Curiosità, Tutankhamon

RICHARD ADAMSON

IL GUARDIANO DELLA KV62

«Carneade! Chi era costui?» ruminava tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone…

Già, chi era costui? Una domanda che ci siamo posti molto spesso al sentire un nome di cui sappiamo poco o niente… e allora, eccovi un altro nome, a cui potremmo tranquillamente assegnare la stessa frase del povero Don Abbondio: Tania Head!

TANIA HEAD

Ma “chi era costei?

Come avrà ormai imparato chi si ostina a leggere i miei articoli, parto sempre da lontano… o da quel che sembra lontano, per poi calare il lettore nel fatto; e anche questa volta non riesco a farne a meno rievocando una delle pagine più tragiche della nostra storia recente: l’11 settembre 2001.

Potremmo soffermarci sulle 2.603 vittime nel crollo delle Torri ma, per un attimo, faremo riferimento all’intervento di Wells Remy Crowther[1], uno degli eroici Vigili del Fuoco di New York che, prima di morire nel crollo, riuscirà a salvare ben diciotto persone. Dopo l’immane tragedia, nasce il World Trade Center Survivors Network, ed è proprio a tale organizzazione che, nel 2004, si presenta Tania Head che dichiara di essere una di quelle diciotto persone salvate da Crowther proprio mentre il fidanzato[2], Dave, moriva nel crollo della Torre Nord. Facile immaginare il clamore che suscita la notizia, le interviste, le conferenze, la visibilità della donna che, ben presto, diventa addirittura presidente dell’Associazione dei reduci e dei sopravvissuti.

Nel 2007, però, qualcuno decide di andare un po’ più in profondità scoprendo che qualcosa non torna: benché nelle sue interviste la Head abbia più volte dichiarato di essere andata quale volontaria in Thailandia per lo tsunami (26/12/2004), e a New Orleans per portare aiuto dopo l’uragano “Katrina” (25/08/2005), di fatto nessuno la conosce o l’ha mai vista. Anche le due lauree di cui la Head dice di essere titolare non sono mai state conseguite e non risulta abbia neppure mai frequentato università statunitensi. In verità, ha, infatti, frequentato l’università, ma a Barcellona, in Spagna, la sua terra natia; il suo vero nome è, infatti, Alicia Esteve Head, ed è arrivata negli Stati Uniti nel 2003, ben due anni DOPO l’attacco alle Torri Gemelle.

Per completezza, e per soddisfare la curiosità che certamente è stata suscitata da questo racconto, dirò che la donna, improvvisamente, scompare dai “radar” giornalistici fino al 2008 quando giunge notizia che si sia suicidata… debbo aggiungere che, anche in questo caso, si tratta di una bugia[3]?

E qui, ne sono certo, i lettori si staranno chiedendo come farò a ricollegarmi all’egittologia che è alla base del nostro sito… un briciolo di pazienza e ci arriveremo giacché se abbiamo iniziato chiedendoci chi era Carneade, e poi chi era Tania Head, ora è il momento di un altro nome altrettanto “misterioso”: Richard Adamson.

RICHARD ADAMSON

Richard Adamson sulla copertina di “The Forgotten Survivor” di Chris Ogilvie-Herald (2015)

E per scrivere di Adamson dobbiamo necessariamente fare un passo indietro e, dal tragico 2001, tornare all’affascinante novembre 1922, quando un egittologo inglese scopre il primo di sedici gradini che lo porteranno a fare la più grande scoperta di tutti i tempi.

Eh già, ci accingiamo a entrare proprio nella KV62, la tomba di Tutankhamon nella Valle dei Re e, irrimediabilmente, ci toccherà accennare, quanto meno, alla “maledizione” del Faraone bambino. Per non tediarvi troppo con discorsi che riguardano l’inesistenza di una tal maledizione, vi rimando a due articoli in questo stesso sito (troverete i link nella nota a pie’ di pagina)[4]. Mi preme, però, riportare qui una semplice tabella che elenca coloro che, per primi, ebbero la fortuna di trovarsi faccia a faccia con il giovanissimo Faraone della XVIII dinastia[5]:

Nome e cognomeIncarico nella spedizioneNato nelMorto nelEtàAnni dopo il 1922
Lord Carnarvonfinanziatore del ritrovamento18661923571
Howard Cartercapo della spedizione187419396517
Arthur Cruttenden Macecollaboratore18741928546
Alfred Lucaschimico186719457823
Harry Burtonfotografo187919406118
Arthur R. Callenderingegnere e disegnatore187519366114
Percy Newberryegittologo186919498027
Alan H. Gardineregittologo filologo187919638441
James H. Breastedegittologo storico186519357013
Walter Hauserarchitetto189319596637
Lindsley Foote Hallarchitetto188319698647
Richard Adamsonpoliziotto190119828160

Brevemente, diremo che delle ventisei persone presenti all’apertura della tomba, solo sei morirono nell’arco dei dieci anni successivi; delle ventidue presenti all’apertura del sarcofago solo due morirono nei successivi dieci anni mentre delle dieci persone presenti allo sbendaggio della mummia, nessuna morirà sempre nei dieci anni successivi a questa operazione.

Lady Evelyn, figlia di Carnarvon, che partecipò attivamente alle fasi iniziali della scoperta della tomba e che, pare, sia stata la prima, in assoluto, ad accedervi, nata nel 1901, morì nel 1980: 79 anni e 58 anni dopo la scoperta. Il medico D.E. Derry, che eseguì la prima autopsia sul corpo di Tutankhamon, morì nel 1969, all’età di 87 anni e 47 anni dopo.

Ma quel che ci interessa (finalmente) è il nominativo che ho indicato in rosso e che dà il titolo a questo paragrafo: Richard Adamson, nato, forse, nel 1901 e morto nel 1982 a 81 anni.

LA SCOPERTA DI KV62

Dimenticate tutto quel che sapete della scoperta di KV 62!

Durante la preparazione della grande esposizione al British Museum[6], in occasione dei 50 anni dalla scoperta della tomba, sulla rivista “The New Statesman” apparve, il 14 aprile 1972, un articolo in cui, tra l’altro si leggeva:

«…gli scavi di Carter erano protetti da poliziotti militari assegnati dal nostro esercito in Egitto. Uno di questi, un brillante giovane di Leeds, notò due egiziani che frettolosamente ricoprivano qualcosa nella sabbia. Con inusuale efficienza prese la sua Brownie, li fotografò e segnò il luogo. IL giorno seguente, con l’aiuto dei suoi riferimenti guidò Carter nell’esatto posto… dove i due egiziani avevano coperto una rampa di scale… Se quel poliziotto non fosse stato così efficiente, non ci sarebbe stata alcuna mostra al British Museum. Il suo nome è Richard Adamson…»

E così, nonostante Carter e le migliaia di testi ne abbiano mai fatto menzione,  dovremmo rivedere tutte le nostre conoscenze sulla scoperta della tomba di Tutankhamon.

Meno male…se non ci fosse stato quel poliziotto militare…

Già, ma quel poliziotto militare, quel tale Richard Adamson, è davvero mai stato in Egitto? Era davvero un Sergente della Polizia Militare assegnato alla spedizione Carter/Carnarvon? E davvero si deve a lui la più grande scoperta egittologica della storia? Davvero dormirà per quasi dieci anni all’interno della KV62 per proteggerla da ladri e vandali, come poi dichiarerà in una delle migliaia di interviste che rilascerà? E tutto questo ripeterà nelle oltre 1.500 conferenze che terrà, in tutto il mondo, dal 1968? …e confermerà addirittura all’allora Principe di Galles, attuale Carlo III d’Inghilterra, in un incontro riservato nel dicembre 1968? Davvero, per combattere la solitudine delle fredde notti nel deserto, sarà solito ascoltare l’Aida su un grammofono donatogli dallo stesso Carter?

Come si vede i quesiti sono davvero tanti e dobbiamo perciò rifarci a chi di questo personaggio ha fatto oggetto di studio e di un libro[7] che, per quanto piccolo (un centinaio di pagine e solo in inglese), è un condensato di informazioni, tra cui il testo che ho sopra tradotto, dimostrando una particolare acribia, con ricerche davvero degne, queste si, di un’indagine di polizia.

Alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, “comparve” sulla scena un tale Adamson che disse di aver partecipato alla missione e di essere stato, da Sergente della Polizia Militare inglese, il “guardiano” della tomba per sette anni. L’uomo infarcì il suo racconto di aneddoti tra cui il più clamoroso riguardava un grammofono che Carter gli avrebbe fornito per alleviare le lunghe ore di solitudine, specie notturne. Come “ultimo sopravvissuto” della spedizione, ottenne una certa notorietà al punto da essere ricevuto, come sopra accennato, addirittura dall’allora Principe Carlo d’Inghilterra e da tenere oltre 1.500 conferenze in tutto il mondo…

Qualcosa, in questo strano personaggio, che si era “ricordato” della sua partecipazione alla scoperta del secolo solo alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, però non quadrava. E tra coloro che decisero di investigare c’era Chris Ogilvie Herald[8]che, nel 2005, pubblicò “The Forgotten Survivor”.

Il primo articolo che indichi Adamson come coinvolto nella scoperta della tomba di Tutankhamon, compare sul “Daily Mirror” del 16/08/1968, circa un anno dopo la morte di Lilian Kate Penfold che Adamson aveva spostato nel 1924… ma così siamo già troppo avanti rispetto alla scoperta di KV62 che, come tutti sappiamo, risale al novembre 1922 e, perciò, facciamo un passo indietro e cerchiamo di ricostruire la storia…

Adamson, dichiaratamente nato a Leeds nel 1901, nei suoi racconti, nelle sue conferenze e in tre libri a lui dedicati[9], afferma di essere stato destinato come Sergente della Polizia Militare in Egitto nel 1919. Nel 1920 sarebbe stato coinvolto, come “spia” infiltrata, nella cosiddetta “Cairo Conspiracy” e di aver attivamente partecipato all’arresto di Abdel-Rahman Bek Fhami[10], un nazionalista egiziano che, nel marzo 1919 aveva organizzato una cospirazione contro l’occupante inglese con attentati e omicidi di funzionari e ufficiali britannici. Durante il processo a Abdel-Rahman e altri 28 complici, Adamson, che pure disse di essere stato il principale testimone nel procedimento, dichiarò di svolgere attività di guardia del corpo del Presidente del Tribunale, il Generale Lawson.

È tuttavia noto che le forze di polizia britanniche in Egitto:

 «…in particolare indirizzarono le indagini verso Abdel-Rahman Bek Fhami… mettendolo sotto stretta sorveglianza da parte di un agente segreto della polizia del Cairo, il Capitano Selim Zaki…»

Al processo, inoltre, il principale accusatore di Abdel-Rahman fu un altro complice, appartenente al partito nazionalista FAWD, Abdel- Saher al-Salamuti[11].

La segretezza del suo incarico, la dichiarata, ma non provata, partecipazione alle indagini per la “Cairo Conspiracy”, e il pericolo conseguente per la sua vita, per essere stato tra i principali artefici dello smascheramento della congiura stessa, avrebbero giustificato la sua assenza da ogni qualsivoglia fotografia relativa alla scoperta di KV62.

Nel 1981, dopo un viaggio in Egitto, durante il quale entrò nella KV62 accompagnato da John Lawton[12], quest’ultimo scrisse[13] che appena al termine del processo, nel 1920:

«…due giorni dopo, il suo nome apparve sull’ordine del giorno del Reggimento per la promozione da Caporale a Facente funzioni di Sergente (Acting Sergeant) e trasferito immediatamente a Luxor per presentarsi a Carter, presso il “Winter Hotel”, per la spedizione Carnarvon…»   

Nel suo libro, però, Elain Edgar scrisse che Adamson raggiunse Luxor il 31 ottobre 1922. In altre parole, considerando il racconto di Lawson, che indica come impartito due giorni dopo la fine del processo l’ordine di “immediata” partenza, Adamson avrebbe impiegato ben due anni per percorrere i quasi 700 km dal Cairo.

Adamson non giustificò mai questo ampio lasso di tempo.

Come abbiamo sopra visto, nell’articolo del “The New Statesman” dell’aprile 1972, Adamson giunse a Luxor appena in tempo, per nostra fortuna, per scoprire l’ubicazione della KV62 e segnalarlo a Carter:

“Nel 1922 ero in Egitto, nella Valle dei Re, in servizio presso la Polizia Militare proprio mentre la spedizione archeologica di Lord Carnarvon ed Howard Carter stava scavando sotto la tomba di Ramses VI. Proprio pochi giorni prima che la concessione scadesse…”

Di fatto, ma si tratta di poca cosa, la concessione non era proprio quasi alla sua scadenza. Come si ricorderà, infatti, se è vero che Carnarvon aveva intenzione di lasciare, è altrettanto vero che Carter si era dichiarato disponibile ad assumere su di se la concessione stessa, convincendo lo sponsor a reiterare la licenza per un altro anno.

E così siamo arrivati alla scoperta di KV62 e all’incarico dichiarato da Adamson di dover far la guardia allo scavo proprio a far data dal 1922 per oltre dieci anni, fino al 1932 quando finalmente poté far rientro in Patria… o forse no?

Ogilvie, nella sua ricerca della verità, richiese al “General Register Office” (da noi diremmo l’Anagrafe) di Merseyside il certificato di famiglia di Adamson così scoprendo che lo stesso aveva sposato Lilian Kate Penfold il 24/12/1924. Quanto alla professione riportata sul certificato, questa risulta essere “Lance Corporal”, ovvero un livello leggermente inferiore a Caporale, il che viene confermato, peraltro, da una foto del matrimonio in cui Adamson indossa la divisa dell’esercito con, appunto, tali gradi.

Sul taschino sinistro dell’uniforme, inoltre, fa mostra di se un solo nastrino e nessuno di quelli che tutti i militari sfoggiavano purché avessero preso parte a missioni della Prima Guerra Mondiale.

Esiste, quindi, la prova che, almeno nel dicembre 1924 Adamson NON era in Egitto a proteggere la KV62. Ma il certificato fornisce altre informazioni altrettanto importanti, ad esempio, sulla nascita di almeno due dei suoi cinque figli: Ronald, infatti, nasce a Portsea e Landport, nell’Hampshire, il 23/12/1925. IN questo caso, la professione paterna viene indicata come “Motor Mechanic” e la residenza in Church Road a Landport.

Il 21/08/1927 è la volta di Edward che nasce a Portsmouth e la professione del padre viene riportata come “Tram Conductor”. Sempre per restare nel periodo in cui era dichiaratamente impegnato in Egitto per l’incarico di guardiania della KV62, nel 1930 nasce Robert e la professione, stavolta, è “Bus Conductor[14].

