che potrebbe aver retto fino ai giorni nostri ?
Fonti e bibliografia:
- Francesco Tiradritti, da “Il Giornale dell’Arte”, numero 352 di aprile 2015
- Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”. Torino: Ananke, 2006
- Peter Janosi, “Le piramidi”, Bologna, Il Mulino, 2006