C'era una volta l'Egitto, II Periodo Intermedio

DA IBI II A MERKARA

Di Piero Cargnino

Purtroppo tutte le fonti che trattano il Secondo Periodo Intermedio della storia egizia sono indissolubilmente legate al Canone Reale che è l’unica testimonianza del periodo. Come tutti saprete però il Papiro di Torino è in condizioni molto deteriorate con numerose parti mancanti, è già di per se un azzardo la sua interpretazione per cui le notizie che si riescono a ricavare sono per lo più oggetto di ipotesi, spesso discordanti, degli egittologi. Qualche ulteriore notizia emerge da sparuti reperti, che necessitano anch’essi di interpretazioni. Se escludiamo la Lista degli Antenati di Karnak, che in alcuni casi ci viene in aiuto, tutte le notizie relative al periodo vanno prese con le molle.

IBI II

Il cartiglio di Ibi II compare, incompleto, nella parte deteriorata del Canone Reale. Di lui non conosciamo nulla, neppure il nome esatto. Possiamo solo azzardare a dire che il suo regno, di cui non conosciamo la durata, dovrebbe essere stato limitato solo su parte dell’Alto Egitto in quanto il resto della Valle del Nilo era ormai sotto il controllo dei sovrani della XV dinastia Hyksos e dei loro tributari.

SEWAHENRE SENEBMIU

Il nome di Sewahenre Senebmiu viene identificato da alcuni con il cartiglio, anch’esso deteriorato, che compare alla riga 7 colonna 17 del Canone Reale dopo la registrazione di Sobekhotep VII. Il suo nome compare nella lista di Karnak nella posizione 49, purtroppo la lista di Karnak non riporta i sovrani in ordine cronologico rendendo quindi molto complicata la collocazione di quelli riportati. Di lui si conoscono pochi reperti rinvenuti a Deir el-Bahari ed a Gebelein nell’Alto Egitto. Secondo Darrel Baker e Daphna Ben Tor questo potrebbe essere un indizio che confermerebbe la perdita, da parte della XIII dinastia, del controllo di buona parte del sud del Medio Egitto. Su di un frammento di stele rinvenuta a Gebelein da G. W. Fraser nel 1893 (oggi al British Museum) si legge

“…..Il figlio di [Ra], del suo corpo, Senebmiu…..”.

Purtroppo quasi tutta la stele è mancante, probabilmente in origine raffigurava il re con la doppia corona che faceva un’offerta. Sulle rive occidentali del Nilo, a Qurna di fronte a Karnak, è stato ritrovato, in una tomba ormai perduta, un bastone con iscritto il prenomen del re seguito dalla scritta: “Sigillatore reale, sorvegliante degli abitanti delle paludi Senebni”. Dopo questo sovrano il Canone Reale presenta due righe del tutto illeggibili.

MERKHEPERRA

Troviamo il cartiglio di questo sovrano nella riga 7 colonna 22 del Canone Reale secondo Gardiner. A dimostrazione della confusione che regna nell’interpretazione del Canone basti dire che secondo Kim Ryholt, il prenomen di Merkheperra si troverebbe invece nella colonna 8 della riga 17. E’ tutto detto e nulla ci è pervenuto circa la durata del suo regno. Ma come abbiamo accennato, oltre al Canone ci sono pervenuti anche reperti scoperti qua e la per l’Egitto, un peso invetriato di scisto grigio con il suo cartiglio ed uno scarabeo con inciso il suo nome.

Anche qui dobbiamo però registrare delle contrapposizioni, Secondo Darrell Baker, Jurgen von Beckerath, Stephen Quirke ed altri sarebbe una prova dell’attribuzione dello scarabeo a Merkheperra. Di parere nettamente contrario è l’egittologo Kim Ryholt il quale obietta che la mancanza di attributi e insegne regali, oltre al fatto che, a suo parere, le caratteristiche stilistiche non sarebbero attribuibili ad altri sigilli della XIII dinastia non permetterebbero di attribuirlo a questo sovrano, secondo Ryholt si tratterebbe semplicemente della rappresentazione di Khepri che spinge il sole. Anche per quanto riguarda la cronologia esatta non c’è accordo, secondo Ryholt è stato il quarantasettesimo sovrano della dinastia, mentre Baker lo vede come il quarantaseiesimo e von Beckerath come il cinquantasettesimo.

Continuiamo a seguire i diversi sovrani della XIII dinastia anche se la ricerca si fa sempre più complessa. Non formalizzatevi sull’ordine con cui ve li presento, basti pensare che gli stessi egittologi dibattono sulla sequenza con cui citarli e non sono neppure d’accordo tra di loro. Io li riporto come riesco a trovarli citando, ove possibile, la sequenza che è stata loro assegnata dagli studiosi. Aggiungo inoltre che spesso sorgono dei dubbi sull’apparteneza alla XIII dinastia o ad altre poichè le dinastie del Secondo Periodo Intermedio spesso si accavallano o quantomeno sono contemporanee. Detto ciò, proseguiamo.

NEFERHOTEP II (MERSEKHEMRA)

Noto perché compare nel Canone Reale alla riga 7 colonna 6, come Mersekhemra Ined, “Amare è la regola di Ra, il misero”. Il termine “Ined” è sicuramente un epiteto il cui significato è appunto “misero” o “povero” pur se il senso ci è ignoto.

Neferhotep II, ci è noto soprattutto per due statue di ottima fattura artistica, conservate al Museo egizio del Cairo sulle quali è riportato il suo prenomen Mersekhemra associato al nomen Neferhotep.

A conferma che ormai il regno degli ultimi sovrani della XIII dinastia si estende sulle sole regioni intorno a Tebe, tutti i reperti trovati di questo sovrano provengono dall’Alto Egitto. Sono questi gli anni più bui per il glorioso regno delle Due Terre, i popoli di origine asiatica (Hyksos) sono in piena estensione del loro potere, che già detenevano nelle regioni del Basso Egitto, conquistano Menfi e governano direttamente, o attraverso effimeri sovrani loro tributari, quasi tutto l’Egitto, sono i sovrani della XV dinastia. 

SEWADJKARA HOR II

Per quanto riguarda questo sovrano alcuni storici propendono per ritenerlo contemporaneo di Neferhotep II, addirittura suo tributario regnante su una piccola parte dell’Alto Egitto. Il Canone Reale, che lo cita alla riga 7 colonna 7, gli attribuisce 5 anni di regno ma la maggior parte degli studiosi concorda con Alan Gardiner che gli assegna solo un anno di regno. Oltre che nel Canone Reale il suo prenomen compare su di un blocco rinvenuto a el-Tod, antica Djerty (divenuta Thuphium in epoca classica) che si trova a 20 km a sud di Luxor e faceva parte del IV Nomo dell’Alto Egitto. 

MERNEFERRA AY

Merneferra Ay è citato nel Canone Reale alla riga 7 colonna 3, nel quale gli si attribuisce un regno abbastanza lungo di 23 anni, 8 mesi e 23 giorni, periodo decisamente sproporzionato secondo alcuni studiosi che pensano ad un regno decisamente più breve, massimo una decina di anni.

Troviamo questo sovrano citato su di un frammento di architrave, su vari sigilli a cilindro rinvenuti nei pressi di Karnak e su di un pyramidion stranamente trovato nel delta del Nilo. Il ritrovamento in quella zona solleva molti interrogativi. Se il pyramidion trovato in quella zona corrisponde ad una piramide costruita da Merneferra Ay si potrebbe pensare che questo sovrano sia stato un vassallo dei re Hyksos della XVI dinastia di Avaris ed, in quanto a loro fedele, gli sia stato consentito di costruirsi una piramide in quella regione.

In effetti va detto che Gustave Jéquier, durante la sua campagna di scavi verso la fine degli anni 20 del novecento, quando scoprì la piramide di Khendjer a Saqqara sud, considerata ad oggi l’ultima piramide egizia, in realtà ne scoprì una seconda del tutto anonima risalente pressappoco alla stessa epoca e rimasta incompiuta, non sarebbe azzardato pensare che fosse proprio quella di Merneferra Ay. Questo ci porterebbe ad ipotizzare che questo sovrano abbia regnato su una regione più a nord dell’Alto Egitto, con capitale Ity Tawy, chiamata a volte Medio Egitto. Ma come si sa queste sono solo ipotesi. In alternativa si può presumere che il pyramidion, per qualche sconosciuta ragione, sia stato trasportato nella zona di Menfi.  

MERANKHRA MENTUHOTEP V

Decisamente sconosciuto e mancante da tutte le liste reali, il nome di questo sovrano forse compariva nella riga 7, nella parte mancante del Canone Reale. Conosciamo l’esistenza di questo sovrano solo grazie a due statuette mutile oggi conservate, una al British Nuseum (cat. EA 65429) l’altra al Museo Egizio del Cairo (Catalouge Général des Antiquités Egyptiennes du Musée du Caire Inv.-Nr. 42021) 

SOBEKHOTEP VII

Secondo il Canone Reale Sobekhotep VII avrebbe governato, come Sewadjkara Hor II, in contemporanea con Neferhotep II del quale sarebbe pure lui stato un suo tributario in una qualche regione dell’Alto Egitto. Ipotesi, ovviamente da prendere con le molle in quanto basate su elementi molto scarsi. Dopo di lui la lacuna del Canone investe almeno quattro nomi ed i successivi della colonna 7 sono di non facile lettura ed interpretazione. Per quanto riguarda la situazione dell’Egitto in questa fase è possibile delinearla con sufficiente sicurezza. Il Basso Egitto è completamente in mano degli Hyksos della XV dinastia che governano da Avaris sia direttamente che indirettamente tramite i loro vassalli della fine della XIV dinastia. A questo punto possiamo affermare, con una certa cautela, che anche gli ultimi sovrani della XIII dinastia ed i primi della XVII dinastia dell’Alto Egitto, i cui regni sono ormai frammentati, governino come tributari dei Grandi Hyksos. 

SEVADJRA MENTUHOTEP VI

Questo sovrano non compare in nessuna lista reale, unica notizia della sua esistenza ci proviene da una scritta trovata nel tempio funerario di Mentuhotep II che lo cita come: “swd r mnt in htp” (Sevadjra Montuhotep) “Montu è nella stanza”. Anche il suo nome probabilmente rientra nelle righe perdute della colonna 7 del Canone Reale.

MERSHEPSESRA

Anche in questo caso dobbiamo tralasciare il Canone Reale come tutte le altre liste reali perché questo sovrano non è inserito in alcuna di esse. Sappiamo di lui grazie al ritrovamento del tutto fortuito di una statua che lo rappresenta. Si, ma sapete dove? A Benevento, in Italia, dove l’imperatore romano Domiziano fece costruire un tempio in onore della dea Iside sul finire del I secolo d.C. La statua venne alla luce nel 1957 e con tutta probabilità doveva far parte degli arredi del tempio. La statua, dedicata ad Amon-Ra, in origine doveva trovarsi nel tempio di Amon a Karnak, oggi è esposta al Museo del Sannio in Italia. Sulla statua sono visibili i cartigli, simbolo di regalità,  con i nomi del sovrano. 

DJEDANKHARA MONTUEMSAF

 Altro sovrano di cui non ci è dato modo di conoscere nulla se non il suo nome che compare su alcuni scarabei e su di un blocco di pietra proveniente da Gebelein.

NEFERHOTEP III (SEKHEMRE SANKHTAWY IYKHERNOFRET)

Ambigua è la collocazione di questo sovrano, che non compare in alcuna lista reale ma potrebbe essere inserito nella parte mancante delle colonne 6 e 7 del Canone Reale. Il più volte citato Kim Ryholt lo colloca nella XVI dinastia al terzo o quarto posto. Poiché io non l’ho trovato in quella dinastia lo cito, come indicato da altri, nella XIII dinastia,  basti pensare che, in uno studio accurato, Jurgen von Bekerath, lo datò alla fine della XIII dinastia. Con tutti gli accavallamenti dei sovrani del Secondo Periodo Intermedio, la certezza è un’illusione.

Questo sovrano compare con la sua titolatura completa su di una stele, parecchio danneggiata, rinvenuta nel tempio di Kannak. Sulla stele viene rappresentato come un guerriero che lotta per la difesa della città di Tebe. Interessante notare che nella stele viene citata, per la prima volta, la corona azzurra (corona Khepresh) che simboleggia il comando del sovrano in guerra.