Abbiamo così almeno quattro interruzioni del dichiarato, ininterrotto, servizio decennale in Egitto: 1924 per il matrimonio; 1925 per la nascita del primo figlio; 1927 per la nascita del secondo; 1930 per la nascita del terzo. È appena il caso di rammentare che non esiste prova di alcun viaggio dall’Egitto all’Inghilterra di Adamson, o viceversa della moglie verso Luxor che valgano a giustificare i concepimenti: marzo 1925 per Ronald, e novembre 1926 per Edward. Ed è altrettanto utile rammentare che tali viaggi, negli anni ’20 del ‘900, oltre ad essere particolarmente costosi, erano anche particolarmente difficoltosi e lunghi.

Ma Ogilvie non si fermò di certo qui nelle sua ricerche. L’autore, infatti, rivolse richiesta al registro storico del CPPTD[15]. Tale registro, che inizia però dal 1934, confermò, tuttavia, che dal 05/11/1934 Adamson fu effettivamente impiegato alla Portsmouth Corporation Tramways fino al 06/09/1939 quando, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, venne richiamato alla RAFVR (Royal Air Force Volunteer Reserve). Ed è proprio con questa uniforme che Adamson viene rappresentato in una fotografia del libro della Edgar, ma si tratta di una foto del 1940 e il grado è ancora. comunque, quello di Caporale.

Il libro della Edgar, pubblicato nel 1997, trae palesemente spunto non solo dai racconti in prima persona fatti da Adamson, ma anche dal testo di Wynne del 1969 e dall’articolo di Lawton del 1981. Tra le altre cose, la Edgar riporta che le uniche fotografie scattate da Adamson nella Valle dei Re sarebbero state da questo regalate al Museo Egizio del Cairo. Appare chiaro perciò che Ogilvie non poteva resistere dalla voglia di richiederle all’archivio museale ottenendo risposta negativa.

Poiché la Edgar riferisce che Adamson ha inoltre svolto un periodo di servizio in Turchia prima di essere assegnato alla Polizia Militare, Ogilvie non perde anche quest’occasione e rivolge istanza al “Military Police Museum” e all’ “Army Record Office” ottenendo in risposta che nei registri 1921/1945 non esiste alcuna traccia di Richard Adamson.

E, ancora la Edgar, precisa che, ad avvenuta scoperta della KV62, Adamson avrebbe pattugliato l’area circostante per evitare furti e danneggiamenti trascorrendo la notte sotto le stelle, davanti all’ingresso della tomba.  Solo a gennaio 1923, quando l’anticamera fu sgombrata, Carter lo avrebbe autorizzato a spostare il letto all’interno della tomba dove dormirà fino al suo rientro in Patria nel 1932. Ma, di rimando, Ogilvie, fa presente che le predisposizioni di sicurezza della tomba erano ben differenti: al termine di ogni stagione di scavo, infatti, la tomba veniva chiusa; la scala riempita con tonnellate di terra, rocce e macerie che venivano poi rimosse all’inizio della successiva stagione di scavo come peraltro testimoniato da Jean Capart[16], egittologo belga, che in un suo libro[17] scrive:

«…il passaggio in pendenza, la scala e il piccolo pianerottolo su cui si apre l’entrata vengono bloccati. Prima con una barriera di pali e assi di legno, poi con blocchi di pietra…»

E, poco oltre:

«…questa mattina sono stato nella Valle di Biban el-Moluk, cioè la Valle dei Re, rimanendo sorpreso dell’attività che vi si stava svolgendo. Bambini trasportavano correndo le loro piccole ceste sotto la supervisione del loro “reis” per riempire di sabbia e scaglie di pietra il sito della tomba. Il terreno aveva già assunto il suo aspetto normale…»

Durante i periodi di chiusura della tomba la sicurezza era garantita dalla polizia locale; è inoltre bene precisare che, da poco dopo la scoperta, fino a ottobre dell’anno successivo, ottobre 1923, la KV62 restò chiusa, e sigillata, come sopra indicato. È perciò decisamente inverosimile, anzi impossibile, che Adamson possa aver dormito nella tomba e non corrisponde di certo al vero che la sua presenza fosse indispensabile.

Come scritto per “The Times” di Londra da Lord Carnarvon l’11 novembre 1922. Ovvero nell’imminenza delle scoperta:

«…Mr Carter e Mr, Callender, il suo assistente,  sono soliti ora dormire all’interno della tomba…»

…cosa che durò comunque pochissimo tempo, fino alla sostituzione della grata di legno, posta a chiusura dell’ingresso, con una porta in acciaio chiusa con quattro catene e relativi lucchetti[18].

Come noto, la scoperta della tomba di Tutankhamon, e l’esclusiva rilasciata da Carnarvon al “The Times” di Londra, aveva suscitato non solo critiche da parte del Governo locale, che poteva avere notizie dell’evoluzione della scoperta solo leggendo proprio quel giornale, ma anche l’”assalto” di decine, centinaia, di corrispondenti di giornali di tutto il mondo che avrebbero fatto carte false pur di avere una qualsivoglia notizia da “vendere” ai propri editori (anche per giustificare le ingenti spese che questi dovevano sostenere per tenerli in Egitto). Può perciò sembrare realistico che, sapendo che qualcuno dormiva nella KV62, nessun giornalista abbia pensato di ricavarne un articolone da prima pagina? Ed è peraltro possibile immaginare che, pur volendo accettare per vero il racconto di Adamson, e volendo accettare la massima riservatezza del “poliziotto”, nessun giornalista abbia mai pensato di corrompere un qualsivoglia operaio locale che, dietro adeguato bakhsheesh, sarebbe stato ben felice di raccontare una notizia giornalisticamente così ghiotta?

E la “maledizione”? Ma ovviamente anche questa fu un’idea del nostro eroe; nel 1982, infatti, nel corso di un articolo dal titolo “I invented the King Tut Curse”, “ho inventato io la maledizione di Tut” scrisse:

«…Come Capo della Sicurezza (ndr: ulteriore promozione a Capo) temevo che la tomba potesse essere derubata… un reporter che aveva sentito parlare della maledizione suppose che si trattasse di un’invenzione per tener lontani i ladri… infatti, ma mi ero reso conto che sarebbe stato un buon sistema per salvare il tesoro…»

Ma ora facciamo nuovamente un passo in avanti e arriviamo al 1964 quando viene a mancare, all’età di 61 anni, Lilian Kate, sua moglie. È la data che fa, in qualche modo, da spartiacque tra il silenzio e la voglia di raccontare della sua esperienza come guardiano della Tomba più famosa dell’egittologia. A chi gli chiese perché non ne avesse mai parlato prima, Adamson disse che la moglie non gradiva e che non ne aveva mai parlato neppure con i suoi figli.

Un ulteriore perplessità riguardava anche i rapporti tra Adamson e l’amata moglie giacché non esiste traccia di epistolario tra i due nei sette anni di lontananza: pur volendo considerare una lettera al mese, sarebbe ipotizzabile l’esistenza di almeno una novantina di lettere e almeno da altrettante di risposta.

E invece, al 1968 risale il primo periodo di diffusione delle sue storie, con la partecipazione a trasmissioni, interviste e conferenze (alla fine ne terrà, come detto, oltre 1.500 in giro per il mondo). Durante queste ultime Adamson era solito presentare slide e fotografie, ma si trattava di documentazione già nota e pubblicata su libri e riviste, non esistendo immagini originali o inedite, come fece risaltare H.V.F. Winstone[19] anche nel suo “Howard Carter: and the discovery of the tomb of Tutankhamen”.

UN altro duro colpo alla veridicità di Richard Adamson, viene assestato con la lettura del suo stato di servizio militare. Ogilvie, infatti, chiese e ottenne dall’ “Army Personal Centre” lo stato di servizio del militare Adamson, ma questo non contiene documenti ufficiali dell’arruolamento, delle promozioni, dei trasferimenti e non fa menzione di un eventuale passaggio alla Polizia Militare.

Tutto il personale che aveva preso parte alla Prima Guerra Mondiale dal 1914 al 1918 (ma Adamson avrebbe avuto dai 14 ai 17 anni essendo nato nel 1901) era inoltre insignito della “Victory Medal” che, come sopra visto, Richard Adamson non sfoggia nella foto del suo matrimonio. IL personale che aveva comunque svolto attività all’estero, era inoltre insignito della “British World Medal” che, anche in questo caso Adamson non ha. L’assenza di decorazioni fu confermato a Ogilvie dal “National Archive” di Kew, nel Surrey, che detiene traccia di tutte le onorificenze militari concesse.

Anche per quanto riguardava il Reggimento “Duke of Wellington”, presso il cui 1° Battaglione di stanza a Gosport Adamson riferiva di aver prestato servizio dal 1918 al 1922, non esisteva riscontro, giacché, salvo un breve periodo in Scozia nel 1926, il Reggimento fu di stanza presso le St. Georges Barracks di Gosport dal 1923 al 1930 e non dal 1918 al 1922. E proprio al 1923 risale, verosimilmente, una fotografia che rappresenta Adamson, in uniforme dell’esercito, senza alcun grado[20] o decorazione, con altri diciotto commilitoni, dinanzi a una baracca sulla cui parete si legge “DW” (per “Duke of Wellington”) e “Gosport”.

Sembra perciò palese che nel 1923 Adamson non era in Egitto, non era Sergente (e neppure Caporale), e non apparteneva alla Polizia Militare.

In conclusione, nel 1972, in occasione della grande mostra presso il British Museum di Londra per il cinquantenario dalla scoperta della tomba KV62, Adamson si offrì come “official lecturer”, cioè docente, chiedendo solo il rimborso delle spese. Philip Taverner, uno degli organizzatori della Mostra, negò, però, la possibilità di rimborso e di poterlo perciò ospitare. Irritato da tale sfacciata offerta di Adamson, I.E.S. Edwards[21], Curatore della sezione Egizia, scrisse a Lady Evelyn Carnarvon[22], figlia di Lord Carnarvon, ancora in vita e che aveva partecipato alla scoperta della tomba di Tutankhamon, per chiedere se fosse a conoscenza della presenza durante gli scavi di Adamson:

«…con riguardo alla sua lettera e alla sua domanda, non ricordo se Mr. Adamson fosse in Egitto…»[23]

 Nella sua lettera a Lady Evelyn[24] Edwards aveva scritto inoltre:

«…è mia convinzione che Mr. Adamson non sia mai stato aggregato alla missione di Lord Carnarvon. Afferma di esserlo stato e di aver operato come guardia del corpo di Mr. Carter, ma io non sono riuscito a trovare alcunché a supporto di tale dichiarazione. Due archeologi che lavoravano nelle immediate vicinanze della Valle dei Re ai tempi delal scoperta hanno negato di avere alcuna conoscenza della sua presenza. Miss Walker, nipote di Mr. Carter, mi ha detto che Carter non lo ha mai menzionato…» 

In un’altra lettera[25] Edwards esprime ancora le sue perplessità:

«…Sono sorpreso che (Adamson) sia stato così abile con le sue storie con Peter Clayton & Co.[26], ma come ben sappiamo la gente crede in ciò in cui vuol credere, e questo ne è un buon esempio…»

Edwards eseguì, a sua volta, ricerche presso il Ministero della Difesa ottenendo risposte negative anche con riferimento a un possibile transito nella Polizia Militare. Approssimandosi la mostra del cinquantenario dalla scoperta di KV62, tuttavia, Edwards, pur convinto dell’esattezza delle sue sensazioni sul millantatore Adamson, ritenne che uno scandalo sarebbe stato sicuramente da evitare e controproducente:

«… Sarebbe facile smascherarlo ma questo significherebbe suscitare una tale confusione che sia meglio evitare…»

Si trattò certamente di una decisione saggia, visto il momento, ma consentì ad Adamson ancora di propalare le sue falsità per altri 10 anni circa.

Si capirà ora perché abbia iniziato questo articolo con la storia di Tania Head, altra millantatrice capace di manipolare la storia fino a prova contraria… mi piace, qui, concludere ripetendo la frase del Dr. Edwards:

«… la gente crede in ciò in cui vuol credere, e questo ne è un buon esempio…»

Linea temporale degli eventi riguardanti  Richard Adamson

(da “The Forgotten Survivor” di Chris Ogilvie Herald, 2005)

DataEventoNote
1901-1906NascitaData esatta non conosciuta
1918-1922Dichiara di essersi arruolato nell’EsercitoData esatta non conosciuta
24/12/1924Sposa Lilian Kate PenfoldA Portsea, Hampshire
1925Congedato dall’esercitoSi stabilisce a Portsmouth
23/12/1925Nascita di RonaldRisulta Meccanico Motorista
25/08/1927Nascita di EdwardRisulta Conducente di Tram
30/01/1930Nascita di RobertRisulta Conducente di Autobus
05/11/1934Joins Portsmouth Corporation Tramways (PCT)Risulta Conducente di Autobus per la PCT
05/04/1937Nascita di PatrickRisulta Conducente di Autobus
06/09/1939RichiamatoLascia la PCT
1939RAFVR (RAF Volunteer Reserve)Data di trattenimento sconosciuta
21/06/1941Dimesso dalla RAFVRMotivazione: invalidità
17/04/1942Nascita di JohnRisulta impiegato, Ministero del Lavoro
12/03/1948Riassunto alla PCTRisulta conducente di Autobus
18/06/1948Lascia la PCTPensionato
1967Morte di Lilian (moglie)età 61 anni
1968Comincia a parlare di TutankhamonTiene le prime conferenze
16/08/1968Compare il primo articolo su AdamsonPubblicato dal Daily Mirror
1968Udienza privata con il Principe CarloConversazione sulla tomba di Tutankhamon
31/07/1969Articolo su AdamsonPubblicato dal Hampshire Telegraph
04/05/1972Storia di Adamson pubblicata da Barry WynneBehind the mask of Tutankhamon
1980Entra al ricovero per reduciRoyal Star & Garter, Richmond-Surrey
1981Visita l’Egitto con John Lawton Entra nella tomba di Tutankhamon
16/07/1982Morto presso Royal Star & Garter

[1]      Welles Remy Crowther (17 maggio 1977 – 11 settembre 2001), Commerciante di Borsa e Vigile del Fuoco volontario. Durante l’incendio portò in salvo oltre 18 persone dal 78° piano della Torre Sud. Il suo corpo venne ritrovato solo a marzo del 2002.

[2]      Nelle molteplici interviste rilasciate, la Head fa riferimento a “Dave” talvolta come fidanzato, altre come marito. I familiari di “Dave”, dichiararono, tuttavia, di non conoscere Tania né di essere a conoscenza di una qualsivoglia relazione tra i due.

