Di Piero Cargnino
A Sesostri I successe il figlio Amenemhat II, sicuramente figlio della regina Neferu III, alla quale era assegnato il titolo di “Madre del re”. Ma come si suol dire, la madre è certa, mentre per quanto riguarda il padre alcuni studiosi nutrono molti dubbi che fosse realmente Sesostri I in quanto non esistono ritrovamenti che lo confermino.

In un’iscrizione rinvenuta nella tomba di un nomarca omonimo a Beni Hasan, viene riportato che il nomarca Amenemhat ha seguito in una spedizione in Nubia “Ameni, Figlio del re”. Questo Ameni potrebbe essere stato il giovane principe che diverrà poi Amenemhat II anche se si tratta solo di un’ipotesi.
Della sua famiglia si conosce ben poco, non si conosce il nome della sposa reale di Amenemhat II come non è documentato da nessuna parte chi fu la regina madre di Sesostri II, anche se si pensa che comunque fosse figlio di Amenemhat II. Nel grande complesso funerario del faraone si trovano numerose tombe di regine o principesse ma non è stato accertato il loro legame con Amenemhat II, si trova una tomba che potrebbe essere appartenuta alla regina della XIII dinastia Keminub, oltre a quelle delle principesse, con il titolo di “Figlie del re”, Itit, Itaweret e Khnumit, che potrebbero essere state sue figlie.

In un primo momento si riteneva che Amenemehat II avesse condiviso il potere col padre in base all’interpretazione di un testo contenuto su una stele del funzionario, Wepwaweto (conservata a Leiden, V4), ma oggi molti lo ritengono improbabile. Del sovrano rivestono particolare importanza gli “Annali di Amenemhat II”, i cui frammenti sono stati rinvenuti a Menfi e riportano notizie su donazioni a templi e ad alcuni fatti politici. Dai frammenti si è appreso di una spedizione militare in Asia con la distruzione di due città non meglio identificate, Iuai e Iasy. Abbiamo notizie di altre spedizioni militari di Amenemehat II, di cui tre nel Sinai, una nello Uadi Gasus ed una nello Uadi el-Hudi in cerca di ametiste. Amenemehat II fece costruire diversi edifici e templi a Eliopoli, Eracleopoli, Menfi e Ermopoli.
Al Museo del Louvre a Parigi è conservata una colossale sfinge con il volto del faraone Amenemhat II rinvenuta a Tanis, la statua venne poi usurpata da Merenptah (XIX dinastia) e da Sheshonq I (XXII dinastia) con l’apposizione dei loro cartigli.

Nel tempio di Montu, a Tod, località a 20 chilometri a sud di Luxor, è stato ritrovato un tesoro in pezzi d’argento, contenuto in cofani sui quali viene menzionato il faraone:
<<…….possa vivere il re dell’Alto e Basso Egitto Nubkaura, figlio di Ra, Amenemhat, amato da Montu, Signore di Djerty, (Tod)……>>.
Manetone, frequentemente disinformato, racconta che:
<<……..(Amenemhat II) venne ucciso dai suoi eunuchi……..>>,
non esistono testimonianze che confermino questa tesi, molto probabilmente Manetone fa confusione con la morte del faraone Amenemhat I avvenuta circa 80 anni prima.

Per il suo complesso funerario Amenemhat I ruppe la tradizione dei suoi due predecessori ed abbandonò El-Lisht per Dahshur, l’antica necropoli della IV dinastia. Amenemhat fece risistemare l’intera necropoli, grazie al lavoro di prigionieri asiatici. Qui fece costruire il suo complesso piramidale che, nella sua interezza, venne chiamato “Il Sekhem di Amenemhat”.

In realtà si tratta di uno dei più piccoli ivi esistenti cosa che contrasta con la durata del suo regno. La sua piramide, denominata, (forse), “Amenu-sekhem”, (Amenemhat è curato bene), secondo altri era denominata “La piramide possente di Amenemhat”, si ergeva ad est della “Piramide Rossa” di Snefru e, ironia della sorte De Morgan, che la esplorò, la denominò “mastaba bianca”., da cui “Piramide Bianca”. Il nome è probabilmente dovuto al fatto che era completamente rivestita con blocchi di calcare bianco.