Si dice infatti che Neferhotep sia “Adornato con il Khepresh, l’immagine vivente di Ra, signore del terrore”. Nella stele Neferhotep III cita Tebe come “La mia città” lodandosi di essere “La guida della vittoriosa Tebe”.

Ryholt interpreta questa enfasi su Tebe come la dimostrazione che Neferhotep III abbia governato solo su Tebe. Neferhotep III sottolinea inoltre il suo ruolo di “Colui che nutre la sua città, salvandola dalla carestia”. Questo, ed il suo nome reale assunto Sekhemre Sankhtawy, che significa “La potenza di Ra, che nutre le Due Terre” starebbero ad indicare che in quel periodo l’Alto Egitto ebbe a soffrire di carestie che si protrassero fino alla fine della XVI dinastia. E’ comunque innegabile che Neferhotep III abbia sostenuto una guerra contro la XV dinastia Hyksos che avrebbe invaso il territorio, Neferhotep III nella sua stele afferma di essere: “Colui che innalza la sua città, essendo stato sprofondato per la lotta con gli stranieri”. Di difficile interpretazione è il fatto che nella stele il sovrano viene anche indicato con il nome di “Iykhernofret” iscritto in un cartiglio

Gran brutto periodo questo per l’Egitto, continua la carrellata dei sovrani effimeri che già il citarli è per loro un onore. La storia ci riporta, in un certo senso, all’Italia medievale dove i Comuni e le Signorie locali si creavano un loro dominio e su di esso esercitavano il potere. L’Egitto non era più quello delle Due Terre, lo stato non esisteva più, i più forti localmente si conquistavano un potere fittizio in un paese ormai in preda agli invasori asiatici.

MENUADJRA SAHATOR

Il nome di questo faraone lo troviamo alla riga 6, colonna 26 del Canone Reale che lo pone al  ventiduesimo posto nella XIII dinastia attribuendogli 3 anni di regno. Potrebbe essere stato un fratello di Neferhotep I (ma non v’è certezza). Il suo nome ricorre in parecchi elenchi di membri della famiglia reale ma in effetti non si conosce nulla di lui. Gli studiosi ipotizzano che il suo regno fosse esteso su tutto l’Egitto tranne che nel sesto distretto dove ormai da tempo regnava un sovrano della XIV dinastia insediato a Xois. Com’è anche da escludere che governasse la zona del Delta dove gli Hyksos avevano ormai consolidato il loro potere da Avaris.

Di Menuadjra Sahator sappiamo di alcuni rilievi rupestri sull’isola di Sahel e nello Uadi Hammamat. Troviamo anche il suo nome scritto su due statue del tempio di Hekaib ad Elefantina. Il glifo a forma di cerchietto con un punto all’interno che sta davanti al nome nel cartiglio si ritiene che sia stato posto dallo scriba che ha compilato il Canone per errore da imputare al fatto che la maggior parte dei prenomen iscritti in questa zona del papiro iniziano tutti con tale glifo.  

SANKHIBRA AMENEMHAT (VI)

Anche di questo faraone troviamo il nome alla riga 6, colonna 10 del Canone Reale ma questo lo troviamo pure nella Sala degli Antenati di Karnak nella posizione 37. Il nome Horo, utilizzato da Sankhibra “Sehertawy”, è lo stesso nome Horo di Antef I, fondatore della XI dinastia, infatti a volte compare come Ameny-Antef-Amenemhat.

Figlio di Antef, figlio di Ameny. Alcuni studiosi pensano che l’Antef citato col suo nome potrebbe riferirsi a Iufeni il cui nome su un sigillo è riportato anche come Antef. Di lui non si conosce altro, ne la durata del suo regno ne su quale parte dell’Egitto abbia governato.

SANKHPTAH

Questo sovrano è del tutto sconosciuto in quanto non compare in nessuna lista reale. Conosciamo il suo nome perché compare in un cartiglio su di una stele trovata tra le rovine del tempio funerario di Montuhotep II a Deir el-Bahari, la stele riporta il primo anno di regno di Sankhptah.

SEBEKAI

Anche il nome di Sebekai non è presente in alcuna lista reale. Il ritrovamento del suo nome su di una bacchetta d’avorio a forma di boomerang, ora al Museo Egizio del Cairo, crea più dubbi che certezze. Secondo l’egittologo Jurgen von Beckerath, il nome Sebekai potrebbe corrispondere ad una storpiatura del nome Sobekhotep, usato da numerosi sovani di questo periodo. Di altro parere e l’egittologo Stephen Quirke il quale pensa si possa trattare di Sedjefkara.   

SEMENKHKARA IMIRAMESHA

Questo sovrano lo troviamo nel Canone Reale alla riga 6, colonna 21 dove viene citato come il diciassettesimo sovrano della XIII dinastia. A questo faraone appartengono due statue colossali in sienite rinvenute da Flinders Petrie nel 1897 presso il Grande Tempio di Tanis.

Entrambe le statue, oltre al nome di Imiramesha, recano anche i cartigli di re successivi (Aaqenenre Apophis, Ramesse II). Una di esse venne usurpata tempo dopo da Ipepi e collocata a Menfi. Oggi sono conservate al Museo Egizio del Cairo (JE 37466-7).

Il nome “Imiramesha” si potrebbe anche leggere come “capo dell’esercito” e, col fatto che compaia fuori dal cartiglio reale, avvalorerebbe l’ipotesi che si sia trattato di un capo militare che, non si sa per quale ragione, sia giunto al trono. Non si conosce la durata del suo regno, si ipotizza da cinque a meno di dieci anni.

SESOSTRI IV SENEFERIBRA

Sesostri IV non compare nel Canone Reale ma nella Sala degli Antenati di Karnak. Da iscrizioni rinvenute a Tani, Nag el-Madamud ed Elefentina è stata trovata una sequenza di quattro sovrani a partire da Renseneb e finendo con Seneferibra. Sempre a Karnak, nel 1901 Georges Legrain ha trovato una statua colossale che rappresenta il sovrano in posizione stante.

Continuiamo a cercare di districarci in questo caos di sovrani effimeri e dinastie fittizie. Forse qualcuno di questi sovrani qualcosa ha fatto ma purtroppo poco o nulla è giunto fino a noi, sparute incisioni, occasionali reperti trovati qua e la in templi o tombe di sovrani ad essi posteriori che forse, il più delle volte, hanno loro stessi distrutto le poche vestigia di questo periodo per innalzare le loro testimonianze. La storia dovrebbe averci insegnato che chi viene dopo, il più delle volte è lui che la scrive.

SEKHEMRÊ-SUSERTAOUY SOBEKHOTEP VIII

Il nome di questo sovrano, come quello di altri, forse era compreso nella parte scomparsa delle colonne 6 e 7 del Canone Reale, compare però nella Sala degli Antenati di Karnak alla posizione 43. Unica testimonianza archeologica in cui leggiamo il suo nome è una stele che si trovava all’interno del terzo pilone del Tempio di Amon-Ra a Karnak in quanto fu utilizzata da Amenhotep III per riempire il pilone durante i lavori. La stele è datata il quarto anno del regno di Sekhemrê-Susertaouy Sobekhotep in un giorno epagomenale, in essa il faraone racconta il suo comportamento in occasione di una massiccia inondazione del Nilo che colpì un tempio, probabilmente quello di Karnak:

<<…….(Vita di) il figlio di Ra Sobekhotep, amato dal grande diluvio, ha dato la vita per sempre. Anno 4, quarto mese di Shemu, i giorni epagonali, sotto gli auspici della persona di questo dio, che vive per sempre. La sua persona andò nella sala di questo tempio per vedere il grande diluvio. La sua persona andò nella sala di questo tempio che era piena d’acqua. Poi la sua persona vi si è addentrata ……>>.

Secondo l’egittologo John Baines che studiò in dettaglio la stele, recandosi al tempio durante il diluvio, il re volle ricostruire la storia egizia della creazione imitando le azioni del creatore Amon-Ra che nella stele è associato strettamente al re il quale ordina alle acque di ritirarsi intorno al monte primordiale. Secondo Kim Ryholt e Darrel Baker questo sovrano potrebbe aver regnato per sedici anni ma non nella XIII dinastia bensì come terzo re della XVI dinastia poco dopo che i re della XV dinastia Hyksos assumessero il controllo dell’intero Delta e di Menfi facendo così crollare la XIII dinastia. Dagli studi precedenti di von Beckerath e Habachi, Sekhemrê-Susertaouy Sobekhotep era considerato nella XIII dinastia. Vi avevo avvisati che ci troviamo ad affrontare un periodo molto confuso dove tutto è incerto e lascia spazio alle più diverse teorie. 

MENKHAURE SNAAIB SWADJTAWY

Menkhaure Snaaib Swadjtawy lo conosciamo perché compare su di una stele di calcare dipinta “di qualità eccezionalmente rozza” trovata ad Abydos, ora al Museo Egizio del Cairo (CG 20517),  dove compare con i suoi nomen, prenomen e i nomi Horus con il capo ornato dalla corona azzurra, Khepresh mentre rende omaggio a Horo-Min. A conferma dell’incertezza che regna tra gli stessi egittologi Menkhaure Snaaib viene attribuito, a seconda dei casi, alla tarda XIII dinastia, oppure alla XVI dinastia o, se volete, alla dinastia di Abidos. Ryholt e Baker lo pongono nella dinastia di Abydos pur senza certezza, von Beckerath ritiene invece che appartenga alla fine della XIII dinastia. Questo perché di lui non esiste traccia in nessuna lista reale. 

USERMONTU

Usermontu, Chi era costui? La domanda se la pongono in molti che apprendono di questo sovrano solo perché il suo nome compare, iscritto in un cartiglio, sui frammenti di una stele rinvenuta nel tempio funerario di Mentuhotep II, oggi al British Museum. Anche se in assenza di ulteriori informazioni Usermontu viene attribuito alla XIII dinastia.

MERKARA

Per quanto riguarda il Canone Reale quello di Merkara è l’ultimo nome leggibile dei faraoni della XIII dinastia, si pensa che abbia regnato nella fase terminale della dinastia e limitatamente all’Alto Egitto. Secondo Kim Ryholt il Canone colloca questo sovrano nella colonna 8 della diciottesima riga, la durata del regno si perde in una lacuna del papiro, l’egittologo ritiene che Merkara fosse il quarantesimo faraone mentre per Baker e von Beckerath era il quarantasettesimo.

EPILOGO DELLA XIII DINASTIA

Come detto Merkara è l’ultimo nome leggibile dei faraoni della XIII dinastia nel Canone Reale. Oltre a quelli riportati nel Canone, come abbiamo visto, esistono altri sovrani i cui nomi sono stati rinvenuti su reperti archeologici pur non essendo direttamente inseribili nella sequenza riportata nel papiro. Probabilmente i nomi di questi sovrani si troveranno nelle parti illeggibili, o del tutto perse, della colonna 7 del Canone Reale. Molti di questi nomi sono stati inseriti dagli egittologi nella XIII dinastia e non nella XVII, che per l’Alto Egitto è la successiva, per ragioni stilistiche e stratigrafiche, pertanto in alcuni casi l’attribuzione può risultare incerta ed opinabile. Per darvi un’idea di quanto sia complesso lo studio di quest’ultima parte della dinastia pensate che, secondo Kim Ryholt, nel periodo 1663 – 1649 a.C. regnarono non meno di 17 sovrani la cui individuazione ed attribuzione risulta quanto mai complessa. Parecchi studiosi, tra cui Manfred Bietak e lo stesso Ryholt, sono del parere di attribuire questa instabilità al fatto che nella fase finale della XIII dinastia potrebbe essersi verificata una lunga carestia con il conseguente verificarsi di una epidemia di peste che interessò l’intera regione del Delta estendendosi poi alle altri parti del paese; questa sarebbe durata fino alla fine della dinastia (1650 a.C.). Ciò causò un generale indebolimento del paese che può spiegare, parzialmente, il rapido crollo di fronte all’emergente potere degli Hyksos.