[3]      Verrà, infatti, intercettata a New York nel 2011 e, nel 2012, verrà licenziata dalla Società di Assicurazioni per cui lavorava.

[4]      https://laciviltaegizia.org/2021/11/18/morte-e-maledizione/ (di Andrea Petta)

       https://laciviltaegizia.org/2021/10/17/la-maledizione-di-tutankhamon/ (di Giuseppe Esposito)

[5]      troverete la stessa tabella nella voce “Maledizione di Tutankhamon” di Wikipedia Italia poiché l’ho scritta io.

[6]      Inaugurazione il 28 marzo 1972, furono esposti 55 reperti.

[7]      Chris Ogilvie Herald, “The forgotten survivor”, 2005: le informazioni riportate in quest’articolo sono tratte dal testo, in inglese, nella sua versione e-book. È perciò impossibile indicare le pagine e, come noto, anche le “posizioni” derivano dal tipo di lettore usato per visualizzarlo, e dalle dimensioni del carattere. Non risulta che il libro sia stato tradotto in italiano. Tutte i testi tra «» sono tratti dal libro di Ogilvie e da me tradotti. 

[8]        Già direttore della rivista «Quest for Knowledge» e Fondatore e responsabile dell’EgyptNews

[9]    Barry Wynne “Behind the mask of Tutankhamon”, 1969, Pinnacle;

       Elain Edgar, “A journey between souls: the Story of a Soldier and a Pharaoh”, 1997, Colin White & Laurie Boucke;

       Desmond Zwar, “The Qeeen Rupert & me”, 2004, Sid Harta Pub.

       Wynne ed Edgar  hanno scritto, dichiaratamente, a seguito di interviste, o diretta conoscenza, specie la Edgar, con il soggetto; senza approfondimenti o ricerche, come peraltro riportato da Ogilvie che, nel suo testo, pubblica i testi di scambi epistolari con i due autori.

       Zwar dichiarò di aver ricavato le sue conoscenze dall’ascolto di nastri relativi alle conferenze tenute da Adamson.

[10]     Abdel-Rahman Bek Fhami, nazionalista del WAFD Party (Wafd al-Miṣrī, ossia “Partito Egiziano della Delegazione”).

[11]     Il processo si concluse con la condanna a morte di Abdel-Rahman, condanna che, dato il pericolo di insurrezioni, venne commutata in quindi anni di lavori forzati. Successivamente, salito al potere un governo nazionale retto da Saad Zaghlul,  Abdel-Rahman venne scarcerato dopo soli quattro anni.

[12]     John Lawton, 1949, produttore e registra televisivo, autore di racconti e romanzi gialli, storici e di spionaggio. 

[13]     Aramco (Arabian American Oil Company) – World Magazine, vol 32, n.ro 6 nov/dic 1981: “The last survivor” .

[14]     Patrick nascerà nel 1937, ovvero dopo il periodo dichiaratamente di “servizio” in Egitto,  e la professione riportata è ancora quella di “Bus Conductor”; nel 1942 sarà la volta di John, ma stavolta la professione è di impiegato.

[15]     “City of Portsmouth Preserved Transport Depot”: associazione che cerca di preservare la storia della cittadina sotto il profilo dei trasporti cittadini. 

[16]    Jean Capart (Bruxelles, 21 febbraio 1877 – Etterbeek, 16 giugno 1947) è stato un egittologo belga. Direttore degli scavi di Nekheb dal 1937 al 1939 e poi nel 1945.

[17]     “The tomb of Tutankhamen” 1923, George Allen & Unwin Limited, p. 64.

[18]     “…we had a heavy wooden grille at the entrance passage, and a massive steel gate at the inner doorway, each secured by four padlocked chains…” (H. Carter)

[19]     Harry Victor Frederick Winstone (3 August 1926 – 10 February 2010), membro della Royal Geographic Society, autore e giornalista inglese, specializzato in argomenti inerenti il Medio Oriente e l’Egitto.

[20]     Si rammenterà che solo nella foto del matrimonio, risalente all’anno successivo, 1924, Adamson sfoggia i gradi di Caporale.

[21]     Iorwerth Eiddon Stephen Edwards (21 July 1909 – 24 September 1996), “Commander of the Order of British Empire” e “Fellow of the British Academy” è stato un egittologo inglese e curatore del British Museum, considerato uno dei massimi esperti delle piramidi.

[22]     Lady Evelyn Leonora Almina Herbert Beauchamp (15 August 1901 – 31 January 1980), nota in famiglia come Eve, era la figlia di George Herbert, 5° Conte di Carnarvon. Nel novembre 1922 lei, suo padre e l’archeologo Howard Carter furono le prime persone ad entrare nella tomba del faraone Tutankhamon. Sposò Sir Brograve Beauchamp, e morì nel 1980 all’età di 78 anni.

[23]     Lettera da Lady Evelyn a I.E.S. Edwards, datata 22 novembre 1971, British Museum corrispondenza per la mostra su Tutankhamon, volume 5, documento 1685.

[24]     Lettera da I.E.S. Edwards a Lady Evelyn Beauchamp, British Museum corrispondenza per la mostra su Tutankhamon, volume 5, documento 1684.

[25]     Lettera da I.E.S. Edwards a Mrs, Reneé Lovegrove, parente di Howard Carter, British Museum corrispondenza per la mostra su Tutankhamon, volume 5, documento 1785.

[26]     Nel 1969 Adamson era stato invitato ad una cena presso la “Royal Society of Medecine” di Londra da un ristretto gruppo che si era denominato “Shemsu Kmt” (i seguaci dell’Egitto) costituito da quattro soci: Frank Filce, odontoiatra ed egittologo, che, nel 1968, aveva collaborato con il Professor Harrison nell’esame odontoiatrico della mummia di Tutankhamon; Michael Cane, direttore di un’importante società pubblicitaria e membro di un team che aveva eseguito scavi nel delta nilotico; Ronald Bullock, docente di giurisprudenza ed esperto di geroglifici; Peter Clayton, egittologo, docente e autore di libri di egittologia tra cui il bestseller internazionale “Chronicle of Pharaos”. Era usanza di tale gruppo di amici invitare, una volta al mese, un personaggio importante nel campo dell’egittologia.

Curiosità, Tutankhamon

TUTANKHAMON E RODOLFO VALENTINO

Di Giuseppe Esposito

Figura 1: la copertina de “La Domenica del Corriere” del 24 febbraio 1924 con il disegno di Achille Beltrame (1871-1945) ripreso chiaramente da una delle più famose fotografie di Harry Burton

Howard Carter… e forse il nostro articolo potrebbe anche concludersi qui poiché questo nome, da solo, è in grado di evocare una tra le più grandi scoperte dell’archeologia e dell’egittologia, ma poiché, se veramente mi fermassi qui, mi dareste del folle, eccomi a continuare giacché proprio quella scoperta scatenò l’egittomania mondiale, e coinvolse personaggi di ogni dove, di ogni lignaggio e di ogni categoria.

E se vi dicessi che, in qualche modo, c’entra anche il sex-symbol per eccellenza: Rodolfo Valentino?

TUTANKHAMON E RODOLFO VALENTINO

Ma andiamo con ordine e… riprendiamo proprio da Carter e dal suo noto caratteraccio (non sempre immotivato, in verità).

Carter

Nato nel 1874, undicesimo, e ultimo, figlio di Samuel Paul Carter[1], dal padre apprese l’arte del disegnare e del dipingere[2]. Tra i suoi facoltosi clienti il padre annoverava anche Lord William Pitt, II conte di Amherst, detentore di una vasta collezione di reperti egizi e tra i fondatori del “Egypt Exploration Fund”.

Durante una campagna di scavi nella necropoli di Beni Hasan[3], patrocinata da Lord Amherst e dal “Fund”, si rese necessario poter disporre, in loco, di un valido disegnatore per ricopiare i rilievi, ma specialmente i testi, delle innumerevoli tombe. Singolare che la richiesta avanzata fosse, precisamente, per un disegnatore preferibilmente “non gentleman[4], che facesse poche domande e, soprattutto, che costasse poco. Fu così che, nel 1891, il diciassettenne Howard Carter raggiunse l’Egitto per quella che doveva essere solo l’inizio della sua meravigliosa avventura.

Grazie ai suoi accuratissimi disegni possiamo oggi ammirare dipinti e rilievi parietali ormai non più leggibili o addirittura scomparsi: tra questi forse il più famoso è il trasporto della statua di Djehutihotep[5].

Figura 3: Il trasporto della statua di Djehutihotep in una rielaborazione grafica, tuttavia, di Sir John Gardner Wilkinson in cui sono stati integrati alcuni piccoli particolari non presenti nell’originale di Carter (è stato completato il viso della statua e sono stati integrati i personaggi sulla sinistra)

Destinato poi al sito di Tell el-Amarna, il giovane Carter affiancò, sempre come disegnatore, Sir Flinders Petrie che lo assegnò a ricopiare iscrizioni e rilievi “dove non avrebbe potuto causare danni”. Si aggiunse così, però, un altro “mattone” nella sua cultura di futuro scavatore della Valle dei Re. Come nota di colore, un aneddoto circolava sulla frugalità del grande archeologo, considerato il padre dell’egittologia: si raccontava, infatti, che avendo notato che nell’accampamento mancava la carta igienica, per non disturbare il “grande capo”, venne chiesto come comportarsi a Lady Petrie ottenendo, in risposta, che “Sir Flinders ed io usiamo cocci di ceramica[6] … e pensare che proprio sui “cocci” di ceramica Flinders Petrie aveva fondato il suo metodo di datazione della preistoria egizia[7].  

La carriera di Carter in Egitto prosegue e, sempre più apprezzato per le sue capacità artistiche, viene tuttavia notato anche per la sua passione per lo scavo archeologico tanto che, a poco più di 25 anni, viene nominato Capo Ispettore per l’Alto Egitto, con competenza su alcuni tra i siti più importanti e famosi del sud del Paese. Qui, come responsabile anche della Valle dei Re, il giovane Carter si trasforma, in un’occasione, in un novello Sherlock Holmes.

Per rendere visitabile al pubblico la tomba KV35[8] di Amenhotep II, Carter aveva fatto riporre il corpo del re nel suo sarcofago, messi in bella mostra alcuni degli oggetti rinvenuti a suo tempo da Victor Loret nella tomba, e aveva fatto apporre una pesante grata di ferro all’ingresso per proteggere il tutto. Nonostante tale precauzione, nella notte del 20 novembre 1901 alcuni ladri si erano introdotti nella KV35, avevano danneggiato la mummia del Re e rubate alcune suppellettili.

Carter svolse le sue indagini e rinvenne, nella tomba, impronte di piedi e un pezzo di resina estraneo all’ambiente. Giacché pochi giorni prima si era verificato un altro furto nella tomba di Yi-Ma-Dua, poco distante dal villaggio di Qurna, Carter comparò il pezzo di resina rinvenuto in KV35, con la rottura in una suppellettile della tomba di Yi-Ma-Dua riscontrando che erano perfettamente combacianti e identificando, perciò, i ladri come autori di entrambi i furti. Poiché anche in quel caso erano state lasciate impronte di piedi che, seguite, avevano portato nei pressi della casa di Soleman e Ahmed el-Rasoul (noti come ladri di tombe), Carter fotografò entrambe le serie di impronte e, fatto arrestare Mohamed el-Rasoul come principale sospettato, comparò le impronte di questo con le sue foto ottenendo un perfetto riscontro[9]. Deduzioni investigative, e metodologie di raffronto delle prove, degne davvero di un buon poliziotto.

Dopo un periodo di collaborazione con Theodore Davis, nella Valle dei Re, Carter venne trasferito a nord come Ispettore, tra l’altro, del sito di Saqqara e qui si verificò quello che è noto, appunto, come “incidente di Saqqara”.

Un gruppo di turisti francesi, palesemente ubriachi, cercò nottetempo di entrare con la forza al Serapeum nonostante la presenza di guardie che, informato Carter, vennero da questi autorizzate a difendersi da eventuali attacchi. A quei tempi, in pieno periodo coloniale, che un locale “toccasse” uno straniero era decisamente inconcepibile.

I francesi, ovviamente offesi, si rivolsero perciò alla propria Ambasciata e questa al Direttore del Servizio, Gaston Maspero, che, sebbene a malincuore, chiese a Carter di scusarsi pubblicamente ottenendone, per tutta risposta, le dimissioni dall’incarico. E fu così che Carter ritornò al sud, a Luxor, e alle dipendenze, nuovamente, di Theodore Davis che lo assegnò a rilevare i dipinti e le iscrizioni della tomba KV46[10], di Yuya e Tuya. Ancora una volta, senza saperlo, Carter sfiorava Tutankhamon giacché i due personaggi, come si scoprirà solo di recente con l’esame del DNA, sarebbero risultati i bisnonni del giovane Re.

Nel 1914, agli albori della Prima Guerra Mondiale, Davis dichiara che la Valle non ha più nulla da offrire e, con grande magnanimità, cede la sua concessione di scavo (a sentir lui praticamente inutile) a Lord Carnarvon. La Guerra interrompe però ogni attività, ma Carter resta in Egitto con un incarico, sia pur marginale, nell’Intelligence britannica, al Cairo, che gli consente, comunque, di recarsi frequentemente al sud.

A Guerra finita, nel 1918, Carter viene assunto come esperto archeologo (ma non dimentichiamo che, fondamentalmente, era pur sempre un “dilettante” autodidatta, non avendo compiuto studi specifici in materia) da Lord Carnarvon e la prima richiesta che viene avanzata a Pierre Lacau, che nel frattempo ha sostituito Gaston Maspero, è di poter scavare a Tell-el-Amarna, la città del faraone eretico Akhenaton. La risposta di Lacau è negativa poiché lo stesso Servizio delle Antichità si riserva di scavare in quel sito o di affidarlo a prestigiose Università straniere, ma non certo a un privato.

Si aggiunga a questo che Lacau, respirata l’aria di nazionalismo che soffia, stabilisce che tutti gli oggetti rinvenuti in terra d’Egitto non possano lasciare il Paese.

È così che Carnarvon e Carter debbono accontentarsi (per fortuna, diremmo oggi) di proseguire i propri scavi nella Valle dei Re.

