C'era una volta l'Egitto, II Periodo Intermedio

SOBEKHOTEP II (SEKHEMRE KHUTAWY) E IL PAPIRO BULAQ 18

Di Piero Cargnino

SOBEKHOTEP II

Durante una campagna di scavi a sud di Abydo del 2013, condotta da un team di archeologi dell’Università della Pensylvania, con archeologi egizi, guidati dal prof. Josef W. Wegner, vennero ritrovate diverse tombe reali risalenti al Secondo Periodo Intermedio, (1650-1550 a.C.). Tra queste venne rinvenuta quella di Sobekhotep II (Sekhemre Khutawy Sobekhotep Amenemhat) sedicesimo (!) faraone della XIII dinastia (dal Canone Reale di Torino).

Sovrano conosciuto da numerosi reperti e citato in alcuni papiri (tra i quali il Papiro Bulaq 18 di cui parleremo più sotto), oltre ad alcuni scarabei che riportano il nome di una sposa reale e fanno ritenere che Sobekhotep II fosse il figlio del suo predecessore.

Di lui abbondano i ritrovamenti tanto da indurci a pensare che il suo regno sia stato discretamente lungo nonostante le testimonianze archeologiche non superino il suo settimo anno di regno. Un regno che pare dimostrare una certa tranquillità senza grandi sconvolgimenti tanto da permettergli di edificare templi ed altri monumenti, uno di questi è il monumento al dio Montu a Medamud.

Del periodo in cui ha regnato, per il secondo, terzo e quarto anno, sono state scoperte le registrazioni del livello di piena del Nilo. Il team dell’Università della Pensylvania, che ha curato gli scavi, suggerisce che la tomba avrebbe dovuto essere sovrastata da una piramide come quella di Ameny Qemau; in quella che sarebbe stata la sottostruttura è stato rinvenuto un sarcofago di quarzite di circa 60 tonnellate. In un primo momento si era completamente allo scuro di chi fosse il sovrano ivi sepolto finché nel 2014 emersero frammenti che riportavano il suo nome, Sobekhotep e un fregio dove il sovrano compariva assiso sul trono. In un suo disegno l’egittologo Percy Newberry rappresenta un sigillo del faraone Sekhemre Khutawy Sobekhotep Amenemhat sul quale è riportato: “Il figlio di Ra, Sobekhotep Amenemhat, amato da Sobek-Ra, Signore di iu-mete”.

IL PAPIRO BULAQ 18

Il Papiro Bulaq 18 è un rendiconto di spese, vi chiederete quale importanza rivesta un “estratto conto” di quattromila anni fa.

Analizzato dagli esperti pare che il sistema contabile utilizzato ci dimostri che gli egizi conoscevano già il numero zero pur utilizzandolo in modo diverso da come lo si utilizza oggi. Stiamo parlando di un numero che significa “niente” o nullo, ma la sua utilità è insostituibile. Non lo conoscevano i greci, i romani e le altre civiltà classiche, pare che ad inventarlo sia stato un matematico indiano tale Aryabatta soltanto nel 610 d.C. (secondo altri fu sempre un matematico indiano Brahmagupta intorno al 670 d.C.).

Lo zero ha reso più facili i calcoli, sia quelli semplici che quelli più complessi, indispensabile nel “sistema posizionale” in base dieci. Venne introdotto nella  numerazione araba da Al-Khuwarizmi nell’VIII secolo d.C. ma in occidente giunse solo nel 1202 usato per la prima volta dal matematico pisano Leonardo Fibonacci.

In realtà la cosa è vera solo in parte, come simbolo di “niente” era già conosciuto nell’antichità. Ne facevano uso i Sumeri già intorno al 3000 a.C. che lo rappresentavano con due incavi inclinati per indicare l’assenza di un numero.

Ma non crederete mica che gli antichi egizi, che inventarono di tutto, non lo conoscessero? L’uso di un simbolo simile era utilizzato spesso anche dagli Egizi per indicare nessun numero, in modo particolare in architettura dove con tale simbolo veniva indicato il livello terra. Esistono testimonianze che ad usarlo erano pure gli scribi contabili per quadrare i loro conti.

Questo lo apprendiamo dalla lettura del citato papiro “Bulaq 18”, conservato al Museo del Cairo con codice CG 58069, consistente in due frammenti scritti in ieratico, ritrovati da Auguste Mariette a Dra Abu el-Naga nel 1860.