Fonti e bibliografia:

  • Flinders Petrie, “Scarabs and Cylinders with Names: Illustrated by the Egyptian Collection in University College, London”, Jepson Press, 2013
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, Torino 2004
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, 2003
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Pascal Vernus e Jean Yoyotte, “Dizionario dei Faraoni”, Edizioni Arkeios, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997)
  • Kim Ryholt, “La situazione politica in Egitto durante il secondo periodo intermedio”, Istituto Carsten Niebuhr, Copenhagen: Museum Tusculanum Press, 1997
C'era una volta l'Egitto, II Periodo Intermedio

DA SEHETEPKARA ANTEF  IV A SOBEKHOTEP VI

Di Piero Cargnino

SEHETEPKARA ANTEF  IV

Sehetepkara Antef  IV (Colui che rende felice il Ka di Ra) forse diciassettesimo (?) sovrano della XIII dinastia secondo il Canone Reale. Di lui non si sa praticamente nulla nonostante siano state rintracciate testimonianze archeologiche, infatti compare anche nella lista reale di Karnak oltre che sul basamento di una statua rinvenuta a Medinet Madi, oggi al Museo del Cairo. Con un altro nome compare su un cilindro rinvenuto dall’egittologo Flinders Petrie nella forma che compare nella foto 3.  

……IB-SETH

Il Canone Reale, assai deteriorato in quel punto, di questo sovrano presenta solo una parte del nome, “…..Ib-Seth”. Dovrebbe trattarsi del diciottesimo (?) sovrano della XIII dinastia. Questo sovrano è citato solamente nel Canone Reale.

Alcuni egittologi ritengono che potrebbe trattarsi dello stesso Sehetepkara Antef  IV (di cui sopra) poiché sul basamento della statua citata, dopo il prenomen ed il nomen di Antef IV si trova scritto “……ib-ra Seth”.

Di un altro parere è Jurgen von Beckerat secondo il quale questo sovrano sarebbe da mettere in relazione con il nome “Aaqeni(u)” (il coraggioso animale) che si trova su una lista di sacerdoti di Menfi (fig. 5).

Secondo Beckerat il nome in origine andrebbe letto come “Seth è coraggioso” mutato in seguito alla caratterizzazione malvagia assunta dalla divinità. Interessante l’associazione del nome del dio Seth, venerato un tempo nel Basso Egitto, che tornerà in auge durante la dominazione Hyksos.

SETH SOBEKHOTEP III (SEKHEMRASEWADJTAWY)

Conosciuto tramite il Canone Reale che lo considera il ventesimo (?) sovrano della XIII dinastia. Gli studiosi pensano che questo sovrano, di cui disponiamo di diverse notizie, non provenisse dalla stirpe reale in quanto i nomi dei suoi genitori, che compaiono in numerose iscrizioni, Mentuhotep e Yauheyebu, sono privi di titolatura.

Sobekhotep III era un adoratore di Satet, dea protettrice delle acque del Nilo, è rappresentato in una stele (fig. 9), il foro nella stele è stato praticato molto tempo dopo quando questa è stata utilizzata come mola, oggi si trova al Brooklin Museum.

Sobekhotep compare inoltre su un monumento dell’isola di Sehel con il padre Mentuhotep. Si sa che ebbe due mogli, Senebhenas, conosciuta principalmente da una stele in pietra nello Wadi el-Hol dove compare con tutti i suoi titoli tra cui quelli di “Signora di tutte le terre”, “moglie del Re” e “unita alla corona bianca”; sta ritta in piedi dietro la regina-madre Jewhetibew.

Su di una stele proveniente  da Koptos, conservata al Museo del Louvre, sono rappresentate le due figlie, Dedetanqet e Iuhetibu Fendy, il nome di quest’ultima è scritto in un cartiglio, è la seconda volta nella storia egiziana che la figlia di un re riceve questo onore (fig. 11).

Il Canone Reale gli assegna solo quattro anni e due o quattro mesi di regno nonostante siano molte le testimonianze che farebbero pensare ad un regno più lungo. Iscrizioni sono state rinvenute nel tempio di Montu a Madu (odierna Nag el-Madamud) nel 5° distretto dell’Alto Egitto, una cappella si trova a El Kab mentre un altare con il suo nome è stato trovato a Sehel.

Sono stati rinvenuti anche numerosi sigilli a forma di scarabeo provenienti da un “ufficiale della tavola del sovrano” (Sobekhotep) generato “dall’ufficiale della tavola del sovrano” (Mentuhotep) probabilmente appartenuti allo stesso Sobekhotep III.

Pare che Sobekhotep III sia stato il precursore di un gruppo di sovrani della XIII dinastia dei quali esistono documenti storici. A testimoniarlo, oltre ai molti sigilli, si sono conservati molti monumenti privati databili a questo periodo. Si può ipotizzare che in quel periodo quasi tutto l’Egitto, ad eccezione del sesto distretto del Basso Egitto, fosse governato da questi re godendo quindi di un periodo di relativa tranquillità. Nel Papiro di Brooklyn è riportato un elenco di servi della corte, la cosa interessante è che tra questi compaiono 45 nomi di chiara provenienza asiatica, ciò proverebbe che in Egitto erano già presenti numerosi asiatici ancor prima dell’arrivo degli Hyksos. 

DEDUMOSE I (KHONSUEMUASET)

Dedumose I, anch’egli fu un sovrano effimero noto perché il suo nome compare su di una stele trovata a Edfu nel 1908 appartenente al “figlio del re” e comandante Khonsuemuaset, non è possibile però stabilire se il titolo figlio del re sia reale o solamente onorifico. Su altri reperti compare solo il suo nomen “Dedumose” che però risulta difficile stabilire se si riferisce a lui o ad un altro sovrano con lo stesso nomen Dedumose II; non è neppure facile sapere chi dei due sia l’ultimo sovrano parzialmente leggibile tra quelli elencati dal Canone Reale nella colonna 7.

Dedumose I regnò comunque solo sull’Alto Egitto da Tebe e non si sa se in contemporanea con altri sovrano locali forse tributari degli Hyksos. Secondo alcuni egittologi questo sovrano potrebbe essere il “Tutimaios” al quale Manetone, nella versione riportata da Giuseppe Flavio nel suo “Contro Apione”, attribuisce la caduta del regno nelle mani degli Hyksos. Racconta Manetone:

<<…….Tutimaios. Durante il suo regno, per cause a me ignote, l’ira del Signore si abbatté su di noi; e all’improvviso dalle regioni dell’Oriente un’oscura razza d’invasori si mise in marcia contro il nostro paese sicura della vittoria. Con la sola forza numerica e senza colpo ferire s’impradronirono facilmente delle nostre terre; e avendo sopraffatto i reggitori del paese, bruciarono spietatamente le nostre città, rasero al suolo i templi degli dèi e rivolsero la loro crudeltà contro gli abitanti, massacrandone alcuni, riducendo in schiavitù le mogli ed i figli degli altri. Finalmente elessero re uno dei loro di nome Salitis. Egli pose la sua capitale a Menfi esigendo tributi dell’Alto e Basso Egitto e sempre lasciando dietro di sé guarnigioni nei posti più favorevoli…….>>.

Non è chiara la posizione di questo faraone nella sequenza dei sovrani della XIII dinastia, dapprima si ritenne che avesse regnato sul finire della dinastia ma di recente alcuni pensano che potrebbe aver regnato nella XVI dinastia, questo accade per la confusione tra Dedumose I e Dedumose II inquadrato sicuramente nella XVI dinastia.   

NEFERHOTEP I (KHASEKHEMRE)

Khasekhemre Neferhotep è un sovrano della XIII dinastia originario di una famiglia di Tebe non nobile, proveniente dall’esercito. Gli egittologi Ryholt e Baker sono del parere che abbia usurpato il trono al suo predecessore Sobekhotep III. Secondo i due egittologi Neferhotep sarebbe il ventiseiesimo (o ventisettesimo) faraone della XIII dinastia, di parere contrario sono Franke e von Beckerath i quali lo ritengono il ventiduesimo.

Neferhotep compare nella colonna 7 alla venticinquesima fila nel Canone Reale di Torino che gli assegna un regno di 11 anni e nella trentaquattresima posizione nella lista dei re di Karnak. Pare che si possa definire uno dei migliori sovrani della XIII Dinastia. Secondo alcuni sarebbe contemporaneo del re Zimri-Lim di Mari e di Hammurabi di Babilonia.

Conosciuto principalmente per una stele da Abydos che lo rappresenta in forma osiriaca e viene definito come “istruito dagli dei all’inizio di tempo”. Neferhotep ebbe due figli, Haankhef e Kemi, dalla sua sposa  Senebsen ed un terzo, Wahneferhotep ma nulla si sa della madre. Nonostante ciò nominò il fratello Sihathor come coreggente che gli succederà al trono ed alla morte di entrambi sarà un altro loro fratello a regnare, Sobekhotep IV.

Neferhotep è conosciuto per un gran numero di reperti ritrovati un po ovunque, a partire dal nord da Biblos e poi fino alle fortezze di Buhen e Maigissa oltre alla Nubia a sud dell’Alto Egitto. Nel Basso Egitto è conosciuto per uno scarabeo proveniente da el-Yahudiya. Il suo nome compare inoltre su più di 60 sigilli a forma di scarabei, 2 sigilli cilindrici, su di una statua da Elefantina. Sulle rocce dello Wadi el Shatt el Rigal, sull’isola di Sehel, a Konosso ed a Philae numerose iscrizioni riportano anche i nomi dei membri della sua famiglia e di due suoi servitori, il “conoscente reale Nebankh” ed il “tesoriere Senebi”.

Al Museo Archeologico di Bologna è conservata una stupenda statuetta in microgabro o dolerite di Neferhotep. Il faraone è seduto su un seggio cubico dallo schienale appena accennato, tiene le mani appoggiate alle cosce e le gambe leggermente divaricate. Il gonnellino plissettato di tipo arcaico (shendit) e il copricapo in tessuto di lino (nemes), con l’ureo sulla fronte, permettono di identificarlo quale sovrano d’Egitto, così come i cartigli con i primi due nomi della sua titolatura incisi sul trono, ai lati delle gambe. Le iscrizioni che confermano che il sovrano è: “Il dio buono, il Signore delle Due Terre, Neferhotep, amato di Sobek di Shedet, Horo che risiede in Shedet” portano a credere che questa provenga dal tempio del dio coccodrillo Sobek di Shedet, l’attuale Medinet el Fayyum.

Nel giugno del 2005 è stata ritrovata a Karnak nel tempio di Amon una statua raffigurante Neferhotep. Si pensa che Neferhotep abbia regnato su gran parte dell’Egitto ad eccezione del sesto distretto del Basso Egitto dove probabilmente regnava a Xois un re della XIV dinastia. Fuori dalla sua giurisdizione doveva trovarsi anche la regione di Avaris occupata da popoli di origine asiatica che a breve avrebbero costituito la XV dinastia Hyksos. Non si conoscono le circostanze in cui morì Neferhotep e ufficialmente la sua tomba non è ancora stata individuata con certezza pur nella convinzione che si trovi ad Abydos.

L’egittologo Josef W. Wegner, dell’Università della Pennsylvania, dal 2013 sta scavando la necropoli reale, ai piedi di una collina naturale nota agli antichi egizi come la montagna di Anubi, accanto al complesso di Sesostris III della XII dinastia. Gli scavi hanno fatto emergere due grandi tombe, forse piramidi della XIII dinastia, ed oltre otto tombe reali, appartenute probabilmente alla dinastia di Abydos; una di queste, la S10 si ritiene sia appartenuta a Khaneferre Sobekhotep fratello di Khâsekhemrê Neferhotep, Wegner ha suggerito che la vicina grande tomba anonima S9 potrebbe essere appartenuta a quest’ultimo.

SIHATHOR

Dopo undici anni di regno Neferhotep lasciò la Valle del Nilo per salire alla duat, il Canone Reale riporta quale suo successore il fratello Sihathor. E’ probabile però che quest’ultimo sia stato solo coreggente per pochi mesi di Neferhotep, di lui mancano totalmente ogni tipo di notizia, è probabile che sia deceduto prima del fratello. Sull’isola di Sehel compaiono due iscrizioni che mostrando Neferhotep I, Sihathor e Sobekhotep IV, secondo alcuni potrebbe significare che i tre fratelli abbiano regnato insieme per un breve periodo anche se in entrambe le liste Sihathor sia dichiarato morto. 

SOBEKHOTEP IV

Il vero successore di Neferhotep I fu il di lui fratello minore Sobekhotep IV che pare abbia regnato almeno per otto anni, questo è il suo più alto anno di regno che compare su di una stele rinvenuta ad Edfu. Il suo sesto anno di regno è attestato dalle iscrizioni trovate su quattro stele a Wadi el-Hudi, nell’Egitto più meridionale,  che parlano di una spedizione alle miniere di ametista ordinata da  Sobekhotep IV.