Come sopra detto è tuttavia un periodo di fermento nazionalista e Saad Zaghloul[11], leader del movimento, chiede a Sir Reginald Wingate, rappresentante della Corona britannica, l’autogoverno per il proprio Paese. Per tutta risposta Wingate fa arrestare Zaghloul e, come prevedibile, scoppia la rivolta contro l’occupante straniero[12]. È questo il clima, non certo dei più sereni, in cui i due si accingono a iniziare la propria attività archeologica che, per circa cinque anni, li porterà a semplici e piccole scoperte che, non potendo peraltro essere esportate o vendute, viste le restrizioni di Lacau, non valgono a coprire le spese sostenute da Lord Carnarvon.

Il 1922 volge al termine e Carnarvon, visti i magri risultati delle campagne di scavo, decide di non rinnovare la concessione. Quel che accadde dopo è noto: Carter si offre di pagare la concessione a sue spese per almeno un altro anno e Carnarvon, colpito dalla sicurezza dell’archeologo, si convince a proseguire.

Il 4 novembre, non appena rientrato nella Valle dall’Inghilterra, Carter scopre il primo gradino di una scala e il successivo 20 Carnarvon lo raggiunge. La circostanza di questo provvidenziale ritrovamento è, comunque, sospetta, ma di questo potremo parlare in un altro articolo.

“Cose Meravigliose”

Se il nome “Carter” è in grado di evocare una tra le scoperte archeologiche più importanti della storia, la frase che dà il titolo a questo paragrafo è altrettanto famosa giacché fu il preludio al magnifico tesoro che si celava dietro le porte murate che recavano il sigillo della necropoli.

Tale fu la potenza della scoperta che, in breve tempo e grazie ad altre campagne di scavo che si stavano svolgendo in Egitto, si riuscì a costituire una squadra che comprendesse i migliori esperti nei vari settori; furono così “reclutati” (ma meglio sarebbe dire “prestati”):

Arthur Cruttenden Mace, noto per le sue capacità di conservatore dei reperti anche più fragili, cui si affiancò Alfred Lucas capace chimico alle dipendenze del Servizio per le Antichità[13]; Harry Burton, come Mace dipendente del Metropolitn Museum of Art di New York, venne anch’egli “prestato” ed entrò a far parte della squadra come fotografo[14]; fu quindi la volta di Arthur Callender, amico di Carter, ingegnere ferroviario e disegnatore[15], di Walter Hauser, architetto e disegnatore come Lindsay Foote Hall[16]; Percy Newberry, botanico ed esperto di tessuti antichi[17]; Harry Breasted, laureato in farmacia e solo successivamente dedito all’egittologia[18], filologo e traduttore; ultimo, ma non ultimo, Sir Alan Gardiner, filologo e forse il più grande esperto di geroglifici[19].

Era la prima volta, nella storia della ricerca egittologica e archeologica, che veniva costituita una squadra che oggi definiremmo “multidisciplinare” e di ciò, nonostante comunque i molti errori compiuti, per ingenuità e impreparazione, durante le operazioni di scavo e svuotamento, va dato merito a Howard Carter.

Inutile ripetere, per l’ennesima volta, quale fu la eco della scoperta nel mondo intero. Chi fosse Tutankhamon non era certo ancor noto, e men che meno che si trattasse di un giovanissimo re morto a meno di venti anni… fu così che il buon caro, vecchio, Tut, divenne addirittura il soggetto di una canzone: “Old King Tut was a Wise Old Nut[20].

È bene, tuttavia, rammentare che uno dei più gradi errori di Lord Carnarvon, cui sopra si è fatto cenno e a cui non fu certamente estraneo Carter, specie in quel periodo di particolare fermento nazionalistico in Egitto, fu l’assegnazione dell’esclusiva su tutto ciò che riguardava la KV62, a un unico giornale, straniero: il “Times” di Londra. Si giungeva così al paradosso e, lo ripeto, in un momento particolarmente delicato per i rapporti tra l’Egitto e i “colonialisti”, specie britannici, che il Governo locale, o lo stesso Servizio delle Antichità, potessero avere notizie di quel che accadeva a casa propria solo acquistando un giornale, per di più straniero, e per di più dell’odiato conquistatore inglesse!

Dopo l’”Incidente di Saqqara”, quando Carter aveva rassegnato le dimissioni da Capo Ispettore per l’Alto Egitto, il suo posto era stato assunto da Arthur Weigall e tra i due correva perciò, da lungo tempo, stima e amicizia reciproca. Alla scoperta della KV62, Weigall venne inviato in Egitto come corrispondente del “Daily Mail”; già precedentemente, tuttavia, ben conscio della situazione esplosiva che si stava creando, aveva sottolineato che un grande errore iniziale era stato il non aver notificato al Governo egiziano la data di apertura della tomba. In una sua lettera a Carter aveva scritto[21]:

“…i nativi dicono che in quell’occasione avete avuto l’opportunità di sottrarre milioni di sterline vista la gran quantità di oro di cui avete parlato…

“…avete pensato che il vecchio prestigio britannico fosse ancora presente in questa Nazione e che avreste potuto, più o meno, fare quel che volevate…

Inutile dire che né Carter, né Lord Carnarvon, avevano risposto in alcun modo ai suggerimenti di Weigall, né Carter, addirittura, lo aveva voluto incontrare.

E i nodi cominciarono a venire al pettine quando, il 12 febbraio del 1924, si procedette al sollevamento del coperchio in granito del sarcofago. Per il successivo giorno 13, Carter aveva previsto, come omaggio ai suoi collaboratori, la visita della tomba da parte delle mogli e dei familiari, ma proprio la mattina del 13 febbraio, forze di polizia egiziane bloccarono l’accesso alla KV62 in esecuzione di un Ordine del Ministero che vietava l’accesso alla tomba agli estranei. Carter, ovviamente, cercò di opporsi, protestò veementemente, ma per tutta risposta, il Governo assunse il pieno controllo della tomba esautorandolo da ogni attività.

Fu così che Carter, furioso, partì per gli Stati Uniti per una serie di conferenze ma, anche in questo caso, il suo non facile carattere fece nuovamente capolino: prima di partire per gli Stati Uniti, infatti, diede alle stampe, in Inghilterra, un libricino. Il testo non era destinato al pubblico, tanto da riportare in copertina l’indicazione “Confidential”, e non si conosce neppure il numero di copie prodotte (meno di un centinaio, forse 60-70). Il titolo, semplicemente “Statement”, ovvero “Dichiarazione” [22].

Il libercolo, come si può immaginare oggi estremamente raro, conteneva documentazione a supporto delle motivazioni che lo avevano portato alla rottura con il Governo egiziano, atti ufficiali tra le parti per la suddivisione degli oggetti che sarebbero stati rinvenuti nella tomba di Tutankhamon[23] ma, anche, e senza chiedere il permesso agli interessati, lettere private che Carter aveva scambiato con altri archeologi o conoscenti, e che non la presero poi molto bene anche perché, in qualche caso, determinate dichiarazioni potevano mettere in cattiva luce, in una situazione politica già compromessa, suoi colleghi che ancora eseguivano campagne di scavo in Egitto.

E purtroppo non era ancora finita.

Mentre Carter era in giro per gli Stati Uniti a tenere le sue conferenze, le autorità egiziane decisero di eseguire una perquisizione nella KV4, di Ramses IV, che Carter e la sua squadra avevano utilizzato come magazzino. Qui, “nascosta” in una cassa di champagne, venne rinvenuta una statua lignea che rappresentava la testa di Tutankhamon nascente da un fiore di loto; statua che non risultava inserita tra gli oggetti rinvenuti e che, perciò, venne intesa come pronta per essere asportata illegalmente.

Ma il Governo egiziano era ben conscio che se qualcuno poteva completare lo svuotamento della KV62, questi non poteva essere che Howard Carter. Fu così, che con l’intercessione di Herbert Eustice Winlock, ancora una volta del Metropolitan Museum of Art di New York, le autorità egiziane pervennero a una proposta che prevedeva il reintegro di Carter nel suo incarico, a patto che le spese di scavo e di svuotamento della KV62 fossero sostenute per intero da Carter e Lady Carnarvon (subentrata dopo la morte del marito), che non fosse più avanzata alcuna pretesa su quanto rinvenuto e, soprattutto, che Carter tenesse a freno la lingua e non definisse più i Funzionari egiziani “ladri” e “banditi”.

Occorre dire che Carter rifiutò l’offerta e anzi minacciò di abbandonare l’archeologia?

Figura 7: la copertina di “Simplicissimus”, nota rivista satirico-umoristica tedesca (1896-1967), del 10 marzo 1924, in cui un Tutankhamon alquanto “irritato” caccia a calci, fuori dalla sua tomba, gli inglesi

Nel contempo, alcune copie di “Statement” erano arrivate negli Stati Uniti e in Egitto facendo così scoprire che tra gli autori delle lettere private c’erano Pierre Lacau, con critiche ai Ministeri egiziani e ad altri colleghi, nonché dello stesso Winlock, e il Metropolitan Museum ritenne che tali lettere potessero nuocere all’istituzione.

Nonostante tutto, ancora per vie traverse, il Governo cercava di far rientrare Carter e quest’ultimo, tornato in Inghilterra, si accordò con Lady Carnarvon che, al contrario del marito, non era decisamente molto appassionata di egittologia. Fu così che questa pervenne a un accordo con le autorità egiziane in base al quale: riconoscendo la bravura e l’unicità delle competenze di Carter, si accollava le spese per le ulteriori campagne di scavo fino allo svuotamento della tomba di Tutankhamon. Carter, inoltre, non avrebbe più chiamato “ladri” i funzionari ministeriali. Per “premio” il Governo concesse a Lady Carnarvon, con quale disappunto di Carter è facile immaginare, di poter ottenere eventuali doppioni di oggetti che non avessero avuto valore archeologico o storico.

Carter riapre la KV62

Finalmente, il 13 gennaio 1925 Carter riprende possesso della “sua” tomba KV62; ma la squadra, intanto, è notevolmente cambiata.

Arthur Mace, ammalato, non può prendervi parte; Lindsau Foote Hall ha già lasciato la squadra per contrasti con Carter, cosa che farà ben presto anche Walter Hauser. Nonostante la lunga amicizia, anche Callender, presto lascerà la squadra per dissapori economici[24], e proprio nel momento cruciale, in cui la sua esperienza sarebbe stata utile per liberare la tomba dagli scrigni che egli stesso aveva provveduto, con tanta difficoltà e maestria, a smontare.

Ma l’assenza più pesante di tutte, vista la gran quantità di testi da interpretare e tradurre, era, certamente, quella dei filologi: nel caso di Breasted, che comunque non aveva mai completamente legato con Carter, il motivo del contendere fu la richiesta di cinque fotografie scattate da Burton (peraltro già pubblicate) per un suo lavoro sulla KV62. Carter dapprima negò la concessione e poi la sottopose a pagamento cosa che, vista la piena disponibilità del filologo alle prime fasi della spedizione, venne presa come una grave offesa personale.

Ma ancor più grave, a svuotamento della tomba completato, e quando sarebbe stato finalmente agevole procedere alla traduzione, ad esempio, dei testi contenuti negli scrigni che avevano racchiuso il sarcofago, fu l’assenza del filologo per eccellenza: Sir Alan Gardiner.

Nel 1930, Carter aveva regalato a Gardiner un amuleto, senza però informarlo del fatto che proveniva proprio dalla KV62. Quando Gardiner lo aveva mostrato al Direttore dell’Egyptian Museum, Rex Engelbach[25], questi lo aveva subito riconosciuto come proveniente dalla tomba di Tutankhamon[26]; Gardiner si era perciò sentito, non solo, “tradito” da Carter, ma anche complice, a tutti gli effetti, di un vero e proprio furto. Ovvio che da questo episodio era scaturita una furiosa lite tra i due con l’abbandono del lavoro di traduzione proprio nel momento in cui, come sopra evidenziato, si stava per mettere mano agli scrigni che, nel frattempo, erano stati portati, ed esposti, al Museo del Cairo.

Ed eccoci giunti (quasi non ci speravate più, ammettetelo) al legame tra Tutankhamon e il sex symbol per eccellenza.

Tut, Rudy e la ballerina

Spariti Breasted e Gardiner dal panorama dei filologhi in grado di tradurre una così gran quantità di testi come quelli riportati su tutte le facciate dei tre scrigni d’oro che avevano protetto per quasi tremila anni il sonno del faraone fanciullo, questi, nelle loro polverose teche di vetro al Museo del Cairo, tornarono nuovamente ad “addormentarsi” per altri trent’anni.

Solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, Aleksandr Nikolaevič P’jankov[27], specializzato in traduzione di testi sacri egizi, traduce il “Libro della Vacca Celeste” della tomba di Sethy I.

Il filologo, però, ricorda che proprio sulle pareti degli scrigni di Tutankhamon esiste una versione più completa del testo e richiede perciò a Etienne Drioton, suo insegnante e ora Direttore dell’Egyptian Museum, di poter procedere alla traduzione completa. L’autorizzazione viene concessa e Piankoff procede perciò al suo impegnativo lavoro che ultima nel 1954. Ora, però, bisogna procedere alla pubblicazione del lavoro svolto e chi meglio di …una ballerina?

Vi vedo un po’ stupiti, Natacha Rambova aveva iniziato la sua carriera artistica a diciassette anni, proprio come ballerina, presso l’“Imperial Russian Ballet” diretto, all’epoca, dal ballerino russo Theodore Kosloff[28], di cui divenne l’amante. Verrebbe spontaneo pensare che fosse più che naturale, per un autore russo, ottenere l’edizione a cura di una editrice russa… ma, in realtà, la Rambova si chiamava Winifred Kimball Shaughnessy, ed era nata a Salt Lake City nel 1897.

Mandata a studiare in Inghilterra dal ricco patrigno, l’industriale dei cosmetici Richard Hudnut (1855-1928), era poi fuggita in Russia per seguire la sua passione per la danza.

Qui aveva cambiato il proprio nome in Natacha Rambova ed era riuscita a essere ammessa all’Imperial Ballet. Trasferitasi negli Stati Uniti, a Los Angeles, nel 1917, anche a causa della Rivoluzione intanto scoppiata in Russia, iniziò ad insegnare danza presso la scuola aperta da Kosloff che, nello stesso periodo, entrava nel mondo del cinema, tanto da meritare una “stella” sulla Walk of Fame di Hollywood. Già all’epoca, la Rambova, produceva scenografie e costumi per film, con la regia di Cecile B. DeMille, interpretati da Kosloff, lasciando però a quest’ultimo la “paternità” del suo lavoro.

Divenuta, poi, amante dell’attrice Alla Nazimova[29], la Rambova si legò al mondo del cinema, in prima persona stavolta, come scenografa e costumista per il grande regista Cecil B. DeMille (1881-1959), considerato tra i fondatori della “settima arte”.

