Arte, Gioielli

I DIADEMI NELL’ANTICO EGITTO

L’ANTICO REGNO – LE ORIGINI

Fin dall’Antico Regno nei rilievi tombali sono raffigurati personaggi che indossano diademi, ed alcuni di questi meravigliosi oggetti sono stati rinvenuti nel corso degli scavi.

Essi traggono origine dalle fasce di lino e dalle corde che gli Egizi di entrambi i sessi usavano portare sulla fronte annodandoli sulla nuca per tenere i capelli lontani dal viso; in seguito si affermò l’abitudine di infilare tra la fascia e la testa fiori e boccioli di profumata ninfea blu, e le nobildonne indossavano sulle loro parrucche coroncine floreali.

Con il tempo queste fasce e le decorazioni di fiori furono sostituite da copie in materiale prezioso e nacquero così i “diademi”, che avevano un carattere puramente ornamentale; quelli femminili divennero sempre più elaborati, e furono abbelliti con elementi intarsiati raffiguranti ninfee, papiri, stelle, melograni, fiocchi e nastri.

Anche il sovrano portava sulla fronte un semplice cerchietto adornato con un ureo, che gli era riservato in via esclusiva in quanto simbolo del suo potere; esso veniva usato anche con il nemes e talvolta, nelle occasioni formali, poteva essere indossato insieme ad altre corone.

Il diadema più antico giunto fino a noi è quello raffigurato qui sopra, ed è custodito presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna con il numero INV 7529; esso risale all’Antico Regno, più precisamente al periodo compreso tra la fine della V dinastia e l’inizio della VI (2450-2350 a.C. circa) ed è stato ritrovato nel corso della campagna di scavi 1912/13 da H. Junker a Giza, (posizione 316) in una tomba maschile inviolata.

Era in frammenti ma è stato ricostruito in base al posizionamento delle singole parti e grazie alla comparazione con altri reperti analoghi intatti.

Esso imita una semplice fascia di lino, è alto cm. 2,5, con il diametro di cm. 19,5 ed è realizzato con una lamina di rame ricoperta da una foglia d’oro; i grandi bottoni decorativi dai quali si dipartono i nastri laterali (3 cm. di diametro) sono costituiti da un tondo di maiolica marrone circondato da un cerchietto di fango del Nilo ricoperto di lamina d’oro nel quale è incastonata una corniola rosso scuro.

L’utilizzo a scopo ornamentale del diadema è ampiamente documentato nei rilievi tombali e nelle statue dell’epoca che raffigurano personaggi di alto lignaggio; vi sono anche alcune immagini di persone comuni, per lo più barcaioli, che indossano le fasce di lino.

In questa immagine, proveniente dalla mastaba dell’alto dignitario Nikauisesi a Sakkara (VI dinastia), si notano personaggi a bordo di una barca che portano le fasce adornate da fiori di ninfea.

Questa bellissima donna raffigurata a tutto tondo è Nofret, moglie del principe Rahotep, figlio del faraone Snefru e fratellastro di Cheope, vissuta durante la IV dinastia; la sua statua in calcare fu dipinto rinvenuta insieme a quella del marito nella loro mastaba a Meidum ed è ora custodita al Museo del Cairo (quale dei due non so) con il numero di inventario CG4

Questa, invece, è la testa in quarzite che raffigura il faraone Djedefra della IV dinastia, figlio di Cheope e fratello di Chefren, che indossa la fascetta adornata dall’ureo che gli trattiene il nemes; il reperto proviene da Abu Rawash e si trova esposto al Louvre di Parigi (n. di inv. E 12626).

GLI STRANI DIADEMI DELLA NECROPOLI DI GIZA

Una menzione a parte deve essere fatta con riferimento ad un particolare tipo di diadema a fascia adornato da rosoni realizzati in gesso dipinto, o in bronzo, o in stucco e foglia d’oro ritrovato in sei esemplari simili tra loro (tre intatti e tre frammentari) sulla testa di corpi femminili sepolti a Giza in sarcofagi di pietra o di legno all’interno di mastabe risalenti alla V dinastia.

Questi diademi facevano parte del corredo funerario di donne appartenenti all’élite ma non reali, probabilmente sacerdotesse di Hathor e/o di Thoth, forse non erano mai stati indossati in vita e potrebbero aver rivestito un ruolo importante nel cerimoniale funebre, anche se oggi sono possibili solo ipotesi non supportate da riscontri oggettivi.

Il primo di essi è il cosiddetto diadema “del Cairo”, rinvenuto nell’area G 8887, Pozzo 294 (Cimitero Centrale), attualmente conservato al GEM presso la capitale egiziana; esso è intatto, in oro, misura cm. 24,6 ed i rosoni sono costituiti da quattro ombrelli di papiro con intarsi in corniola rossa; doveva essere legato intorno alla fronte.

Diadema del Cairo

Nella medesima sepoltura furono rinvenute perline in faience, pendenti in rame a forma di ninfea ed un cerchietto in rame ricoperti di foglia d’oro; una collana con geroglifici e dei braccialetti; un poggiatesta in alabastro; 50 ciondoli a forma di coleottero dorato, infilati su un filo d’oro e resti di offerte alimentari.

Diadema del Cairo aperto

Il secondo è denominato diadema “Boston”, rinvenuto nell’area G 7143 Pozzo B (Cimitero orientale) insieme a fasce di rame e due braccialetti, oggi al MFA di Boston.