Una prova della successione verrebbe da un’iscrizione nello Wadi Hammamat dove compaiono insieme i cartigli di Neferhotep I e Sobekhotep IV vicino l’uno all’altro. Secondo alcuni questa sarebbe una prova che ci fu una coreggenza tra i due, secondo altri, compreso Ryholt, l’iscrizione sarebbe solo opera di Sobekhotep IV che avrebbe così voluto onorare il suo fratello deceduto. Il suo nome compare anche nelle cave dello Uadi el-Hudi e dello Uadi Hammamat, da ciò si potrebbe dedurre che il sovrano abbia intrapreso una notevole attività edilizia. Lo stesso Sobekhotep IV, su di una stele oggi conservata al Museo Egizio del Cairo (cat. JE 51911), dopo aver ricordato la sua provenienza, Tebe, presenta un elenco dei restauri e degli abbellimenti a vari templi da lui fatti eseguire a Tebe e nella capitale Ity Tawy.

Si nota che nelle tombe private, risalenti al suo regno, molte riportano altisonanti titoli militari, questo starebbe a dimostrare che Sobekhotep IV prestava un’attenzione particolare al suo esercito vista l’aumentata pressione esercitata dagli Hyksos stanziati nel Delta del Nilo. Una conferma dell’instabilità ai confini con i territori governati dagli Hyksos parrebbe venire dal fatto che, alla morte del sovrano (1720 a.C.), il primo re della XVI dinastia assunse i titoli regali.

Secondo gli egittologi Moeller, Marouard e Ayers la XV dinastia (Hyksos) era già in esistenza entro la metà del periodo della XIII dinastia poiché Khyan controllava una parte dell’Egitto settentrionale nello stesso momento in cui Sobekhotep IV governava il resto dell’Egitto come faraone della XIII dinastia. Indipendentemente da quale teoria sia vera, la XIV dinastia o la XV dinastia controllavano già il Delta al tempo di Sobekhotep IV.

Per quanto riguarda i regnanti della XVI dinastia alcuni li ritengono vassalli degli invasori al punto da chiamarli “Piccoli Hyksos” in contrapposizione agli occupanti asiatici della  XV dinastia chiamati “Grandi Hyksos”. Manetone afferma:

<< La XVI dinastia furono ancora Re–pastori [cioè hyksos], 32 di numero: essi regnarono per 518 anni >> (Manetone, Aegyptiaca, Fr. 45).

Josef W. Wegner dell’Università della Pennsylvania rinvenne ad Abydos un’enorme tomba che nominava un faraone Sobekhotep, in un primo momento questa venne attribuita al faraone Sekhemre Khutawy Sobekhotep I, ma, ad un più attento esame dello stile della sepoltura si optò per assegnarla al faraone Sobekhotep IV. All’interno della tomba era contenuto un enorme sarcofago di granito rosa del peso di circa 60 tonnellate, secondo il Ministro delle Antichità egiziano, Mohamed Ibrahim, il proprietario sarebbe identificato con il faraone Sobekhotep IV.

KHAIBAU

A questo punto non abbiamo neppure l’ausilio del Canone Reale che al termine linea 6.6 riporta la dizione, in inchiostro rosso, “6 anni vuoti”, a colmare questa lacuna si potrebbe pensare di inserire il sovrano Khaibau. Il nome di questo sovrano lo troviamo attestato da numerosi reperti archeologici come il Nilometro di Semnae oltre che su reperti provenienti da Bubasti e da Kerma. Nessun’altra notizia ci è nota.

(KHAHOTEPRA)

Sto trattando un periodo un po torbido della straordinaria storia egizia, un periodo dove l’antico Egitto pare perdersi in rivoli di governatori indipendenti a causa della caduta del potere centrale. Le ragioni di questa caduta sono praticamente ignote anche se imputabili al potere in mano ad effimeri personaggi che mi spiace definire faraoni. Ma l’Antico Egitto è pieno di risorse, i grandi faraoni torneranno più grandi e potenti di prima. Per il momento non ci resta che seguire le vicissitudini di questo infausto periodo per l’Egitto.

SEKHEMRA NEFERKAU (UPUAUTEMSAF)

Questo sovrano, che non compare in alcuna lista reale, ci è noto solo attraverso il ritrovamento di una stele proveniente da Abydos ora conservata al British Museum e da un graffito rinvenuto nella tomba privata del principe Amenhemat a Beni Hasan dove compare col nome di “Sekhemreneferkhau”. Secondo alcuni si riferirebbe a Upuautemsaf della dinastia di Abydos o della tarda XVI dinastia. Il nome di questo sovrano si troverebbe forse nelle colonne 6 e 7 delle righe perse del Canone Reale.   

SOBEKHOTEP V  MERHOTEPRE (KHAIHOTEPRA)

Sobekhotep V, forse figlio di Sobekhotep IV compare nel Canone Reale nella posizione 7.1 come Khaihotepra e nella posizione 46 nella lista della Sala degli Antenati di Karnak. Il suo nome è inoltre riportato sul basamento di una statua che si trova nel Museo Egizio di Berlino, su di una stele trovata nello Wady Hammamat e in una incisione rinvenuta sull’isola di Sehel. Alcuni suppongono che si tratti del faraone il cui regno coincida col definitivo strappo con Avaris dove le genti asiatiche e semite erano ormai in grado di dare vita ad uno, o più regni, che in seguito verranno identificati come “Piccoli Hyksos” della XVI dinastia.

WAHIBRA IAIB

Nel Canone Reale Wahibra Iaib lo troviamo nella posizione 7.2 con un regno discretamente lungo, 10 anni, 8 mesi, 28 giorni, una precisione da lasciare perplessi in questo periodo caratterizzato da regni per la maggior parte brevi. Oltre che nel Canone Reale troviamo il nome di Wahibra Iaib su di una stele proveniente da Tebe, oggi al British Museum (reg. n. 1348), sul coperchio di un vaso da El-Lahum e su alcuni scarabei uno dei quali sembrerebbe provenire da Biblos. Conosciamo il nome della sua sposa principale la regina Wahibra che secondo alcuni potrebbe essere Khaesnebu.

SANKHENRE SEWADJTU

Questo sovrano è conosciuto solo dal Canone Reale di Torino nella colonna 7 5, potrebbe essere il  trentaquattresimo faraone della XIII dinastia ma non è certo, oltre che nel Canone Reale, secondo Kim Ryholt, potrebbe corrispondere al Seuadjetra, citato nella Sala degli Antenati a Karnak, dove però la mancanza di ordine cronologico nella lista rende difficile l’identificazione corretta dei sovrani. Sappiamo che regnò a Memphis per un periodo di 3 anni e 2 o 4 mesi su una piccola porzione dell’Egitto forse in contemporanea ad altri dinasti appartenenti alle dinastie XIV e XVI. A riprova dell’incertezza che regna tra gli egittologi riguardo questo sovrano sta il fatto che secondo Darell Baker, Sankhenre Sewadjtu sarebbe il trentaquattresimo della dinastia, secondo Kim Ryholt sarebbe il trentacinquesimo mentre per Jurgen von Beckerath è il ventinovesimo.

SOBEKHOTEP VI  (KHAHOTEPRA)

Difficile è l’identificazione di questo sovrano in quanto sono stati rinvenuti documenti che lo collegano al prenomen Merhotepra, il fatto però è che allo stesso prenomen sono collegati due diversi nomen, Sobekhotep (VI) e Inay (o Ini). Dallo  stile degli scarabei trovati e dal fatto che il Canone Reale non cita due sovrani con il prenomen “Merhotepra”, Molti studiosi sono concordi nel ritenere che si tratti dello stesso sovrano. Kim Ryholt ritiene invece che Sobekhotep VI andrebbe collocato dopo Sobekhotep IV, questo perché nel Canone manca una riga dopo il nome del IV,  mentre Merhotepra Inav sarebbe successo a Menerferra Ay. Il Merhotepra citato nel Canone Reale dovrebbe aver regnato 4 anni, 8 mesi e 29 giorni.

Il nome Merhotepra significa “Colui che è in pace con lei e la ama”, probabilmente riferito alla sua sposa, la regina Khaenoub o Nubhotepti, mentre Sobekhotep significa “Sobek è felice”. Tra i pochi oggetti attribuibili a  Sobekhotep VI ci sono un sigillo scarabeo proveniente da Abydos ed uno scarabeo recante il prenome Khahotepra che è stato rinvenuto in una tomba a Gerico, questo porterebbe a credere che al tempo di questo sovrano esistessero dei rapporti con il Medio Oriente. Su di una bellissima statua in granodiorite, conservata al Museo del Cairo, è riportato il cartiglio “Sobekhotep”, su questa però esistono dubbi se debba essere attribuita a Sobekhotep VI o Sobekhotep V. La stessa cosa per una statuetta che lo rappresenta inginocchiato trovata forse a Kerma la quale è ugualmente di difficile attribuzione ad uno dei due sovrani

Fonti e bibliografia:

  • Flinders Petrie, “Scarabs and Cylinders with Names: Illustrated by the Egyptian Collection in University College, London”, Jepson Press, 2013
  • Sergio Donadoni, “La religione egiziana”, in “Storia delle religioni. Le religioni antiche”, Laterza, Roma-Bari 1997
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, Torino 2004
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, 2003
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Pascal Vernus e Jean Yoyotte, “Dizionario dei Faraoni”, Edizioni Arkeios, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997)
  • Kim Ryholt, “La situazione politica in Egitto durante il secondo periodo intermedio”, Istituto Carsten Niebuhr, Copenhagen: Museum Tusculanum Press, 1997
  • Miguel J. Canora, Amigos de la Egiptologia, “Il papiro Boulaq 18”, Web, art. di giugno 2008 Amigos de la egiptologia, “Boletin informativo, anno VI, numero LIX, giugno 2008
C'era una volta l'Egitto, II Periodo Intermedio

KHENDJER (DJEDEKHEPERU USERKARA) E L’ULTIMA PIRAMIDE

Di Piero Cargnino

Quella del faraone Djoser fu la prima piramide egizia ad essere costruita, quella di Khendjer, alle conoscenze attuali, è l’ultima.

Khendjer, (Djedekheperu, Userkara “il Ka di Ra è forte”), viene citato nel Canone Reale di Torino come il sedicesimo (!) faraone della XIII dinastia. L’esistenza di questo faraone è confermata anche dal fatto che il suo nome compare sul Papiro di Brooklyn e sul Papiro Bulak-18. Già dal suo nome possiamo notare il profondo cambiamento avvenuto nel corso della XIII dinastia in confronto alle epoche precedenti. Mentre prima i nomi dei faraoni erano altisonanti e nella maggior parte dei casi contenevano il riferimento ad uno o più dei, il nome di questo faraone parrebbe contenere una radice semitica che significa “cinghiale”.

Inizialmente alcuni lo identificarono come un sovrano Hyksos, ovvero il Salitis citato da Manetone. L’ipotesi decadde dopo la scoperta della sua tomba dove viene riportata la titolatura completa. Tutto lascia comunque supporre che costui non fosse originario dell’Egitto ma con ogni probabilità era un comandante delle truppe mercenarie asiatiche che servivano i governanti egizi. A riprova di ciò nel Papiro di Brooklyn, risalente alla XIII dinastia, che consiste in una lunga lista di nomi di servitori di corte, su 79 nomi 45 sono tipicamente asiatici e con essi vengono citati anche gli Hapiru, nomadi palestinesi che incontreremo più avanti.

Questo fatto conferma che, prima del periodo Hyksos, erano già numerosi i palestinesi presenti in Egitto.

Quel poco che si conosce di Khendjer è che, pur mantenendo la capitale ufficiale a Ity Tawy, risiedette prevalentemente a Tebe. Non sappiamo quanto tempo abbia regnato, il Canone Reale di Torino è privo della parte riferita alla durata del suo regno, su un blocco del suo complesso funerario si legge un quinto anno.

Fu Jéquier, durante i suoi scavi negli anni 20-30, a scoprire la sua piramide a Saqqara a sud-est della Mastabat el-Faraun. La piramide si trovava racchiusa tra due cerchia di mura, quella esterna in blocchi di calcare mentre quella interna in mattoni di fango a secco. In origine doveva misurare circa 37 metri di altezza e possedere un rivestimento in calcare, depredato in seguito per essere reimpiegato in altre costruzioni.

Oggi i miseri resti non superano il metro di altezza sulla sabbia a causa del collasso del nucleo in mattoni, a questo ha pure contribuito il Jéquier i cui metodi di scavo erano decisamente invasivi. L’accesso alla piramide avveniva attraverso un corridoio che partiva dalla parete occidentale vicino all’angolo sud-ovest e formato per una parte da una rampa discendente con al centro una scalinata che si insinuava fino al centro della piramide dove era collocata la camera funeraria.