Nel 1921, la Nazimova Productions, produsse “La Signora delle Camelie” con scenografie in stile Art Decò e costumi della Rambova (questa volta a lei ufficialmente sccreditati). Protagonisti la stessa Nazimova e Rodolfo Valentino[30]. Proprio in quest’occasione, la Rambova e “Rudy” si conosceranno e, nel 1922, si sposeranno in Messico[31].

Grazie all’influenza che ormai la Rambova aveva acquisito nel mondo di Hollywood, assunse la figura di rappresentante esclusiva del marito sia per quanto riguardava i film a cui partecipare, sia per i costumi che avrebbe dovuto indossare e che ella stessa disegnava. Erano inoltre note le sue liti, con registi e produttori, se le parti offerte a Valentino non erano abbastanza importanti. Fu così che, dopo il mediocre risultato del film “Il giovane Rajah” (1922), Valentino, su insistenza della moglie,  abbandonò la “Lasky-Paramount” e tornò, con Natacha, alla sua primitiva carriera di ballerino professionista. Dopo qualche anno, nel 1924, firmò un contratto con la “United Artists” che, però, esplicitamente escludeva la Rambova da ogni tipo di ingerenza nella vita artistica del marito.   

Si rende necessario, a questo punto, un piccolo passo indietro per chiarire che già ai tempi della frequentazione con la Nizimova, e con il suo entoruage di artisti e intellettuali, Natacha si era avvicinata all’esoterismo, alle culture orientali e, con maggior assiduità e passione, all’egittologia. Mentre il rapporto con Rodolfo Valentino cominciava a “scricchiolare” e i molteplici impegni cinematografici come costumista e scenografa le consentivano di dedicarsi alla sua passione, s’immerse sempre più nei suoi  variegati interessi che spaziavano non solo nel tempo, ma anche nel mondo antico[32].

Fu così che raccolse testi, fotografie, oggetti, disegni, dipinti non solo di provenienza egizia, ma anche dalla Mesopotamia, dall’India, dall’Italia, dalla Grecia, dalla Cina, dal Tibet, dalla Cambogia, dal Messico, dal Perù, dall’Irlanda e dall’Inghilterra, coprendo un arco temporale dal quarto millennio a.C. al XIX secolo.

Lasciato il mondo del cinema dopo il divorzio con Valentino, la Rambova (Rudy era intanto morto nel 1926 per un attacco di peritonite) si trasferì in Spagna dove sposò, nel 1934, Alvaro de Urzaiz[33], un nobile spagnolo. 

Nel 1936 Natacha effettuò un lungo viaggio in Egitto, durante il quale conobbe e frequentò Howard Carter, affinando la sua passione per l’egittologia prima di rientrare definitivamante negli Stati Uniti, nel 1939, dove si dedicò, con particolare passione, alle antiche religioni studiando, per un breve periodo, presso l’University College di Londra con Stephen Glanville[34].

Per quanto non ben noto il suo percorso di studio e collezionistico, sempre più dedicato all’egittologia, la Rambova venne accreditata come “fellowship”, nel 1946, dalla “Bollingen Foundation[35], per i suoi studi di religione e simbologia comparate su piccoli scarabei egizi.

La sua collezione privata, di oggetti, testi, fotografie, conta oggi oltre diecimila reperti che, solo recentemente, sono stati donati alla Yale University che, nell’aprile 2009, li ha esposti in una mostra dal titolo “L’Egitto di Natacha Rambova”. L’Archivio della Rambova è oggi conservato presso la stessa Università.

Ma torniamo ad Alexander Piankoff che così, nel 1955, dà alle stampe, edito da Natacha, Rambova, “The Shrine of Tut-Ankh-Amon”.

Già nel 1949 la Bollingen Foundation aveva aderito a un progetto della Rambova, per la durata di due anni, diretto da Piankoff. Tale progetto consisteva nella pubblicazione di alcuni importanti monumenti da inserire nella “Bollingen Series Egyptian Religious Texts and Representations”.

La Rambova editò, nel 1954, i primi tre volumi della serie che riguardavano la traduzione di testi della tomba di Ramses VI. Fu quindi la volta, nel 1955, di “The shrine of Tut-Ankh-Amon” e, nel 1957, di “Mythological Papyri”. La stessa Rambova contribuì, in quest’ultimo lavoro, con un suo capitolo intitolato “The Symbolism of the Papyri”. La qualità delle fotografie di monumenti e papiri contenuti in tale testo restano impareggiabili per qualità e sono ancora oggi considerati valido riferimento per lo studio della religione egizia.

E qui, direi che questo lungo articolo possa concludersi sperando di avervi annoiato il minimo indispensabile; forse il richiamo iniziale a Rodolfo Valentino vi aveva fatto sperare in qualcosa di più intrigante, o magari piccante, ma come avete visto, la storia ha sempre in serbo sorprese anche quando, e dove, meno te l’aspetti. Avreste mai pensato a una ballerina editrice ed egittologa?

Siamo partiti da un burbero Carter, dalle sue vicende e dai suoi contrasti con chi, forse, avrebbe meritato ben altro trattamento per la passione che aveva messo nelle sue attività di scoperta della KV62, per passare alla vicenda politica, e scivolare poi un po’ nel gossip e finalmente in pagine della storia della “scoperta del secolo” decisamente poco note.

A ben guardare, ad Howard Carter va certamente il grande merito, non solo di aver scoperto l’ultima dimora di Tutankhamon, ma anche quello, per la prima volta, di aver operato scientificamente, con una squadra che oggi definiremmo ,senza ombra di dubbio, multidisciplinare. Eppure, la scoperta di KV62 fu segnata per decenni da una sorta di oblio, di disinteresse, per tutto ciò che esulava dall’ammirazione pura dei tesori e delle suppellettili del faraone fanciullo esposti nei Musei. Come sopra visto, perché si giungesse a un lavoro organico per la traduzione dei testi si dovranno attendere oltre trent’anni e solo in tempi recentissimi l’attenzione si è spostata dal “quel che non c’è”[36] per focalizzarsi sulla conoscenza più approfondita possibile di quanto c’è, ed è stato rinvenuto nella tomba più piccola, ma anche più ricca, della Valle dei Re. La storia, fondamentalmente, non si fa solo con la traduzione di testi e papiri.

15/07/2023                                                                                  Giuseppe Esposito     


[1]    Samuel Paul Carter si guadagnava da vivere quale validissimo disegnatore dell “Illustrated London News”, nonché come pittore di agiati committenti inglesi. La rivista, nata nel 1842, annoverava tra i suoi autori nomi del calibro di Robert Luis Stevenson, Joseph Conrad, Arthur Conan Doyle, Rudyard Kipling e Agatha Kristie.

[2]    La capacità di Carter nel disegnare e nel dipingere, nonché di variare lo stile, a seconda dei soggetti da trattare, può essere rilevata dalle illustrazioni che realizzò per la “History of Gardening in England”, scritta da Alicia Amherst, figlia del Lord ed esperta in giardinaggio. Si tratta di immagini che, pur’ essendo disegni, sono di definizione quasi fotografica.

[3]    A circa 20 Km dalla moderna città di Minya (250 km a sud del Cairo), la necropoli di Beni Hasan è costituita da quasi mille tombe risalenti alle dinastie del Medio Regno (XI-XII), ma anche a dinastie più antiche risalenti all’Antico regno e al Primo Periodo Intermedio.           

[4]    Bob Brier, “Tutankhamun and the Tomb that Changed the World”, Oxford University Press, 2023, p. 27.

[5]    Djehutihotep, Nomarca del XV nomo dell’Alto Egitto, detto “della Lepre”, durante i regni di Amenhemat II (~1890 a.C.), Sesostri II (~1880 a.C.) e Sesostri III (~1850 a.C.), tutti della XII Dinastia,     

[6]    Brier, citata, p. 29

[7]    Nel 1894 Petrie inizia gli scavi a Naqada; in ognuna delle sepolture scavate (oltre duemila), Petrie rinviene suppellettili ceramiche lavorate a mano, non al tornio, che assume proprio quale elemento di catalogazione e di datazione delle sepolture, non solo di Naqada in senso stretto, in un metodo detto di “datazione sequenziale”. Individua, così, oltre 700 tipi di ceramica differenti che raggruppa in nove classi contrassegnate da lettere dell’alfabeto: B (Black Topped); P (Polished red); F; C (white Cross); R (Raw); L (Late); D (Dark); W (Wavy); N (Nubian).

[8]    La KV35 fu una delle prime tombe della Valle che, nel 1903, venne raggiunta, per opera di Carter, dalla luce elettrica.

[9]    Brier, citata, p. 34.

[10] È da tener presente che la KV46, prima della scoperta della tomba di Tutankhamon, KV62, era la prima rinvenuta intatta.

[11]  Saad Zaghlul (1858-1927), fu Ministro della Pubblica Istruzione nel 1906. Ministro della Giustizia nel 1910 e Primo Ministro dell’Egitto nel 1924. Arrestato, come sopra visto, nel 1918, fu liberato nell’aprile 1919 anche a seguito di violente proteste che comportarono l’uccisione di oltre ottocento egiziani. Arrestato nuovamente nel 1921 viene deportato prima ad Aden e poi nelle Seychelles. Liberato nel 1922, viene nuovamente arrestato e deportato, a Gibilterra, nel 1923; subito liberato per le pressioni popolari, viene eletto Primo Ministro nel 1924, carica che dovrà abbandonare lo stesso anno per le forti pressioni del Re, a sua volta sollecitato dagli inglesi. Nel 1926, a un anno dalla morte, viene eletto Presidente del Parlamento egiziano. Una menzione particolare merita la moglie di Zaghluli, Safiya Mustafà Fahmi, militante femminista, che cercò di porre fine alla condizione sottomessa delle donne nel Paese e che, per questo, venne soprannominata Umm al-Misriyyin, ovvero “Madre degli egiziani”.

[12] Brier, citata, p. 55.

[13] Considerando le pessime condizioni delle suppellettili, Carter, in origine, aveva stimato la possibilità di perderne tra l’80 e il 90%. Tale fu la bravura della coppia Mace-Lucas che, invece, dell’intero patrimonio della KV65, solo lo 0,25% non fu possibile salvare dalle pessime condizioni di rinvenimento. Per la prima volta, nella storia dell’archeologia, una squadra di scavo comprese anche un chimico.

[14] Durante un periodo di sospensione degli scavi, Burton frequentò a Hollywood, un corso per l’uso della cinepresa e a lui si deve forse l’unica ripresa video di Carter e Mace mentre portano alla luce del sole uno dei reperti della KV62.

[15] A lui, tanto amico di Carter da essere tra le quattro persone presenti al primo accesso alla KV62, si deve lo smontaggio degli scrigni che circondavano il sarcofago del re nella camere funeraria.

[16] Entrambi, per contrasti con Carter (a proposito del caratteraccio a cui ho accennato all’inizio di questo articolo), lasceranno la spedizione; nel caso di Foote Hall, dopo aver ultimato i disegni della sola Anticamera.

[17] A lui e ad Essie (sua moglie) si deve il recupero dei tessuti rinvenuti nella tomba, ivi compreso il grande velo che ricopriva gli scrigni della camera funeraria. Per inciso, fu proprio Percy Newberry ad “accompagnare” il giovanissimo Carter nel suo prima viaggio per l’Egitto a diciassette anni.

[18] Fu il primo statunitense a laurearsi in egittologia e il primo ad essere titolare, nel 1905, della cattedra di Egittologia presso l’Università di Chicago; suoi erano, prima del 1922 gli unici due testi di storia dell’Antico Egitto: “Ancient Records of Egypt” (in 6 volumi) e “History of Egypt” (600 pagine), in cui allo sconosciuto Tutankhamon era riservata solo meno di mezza pagina. Per undici anni viaggiò, da solo, per l’Egitto per tradurre testi nei luoghi più nascosti e spesso pericolosi.

[19] L’ “Egyptian Grammar”, pubblicata nel 1927, è oggi considerata ancora la Bibbia per gli studiosi di geroglifici. Anche in questo caso il rapporto tra Gardiner e Carter non fu mai idilliaco tanto che Carter, riferendosi a Gardiner, ebbe modo di dire “più lo conosco e meno mi piace”. Tale rapporto, non ideale, sarà alla base proprio del collegamento tra Tutankhamon e Rodolfo Valentino che dà il titolo a questo articolo.

[20] Brier, citata, p.64. Testo di Roger Lewis (1885-1948), musica di Lucien Denni (1886-1947) e cantata da Leo Fitzpatrick (per chi fosse curioso di ascoltarla: https://m.youtube.com/watch?v=-wCze__MSZs).

[21] Brier, citata, p. 78 (traduzione dall’inglese dell’autore).

[22] Brier, citata, p. 80.

[23] L’art. 9 dell’accordo prevedeva che gli oggetti rinvenuti in una tomba “intatta” sarebbero stati proprietà esclusiva dell’Egitto, ma lo scontro verteva proprio sul concetto di “intatta”. Poiché la KV62 era stata oggetto di ruberie nel corso dei millenni, poteva ritenersi tale? L’art. 10 precisava, infatti, che se la tomba non fosse stata intatta, il Servizio delle Antichità avrebbe avuto diritto di scelta degli oggetti da trattenere (per valore storico e archeologico) e avrebbe concesso la possibilità di suddividere i restanti.

[24] Carter aveva concordato per Callender una paga di 50 £ a stagione; quando la seconda stagione era terminata prima del previsto, per i citati screzi con il Governo, Carter si era rifiutato di pagare se non la percentuale per il periodo effettivamente svolto. Si era quindi sollevata una causa legale che vedeva contrapposti gli ormai ex- amici.

[25] Reginad “Rex” Engelbach (1888-1946), autore, tra gli altri, di “The Aswan Obelisk” (1922), sull’”incompiuto di Aswan”, e di “The problem of the obelisks” (1923) sui metodi di innalzamento degli obelischi. Fu direttore del Museo Egizio del Cairo e il suo nome è legato alla prima catalogazione di tutti i reperti ivi musealizzati.

[26] Brier, citata, p. 127.

[27] Alexandre Piankoff (1897-1966), allievo a Parigi di Kurth Sethe (1869-1930) e Adolf Erman (1854-1937), si diploma in turco, arabo e farsi, conseguendo poi il dottorato in filologia con Etienne Drioton (1889-1961). A lui si devono le traduzioni dei testi più importanti della religione egizia: “Libro delle Porte”; “Libro dell’Amduat”; “Libro delle Caverne”; “Le Litanie di Ra”; i libri “del giorno” e “della notte”, “Libro delle Vacca Celeste”.

