Di Piero Cargnino
Quella del faraone Djoser fu la prima piramide egizia ad essere costruita, quella di Khendjer, alle conoscenze attuali, è l’ultima.

Khendjer, (Djedekheperu, Userkara “il Ka di Ra è forte”), viene citato nel Canone Reale di Torino come il sedicesimo (!) faraone della XIII dinastia. L’esistenza di questo faraone è confermata anche dal fatto che il suo nome compare sul Papiro di Brooklyn e sul Papiro Bulak-18. Già dal suo nome possiamo notare il profondo cambiamento avvenuto nel corso della XIII dinastia in confronto alle epoche precedenti. Mentre prima i nomi dei faraoni erano altisonanti e nella maggior parte dei casi contenevano il riferimento ad uno o più dei, il nome di questo faraone parrebbe contenere una radice semitica che significa “cinghiale”.
Inizialmente alcuni lo identificarono come un sovrano Hyksos, ovvero il Salitis citato da Manetone. L’ipotesi decadde dopo la scoperta della sua tomba dove viene riportata la titolatura completa. Tutto lascia comunque supporre che costui non fosse originario dell’Egitto ma con ogni probabilità era un comandante delle truppe mercenarie asiatiche che servivano i governanti egizi. A riprova di ciò nel Papiro di Brooklyn, risalente alla XIII dinastia, che consiste in una lunga lista di nomi di servitori di corte, su 79 nomi 45 sono tipicamente asiatici e con essi vengono citati anche gli Hapiru, nomadi palestinesi che incontreremo più avanti.

Questo fatto conferma che, prima del periodo Hyksos, erano già numerosi i palestinesi presenti in Egitto.
Quel poco che si conosce di Khendjer è che, pur mantenendo la capitale ufficiale a Ity Tawy, risiedette prevalentemente a Tebe. Non sappiamo quanto tempo abbia regnato, il Canone Reale di Torino è privo della parte riferita alla durata del suo regno, su un blocco del suo complesso funerario si legge un quinto anno.
Fu Jéquier, durante i suoi scavi negli anni 20-30, a scoprire la sua piramide a Saqqara a sud-est della Mastabat el-Faraun. La piramide si trovava racchiusa tra due cerchia di mura, quella esterna in blocchi di calcare mentre quella interna in mattoni di fango a secco. In origine doveva misurare circa 37 metri di altezza e possedere un rivestimento in calcare, depredato in seguito per essere reimpiegato in altre costruzioni.

Oggi i miseri resti non superano il metro di altezza sulla sabbia a causa del collasso del nucleo in mattoni, a questo ha pure contribuito il Jéquier i cui metodi di scavo erano decisamente invasivi. L’accesso alla piramide avveniva attraverso un corridoio che partiva dalla parete occidentale vicino all’angolo sud-ovest e formato per una parte da una rampa discendente con al centro una scalinata che si insinuava fino al centro della piramide dove era collocata la camera funeraria.
Costruita sullo stesso schema delle ultime piramidi della XII dinastia, la camera funeraria era costituita da un enorme monolite in quarzite calato dall’alto in una fossa già predisposta in precedenza. Il coperchio, che formava il soffitto della camera, era formato da due pesanti lastroni di quarzite che, una volta fatti calare sul monolite inferiore, sigillavano completamente la camera. Nella parte superiore vennero sistemati dei massicci blocchi di calcare a doppio spiovente per scaricare il peso della sovrastruttura, anche questi sormontati poi da una volta in mattoni.
Dagli scavi eseguiti sul fianco della piramide venne ritrovato un pyramidion in pezzi che riportava su una faccia un cartiglio col nome Userkara, sicuramente uno dei due praenomen di Khendjer; il pyramidion ricomposto è oggi custodito al Museo Egizio del Cairo.