Costruita sullo stesso schema delle ultime piramidi della XII dinastia, la camera funeraria era costituita da un enorme monolite in quarzite calato dall’alto in una fossa già predisposta in precedenza. Il coperchio, che formava il soffitto della camera, era formato da due pesanti lastroni di quarzite che, una volta fatti calare sul monolite inferiore, sigillavano completamente la camera. Nella parte superiore vennero sistemati dei massicci blocchi di calcare a doppio spiovente per scaricare il peso della sovrastruttura, anche questi sormontati poi da una volta in mattoni.

Dagli scavi eseguiti sul fianco della piramide venne ritrovato un pyramidion in pezzi che riportava su una faccia un cartiglio col nome Userkara, sicuramente uno dei due praenomen di Khendjer; il pyramidion ricomposto è oggi custodito al Museo Egizio del Cairo.

Sul lato nord-est si trova la piramide secondaria, la parte sottostante è formata da due ipogei sempre monolitici ma più piccoli di quello di Khendjer. Probabilmente in origine erano destinati alla sepoltura delle spose reali del faraone, gli studiosi però ritengono che non furono mai usate.

Nella zona a sud-est della piramide di Khendjer, Jéquier scoprì un’altra piramide completamente anonima e di datazione incerta. Con ogni probabilità la sovrastruttura non fu mai portata a termine ma con immensa sorpresa l’egittologo scoprì che la struttura ipogea era stata ultimata, non solo, ma dalle fattezze si può classificarla come una delle più belle di tutto il Medio Regno. Gli ambienti si presentano rivestiti in calcare bianco con brevi strisce di colore nero che si alternano. L’entrata era situata sulla parete orientale, da qui partiva una rampa scalinata che terminava in un lungo corridoio provvisto di tre barriere,  che conduceva in un’anticamera. Da questa si accedeva a due camere funerarie, ad ovest quella più grande del re, a nord quella più piccola della regina. La camera del re si presentava come per le precedenti piramidi formata da un enorme monolite di quarzite con l’incavatura per il sarcofago ed i canopi. La copertura della camera era formata da tre lastroni di quarzite due dei quali erano calati in posizione mentre il terzo era ancora sollevato e poggiato su due montanti. Da ciò si può dedurre che nessuno fu mai sepolto in quella piramide.

Vennero inoltre ritrovati due pyramidion in granito nero mai ultimati. Come detto all’inizio, allo stato attuale non si ha notizia di altre piramidi anche se scavi sono tutt’ora in corso e non è detto che non si possa giungere a nuove scoperte, anche perché altre tombe, stando a documenti di epoca successiva, vengono citate come piramidi.

Il papiro Abbot, che contiene il resoconto di un’ispezione riguardante il saccheggio di tombe, cita che ne furono controllate dieci relative ad un periodo che va dal Medio Regno, Secondo Periodo Intermedio e inizio del Nuovo Regno. Altra citazione simile la troviamo nel Papiro Leopoldo II e nel Papiro di Amherst VII, in questi papiri le tombe ispezionate sono citate tutte come piramidi. In realtà altre piramidi esistono e sono quelle nubiane ma questo è un altro discorso.

Per concludere non posso non citare la preoccupazione espressa nel suo libro da Miroslav Verner:

<<……..gli egittologi oggi sono preoccupati del destino delle piramidi……..nonostante gli enormi mezzi finanziari messi in campo dall’Egitto per la loro salvaguardia………preoccupazioni vengono espresse da ogni parte, in base al ritmo delle erosioni degli ultimi decenni………le piramidi potrebbero subire gravissimi danni, anche irreparabili nel giro di due o trecento anni……..l’uomo le ha create, speriamo non sia lui a distruggerle. >>.

Per meglio capire possiamo citare un antico proverbio arabo, che recita: “L’uomo ha paura del tempo, ma il tempo ha paura delle piramidi”. Speriamo che il tempo continui ad avere paura.

Fonti e bibliografia:

  • William Christopher Hayes, “L’Egitto dalla morte di Ammenemes III a Seqenenre II – Il Medio Oriente e l’Area Egea”, Cambridge University 1973 (Il Saggiatore, Milano 1975) 
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, 2003
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Pascal Vernus e Jean Yoyotte, “Dizionario dei Faraoni”, Edizioni Arkeios, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997)
  • Kim Ryholt, “La situazione politica in Egitto durante il secondo periodo intermedio”, Istituto Carsten Niebuhr, Copenhagen: Museum Tusculanum Press, 1997
  • Kim Ryholt, “Un presunto re asiatico in Egitto con relazioni con Ebla”, Bollettino delle scuole americane di ricerca orientale 311, 1998
  • John Wilson, “Egitto – I Propilei”, Monaco di Baviera 1961 (Arnoldo Mondadori, Milano 1967)
  • Miguel J. Canora, Amigos de la Egiptologia, “Il papiro Boulaq 18”, Web, art. di giugno 2008
  • Amigos de la egiptologia, “Boletin informativo, anno VI, numero LIX, giugno 2008
  • Beatrice Lumpkin, “Mathematics used in egyptian construction e bokkeeping”, The mathematical intelligencer, 2002) Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi”, Newton & Compton editori, 2002
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SOBEKHOTEP II (SEKHEMRE KHUTAWY) E IL PAPIRO BULAQ 18

Di Piero Cargnino

SOBEKHOTEP II

Durante una campagna di scavi a sud di Abydo del 2013, condotta da un team di archeologi dell’Università della Pensylvania, con archeologi egizi, guidati dal prof. Josef W. Wegner, vennero ritrovate diverse tombe reali risalenti al Secondo Periodo Intermedio, (1650-1550 a.C.). Tra queste venne rinvenuta quella di Sobekhotep II (Sekhemre Khutawy Sobekhotep Amenemhat) sedicesimo (!) faraone della XIII dinastia (dal Canone Reale di Torino).

Sovrano conosciuto da numerosi reperti e citato in alcuni papiri (tra i quali il Papiro Bulaq 18 di cui parleremo più sotto), oltre ad alcuni scarabei che riportano il nome di una sposa reale e fanno ritenere che Sobekhotep II fosse il figlio del suo predecessore.

Di lui abbondano i ritrovamenti tanto da indurci a pensare che il suo regno sia stato discretamente lungo nonostante le testimonianze archeologiche non superino il suo settimo anno di regno. Un regno che pare dimostrare una certa tranquillità senza grandi sconvolgimenti tanto da permettergli di edificare templi ed altri monumenti, uno di questi è il monumento al dio Montu a Medamud.

Del periodo in cui ha regnato, per il secondo, terzo e quarto anno, sono state scoperte le registrazioni del livello di piena del Nilo. Il team dell’Università della Pensylvania, che ha curato gli scavi, suggerisce che la tomba avrebbe dovuto essere sovrastata da una piramide come quella di Ameny Qemau; in quella che sarebbe stata la sottostruttura è stato rinvenuto un sarcofago di quarzite di circa 60 tonnellate. In un primo momento si era completamente allo scuro di chi fosse il sovrano ivi sepolto finché nel 2014 emersero frammenti che riportavano il suo nome, Sobekhotep e un fregio dove il sovrano compariva assiso sul trono. In un suo disegno l’egittologo Percy Newberry rappresenta un sigillo del faraone Sekhemre Khutawy Sobekhotep Amenemhat sul quale è riportato: “Il figlio di Ra, Sobekhotep Amenemhat, amato da Sobek-Ra, Signore di iu-mete”.

IL PAPIRO BULAQ 18

Il Papiro Bulaq 18 è un rendiconto di spese, vi chiederete quale importanza rivesta un “estratto conto” di quattromila anni fa.

Analizzato dagli esperti pare che il sistema contabile utilizzato ci dimostri che gli egizi conoscevano già il numero zero pur utilizzandolo in modo diverso da come lo si utilizza oggi. Stiamo parlando di un numero che significa “niente” o nullo, ma la sua utilità è insostituibile. Non lo conoscevano i greci, i romani e le altre civiltà classiche, pare che ad inventarlo sia stato un matematico indiano tale Aryabatta soltanto nel 610 d.C. (secondo altri fu sempre un matematico indiano Brahmagupta intorno al 670 d.C.).

Lo zero ha reso più facili i calcoli, sia quelli semplici che quelli più complessi, indispensabile nel “sistema posizionale” in base dieci. Venne introdotto nella  numerazione araba da Al-Khuwarizmi nell’VIII secolo d.C. ma in occidente giunse solo nel 1202 usato per la prima volta dal matematico pisano Leonardo Fibonacci.

In realtà la cosa è vera solo in parte, come simbolo di “niente” era già conosciuto nell’antichità. Ne facevano uso i Sumeri già intorno al 3000 a.C. che lo rappresentavano con due incavi inclinati per indicare l’assenza di un numero.

Ma non crederete mica che gli antichi egizi, che inventarono di tutto, non lo conoscessero? L’uso di un simbolo simile era utilizzato spesso anche dagli Egizi per indicare nessun numero, in modo particolare in architettura dove con tale simbolo veniva indicato il livello terra. Esistono testimonianze che ad usarlo erano pure gli scribi contabili per quadrare i loro conti.

Questo lo apprendiamo dalla lettura del citato papiro “Bulaq 18”, conservato al Museo del Cairo con codice CG 58069, consistente in due frammenti scritti in ieratico, ritrovati da Auguste Mariette a Dra Abu el-Naga nel 1860.

Il papiro viene fatto risalire ad un periodo tra il terzo ed il quarto anno di regno del faraone Sekhemra-Khutawy (Sobekhotep II) di cui sopra. La tomba scoperta da Mariette corrisponderebbe ad una tomba privata dove in un manoscritto viene citato il nome del presunto possessore della tomba: lo scriba Neferhotep. Il manoscritto riporta i conteggi effettuati per contabilizzare le spese sostenute dal faraone durante un viaggio a Tebe. Il viaggio consisteva in una visita con tutta la corte per presenziare l’inizio o il termine dei lavori di costruzione di un monumento al dio Montu a Medamud. Nel manoscritto vengono menzionate due feste che si sono tenute a Medamud, quella in onore del dio Montu ed una consistente in una processione dove la statua di Montu venne portata da Medamud al palazzo reale ove rimase per tre giorni. L’autore del papiro era incaricato di tenere il saldo contabile aggiornato del bilancio del tribunale. Per fare questo annotò le spese e le entrate giornaliere, fece un saldo delle somme a fine giornata sommandole ai saldi precedenti e riportando il tutto al giorno successivo.

Come detto il papiro si compone di due frammenti. Il frammento più grande è riferito al terzo anno di regno di Sobekhotep e narra del viaggio a Medamud. In esso viene riportata, sul dritto, la contabilità reale riferita alla settimana dal 26 del secondo mese al 4 del terzo mese dell’estate. Sul retro sono riportati tre giorni (dal 16 al 18) del secondo mese. Quello più piccolo si riferisce al quinto anno di regno. Non tutti gli studiosi concordano sul fatto che i due frammenti siano stati scritti dallo stesso scriba ne che entrambi si riferiscano allo stesso regno. Per quanto riguarda il periodo i più concordano sul fatto che si tratti sempre del regno di Sobekhotep II perché entrambe i manoscritti sono stati ritrovati insieme ed entrambi citano il visir Ankhu. Il fatto, non poi così insolito, che un papiro del genere seguisse il suo autore nella tomba si può giustificare con l’intenzione dello scriba di assicurarsi una testimonianza che dimostrasse la sua esperienza maturata come scriba nell’aldilà.

Dalla lettura del testo alcuni studiosi ritengono che in esso sia contenuta una interessante innovazione aritmetica, l’uso di un simbolo per identificare lo zero. Secondo Beatrice Lumpkin nel papiro viene utilizzato il simbolo ieratico “nfr” per rappresentare lo zero.

Va detto che già in precedenza Faulkner, ed in modo leggermente diverso Allen, notarono che il termine “nfr” era stato usato in alcune costruzioni architettoniche facendo riferimento al livello terra. Questo induce a pensare che con “nfr” si volesse rappresentare appunto il livello zero. Nei suoi conteggi lo scriba Neferhotep usa lo stesso segno “nfr” per indicare “zero resto” nelle sue operazioni aritmetiche.