[28] Fëdor Michajlovič Koslov (1882-1956), ballerino, attore, coreografo. Raggiunti gli Stati Uniti nel 1917 conobbe Cecil B. DeMille che gli fece firmare un contratto. Il primo film, con scenografie e costumi di Natacha Rambova (ma entrambe accreditate allo stesso Koslov), fu “L’ultima dei Montezuma”.

[29] Alla Nazimova, pseudonimo di Marem-Ides Adelaida Jacovlevna Leventon (Jalta 1879-Los Angeles 1945). Notoriamente lesbica, si circondò di giovani attrici esordienti; colpita dalla personalità e dalle capacità di Natacha Rambova, la fece entrare nel mondo del cinema come scenografa e costumista del film “La Signora delle Camelie” (1921) e “Salomè”, tratto dal testo di Oscar Wilde (1923)

[30] Rodolfo Pietro Filiberto Raffaello Guglielmi (Castellaneta 1895- New York 1926), raggiunse l’America nel 1913 e iniziò la sua carriera come “taxi dancer”, ovvero come partner a pagamento. Trasferitosi a Hollywood, fu assunto come comparsa prima di diventare protagonista del film “I quattro cavalieri dell’Apocalisse” (1921) con cui iniziò la sua folgorante, ma breve, carriera di attore.

[31] Il matrimonio avvenne a Mexicali il 14 marzo 1922, ma dopo otto giorni, Rodolfo Valentino che aveva divorziato dalla moglie precedente, l’attrice Jean Acker, verrà arrestato per bigamia. Per la legge americana del tempo, infatti, un divorziato poteva contrarre un altro matrimonio solo dopo un anno dall’avvenuta sentenza.

[32] Tra il 1942 e il 1943 scriverà articoli, considerati di ottimo livello, per la rivista statunitense “American Astrology” spaziando dalla fisica alla metafisica, alla cosmologia, all’alchimia, alla mitologia, alla teosofia, al simbolismo comparato.

[33] Di fervente fede franchista, i due rischieranno la fucilazione durante la Guerra Civile Spagnola (1936-1939).

[34] Stephen Ranulph Kingdon Glanville (1900-1956), egittologo, insegnò all’University College dal 1935 al 1946 e all’Università di Cambridge dal 1946 al 1956. 

[35] Bollingen Foundation, fondata nel 1945, era una casa editrice universitaria che cessò la sua attività, dopo aver pubblicato oltre 250 testi, nel 1968. I titoli divennero proprietà della Princeton University Press.

[36] In un’intervista alla BBC del 1949, Alan Gardiner ebbe a sottolineare come la scoperta della tomba di Tutankhamon avesse aggiunto “ben poco alla nostra conoscenza della storia del periodo” (N. Reeves, “The Complete Tutankhamun”, ed. 2022, Thames & Hudson, p 15)

Curiosità, Vita quotidiana

DANZE DELL’ANTICO EGITTO

e danze del ventre

Di Livio Secco

Parlando dell’antico Egitto, soprattutto con chi ci è andato, mi viene spesso domandata la veridicità della danza del ventre che si può vedere nei locali predisposti SOPRATTUTTO PER I TURISTI.

In merito all’argomento, dopo una ricerca, ho scritto una conferenza che è diventata il Quaderno di Egittologia nr 12 PASSI, MOVENZE E RITMI PER IL FARAONE – La danza nell’antico Egitto che gli interessati possono trovare qui: https://ilmiolibro.kataweb.it/…/passi-movenze-e-ritmi…/

Per i più curiosi lascio la suddivisione delle diverse tipologie di danze che sono state riconosciute dagli egittologi.
In blu sono identificate quelle eseguite in situazioni domestiche per puro divertimento familiare.
In rosso sono elencate quelle che venivano esibite in pubblico per motivi cultuali, celebrativi e funzionali.

Ritornando al titolo del post posso dirvi che:

PRIMA DIAPOSITIVA: L’Egitto è sempre stato un paese molto conservatore basti pensare che nella sua storia lunga trenta secoli il sistema politico è sempre rimasto lo stesso ed ha influenzato così pesantemente i suoi conquistatori da averli presto fatti allineare alle proprie usanze. Pertanto molte usanze odierne rispecchiano, più o meno coscientemente, usanze che hanno millenni.
Danzare e ballare, indipendentemente dalla professionalità degli artisti, era indubbiamente importante dal punto di vista celebrativo per gli egizi. Oggi come allora sembra che sia sufficiente un tamburo oppure una superficie piatta sulla quale qualcuno possa segnare il ritmo, ed ecco che la gente inizierà a ballare.
C’è la possibilità di scoprire se le danze dell’Egitto odierno hanno delle gestualità ereditate da quello antico?
Nel 1935 Irena Lexova, figlia di un famoso egittologo cecoslovacco, František Lexa, ne fece un argomento di ricerca che venne riedito più volte.

SECONDA DIAPOSITIVA: se da un lato c’è un forte interesse a ricostruire le coreografie egizie leggendo i rilievi e i dipinti tombali, dall’altra c’è la constatazione che i personaggi raffigurati sono spesso dei giganteschi determinativi del testo che è scritto sulle pareti.
Questo vuol dire che gli artigiani hanno rappresentato quei movimenti e quei passi che erano più facili da disegnare e più conformi ai canoni che, ricordiamo, erano tutt’altro che ritrattistici.
Come abbiamo già visto nella TT38 di Djeserkaraseneb e nella TT75 di Amenhotep Sise, molti temi venivano ripetuti seguendo dei modelli soffocando la libertà e la spontaneità dell’artista e riducendolo ad un comune artigiano.
Alla Lexova, che cercava di riprodurre le antiche coreografie, non piacevano le danze dell’Egitto degli Anni Trenta.
Nei suoi scritti respinge ogni somiglianza tra le danze moderne e quelle antiche.
D’altra parte anche a noi sembra che la forma attuale, che noi chiamiamo, danza del ventre sia lontanissima da quella del Nuovo Regno e strizzi un po’ troppo l’occhio all’aspetto commerciale.

La conclusione viene da sé: la danza del ventre sarà curiosa, divertente e “appetitosa”… ma con l’antico Egitto non è afferente assolutamente in nulla.

TERZA DIAPOSITIVA: Una delle raffigurazioni di danza più disinibite sopravvissute dall’antico Egitto include ballerini di coppia.

In questo caso diciamo proprio ballerini perché la scena raffigurata risulta molto libera anche relativamente alle espressioni dei protagonisti. Più che una danza funeraria sembra un ballo festivo domestico.

La scena originariamente proveniva dalla tomba di lntef (Secondo Periodo Intermedio, 1550 a.C. circa) ubicata a Dra Abu el Naga, sulla riva occidentale di Luxor. Oggi il reperto parietale è conservata all’Ashmolean Museum, di Oxford.

Il rilassamento del rigido controllo dello stato che si verificava sempre durante un Periodo Intermedio, quando il governo centralizzato diventava vacante, ha permesso all’artista (non più artigiano) di rappresentare liberamente l’evidente godimento da parte dei ballerini delle loro prestazioni.

Nelle immagini: Petrie nel 1909 trova un pozzo quadrato di circa 6 metri all’estremità nord di Dra Abu el Naga che è risultato parzialmente dipinto. Petrie lo ha fatto risalire alla XVII Dinastia.

I TERMINI

Sfogliando il mio Dizionario Egizio-Italiano troviamo un certo numero di lemmi che sono stati usati per descrivere il verbo ballare o danzare, il più comune è “ibȜ“.

Sono usati anche altri termini che sembrano descrivere danze oppure dei movimenti specifici di danza.
Questi lemmi sono usati nelle didascalie dei dipinti o dei rilievi parietali, ma, purtroppo, non ci dettagliano ulteriormente la natura dell’evento in questione.
Per fortuna sia nei documenti amministrativi che nella letteratura esistono dei riferimenti occasionali o casuali che ci permettono di indagare in merito alla danza e ai danzatori nell’antico Egitto, facendo così luce sulla vita e sulla professionalità di questi antichi artisti.

Nella cultura popolare la danza era qualcosa che la gente considerava scontata e comune, perciò è stata raramente descritta e documentata quanto invece più volte raffigurata.
Questo, naturalmente, non è univoco per l’Egitto nell’antichità, i riferimenti alla danza in Egitto dal periodo bizantino al XVIII secolo sono scarsi ma questo non significa che essa abbia cessato di esistere.

Per facilitare chi volesse pronunciare i lemmi senza aver studiato i geroglifici ho aggiunto la pronuncia secondo il codice IPA.

Ugualmente lascio qui il link per trovare il Dizionario Egizio – Italiano: https://www.amazon.it/Diziona…/dp/8899334129/ref=sr_1_3…

ATTENZIONE: il grosso punto nero, nelle immagini del Dizionario, separa diverse varianti grafiche dello stesso lemma.

Curiosità, Scrittura

HOLLYWOODIOZIE

A cura del Docente Livio Secco

CLEOPATRA (1930 e 1963)

Così Hollywood immaginava Cleopatra nel 1930 (Claudette Colbert, la grande attrice dell’epoca).

Ce lo vogliamo perdere il reggiseno di Cleopatra? Peccato che sia stato brevettato in America giusto sedici anni prima nel 1914 per la richiesta di Caresse Crosby (1891-1970) una scrittrice.
Nella foto di sinistra, l’attrice indossa la corona SPOGLIA DI NEKHBET (credibile, importantissima corona femminile). Comunque l’aggiunta delle corna hatoriche, con tanto di disco solare, sono un’assoluta fantasia.
A destra, invece, sembra indossare un accessorio che avrà sicuramente acquistato a CORTINA durante le sue gite essendo appassionata di sci di fondo…

Ovviamente mi è venuto in mente il film Cleopatra del 1963 per la regia di Joseph L. Mankiewicz e, soprattutto, alcune scene che mi fanno venire ancora adesso i brividi.
Non possiamo certo pretendere che un regista sia anche uno storico perfetto, ma da qui ad inventare situazioni, eventi, usi e costumi però ce ne passa.
Anche perché lo spettatore, che non sa, da credito alle situazioni viste sullo schermo dimenticandosi che, al 99,999999%, si tratta di spettacolo e non di cronaca archeologica.


Esempio.
Nei film, nelle docufiction, nei fumetti, nelle illustrazioni, eccetera, spesso viene presentato il faraone sul trono al cui cospetto compare il consueto postulante, cortigiano o diplomatico straniero.
Il sovrano egizio, ovviamente, lo riceve seduto sul trono con due oggetti in mano che, non si capisce perché, il regista gli fa tenere incrociati sul petto. È il caso della prima immagine che allego la quale mostra Cleopatra-Taylor nella classica postura che tutti ormai visualizziamo.


Qual è il problema?
La posizione con lo scettro heka e il flagello nekhekh incrociati sul petto è una POSTURA FUNERARIA.
Nessun sovrano d’Egitto si sarebbe mai mostrato in quel modo a chicchessia perché equivaleva a dire che era morto.
Quel tipo di postura la formavano i sacerdoti addetti alla mummificazione una volta che il corpo del sovrano doveva essere inumato.
Ma ad essere sinceri c’è una seconda stupidaggine dentro alla prima stupidaggine.
Quel tipo di postura funeraria era MASCHILE.
La regina, quando veniva inumata, assumeva altre posture. Ad esempio: durante la XVIII dinastia spesso le regine venivano mummificate con il braccio sinistro piegato a 90 gradi sotto il seno mentre il braccio destro veniva allungato sul fianco.

Dello scettro heka vi do le sei grafie più usate. La sua traslitterazione è HqA, la pronuncia IPA è [heka] e rappresenta il bastone con il quale si gestiva un gregge. Il faraone era anche identificato con la locuzione “Il buon pastore”. Dove l’avete già sentito questo modo di riferirsi ad una persona?
In ogni caso nel Medio Evo esso si allunga e diventerà il pastorale vescovile.



L’altro scettro è il flagello nekhekh. Si tratta di un correggiato, cioè di uno strumento che i contadini usavano per trebbiare il cereale (orzo, farro) percuotendolo con un bastone. Esso era formato da un’asta lunga (manfanile) collegata ad una, o più, corta (calocchia). Il collegamento tra queste parti era disposto con nodi o con parti in pelle (corregge) per fare in modo che il giunto fosse in qualche modo snodato o comunque mobile.
L’oplologia ci spiega che nel Medio Evo il correggiato darà origine al mazzafrusto, arma che si dava ai sottufficiali, e non ai fanti, tanto era difficile da usare.
Dello scettro derivato dal correggiato vi do quattro grafie diverse e ben tre pronunce alternative che si ritrovano nella lingua egizia. Si traslitterano: nxAxA, nxx, nxxw, si pronunciano: [nekaka, nekek, nekeku].
Può essere utile consultare il primo Dizionario Egizio – Italiano scritto in geroglifico: https://www.amazon.it/Diziona…/dp/8899334129/ref=sr_1_1…

EXODUS – Dei e re (2014)

Nessuno pretende che un regista sia un perfetto storico del periodo a cui fa riferimento con il suo film.
Però si può pretendere che non deformi la realtà nonostante sia evidente che, per motivi contingenti ai tempi narrativi, certe sintesi vadano accettate.
Diversamente restano registi di poco spessore, almeno per me.
Non fa eccezione Ridley Scott.
Ho ancora negli occhi le prime immagini de IL GLADIATORE (2000) dove il nostro eroe combatte una battaglia con tanto di catapulte usate come artiglieria campale.
Assolutamente no!
L’oplologia ci insegna che, per i Romani, le catapulte erano esclusivamente macchine ossidionali.

La corona di Ramesse II

Ma veniamo all’Egitto.
Il nostro regista si cimenta nella narrazione biblica con il titolo EXODUS – Dèi e re (2014).
Devo ammettere che sono riuscito a vedere giusto i primi minuti del film. Dopodiché, avendo esaurito il mio TMCC(*) mi sono dedicato ad altro.
Nel mio testo ALLA TESTA DEL RE – LE CORONE NELL’ANTICO EGITTO (QdE11) (https://ilmiolibro.kataweb.it/…/623283/alla-testa-del-re/) cito anche la corona chiamata SPOGLIA DI NEKHBET. Questa era un’arcaica divinità a forma di avvoltoio (da non confondere con Mut). Guardate l’immagine dell’intestazione attuale della Community: è proprio lei, Nekhbet, tra gli artigli tiene il geroglifico Snw [ʃenu], l’anello di corda che, deformato dal nome del re, diventa un cartiglio.
In estrema sintesi, Nekhbet divenne protettrice dell’istituzione monarchica. Infatti la troviamo spesso raffigurata ad ali spiegate sul re proprio a scopo tutelare.
Come abbiamo già discusso in un post precedente, sull’Egitto regna un uomo, ma è per discendenza femminile che passa il consenso al suo governo. Ecco perché, molto spesso, sovrani senza sangue reale sono riusciti a salire al trono sposando principesse reali (due esempi per tutti: Thutmose I e Ay).
Ben presto questo consenso femminile all’autorità del re venne magnificato con una specifica corona femminile che rendesse simile la regina consorte alla dea Nekhbet.
E quale era la sua forma?
Esattamente una spoglia di avvoltoio che cingeva la testa della sovrana, indubbiamente, a mio vedere, la corona femminile più bella che sia mai stata ideata nella storia dell’Uomo.