La struttura della piramide si presenta con una base “stellata”, ovvero muri di sostegno in pietra calcarea che si irradiano dal centro, e gli spazi vuoti semplicemente colmati di sabbia. Oggi è ridotta a poco più che un cumulo di macerie in quanto venne quasi completamente depredata del calcare bianco dalle vicine popolazioni locali.

Non è mai stata compiuta un’investigazione su larga scala, venne esplorata, poco più che sommariamente nel 1894-95, da Jacques De Morgan il quale dedicò la maggior parte del suo tempo agli scavi delle tombe presenti nel recinto del tempio, quella del principe Amenemhetankh e delle principesse Ita, Itaweret, Khnumit e Sithathormeret nelle quali furono rinvenuti resti del corredo funerario, fra cui sarcofagi in legno, casse per canopi e vasi di alabastro per unguenti profumati.
Nelle tombe di Ita e Khnumit furono ritrovati i reperti più preziosi, raffinati gioielli che oggi si possono ammirare nella “Sala del tesoro” del Museo Egizio del Cairo. Interessante il fatto che numerosi oggetti d’argento ritrovati non sono manufatti egizi bensì di origine egea, da ciò si deduce che nel Medio Regno esistevano contatti tra l’Egitto e paesi stranieri, con la Grecia in particolare.
L’entrata della piramide di Amenemhat II è situata sotto la cappella nord, un condotto discendente in blocchi di calcare, la cui costruzione è molto simile a quello della piramide di Neferirkare ad Abusir lungo circa 40 metri, presenta un soffitto piatto sormontato a sua volta da una capriata in lastre di calcare sovrapposte. L’ultimo tratto proseguiva in orizzontale e, dopo uno sbarramento con due lastre di granito, terminava nella camera funeraria posta in corrispondenza dall’asse verticale della piramide. La camera funeraria, il cui soffitto era costruito nello stesso modo di quello del corridoio e di quello della camera del re nella piramide di Cheope, ad eccezione delle camere di scarico, presentava una pianta estremamente articolata, due magazzini si trovavano sulla parete sud e due sulle pareti est ed ovest, era inoltre presente un pozzo dal quale si accedeva ad una sottostruttura contenente i vasi canopi. Inserito nelle murature interne della parete occidentale un sarcofago in quarzite consistente in un vano con le dimensioni di circa 2 per 1 metri con un’altezza di 1 metro. In assenza di reperti di alcun tipo non è possibile accertare con sicurezza che Amenemhat II sia stato effettivamente sepolto nella piramide.

Purtroppo oggi il complesso si presenta quasi interamente sepolto sotto la sabbia in stato di abbandono e le uniche notizie conosciute sono quelle documentate da De Morgan. Poiché il rivestimento in calcare manca quasi completamente non è possibile stabilire l’angolo di inclinazione e di conseguenza l’altezza originale, per quanto riguarda la base si pensa che fosse di circa 50 metri. Amenemhat II si associò al trono il figlio, futuro Sesostri II, col quale condivise una breve coreggenza, l’unica certa del Medio Regno. La stele di Hapu, rinvenuta a Konosso, riporta che il 3º anno di regno di Sesostri II coincide con il 35° di Amenemhat II che pare sia anche l’ultimo del suo regno.

Fonti e bibliografia:
- Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2004
- Manzini, Riccardo, “Complessi piramidali egizi, Necropoli di Dahshur” – Ananke, Torino 2009
- Cimmino, Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
- Alessia Amenta, “I tesori del museo egizio del Cairo”, White Star, Giugno 2005
- Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997)
- John A. Wilson, “Egitto – I Propilei”, Monaco di Baviera 1961 (Mondadori, Milano 1967)
- Guy Rachet, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
- Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 Sergio Donadoni, “Le grandi scoperte dell’archeologia”, De Agostini, Novara 1993