Fonti e bibliografia:

  • William Christopher Hayes, “L’Egitto dalla morte di Ammenemes III a Seqenenre II – Il Medio Oriente e l’Area Egea”, Cambridge University 1973 (Il Saggiatore, Milano 1975) 
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, 2003
  • Pascal Vernus e Jean Yoyotte, “Dizionario dei Faraoni”, Edizioni Arkeios, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997)
  • Kim Ryholt, “La situazione politica in Egitto durante il secondo periodo intermedio”, Istituto Carsten Niebuhr, Copenhagen: Museum Tusculanum Press, 1997
  • Kim Ryholt, “Un presunto re asiatico in Egitto con relazioni con Ebla”, Bollettino delle scuole americane di ricerca orientale 311, 1998
  • John Wilson, “Egitto – I Propilei”, Monaco di Baviera 1961 (Arnoldo Mondadori, Milano 1967)
  • Miguel J. Canora, Amigos de la Egiptologia, “Il papiro Boulaq 18”, Web, art. di giugno 2008
  • Amigos de la egiptologia, “Boletin informativo, anno VI, numero LIX, giugno 2008 Beatrice Lumpkin, “Mathematics used in egyptian construction e bokkeeping”, The mathematical intelligencer, 2002
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LA XIII DINASTIA – PARTE 1

DA UGAF A AMENEMHAT VII

Di Piero Cargnino

Voglio anticipare eventuali osservazioni che possono arrivare dai più esperti egittofili riguardo alla sequenza ed ai nomi dei vari faraoni della XIII dinastia che tratteremo ora e delle seguenti, fino alla XVII. Va precisato che gli stessi egittologi non concordano ne sulla sequenza ne sui nomi, come abbiamo detto tutto ciò che riguarda  questo periodo della storia egizia è frutto di interpretazioni delle scarse fonti storiche che ci sono pervenute e per quanto riguarda i nomi dipende dagli studiosi che li hanno pubblicati. Cerchiamo, per quanto possibile di districarci in questo coacervo di regnanti, per la maggior parte locali e soprattutto contemporanei tra di loro e tra le varie dinastie che caratterizzano il Secondo Periodo Intermedio. Per quanto mi riguarda sto seguendo un paio di liste che in parte concordano, prendetela così.

La XIII dinastia è la prima del Secondo Periodo Intermedio e copre un arco di tempo di circa 120 – 150 anni durante i quali si sono succeduti, secondo Manetone 60 re in un periodo di circa 453 anni, come abbiamo già detto con la frantumazione del potere centrale sicuramente ogni nomarca si eresse a sovrano, anche se solo del proprio territorio, per cui assistiamo al sorgere di dinastie locali che regnarono contemporaneamente, questa potrebbe essere la ragione che trasse in inganno Manetone il quale attribuì alla XIII dinastia un periodo così lungo ed un numero così alto di sovrani. Gli studiosi pensano che i sovrani furono in realtà circa 50, per un periodo di circa 120 anni. Cerchiamo ora di scoprire chi furono questi sovrani che solo il Canone Reale di Torino ci elenca; in realtà esiste un certo numero di sovrani conosciuti solamente da reperti archeologici i cui nomi non sono collegabili, o inseribili, all’interno della sequenza definita dal Canone Reale. È possibile che molti nomi appartengano a sovrani i cui cartigli si trovavano nelle parti illeggibili, o del tutto perse, della colonna 7 del Canone Reale. La successione che ci fornisce il Canone Reale viene però messa in dubbio da parecchi studiosi che propongono sequenze diverse facendo riferimento all’accorpamento di alcuni nomi della lista di epoca ramesside. Nell’affrontare questo ingrato compito, tenuto conto dell’estrema complessità del periodo in questione e l’assenza di informazioni come possibili fonti di ulteriori errori, non mi perderò a cercare quale sia la sequenza corretta, se mai è stato possibile stabilirla, ma seguirò quella da me trovata. Molti di questi nomi, assegnati alla XIII dinastia potrebbero invece appartenere alla XVII dinastia, che gli successe (almeno per l’Alto Egitto), ingenerando quindi valutazioni falsate tali da rendere incerta ed opinabile qualsiasi conclusione. Iniziamo ora a scoprire questi sovrani

UGAF (HOR SEKHEM-NETJER)

Di lui conosciamo molto poco non sappiamo se la sua successione a Nefrusobek avvenne per diritto di nascita o per aver sposato la regina. Nel Canone Reale dovrebbe corrispondere a quello che  compare nella  posizione 6.5 (dovrebbe, in questi casi il condizionale è sempre d’obbligo). Troviamo il suo nome anche nella lista di Karnak e su alcune stele provenienti da Tebe. Da iscrizioni coeve sappiamo che la sua capitale era ancora Ity Tawy. Alcuni storici fanno risalire all’inizio del suo regno il distacco dal governo centrale del 6º distretto dell’Alto Egitto che fissa la sua capitale a Xois, qui, secondo Manetone, si insedieranno i sovrani della XIV dinastia.

SEKHEMKARA AMENEMHAT-SENEBEF (HOR MEHIBTAWY)

Secondo sovrano della XIII dinastia (forse), anche il suo nome è quasi del tutto illeggibile sul Canone Reale nel quale compare come durata del suo regno “6 anni” scritto in rosso e preceduto da un’altra indicazione andata persa. Per lui ci sono conferme archeologiche consistenti in iscrizioni provenienti da Asyut e Semna, una statua da Elefantina ed altri ritrovamenti minori. Di certo si sa che durante il suo regno non vengono più effettuate le registrazioni del livello di piena del Nilo, da ciò si deduce che si sia verificato qualche sconvolgimento politico e sociale di cui però non si sa nulla. Ancorché molto rovinato in questo punto il Codice Reale pare riportare, dopo Amenemhat-Senebef, sei anni di assenza di sovrani registrati con inchiostro rosso.

AMENEMHAT V  (HOR SANKHTAWY) 

Dopo il periodo vuoto di sei anni, compare il nome di questo sovrano che si viene a trovarsi al terzo posto nella XIII dinastia (in realtà potrebbe essere il quarto se i sei anni vuoti accogliessero un ulteriore nome). Il suo nome si trova nella riga 6.7 del Canone Reale come “….menemhat” e viene interpretato come Amenemhat V. Il quasi certo (anche in assenza di prove dirette) distacco del 6º distretto dell’Alto Egitto dal governo centrale ci porta a credere che questo portò ad un governo contemporaneo di due entità diverse, la XIII e la XIV dinastia.

SEHETEPIBRE I

Come per molti altri sovrani di Sehetepibre I non conosciamo nulla, si sa solo che regnò per un solo anno. Seppure inserito nella lista del Canone Reale, secondo Kim Ryholt, sarebbe stato inserito per un errore dello scriba per cui Sehetepibre I sarebbe lo stesso Sehetepibre che troviamo nella posizione 6.12 del Canone. La sua affermazione sarebbe supportata dal fatto che il sovrano viene definito come “figlio dell’asiatico” in quanto il suo predecessore, come vedremo in seguito, fu Ameny Kemau (Hetepibra) ad essere definito “Ameny l’Asiatico”.

SEHETEPIBRE II  IUFNI

Con questo oscuro sovrano i dubbi sono ancora maggiori, Sehetepibre II (Hotepibre Qemau Siharnedjheritef), secondo alcuni studiosi sarebbe lo stesso Sehetepibre I solamente ripetuto. Nonostante ciò gli egittologi Kim Ryholt e Darrell Baker lo considerano il re della dinastia che regnò da uno a cinque anni, forse tre anni, dal 1791 a.C. fino al 1788 a.C. gli egittologi Jürgen von Beckerath e Detlef Franke lo considerano invece come il nono re della dinastia. 

AMENEMHAT VI

Amenemhet VI (Seankhibre Ameny Antef), come la maggior parte dei re della XIII dinastia, questo sovrano potrebbe aver regnato per un breve periodo che viene stimato in 3 anni o anche meno, a seconda dello studioso che si consulta. Di lui sono stati rinvenuti alcuni manufatti contemporanei ed il suo nome compare in due diverse liste di re. Alcuni egittologi lo collocano all’interno di una famiglia più ampia di faraoni dove compaiono Amenemhat V, Ameny Qemau, Hotepibre Qemau Siharnedjheritef e Iufni.

SEMENKARE NEBNUNI

Nel Canone Reale di Torino compare solo il suo nome nella colonna 7, linea 11 (nel suo libro Gardine lo colloca nella colonna 6, linea 11). Di lui è stata ritrovata una stele di terracotta che mostra, da un lato, il re davanti al dio Ptah “….a sud delle sue mura……” (epiteto menfita rivolto al dio), dall’altro lato il re è davanti a Horus “…….signore dei paesi stranieri…….”. Oltre al nome di  Semenkarê Nebnoun la stele riporta anche i nomi di Nesout-bity (Semenkare) e Sa-Ra (Nebnoun). La stele proviene da Gebel el-Zeit nel Sinai dove si trovavano le miniere di galena. Secondo gli egittologi Darell Baker e Kim Ryholt, Nebnuni è stato il nono governatore della XIII dinastia.Di parere contrario sono Jurgen von Beckerath e Detlef Franke che lo collocano all’ottavo posto. Non si sa per quanto abbia regnato, una lacuna del papiro permette solo di leggere “…….e 22 giorni”. Baker e Ryholt gli attribuiscono 2 anni, a partire dal 1785 a.C. mentre gli egittologi Rolf Krauss, Detlef Franke e Thomas Schneider danno a Nebnuni solo 1 anno di regno nel 1739 a.C. La stele sopra citata prova che all’inizio della XIII dinastia il potere centrale era ancora in grado di organizzare spedizioni in Sinai alla ricerca di materiali da costruzione e la produzione di articoli di lusso.

AMENY KEMAU

Ameny Kemau o Ameny Aamu (Ameny l’Asiatico) il cui nome non compare nel Canone reale ma nella Sala degli Antenati di Karnak, Secondo alcuni egittologi potrebbe trattarsi di Amenemhat V (descritto sopra) anche se la cosa è molto incerta poiché diversi sovrani, nel medesimo periodo, sono citati con nomi analoghi.  

Le testimonianze che ci sono pervenute per questo sovrano sono come sempre scarse però, a differenza  di molti altri della XIII dinastia di cui è stato trovato ben poco, di Ameny Kemau è stata trovata la tomba.

Mentre si può affermare che con questa dinastia si è praticamente conclusa l’usanza di costruire piramidi, vista anche la breve durata del regno dei vari sovrani, Ameny Kemau tentò di fare un’eccezione.

In epoca recente l’egittologo inglese Aidan Dodson si è dedicato allo studio delle poche piramidi della XIII dinastia a tutt’oggi conosciute, una di queste è proprio quella di Ameny Kemau. Ad esso viene attribuito un complesso funerario rinvenuto a sud di Dashur ma che non fu mai terminato, forse per la breve durata del suo regno, già nelle fasi iniziali la piramide venne trasformata in mastaba.

Vediamo dunque chi fu Ameni Kemau. Il tracollo del Medio Regno non ci permette neppure di ipotizzare con un po’ di certezza chi furono i governanti di questa ultima parte. Ho volutamente scritto “governanti” perché allo stato attuale non siamo in grado di dire con certezza se Ameni sia stato un faraone nel vero senso della parola o solo uno dei tanti governanti.

Gli egittologi Kim Ryholt e Darrel Baker lo individuano come il quinto faraone della XIII dinastia e, pare, abbia governato per due anni una gran parte dell’Egitto ad eccezione della parte orientale del Delta. Fornirgli un’identità certa è quasi impossibile, secondo Ryholt il suo nume si dedurrebbe in una lacuna del Papiro di Torino prima del nome di Amenemhat, sono stati fatti anche molti tentativi per identificarlo con altri sovrani più noti dell’epoca ma la questione è ancora aperta.

Oggi rimane solo la parte interna della seconda piramide di Ameny Qemau (Egyptian Ministry of Antiquities)

Sempre Ryholt afferma che il nome di questo faraone andrebbe letto come ”Kemau, figlio di Ameni”, se così fosse si potrebbe ipotizzare un collegamento con gli Amen-emhat che lo hanno preceduto. Il suo nome compare anche su di un frammento di legno trovato nella sua piramide, compare inoltre su una targa di cui nessuno sa dove venne ritrovata, allo stato attuale si pensa ad un falso moderno.

Il complesso funerario di Ameni Kemau comprende numerose mastabe, probabilmente suoi parenti poiché appartengono tutte all’Antico Regno.