Ve la mostro nella prima immagine tratta dalla tomba KV66 di Nefertari, la celeberrima regina di Ramesse II.
Nella seconda immagine vi mostro una diapositiva della mia conferenza relativa alle corone con un quadro di Pauline Battel. Decisamente un’immagine molto suggestiva.


Nella terza immagine, invece, potete vedere l’idiozia hollywoodiana. Ramesse II si avvia ad una spedizione militare indossando niente meno che la corona femminile per eccellenza.

Non commento ulteriormente.

(*) TMCC=Tempo Massimo Cretinate Cinematografiche.

Mosè a cavallo ed i fanti egizi

Con una sola foto altre due meraviglie.

1. Nell’immagine vedete Mose a cavallo circondato da fanti egizi. Tutti i fanti portano sulla testa il classico copricapo formato da una stoffa piegata opportunamente. Meno male che non hanno messo le DUE SIGNORE (l’avvoltoio Nekhbet e il cobra Uto) sulla fronte dei soldati.
Dov’è il problema?
La nemes, il copricapo in questione, è una corona. E quindi la indossa solo il sovrano. Invece a Hollywood la mettono sulla capoccia di tutti.

2. Ma l’altra scemata l’avete vista?
Mose è saldo in sella perché ha i piedi nelle staffe.
Peccato che le staffe arriveranno in Europa, e quindi in Africa, non prima dell’VI secolo d.C. portate dagli Avari.
D’accordo, gli attori non sanno cavalcare a pelo, però gli Egizi a cavallo proprio no! e con le staffe no! no!

Le armi

ARMI 1 – L’arma messa in evidenza non appartiene al XIII secolo avanti Cristo. Il profilo della lama è indubbiamente Alto Medievale.
Il copricapo di Mosé è una delle varianti della Khepresh. Ha dimensioni ridotte, lo stesso colore azzurro e reca sulla fronte la dea Uto. Assolutamente errato: è una corona del sovrano regnante.
Per misericordia sorvolo sull’impennaggio della freccia in mano al nostro eroe. Di quelle dimensioni e con quelle fattezze funzionerebbe più come freno aerodinamico piuttosto che un sistema direzionale per mantenere la traiettoria di tiro.
Da tenere a mente le dimensioni della spada appesa al fianco.

ARMI 2 – L’arma in mano al nemico non appartiene al teatro asiatico africano del secondo millennio avanti Cristo. Decisamente no. Prosegue alla prossima nota.

ARMI 3 – Ingrandimento dell’arma precedente. In Italia si chiama martello d’arme, per gli anglofoni “warhammer”. È un’arma fondamentale per la cavalleria medievale. Quando il nemico si presentava con l’armatura a piastre una possibilità di abbatterlo era usando il martello. L’arma è dotata di “penna” (la parte a punta, se curva si chiama “becco”) che serve per perforare le piastre nel tentativo di uccidere il nemico. Nella parte opposta c’è la “bocca”, una parte evidentemente contundente, che serve per rendere inoffensivo l’avversario per catturarlo vivo e prigioniero allo scopo di ottenere un riscatto. Ripeto: arma medievale.

ARMI 4 – Ma li avete visti gli schinieri (l’elemento dell’armatura che protegge la parte anteriore della gamba) di Ramesse? A me non risulta che gli antichi Egizi li usassero. Anche se è documentato qualche uso sporadico precedente, li si nota soprattutto in Grecia, quasi sempre con il solo esemplare destro, più raro il sinistro. Nelle formazioni compatte della falange greca (e poi macedone) non era raro che il guerriero che ti stava davanti ti piantasse il calcio della dori (la lancia) nelle gambe. Per cui lo schiniere era più usato per pararsi dai commilitoni che dai nemici. Poi l’uso si svilupperà anche con i Romani. In Egitto mai visti. Vabbè che gli Egizi erano avanti, ma non usavano la palla di vetro.

ARMI 5 – Mosé corre con la spada al fianco. La dimensione è eccessiva e mi viene da pensare, rifacendomi a Brad Pitt (Troy) con la corazza di gomma, che la spada di Mosé sia di plastica. Per gli standard dell’epoca è surdimensionata. Inoltre dovrebbe essere di bronzo il cui peso specifico dovrebbe fare in modo che il nostro eroe corra con quasi 4/5 kg di roba dondolante, disassata, squilibrante al fianco. Quando facevo la scorta(*) usavo una Smith & Wesson modello 19 con quattro pollici di canna. Con sei cartucce 357 Magnum raggiungeva un chilo e trecento grammi. Vi assicuro, alla faccia di Starsky & Hutch, che non era facile correre con un peso del genere in una fondina ascellare. Figurarsi appeso alla cintura.
Dietro a Mosé un fante egizio (finalmente correttamente) armato di khepesh vuole finire un nemico atterrato. La cretinata? Lo sta colpendo di punta. La khepesh era esclusivamente un’arma da taglio. Il pomo della khepesh è un’altra mynkios del nostro regista. La khepesh terminava con un uncino ergonomico, non con un pomo. Vedi immagine 7.

(*) Torino 1980-1982. Quando le Brigate Rosse sparavano tutte le mattine.

ARMI 6 – Qui si gioca facile. Mosé impugna la spada sguainata per permetterci di mandare a quel paese Scott e il suo costumista delle armi. La spada gli è stata donata da Sethy I. Dovrebbe essere un’arma egizia. Invece no. La foggia è chiaramente quella di un’arma dei Celti (indoeuropei del V – III secolo a.C.). Il pomo, come già detto, è pura invenzione. Ma volete mettere la lama? Il profilo è quello tipicamente a foglia del gladius hispaniensis, arma che, secondo l’oplologia Scipione porterà a Roma con i fabbri celtiberi. Quindi? Siamo alla Seconda Guerra Punica (quella di Annibale).
La guardia è penosissima, era inesistente. È pura invenzione, come il pomo.

ARMI 7 – Questa è la khepesh di Tutankhamon. Non un’arma egizia, ma mesopotamica. Di evidente origine agricola, visto che è una falce. Gli Egizi, furbacchioni, la adottano e ne fanno un’arma portentosa. Il filo si sposta sulla parte convessa e non concava e aumentano il volume della punta. Se è vero che si perde l’opportunità di colpire mediante una stoccata, è vero che eseguendo un fendente, l’arma acquista maggiore velocità perché giustamente appesantita in punta. È importante questo? Beh, chiedetelo a Einstein. Lui soleva dire che l’energia è il prodotto della massa per la VELOCITÀ AL QUADRATO. Quindi l’energia sviluppata in un fendente era maggiore per la maggiore massa sulla punta della lama. Attenzione: lama comunque in bronzo.
C’è un problema. Con la mano sporca di sudore, coperta di sabbia fine e, perché no, ingrassata dal sangue del nemico, un veloce fendente avrebbe fatto sfuggire la spada dalla mano del militare egizio. A ciò i tecnici misero soluzione con il becco a fondo dell’elsa. ERGONOMIA DEL XIII SECOLO AVANTI CRISTO.

ARMI 8 – Mosé alla carica. Come Custer con il VII Cavalleggeri. Bravi. Bene. Sette più. A parte che la ripresa è al contrario. Mosé impugna con la sinistra pochi secondi prima di arrivare a contatto con il nemico, ma non è un mancino. E che dire dell’arciere (a cavallo?) dietro di lui con l’arma nella destra? È evidente che in fase di montaggio non siano stati molto attenti. Comunque la mynkios dov’è?
Reparti di cavalleria nel XIII secolo avanti Cristo? Impossibile. I cavalli erano … cavallini. Se gli montavi in groppa probabilmente con i piedi quasi toccavi per terra, ma soprattutto gli spaccavi la schiena. Non si sale a cavallo. Ci si fa portare. Le popolazioni Hurrite sull’altopiano iranico inventano il carro da guerra che gli Egizi conosceranno attraverso gli Hyksos. Così come conosceranno i cavalli. Al momento solo al traino. È vero che nelle raffigurazioni di Qadesh c’è un Egizio a cavallo, monta a pelo, ed è sicuramente un messaggero per allertare le unità ad accelerare il soccorso al re.
E comunque c’è il problema che sono tutti staffati. Ma questo lo avevamo già detto in un precedente post.

Non posso approfondire più di tanto, e mi perdonerete perché diventerebbe un’enciclopedia a fascicoli. Confido sulla fiducia che mi darete sulle competenze oplologiche e polemologiche.
Relativamente a queste discipline scientifiche potete approfondire:
OPLOLOGIA – Il soldati del faraone
https://ilmiolibro.kataweb.it/…/i-soldati-del-faraone/
Le fortificazioni egizie: https://www.amazon.it/Confini…/dp/889933417X/ref=sr_1_1…
POLEMOLOGIA – La presa di Giaffa https://ilmiolibro.kataweb.it/…/630053/la-presa-di-giaffa/
La battaglia di Megiddo https://ilmiolibro.kataweb.it/…/storia…/630057/megiddo/
La battaglia di Qadesh https://ilmiolibro.kataweb.it/…/storia-e…/624937/qadesh/

Gli altri anacronismi – in collaborazione con Mattia Mancini, giovane e brillante egittologo italiano.

( 6 ) Mancini ci mette sotto il naso un fermo immagine con la veduta della capitale egizia dove avvengono gli eventi narrati dal film. Cerchiamo di fissare la cronologia. I personaggi storici citati sono Sethy I e Ramesse II (XIX dinastia, Nuovo Regno). Innanzi tutto non si capisce perché questi siano i sovrani sotto i quali è avvenuto l’Esodo. I libri sacri scrivono genericamente di un faraone ma si guardano molto bene dal nominarlo. Quindi non è assolutamente detto che ESODO=RAMESSE II sia un’equazione storica corretta. Andiamo avanti. La capitale nel film è chiamata MENFI, ma durante la XIX dinastia la capitale egizia era “wAst” [Uaset] cioè Tebe (l’odierna Luxor).
Nelle panoramiche della città si vedono alcune piramidi (anche troppe) che con Menfi, in ogni caso, non hanno nulla a che fare. A destra della panoramica si nota anche una piramide a gradoni. Peccato che sia a Saqqara, quindi non visibile da Menfi e comunque appartiene alla III dinastia ed è del re Djoser.
Visto che, forzando la mano, hanno voluto fare la capitale a Menfi e visto che, effettivamente, da Menfi si potrebbe vedere Giza, non si capisce perché hanno messo le piramidi della IV dinastia ma non si veda la Sfinge, anch’essa della IV dinastia. O metti tutti i monumenti o non ne metti nessuno.

( 7 ) Anche per la nuova mynkios rimaniamo in tema monumentale.
Quando Mosè scappa dall’Egitto, dopo aver saputo di essere un ebreo, attraversa il confine orientale. Finalmente si vede la Sfinge. Era ora. Sul confine orientale? A mille chilometri da Giza? E già questa è una bella cretinata. Ma c’è di meglio. La Sfinge è già senza naso. Peccato che il naso sia stato distrutto dagli Arabi nel 1378 DOPO CRISTO cioè venticinque secoli più tardi.

( 8 ) Quando io durante le conferenze tocco il tema dei commerci, descrivo le teorie di asini che si snodavano sulle rotte terrestri, a migliaia. L’asino, come descrivo nel mio testo sulla ruota egizia, ha due gravi problemi: beve tanto e trasporta poco. La gente resta stupita. E perché gli Egizi usavano gli asini?
… Infatti nel film di Scott compaiono i cammelli.
Peccato che i cammelli in Egitto li abbiano portati i Romani dieci secoli più tardi.

( 9 ) Per consolidare nello spettatore il concetto e la soavità di ambientazioni suggestive (come ad esempio gli harem) nel film si vedono passeggiare dei pavoni.
E allora? Naaaaaaaaaaaaaaaaaaa…. I pavoni li porteranno in Egitto i Romani che li conosceranno in India mille anni più tardi.

( 10 ) Tenete duro. È l’ultima mynkios (di oggi). A Ridley Scott è venuto il dubbio che allo spettatore il concetto di deserto, inteso come distesa di sabbia e roccia, non fosse sufficiente per fargli capire l’ostilità ambientale. Nel dubbio che il pagante biglietto (alias pollo da intortare) non riconoscesse il deserto stesso, gli è sembrato valido riprendere cinematograficamente qualche bel cactus. D’altra parte cosa c’è di meglio che far vedere una pianta grassa per capire che quello è un deserto?
Adesso, io non sono un botanico, però mi risulta che i cactus siano originari dell’America.


Per farmi del male (malissimo!) ho deciso di legarmi in modo alfieriano ad una sedia e di costringermi a guardare EXODUS Dèi e re (2014) del nostro ormai amicissimo Ridley Scott.

Dopo 24 minuti sono riuscito a slegarmi e a bloccare la proiezione. Tanto nel frattempo avevo già visto alcune cosette da condividere con voi.

Oggi vedremo soprattutto un episodio importantissimo del film: l’aggressione dell’accampamento Ittita a Qadesh fatto dai carristi Egizi e dalla loro cavalleria FANTASY (ma questo già lo si è scritto).

Vediamo subito due perle storiche, così ce le togliamo di mezzo immediatamente.

A) Per gli egittologi la battaglia di Qadesh avviene nel V anno di regno di Ramesse II, quindi Sethy I, suo padre, era già morto da tempo e Ramesse non era un principe designato alla successione, ma un sovrano a tutti gli effetti.

B) Gli eventi della battaglia, come narro nel Quaderno di Egittologia (QdE12) QADESH-Una battaglia per due vincitori, (che trovate qui: https://ilmiolibro.kataweb.it/…/storia-e…/624937/qadesh/ ) spiego che sono avvenuti esattamente al contrario. All’attacco con una proiezione di carreria c’erano gli Ittiti mentre Ramesse era sulla difensiva attendato con la sua divisione Amon.

Ma come venivano usati i reparti carristi presso l’esercito egizio durante l’Età del Bronzo, cioè il XIV-XIII secolo avanti Cristo?