Sul lato nord-est si trova la piramide secondaria, la parte sottostante è formata da due ipogei sempre monolitici ma più piccoli di quello di Khendjer. Probabilmente in origine erano destinati alla sepoltura delle spose reali del faraone, gli studiosi però ritengono che non furono mai usate.
Nella zona a sud-est della piramide di Khendjer, Jéquier scoprì un’altra piramide completamente anonima e di datazione incerta. Con ogni probabilità la sovrastruttura non fu mai portata a termine ma con immensa sorpresa l’egittologo scoprì che la struttura ipogea era stata ultimata, non solo, ma dalle fattezze si può classificarla come una delle più belle di tutto il Medio Regno. Gli ambienti si presentano rivestiti in calcare bianco con brevi strisce di colore nero che si alternano. L’entrata era situata sulla parete orientale, da qui partiva una rampa scalinata che terminava in un lungo corridoio provvisto di tre barriere, che conduceva in un’anticamera. Da questa si accedeva a due camere funerarie, ad ovest quella più grande del re, a nord quella più piccola della regina. La camera del re si presentava come per le precedenti piramidi formata da un enorme monolite di quarzite con l’incavatura per il sarcofago ed i canopi. La copertura della camera era formata da tre lastroni di quarzite due dei quali erano calati in posizione mentre il terzo era ancora sollevato e poggiato su due montanti. Da ciò si può dedurre che nessuno fu mai sepolto in quella piramide.

Vennero inoltre ritrovati due pyramidion in granito nero mai ultimati. Come detto all’inizio, allo stato attuale non si ha notizia di altre piramidi anche se scavi sono tutt’ora in corso e non è detto che non si possa giungere a nuove scoperte, anche perché altre tombe, stando a documenti di epoca successiva, vengono citate come piramidi.
Il papiro Abbot, che contiene il resoconto di un’ispezione riguardante il saccheggio di tombe, cita che ne furono controllate dieci relative ad un periodo che va dal Medio Regno, Secondo Periodo Intermedio e inizio del Nuovo Regno. Altra citazione simile la troviamo nel Papiro Leopoldo II e nel Papiro di Amherst VII, in questi papiri le tombe ispezionate sono citate tutte come piramidi. In realtà altre piramidi esistono e sono quelle nubiane ma questo è un altro discorso.
Per concludere non posso non citare la preoccupazione espressa nel suo libro da Miroslav Verner:
<<……..gli egittologi oggi sono preoccupati del destino delle piramidi……..nonostante gli enormi mezzi finanziari messi in campo dall’Egitto per la loro salvaguardia………preoccupazioni vengono espresse da ogni parte, in base al ritmo delle erosioni degli ultimi decenni………le piramidi potrebbero subire gravissimi danni, anche irreparabili nel giro di due o trecento anni……..l’uomo le ha create, speriamo non sia lui a distruggerle. >>.
Per meglio capire possiamo citare un antico proverbio arabo, che recita: “L’uomo ha paura del tempo, ma il tempo ha paura delle piramidi”. Speriamo che il tempo continui ad avere paura.
Fonti e bibliografia:
- William Christopher Hayes, “L’Egitto dalla morte di Ammenemes III a Seqenenre II – Il Medio Oriente e l’Area Egea”, Cambridge University 1973 (Il Saggiatore, Milano 1975)
- Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, 2003
- Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
- Pascal Vernus e Jean Yoyotte, “Dizionario dei Faraoni”, Edizioni Arkeios, 2003
- Alan Gardiner, “La civiltà egizia” – Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997)
- Kim Ryholt, “La situazione politica in Egitto durante il secondo periodo intermedio”, Istituto Carsten Niebuhr, Copenhagen: Museum Tusculanum Press, 1997
- Kim Ryholt, “Un presunto re asiatico in Egitto con relazioni con Ebla”, Bollettino delle scuole americane di ricerca orientale 311, 1998
- John Wilson, “Egitto – I Propilei”, Monaco di Baviera 1961 (Arnoldo Mondadori, Milano 1967)
- Miguel J. Canora, Amigos de la Egiptologia, “Il papiro Boulaq 18”, Web, art. di giugno 2008
- Amigos de la egiptologia, “Boletin informativo, anno VI, numero LIX, giugno 2008
- Beatrice Lumpkin, “Mathematics used in egyptian construction e bokkeeping”, The mathematical intelligencer, 2002) Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi”, Newton & Compton editori, 2002