A scoprire la piramide nel 1957 fu Charles Arthur Musès la cui relazione di scavo non fu mai pubblicata, i dati di cui disponiamo sono quelli redatti da Rinaldi e Maragioglio nel 1959 in seguito ad una esplorazione superficiale, oggi non è più possibile approfondire perché il complesso è completamente insabbiato. A malapena si può stimare che misurasse 15 metri per lato. Un po meglio si è conservata la sottostruttura alla quale si accede da un ingresso situato sul lato orientale della piramide, dopo una scalinata di circa 14 metri il corridoio curva per tre volte prima di raggiungere la camera funeraria, anche qui è presente una massiccia barriera in quarzite lunga 3 metri, alta 2,80 metri con uno spessore di 80 centimetri.

L’immagine mostra l’interno della piramide prima delle esequie con i varchi tra i vani aperti e con la cripta scoperta – (Ph. by Franck Monnier)

La camera è costruita come le precedenti piramidi della XII dinastia, un gigantesco monolite calato in un vano sotterraneo nel quale venne ricavata un’incavatura per il sarcofago ed un’altra per la cassa dei canopi. Un pesante monolite dello spessore di sessanta centimetri, in parte rotto, fungeva da coperchio, il sarcofago ligneo in esso contenuto si trova al Museo Egizio del Cairo.

Ne il pesante coperchio ne la barriera impedirono ai saccheggiatori di profanare la tomba portando via tutto ad eccezione di alcuni frammenti dei canopi sui quali compariva il nome del sovrano. Recentemente, 2017, sempre nella necropoli di Dashur, a 600 metri di distanza dalla prima è stata scoperta una seconda piramide che riporta nuovamente il nome di Ameni Kemau. Nella camera sepolcrale è stata rinvenuta la cassa di legno che conteneva i vasi canopi sulla quale però non compariva il nome del faraone bensì quello della principessa Hatshepset citata come “figlia del re”, (nulla a che vedere con la più famosa Hatshepsut della XVIII dinastia). Si ha motivo di pensare che questa seconda piramide fosse stata costruita per un altro sovrano ma successivamente usurpata da Ameni Kemau per seppellire la propria figlia.

SEWADJKARE HOR

Sewadjkare Hor I compare nella colonna 7, riga 13 del Canone Reale come undicesimo sovrano che potrebbe aver regnato su una piccola parte dell’Alto Egitto contemporaneamente con Neferhotep II., secondo Schneider, Franke e von Beckerath sarebbe invece il decimo faraone della XIII dinastia.  Riguardo alla durata del suo regno questa non è deducibile dal Canone Reale in quanto la parte relativa agli anni è mancante, compaiono solo i giorni che secondo Ryholt sarebbero undici o quattordici, secondo alcuni regnò cinque anni, Gardiner gli assegna un solo anno. La maggior parte degli studiosi lo considera un sovrano effimero.

NEDJEMIBRA

Anche questo sovrano compare solo nel Canone Regio. Di lui però sono stati trovati due scarabei che riportano il suo nome, uno è stato rinvenuto nell’area di Menfi mentre il secondo pare provenga dalla Palestina, Hebron o Gerico. Se effettivamente la sua provenienza dovesse essere confermata ciò dimostrerebbe che a quell’epoca erano ancora attivi contatti con il Medio Oriente.

SOBEKHOTEP I KHAANKHRE

Questo sovrano potrebbe corrispondere a quello che troviamo nel Canone Reale nella colonna 6, riga 15 indicato come “Sobek [hote] pre”, c’è da dire però che questa identificazione è incerta e non trovando tutti concordi è tutt’ora dibattuta. Nella Lista degli Antenati di Karnak compare come  Khaankhre (Kha Ankh Ra), “Appare in gloria la vita di Ra”. Sobekhotep I, “Il dio Sobek è in pace “, lo troviamo anche in una piccola cappella, dedicata ad Osiride che sorgeva ad Abidos e su un frammento di colonna dove è inscritto il suo cartiglio. Il nome Horo di  Sobekhotep I significava “Colui che ha unito le Due Terre”, da ciò verrebbe da pensare che questo sovrano abbia almeno tentato di riportare un certo ordine nel potere centrale che ormai da decenni si andava frantumando, ma questa è solo un’ipotesi priva di fonti certe.

Al British Museum si trova una statua di granito (reperto BM 69497), un tempo facente parte della collezione Amherst, sul cui piedistallo compare un’iscrizione con il nome Khaankhre Sobekhotep. La solita disputa tra gli egittologi Ryholt e Baker, da una parte, che lo considerano il tredicesimo faraone della XIII dinastia e von Beckerath che lo vede come il sedicesimo faraone della dinastia. Il suo regno potrebbe essere durato dai tre ai quattro anni. Ryholt afferma inoltre che Sobekhotep I dovrebbe essere lo stesso Sobekhotep II che compare solo come Sobekhotep nel Canone Reale. Dodson ed altri, considerano invece Khaankhre Sobekhotep II e Sekhemre Khutawy Sobekhotep I due diversi sovrani della XIII dinastia.

RENISENEB

Renseneb, “Il mio nome è portatore di salute”, compare nel Canone Reale nella Colonna 7, riga 16 (secondo Gardiner alla colonna 6 riga 6) dove gli viene assegnato un periodo di regno di quattro mesi. Il suo nome compare anche su di un oggetto a lui contemporaneo, una perla di steatite smaltata che, prima di sparire del tutto, venne vista l’ultima volta nel 1929 da Percy Newberry in un negozio di antiquariato al Cairo. Su di essa compariva l’iscrizione: “Reniseneb Amenemhat, che dà la vita”. Secondo l’egittologo danese Kim Ryholt, già più volte citato, sostiene che questo doppio nome vada interpretato come “Reniseneb [figlio di] Amenemhat” dimostrando che era figlio di un re Amenemhat. Il regnante precedente col nome di Amenemhat a lui più vicino fu Seankhibre Ameny Amenyf Amenenhet VI (o V), che regnò circa 10 anni prima. L’analisi di Ryholt è contestata da alcuni egittologi perché si basa sull’assunto non dimostrato che i doppi nomi siano necessariamente nominativi filiali.

AUIBRE HOR  (HOR I)

Durante il biennio 1894-1895 l’egittologo francese Jacques de Morgan stava svolgendo una campagna di scavi presso la piramide di Amenemhat III a Dahshur quando, sul lato nord del recinto del complesso, rinvenne una decina di tombe a pozzo appartenute ai familiari del sovrano. Esplorando la prima partendo da est scoprì che era stata la tomba di un faraone del Secondo Periodo Intermedio. La tomba, ancorché violata fin dall’antichità, si presentava ancora sostanzialmente in buone condizioni, conteneva ancora il sarcofago parzialmente dorato contenente la mummia del sovrano, un naos con una statua, alcuni gioielli, due stele iscritte e diversi altri oggetti.. Di costruzione modesta, la tomba conteneva ancora la cassa, con i vasi canopi, sulla quale compariva il nome del proprietario, Hor, fino ad allora sconosciuto (il Canone Reale non era ancora stato completamente decifrato).

La statua citata è uno degli esempi più belli di arte egizia, riprodotti di frequente in quel periodo, essa rappresenta il “Ka di Hor I” oggi esposta al Museo Egizio del Cairo, (cat. JE 30948). Si tratta di una delle sculture lignee meglio conservate dell’antichità; ancorché trattasi di un genere molto comune nell’arte antico-egizia nessun’altra è giunta fino a noi in condizioni così perfette. Grazie alle iscrizioni sulla statua è stato possibile conoscere la titolatura completa del sovrano.

Successivamente venne rinvenuto un altro oggetto sul quale erano iscritti i nomi di Amenemhat III e di Hor. Il ritrovamento portò, in un primo momento, a pensare che Hor fosse stato coreggente di Amenemhat III e quindi ad attribuire Hor alla XII dinastia. Grazie anche a successivi ritrovamenti si giunse ad identificare Hor con il sovrano citato nel Canone Reale di Torino come Aut-ib-Rê (Auibre “La gioia di Ra”).

Il suo regno deve essere stato assai breve da non permettergli neppure di iniziare a costruirsi una piramide, che agli inizi della XIII dinastia era ancora un’usanza comune per i re, tanto che per la sua sepoltura si dovette ricorrere ad una tomba a pozzo già esistente e per giunta non regale.

Sicuramente lui, o chi per esso, usurpò la tomba a pozzo nel complesso funerario di Amenemhat III in epoca successiva. Nella tomba accanto a quella di Auibre fu sepolta la principessa Nubhetepet-Ikhered (“la giovane”), sua probabile figlia, che probabilmente andò in sposa al suo successore Amenemhat VII. Degli avvenimenti accaduti durante il breve regno di Auibre Hor I non abbiamo alcuna notizia.

AMENEMHAT VII  (SEDJEFKARA  KAY  AMENEMHAT)

Dopo Auibre Hor I il Canone Reale riporta il quindicesimo sovrano che gli succede al trono, Amenemhet VII (Appartiene allo spirito Amon è di fronte) il quale oltre che nel Canone compare anche sul piedistallo di una statua dedicata al dio Montu.

Lo troviamo ancora citato su alcuni sigilli cilindrici e scarabei, il nome di Amenemhet VII compare anche nella piramide della regina Khuit a Saqqara. Altro nome di Amenemhet VII è Sedjefkara Kay, Sedjefakara che vuol dire (Provvede il Ka di Ra) mentre secondo alcuni il “Kay” del nomen si potrebbe interpretare come “figlio di Kay”, a questo punto vorrebbe dire che non sia appartenuto  alla stirpe reale; l’indicazione del padre nel proprio nomen stava a significare che il sovrano non apparteneva alla linea diretta di discendenza ma era subentrato.

Se questa ipotesi dovesse corrispondere alla realtà si potrebbe presumere che la sua ascesa al trono sia il frutto del matrimonio con  Nubhetepet-Ikhered, figlia di Auibre Hor I suo predecessore. Sul nilometro di Semna compare una registrazione del livello di piena del Nilo che riporta la data del primo anno di regno di un sovrano chiamato “Diefa…..kara”, alcuni egittologi sostengono che potrebbe trattarsi proprio di Amenemhet VII.

Fonti e bibliografia:

  • Mark Lehner, “The Complete Pyramids”, London: Thames and Hudson, 1997
  • Darrell Baker, “The Encyclopedia of the Pharaohs”, Stacey International,,2008
  • Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi”, Newton & Compton editori, 2002 Ministero delle Antichità Egiziano
  • Rinaldi Celeste e Maragioglio Vito, “Note sulla piramide di Ameni Kemau”, Orientalia, Roma 1968
  • William Christopher Hayes, “L’Egitto dalla morte di Ammenemes III a Seqenenre II – Il Medio Oriente e l’Area Egea”, Cambridge University 1973 (Il Saggiatore, Milano 1975) 
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano, 2003
  • Manzini Riccardo, “Complessi piramidali egizi”, vol. III, “Necropoli di Dashur”, Ananke, 2009
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997)
  • Kim Ryholt, “La situazione politica in Egitto durante il secondo periodo intermedio”, Istituto Carsten Niebuhr, Copenhagen: Museum Tusculanum Press, 1997
  • Kim Ryholt, “Un presunto re asiatico in Egitto con relazioni con Ebla”, Bollettino delle scuole americane di ricerca orientale 311, 1998
  • John Wilson, “Egitto – I Propilei”, Monaco di Baviera 1961 (Arnoldo Mondadori, Milano 1967) Ministero delle Antichità Egiziano
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Biblioteca Storica Laterza, 2011
C'era una volta l'Egitto, II Periodo Intermedio

IL SECONDO PERIODO INTERMEDIO

Di Piero Cargnino

Con il regno della regina Neferusobek, ultimo faraone della XII dinastia, si chiude quel periodo storico della civiltà egizia comunemente chiamato Medio Regno.

In realtà però il tempo non ferma la storia che continua inesorabile il suo corso, mentre il cambio di dinastia è spesso giustificato dalla caduta della famiglia che rimane senza eredi, il cambio di un periodo storico trova giustificazione solo in presenza di qualche avvenimento importante o a seguito di sconvolgimenti che segnano la storia ed evidenziano l’inizio di una nuova era.

Nel contesto che stiamo trattando nulla di tutto ciò giustificherebbe questo cambiamento. Noi però, fedeli al Canone Reale di Torino, all’elenco dei re di Saqqara ed al solito Manetone, prendiamo per buono questo passaggio da essi confermato, precisando però che l’elenco dei re di Abidos, nell’intento forse di dimenticare questo periodo infausto per l’Egitto, salta decisamente da Amenemhat IV al primo re della XVIII dinastia, Amose I. Ferma restando la quasi certa data di ascesa al trono di Amose I, retrocedendo possiamo stabilire che la durata del Secondo Periodo Intermedio va dal 1786 al 1567 a.C., (1790-1543 secondo Cimmino) (le date sono puramente indicative e si differenziano da una fonte ad un’altra).