Guardate la prima immagine. È una diapositiva della mia conferenza I SOLDATI DEL FARAONE – Oplologia e polemologia egizia dalla quale ho tratto il QdE30 che, chi vuole approfondire, può trovare qui: https://ilmiolibro.kataweb.it/…/i-soldati-del-faraone/
La formazione d’attacco della carreria dipendeva dall’obiettivo che doveva aggredire.
In alto vedete i carri egizi impegnare un reparto di fanteria con l’obiettivo non di distruggerlo, ma di disperderlo. La formazione carri attacca in modo puntiforme quindi in colonna con i carri su due file non appaiate, ma disassate a scacchiera. In questo modo la distanza tra due carri consecutivi permetteva al carro seguente di deviare dalla rotta per evitare gli eventuali rottami del carro precedente.
In basso, invece, vedete delle unità carri egizie che attaccano delle equivalenti unità nemiche. In questo caso la formazione è per linee e cerca di coprire tutto il fronte nemico e, se possibile, sorpassarlo per tentare di aggirarlo sulle ali. Stop. Fine.
NON ESISTE NESSUN’ALTRA DOTTRINA MILITARE EGIZIA, TANTOMENO CHE PREVEDA UN ATTACCO CARRI AD UN ACCAMPAMENTO.
Questo sia assolutamente chiaro.
Il cavallo viene considerato un animale tipicamente militare. Ma anche questo è completamente errato. Il cavallo è un animale che si spaventa facilmente e che ha molte paure, tra le quali due fondamentali terrori:
A) spezzarsi le lunghe zampe sottili. Infatti la natura lo ha così dotato perché la sua arma di difesa principale è la fuga, in seconda battuta il calcio (in terza, il morso).
B) il cavallo ha paura degli astili, cioè un lungo bastone lo spaventa a morte.
Nei tornei medievali i cavalli erano pesantemente addestrati per vincere i loro timori innati (nascita del destriero) e soprattutto correvano in lizza con testiere cieche che gli impedivano di vedere cosa avesse di fronte.
I carristi egizi (ma anche quelli Ittiti, ed Hurriti in genere) usavano i carri su pianure e comunque su tratti di terreno assolutamente sgombri. I cavalli, quando vedono un ostacolo, per la loro timida natura lo SCARTANO, lo evitano, solo nei film idioti i cavalli calpestano i cadaveri.
Se siete riusciti ad arrivare fin qui avrete già la vostra conclusione pronta e definitiva:
NESSUN CARRISTA EGIZIO AVREBBE MAI GUIDATO IL PROPRIO CARRO ALL’INTERNO DI UN ACCAMPAMENTO NEMICO.
Dopo pochissimi minuti di combattimento gli strettissimi spazi tra gli attendamenti si sarebbero subito riempiti di rottami, di cadaveri, di tende capovolte ed incendiate, di cordami, di armi in asta spezzate o piantate nel terreno. Una situazione del genere sarebbe divenuta, in brevissimo tempo, una colossale trappola per i carristi con una miriade di carri in forte rallentamento con ingorghi impossibili da districare ordinatamente.
NO. LA SCENEGGIATURA È FALSA COME GIUDA E SI SONO PURE INVENTATI LA SCORRERIA DEI CARRISTI TRA GLI ATTENDAMENTI.

A parte queste quisquilie storiche, che al nostro regista sembrano interessare pochissimo, vediamo cosa c’è di bello ed interessante nella ricostruzione che ci viene propinata della battaglia. Elenchiamo le immagini.

1. Giusto quanto detto. Ripresa a volo d’uccello che ci mostra la carreria egizia in formazione (confusa, casuale, caotica) che sta per entrare nell’accampamento ittita. Immaginate le conseguenze per i primi carri (i più esposti) che si rovesciano per gli equidi colpiti o per gli aurighi caduti…

2. La carreria è quasi a contatto con la prima difesa ittita. Giustamente non c’è nessuna protezione muraria: mica è un castrum romano. Tenete d’occhio la pariglia bianca e la pariglia nera. Quella bianca sta correndo a perdifiato. Non è credibile. Evidentemente davanti a se ha un corridoio nel quale tenta di infilarsi. La pariglia nera, se notate bene la groppa, sta frenando (hanno il posteriore basso), i cavalli sono già spaventati per la linea di scudi e di lance. Sono quasi fermi.

3. PURISSIMA FANTASIA. La pariglia bianca salta l’ostacolo. NO. NON E’ CREDIBILE. Immaginate di andare a Pechino, vi sedete su un risciò e il vostro portatore salta un ostacolo. Cosa farà il risciò con voi sopra? Se la pariglia salta l’ostacolo che fine fanno il carro, l’auriga e l’arciere egizio?

4. Ramesse è a terra. Infatti ci mostra il grazioso regal deretano. Sta per essere investito da un carro ittita. Fino ad ora, per il numero del tiro, abbiamo visto bighe. Una triga è molto rara da vedere anche in epoca classica. Il tiro era sempre pari: 2 o 4 quadrupedi. 3 sono rarissimi e comunque non sui carri Hurriti cioè Ittiti. Sorvoliamo sulle testiere medievali.
“I musei infatti sono stracolmi di testiere egizie ed ittite!”
Le vendono su Ebay perché non sanno più dove metterle. Vanno a ruba nelle pizzerie come porta grissini.

5. Mosè, avvistato il pericolo per il quale Ramesse sta per essere travolto da un carro ittita, raccoglie un’arma da terra per tentare di fermare il veicolo. Cosa raccoglie non si sa.
Per essere una lancia ha un astile troppo sottile e in una scherma con un lancere nemico andrebbe subito in pezzi lasciando il militare disarmato.
Per essere un giavellotto l’astile è diametralmente corretto, ma è troppo lungo, troppo ingombrante, pesante e non bilanciato per un corretto lancio diretto o indiretto.
Diamo per scontato che sia un rottame della tenda vicina per cui questo punto 5 potrebbe anche essere non considerato, ma sulle recensioni si legge che Mosè raccoglie un’arma.

6. E qui c’è il capolavoro FANTASY che più FANTASY non si può.
Mosè, intelligentemente, non usa il pseudo giavellotto contro l’auriga ittita. Infatti, anche se lo avesse abbattuto, il carro avrebbe proseguito per inerzia pure senza guida travolgendo Ramesse.
Allora il nostro genione cosa fa? Il problema, giustamente, è il carro. Lancia il giavellotto contro la ruota del veicolo. È sicuramente un gesto istintivo. Ma ecco il miracolo: un fusto leggerissimo di legno, infilato tra i raggi di un mezzo in corsa, ostacola il movimento di rotazione della ruota bloccandola istantaneamente. Il carro, sbilanciatosi, salta in aria, mancando il principe egizio. Dei cavalli nessuna traccia, misteriosamente volatilizzati. Evidentemente durante l’Età del Bronzo gli astili ittiti erano in tungsteno.
È inutile dire che nella realtà, alla faccia della SOSPENSIONE DELLA CREDIBILITÀ, l’asta sarebbe andata in mille pezzi e Ramesse sarebbe stato sottilettato prima dai cavalli e poi asfaltato dal carro stesso, nel più classico dei finali da LOONEY TUNES.

Vi ricordo che il film ha la pretesa di essere storico, altrimenti non mi spiego come mai, tra gli stipendiati del cast, ci sia nientemeno che un consulente egittologo della Swansea University (Galles, UK), il professor Alan Lloyd.

(12) Questa però è davvero grossa e credo che nessun regista, ignorante o incompetente, abbia mai osato tanto.
All’inizio del film il faraone Sethy I sta svolgendo una riunione con il suo Stato Maggiore per definire il pericolo degli Ittiti. Oltre ai pareri degli alti ufficiali, fra i quali Ramesse e Mosè, chiede anche l’opinione degli dèi a mezzo di una sacerdotessa che è fuori dalla sala (ma sempre all’interno del Palazzo Reale).
Questa è evidentemente un’aruspice.
Prima mynkios: un aruspice donna? A me risulta un clero maschile. Seconda mynkios: un aruspice donna in Egitto? A me risulta che l’aruspicina, cioè l’arte divinatoria che esaminava le visceri degli uccelli (e altri animali) sacrificati allo scopo di interpretare i favori divini sia di origine etrusca.
Giusto qualche secoletto più tardi (facciamo quattro o cinque?) e un po’ più a Nord (facciamo Toscana?).
Ma adesso viene il bello. Sedetevi e tenetevi forte.
Sethy I si avvicina all’ara sacrificale dove c’è sopra quello che sembra un grosso anatide sgozzato e rovesciato.
A parte il fatto che al primo passaggio sono svenuto perché mi era sembrato di aver visto un IBIS. Un ibis sventrato in presenza del re? Nel Palazzo Reale si versa sangue per quanto offertorio?
Poi al secondo passaggio mi sono ripreso perché effettivamente non poteva essere un trampoliere.
In ogni caso: Sethy si avvicina mentre il sangue del povero volatile gocciola all’interno di un bicchiere.
Sethy INTINGE l’indice destro nel contenitore (12a) e si rivolge ad una statua divina dicendo: “Grande Sekhmet, il faraone beve in tuo nome e prega per la vittoria sugli Ittiti a Qadesh!”


Ciò detto si porta il dito alla bocca con la quale da una regal ciucciata (12b).
Olè. E ci siamo inventati IL FARAONE DI BRAM STOKER.
Ma non era Dracula?
Ma sì, faraone, Dracula, cosa vuoi che sia.
Tutti dettagli storici di cui non importa a nessuno.

(13) Dopo la (finta) battaglia di Qadesh i due principi si parlano. Mosè cerca di sdrammatizzare la faccenda di aver salvato Ramesse in battaglia. Questi, a causa di una profezia, l’ha invece presa molto male.
Quando i due si vedono Ramesse è in compagnia di un serpente che posa per prenderne un altro (13a), estrargli il veleno facendogli mordere i bordi un calice (13b), per poi dichiarare serenamente che un po’ di veleno fa bene alla salute.


Evidentemente a Menfi (che poi doveva essere Tebe) andavano di moda i TOXICSPRITZ con pizzette, pistacchi e arachidi.
Ci mancava solo più il mitridatismo.
Scott ha davvero una fantasia sconfinata.
La prima mynkios è il fatto che Ramesse prenda a mani nude un cobra che si è posto in posizione d’attacco (visto che ha le spire della testa completamente dilatate) e non come farebbe una persona normale aiutandosi con un bastone a forma di Y rovesciata.
Ovviamente serve per drammatizzare la scena visto che ad uno spettatore comune normalmente vengono i brividi alla sola vista di ofidi. L’ANSA (2022) cita l’O.M.S. la quale conferma che ogni anno nel mondo 5,4 milioni di persone vengono morse da serpenti: di queste si stima che tra 1,8 e 2,7 milioni finiscano per essere avvelenate, e tra le 81.410 e 137.880 muoiano, mentre le disabilità permanenti sono tre volte tanto.
Che Ramesse fosse un faraone lo sapevo, ma un domatore di serpenti non mi risulta e certamente Togni o Barnum potrebbero farci un pensierino per proporgli uno spettacolino tutto suo nei noiosi e sabbiosi fine settimana a Tebe.
In ogni caso la mynkios non è tanto quella di prelevare l’ofide alla velocità della luce, quanto quella di bere il veleno come se fosse una tirata di coca dell’epoca.
Scott ci prende per stupidi perché lui non sa che noi siamo a conoscenza che il veleno di un serpente (cobra compresi) di solito non è fatale a meno che non arrivi al flusso sanguigno o ai tessuti molli. Questo è il motivo per cui i serpenti hanno le zanne (e non i denti), in modo che possano forare la pelle e somministrare il veleno alle loro vittime direttamente nel flusso sanguigno.
Io non sono un erpetologo, ma so che il veleno dei serpenti è una miscela di proteine che di solito vengono digerite nello stomaco umano rendendo il veleno innocuo.
In conclusione: bere il veleno di un cobra sarà un’azione da MACHO, ma non procura una cippa lippa di niente.
Caro Ridley Scott, sei un pirla e non ci hai fregato neppure questa volta!

Curiosità

L’ALTEZZA DEI FARAONI

Di Patrizia Burlini

Qual era l’altezza dei faraoni e delle regine nell’Antico Egitto?

La determinazione dell’altezza non si basa unicamente sulla misurazione delle mummie a noi pervenute ma anche su dei calcoli derivanti dalla lunghezza della tibia e del femore, correlata all’età alla morte.

Diversi fattori determinano l’altezza ma, tra di essi, i matrimoni tra consanguinei sembrano fornire un’influenza importante.

Un’analisi generale dei dati in nostro possesso rivela che i faraoni sono normalmente molto più alti delle regine. L’ipotesi predominante per questa differenza d’altezza è che le donne basse di statura fossero considerate più attraenti (Pawloski, Stulp).

In nessuna delle coppie reali la regina è più alta del faraone.

La mummia di Ramses I
(foto National Geographic)

Una regina particolarmente alta, dall’analisi dei resti, fu Nefertari, che probabilmente raggiunse un’altezza di 165 cm. (Bianucci et al, 2015) Questo ne fece una donna più alta della media degli uomini del suo tempo ma Nefertari era sposata con uno dei faraoni più alti in assoluto, Ramses II, alto 173 cm quando morì a 90 anni e quindi sicuramente molto più alto in età giovanile.

Riporto qui sotto le altezze calcolate da Robins e Shute di alcuni faraoni e regine:

XVII – XIX Dinastia

  • Seqenenre Taa II: 171 cm
  • Ahmose I: 164 cm
  • Amhenotep I: 177 cm
  • Thutmose II: 165 cm
  • Tuthmose III: 171 cm
  • Amhenotep II: 170 cm
  • Thutmose IV: 165 cm
  • Amenhotep III: 160 cm
  • Scheletro della KV55 (Akhenaton?)167-168 cm
  • Tutankhamon: 169 cm
  • Seti I: 171 cm
  • Ramses II: 175 cm? Incerta
  • Merenpath: 171 cm
  • Seti II: 168 cm
  • Siptah: 167 cm

Di seguito l’altezza di alcune regine:

  • Ahmose-Nefertari (sorella-moglie di Amenhotep I): 161 cm
  • Hatshepsut: 153-155 cm
  • Tiye (moglie di Amenhotep III): cm 145,5
  • Younger Lady (madre di Tut): 158 cm

Fonte: Habicht E, MA, Henneberg M, PhD, Öhrström Lm, MD, Staub K, PhD, Rügli, FJ, MD, Appendix- The mummy Body Height of Pharaohs Supports historical Suggestion of Sibling Marriages, 2015. Academia