Il papiro viene fatto risalire ad un periodo tra il terzo ed il quarto anno di regno del faraone Sekhemra-Khutawy (Sobekhotep II) di cui sopra. La tomba scoperta da Mariette corrisponderebbe ad una tomba privata dove in un manoscritto viene citato il nome del presunto possessore della tomba: lo scriba Neferhotep. Il manoscritto riporta i conteggi effettuati per contabilizzare le spese sostenute dal faraone durante un viaggio a Tebe. Il viaggio consisteva in una visita con tutta la corte per presenziare l’inizio o il termine dei lavori di costruzione di un monumento al dio Montu a Medamud. Nel manoscritto vengono menzionate due feste che si sono tenute a Medamud, quella in onore del dio Montu ed una consistente in una processione dove la statua di Montu venne portata da Medamud al palazzo reale ove rimase per tre giorni. L’autore del papiro era incaricato di tenere il saldo contabile aggiornato del bilancio del tribunale. Per fare questo annotò le spese e le entrate giornaliere, fece un saldo delle somme a fine giornata sommandole ai saldi precedenti e riportando il tutto al giorno successivo.

Come detto il papiro si compone di due frammenti. Il frammento più grande è riferito al terzo anno di regno di Sobekhotep e narra del viaggio a Medamud. In esso viene riportata, sul dritto, la contabilità reale riferita alla settimana dal 26 del secondo mese al 4 del terzo mese dell’estate. Sul retro sono riportati tre giorni (dal 16 al 18) del secondo mese. Quello più piccolo si riferisce al quinto anno di regno. Non tutti gli studiosi concordano sul fatto che i due frammenti siano stati scritti dallo stesso scriba ne che entrambi si riferiscano allo stesso regno. Per quanto riguarda il periodo i più concordano sul fatto che si tratti sempre del regno di Sobekhotep II perché entrambe i manoscritti sono stati ritrovati insieme ed entrambi citano il visir Ankhu. Il fatto, non poi così insolito, che un papiro del genere seguisse il suo autore nella tomba si può giustificare con l’intenzione dello scriba di assicurarsi una testimonianza che dimostrasse la sua esperienza maturata come scriba nell’aldilà.

Dalla lettura del testo alcuni studiosi ritengono che in esso sia contenuta una interessante innovazione aritmetica, l’uso di un simbolo per identificare lo zero. Secondo Beatrice Lumpkin nel papiro viene utilizzato il simbolo ieratico “nfr” per rappresentare lo zero.

Va detto che già in precedenza Faulkner, ed in modo leggermente diverso Allen, notarono che il termine “nfr” era stato usato in alcune costruzioni architettoniche facendo riferimento al livello terra. Questo induce a pensare che con “nfr” si volesse rappresentare appunto il livello zero. Nei suoi conteggi lo scriba Neferhotep usa lo stesso segno “nfr” per indicare “zero resto” nelle sue operazioni aritmetiche.

Fonti e bibliografia:

  • William Christopher Hayes, “L’Egitto dalla morte di Ammenemes III a Seqenenre II – Il Medio Oriente e l’Area Egea”, Cambridge University 1973 (Il Saggiatore, Milano 1975) 
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, 2003
  • Pascal Vernus e Jean Yoyotte, “Dizionario dei Faraoni”, Edizioni Arkeios, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997)
  • Kim Ryholt, “La situazione politica in Egitto durante il secondo periodo intermedio”, Istituto Carsten Niebuhr, Copenhagen: Museum Tusculanum Press, 1997
  • Kim Ryholt, “Un presunto re asiatico in Egitto con relazioni con Ebla”, Bollettino delle scuole americane di ricerca orientale 311, 1998
  • John Wilson, “Egitto – I Propilei”, Monaco di Baviera 1961 (Arnoldo Mondadori, Milano 1967)
  • Miguel J. Canora, Amigos de la Egiptologia, “Il papiro Boulaq 18”, Web, art. di giugno 2008
  • Amigos de la egiptologia, “Boletin informativo, anno VI, numero LIX, giugno 2008 Beatrice Lumpkin, “Mathematics used in egyptian construction e bokkeeping”, The mathematical intelligencer, 2002

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