Pur se convenzionalmente si fa partire il Secondo Periodo Intermedio con la XIII dinastia non esistono rilievi archeologici o fatti a noi noti che lo confermino anche perché non si riscontrano cambiamenti radicali nella vita del popolo egizio. Come detto in precedenza i cambiamenti che hanno caratterizzato l’inizio della XIII dinastia sono principalmente imputabili alla mancanza di personalità in grado di mantenere il potere centrale. L’Egitto non è in preda ad una crisi che si possa paragonare a quella che si verificò in occasione della caduta della VI dinastia, almeno in un primo periodo non si ha notizia di eventuali disordini interni ne pericoli di particolare rilievo provenienti dall’esterno. Il paese è ancora solido e prospero ed in pace, il caos ha invece origine nella instabilità politica dovuta alle continue lotte di potere.

Il Secondo Periodo Intermedio, come già il primo, scaturisce in seguito al regno di alcuni faraoni insignificanti ai quali si oppongono nuovamente i vari nomarchi locali, spesso pure in lotta tra di loro, in assenza di un forte potere centrale.

Alla morte di Nefrusobek il suo successore, e primo sovrano della XIII dinastia, molto probabilmente fu Ugaf, anche se non si sa se per matrimonio con lei o per altre vie.

In assenza di una ben definita linea dinastica si alternano al trono, uno dopo l’altro, un notevole numero di faraoni, in realtà, come detto sopra, principi locali con ambizioni su altri territori. Secondo Manetone i re della XIII dinastia furono: “…….60 re di Diospoli che regnarono per 453 anni……..“.

Gli studiosi pensano che Manetone si sia tenuto un po’ abbondante, i sovrani della XIII dinastia in realtà sarebbero circa 50, che regnarono nel corso di 120 anni. Ben lungi da essere all’altezza dei loro predecessori, riuscirono comunque a mantenere il controllo della Nubia ed a gestire discretamente l’amministrazione dello stato. Nonostante ciò il continuo cambiamento del potere centrale e la brevità dei regni dei vari sovrani che si sovrapponevano gli uni agli altri portò allo sfaldamento dell’unità egizia. La frantumazione del potere centrale comportò il sorgere di dinastie locali che regnarono contemporaneamente solo su parte dell’Egitto e per questo vengono considerate come un unico regno. Anche per questo gli ultimi sovrani della XIII dinastia sono considerati coevi delle dinastie XIV, XV e XVI. Questo potrebbe aver fuorviato Manetone portandolo ad assegnare alla XIII dinastia un numero così alto di sovrani ed un periodo così lungo.

Del Secondo Periodo Intermedio disponiamo di poche tracce a livello archeologico che rendono la sua ricostruzione decisamente incerta, inoltre sono scarsi i reperti del periodo per cui si rende difficile datare con esattezza i diversi avvenimenti.

Per quanto riguarda la XIV dinastia, Il solito Manetone non riporta alcun nome limitandosi a dire:

<<……..70 re provenienti da Xois, attuale Sakha, nella regione del Delta, che regnarono per 184 anni…….>>.

L’unica altra fonte sono, come già detto, le colonne 8, 9 e 10 del Canone Reale di Torino. Occorre precisare che il  termine “dinastia”, in questo periodo turbolento della storia egizia, non ha nulla a che vedere con la successione nell’ambito di una famiglia ma è puramente simbolico in quanto identifica sovrani più disparati che si succedono al trono senza alcun grado di parentela.

Dalle scarse notizie disponibili possiamo affermare che la XIV dinastia regnò su parti del Delta fino al 1720 per poi divenire vassalli del neonato regno degli Hyksos che nel frattempo si erano ivi stabiliti.

Sulle dinastie dalla XV alla XVII esistono notevoli divergenze tra gli storici che ci hanno tramandato l’opera di Manetone, quali Eusebio, Sesto Africano e Giuseppe Flavio. Dal lavoro di Sesto Africano si apprende che la XV dinastia è costituita da sei re stranieri, i “re pastori”, gli Hyksos, che regnarono per 284 anni.

Sempre di re pastori, è formata anche la XVI dinastia, trentadue che regnarono per 518 anni, mentre per quanto riguarda la XVII dinastia regnarono quarantatré sovrani Hyksos e quarantatré sovrani tebani per un totale di 151 anni. Da ciò appare subito evidente la scarsa attendibilità, non solo di Manetone ma anche dei vari storici che lo hanno trascritto. Se proviamo a sommare gli anni di regno, pur considerando il dato più basso per la XIV dinastia otteniamo che nel Secondo Periodo Intermedio hanno regnato 217 re e la durata dell’intero periodo ammonta a 1.590 anni. Durata che risulta sette volte superiore a quella accertata dalla data sotiaca fornita dal papiro di El- Lahun.

Come abbiamo visto le date per questo periodo fornite da Manetone e dagli storici greci a lui successivi non fanno fede a conferma della scarsa conoscenza a lui trasmessa di fatti risalenti a circa 1500 anni prima. Il Canone reale di Torino, pur essendo una fonte d’inestimabile valore nonostante si presenti molto frammentario, non ci fornisce dati migliori.

A questo punto tutti gli egittologi concordano nel ritenere che quello che ci viene presentato sia l’elenco di molti sovrani che regnarono contemporaneamente in varie regioni del paese distanti l’una dall’altra. In conclusione si fa coincidere la XV dinastia alla dominazione degli Hyksos, la XVI viene considerata fittizia mentre per la XVII vengono considerati solo i principi tebani in essa compresi.

Tanto per farci un’idea di chi erano gli Hyksos (di cui tratteremo meglio in seguito) è necessario tornare alla fine del Medio Regno quando, approfittando di un momento di debolezza dell’impero tebano, popoli semiti provenienti dall’Asia, dalla quale erano fuggiti forse a causa della pressione delle popolazioni indoeuropee ittiti, cassiti e hurriti, passarono i confini del Basso Egitto occupando, dapprima pacificamente, una parte del Delta.

E’ da sfatare il mito secondo cui gli Hyksos penetrarono in Egitto con la forza, il loro arrivo era cominciato con una lenta infiltrazione che col tempo aumentò sempre più , senza però preoccupare i faraoni che, inizialmente, non videro in questo una minaccia.

Gli egizi li chiamarono “Heka khasut”, fu Manetone a scrivere che il loro nome significa “re pastori” basandosi sul fatto che nel linguaggio sacro hyk vuol dire “re” ed in quello popolare sòs significa “pastore”. L’ anarchia che regnava in Egitto a quei tempi permise agli Hyksos, dopo un breve periodo durante il quale vivevano di razzie, di organizzarsi e quindi imporsi imporsi occupando l’intera zona del Delta, ove costituirono uno stato autonomo rendendo loro tributari i faraoni della XIV dinastia, poi, in meno di mezzo secolo riuscirono ad estendere il loro dominio fino a Menfi diventando signori dell’Egitto. Questa fu la prima volta, nella sua gloriosa storia, che il paese delle Due Terre fu guidato da una popolazione straniera che governò, direttamente, o indirettamente tramite vassalli, tutto l’Egitto fino al termine del Secondo Periodo Intermedio.

Capitale del regno degli Hyksos fu la città di Avaris, da loro stessi fondata nel delta del Nilo. Gli Hyksos rispettarono la cultura egizia, adottarono le titolature e le usanze egiziane e mantennero negli alti gradi della burocrazia funzionari egizi, ma non solo, col tempo tra i due popoli avvenne anche uno scambio di divinità, gli Hyksos adottarono alcuni dei egizi, in primis il dio Seth, mentre da parte egizia venne adottato il dio urrita Teshup.

Furono però anche apportatori di parecchie novità, primo fra tutti fu l’introduzione del cavallo e del cocchio, fino ad allora sconosciuti agli egiziani che sfruttavano asini e cammelli. Introdussero inoltre alcune importanti innovazioni, come il telaio verticale, la coltura dell’olivo, la lavorazione del bronzo, innovazioni che contribuirono a cambiare parte dei costumi e degli usi tradizionali.

In campo militare, gli Hyksos introdussero nuovi tipi di pugnali e spade, l’arte della lavorazione del bronzo e il robusto arco a lunga gittata, che saranno poi utilizzate ampiamente e con successo nelle successive campagne militari che porteranno alla loro cacciata.

Il termine Hyksos venne poi in seguito utilizzato per indicare anche i sovrani della XVI dinastia e tutte le popolazioni di origine asiatica che occuparono l’Egitto per l’intero Secondo Periodo Intermedio. Come vedremo in seguito parlando espressamente di loro, i sovrani della XV dinastia venivano indicati cone “Grandi Hyksos” mentre “Piccoli Hyksos” erano chiamati i vari principi locali che governavano su parti dell’Egitto come vassalli dei grandi Hyksos.

Per quanto riguarda la XVI dinastia, ritenuta contemporanea della XV, essa annovera tra i sovrani gli “Hyksos minori” e alcuni principi egizi che regnarono solo su alcune parti dell’Alto Egitto. Frattanto, intorno al 1580,  nel sud dell’Egitto a Tebe nasce un terzo centro di potere, la XVII dinastia tebana, che assunse maggior potere sul territorio compreso tra Elefantina e Abidos. Con la XVII dinastia iniziamo a trovare i principi di Tebe che governano sull’Alto Egitto pur sempre come vassalli e tributari dei re della XV dinastia Hyksos. Secondo Manetone i sovrani non erano solo tebani ma anche Hyksos minori, in totale 43 faraoni per ogni etnia che si alternavano e che regnarono per 151 anni.

I sovrani che sono elencati in una sequenza che però non costituisce un ordine cronologico esatto in quanto non supportato da alcuna notizia certa. L’unica fonte a riportare tutti i regnanti è il Canone di Torino, nella colonna 11, il quale però è molto frammentario e la sua ricostruzione si presta a diverse interpretazioni. Alcuni di questi nomi compaiono anche nella Sala degli Antenati di Karnak senza un ordine preciso.

Il penultimo re della XVII dinastia, Seqenenra Tao, fu il primo principe egizio ad opporsi ai dominatori Hyksos dando inizio a quella che sarà la guerra di liberazione dell’Egitto dalla dominazione straniera, guerra che verrà portata avanti dal figlio di Seqenenra Tao, Kamose e che si concluderà con la liberazione completa dell’Egitto ad opera di Ahmose, fratello di Kamose e primo re della XVIII dinastia e del Nuovo Regno.

Un’ultima notizia riferita al Secondo Periodo Intermedio, in particolare il periodo degli Hyksos, già fin dall’antichità veniva identificato con il soggiorno in Egitto degli ebrei descritto nella Bibbia. Lo storico Giuseppe Flavio, come altri egittologi, tendono a far coincidere l’episodio del patriarca Giuseppe con l’arrivo degli Hyksos e l’esodo con la loro cacciata. Questa è una ipotesi, altre ne vedremo in seguito. Vediamo ora di entrare più nel dettaglio di questo oscuro periodo della storia egizia, andremo alla ricerca di tutte le notizie che sarà possibile reperire, anche se a molti possono apparire meno interessanti, chi mi vuole seguire si accomodi, entriamo in tutti gli anfratti possibili che fanno comunque parte della storia meno conosciuta di questa meravigliosa civiltà.  

Fonti e bibliografia:

  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Oxford University Press, 1961, (Einaudi, Torino, 1997)  
  • Giacomo Cavillier, “Egittologia”, Ananke, 2010
  • Alan Gardiner, “The Royal Canon of Turin”, Griffith Institute, Oxford, 1987
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Leonardo Paolo Lovari, Kemet: storia dell’antico Egitto, Harmakis, Montevarchi 2016
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Mursia Editore, 2005
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, 2003
  • John A. Wilson, “Egitto – I Propilei”, Monaco di Baviera 1961 (Arnoldo Mondadori, Milano 1967)
  • Kuhrt Amélie, “The Ancient Near East: c. 3000-330 b.C.”, Londra, Routledge, 1995
  • Nicolas Grimal, Storia dell’Antico Egitto, Laterza, Bari, 2007 
  • Claire Lalouette, “Thèbes ou la Naissance d’un Empire”, Flammarion, 1995