Diadema di Boston, rosone centrale

Il cerchietto è stato in parte ricostruito in epoca moderna; è lungo 18,5 cm. ed è realizzato in rame, foglia d’oro, stoffa, gesso, vernice, corniola; sulla parte centrale della fascia di rame, a sinistra ed a destra si trovano tre rosoni ricoperti da un sottile strato di stoffa, gesso e foglia d’oro e sono costituite da due ombrelli di papiro contrapposti con un disco di corniola alla loro giunzione.

Diadema di Boston, rosoni laterali

Da questo disco si erge un ankh, e sui papiri sono posati uno di fronte all’altro con i becchi incrociati sopra il segno ankh due uccelli akh (ibis crestati), che richiamano l’idea di rigenerazione e beatitudine del defunto; dall’ornamento centrale più grande inoltre pende un ulteriore elemento floreale a forma di campana a cinque petali affiancato su ciascun lato da un bocciolo chiuso.

Ricostruzione del rosone centrale del diadema di Boston con i colori originali

Il terzo è definito Diadema “Lipsia”, proviene dall’area D 208 Pozzo 9 (Cimitero occidentale; vicino al campo G 4000) insieme ad una collana in faience con 20 pendenti a forma di scarabeo e perline blu, verdi e nere, ed è conservato nel Museo Egizio dell’Università di Lipsia.

Diadema di Lipsia

Il cerchietto intatto misura 21,5 cm. ed è in rame ricoperto di foglia d’oro e doveva essere legato sulla nuca.; il medaglione centrale è originale, ed è in legno ricoperto di foglia d’oro o dipinto, mentre quelli laterali sono riproduzioni moderne; esso è costituito da tre ombrelli di papiro aperti raggruppati lateralmente e verso il basso intorno al centro, ognuno perpendicolare all’altro.

TRA LA FINE DELL’ANTICO REGNO ED IL MEDIO REGNO – L’EVOLUZIONE

Con il passare dei secoli il popolo continuò ad utilizzare la fascia sulla fronte con finalità eminentemente pratiche; verso la fine dell’Antico Regno e poi definitivamente nel Medio Regno tuttavia la nobiltà ne fece un accessorio ornamentale che fu ampiamente in voga fino a tutto il Nuovo Regno.

I barcaioli indossano la fascia.
Modellino di barca in legno, scoperto a Licopoli, risalente al Medio Regno.
Dimensioni: L. 81 cm.; h. 38,5 cm.
Ora al Louvre. N. di accesso E 12027.
Questi modellini raffiguranti gruppi di persone che svolgevano attività quotidiane venivano posti nelle tombe durante il Medio Regno, e devono considerarsi un’evoluzione delle statue serventi: gli Egizi ritenevano che i personaggi rappresentati avrebbero continuato anche nell’Aldilà a lavorare per il defunto.
https://commons.wikimedia.org/…/File:Ancient_Egyptian…
Autore Vania Teofilo – licenza Creative Commons.

Si trattava di una banda larga circa 2 cm. ritagliata da una sottile lastra in metallo prezioso, decorata in modo semplice con delle barrette incise sulla superficie e chiusa sulla nuca con un fermaglio a forma di fiocco decorato con ombrelli di papiro dal quale si dipartivano le due bande che scendevano sulla schiena; quello del Faraone e delle donne reali era adornato con un ureo, simbolo del potere reale.

Barcaioli che indossano la fascia sulla fronte.
Modellino in legno proveniente dalla tomba di Shemes ad Asyut e risalente al Primo periodo intermedio, Asyut. Oggi al Museo Egizio, Torino.
Non ho informazioni sulla provenienza dell’immagine. Se l’autore la riconoscesse come propria, sarà mia premura rimuoverla o riconoscere il dovuto credito.
Questa principessa chiamata Watetkhethor e soprannominata Sesheshet visse alll’inizio della VI dinastia ed era figlia del re Teti e moglie del suo visir Mereruka. Il rilievo proviene dalla mastaba costruita per la sua famiglia a Sakkara, e la rappresenta defunta, seduta sul suo scranno, vestita all’ultima moda e con il diadema a fascia sulla testa, mentre annusa un fiore di ninfea simbolo di rinascita; davanti a lei una tavola d’offerta carica di beni. Questa immagine è raffigurata specularmente sulle due pareti poste di fianco ad una falsa porta nella sua camera per le offerte, decorate con processioni di offerenti che si dirigono verso di lei. Foto di cairoinfo4u da Flickr.
Frammento di rilievo in calcare dipinto raffigurante la testa del re Nebhepetre Montuhotep II che indossa una corta parrucca arricciata e il diadema derivato dalla fascia dei barcaioli, adornato dall’ureo.
Dal suo tempio a Deir el-Bahari, Luxor, Medio Regno, XI dinastia.
Oggi al Cairo – A.1906.349
https://www.reddit.com/r/OutoftheTombs/comments/yj476m/relief_fragment_of_painted_limestone_depicting/

Frammento di bassorilievo tombale in calcare dipinto, dalla tomba di Djehutyhotep, nomarca del Nomo della Lepre a Deir el-Bersha, scavata da Percy Newberry: XII din., regno di Sesostri III.
Oggi al British Museum di Londra – Numero del museo EA1150
La donna, il cui nome è andato perso, era la sorella del nomarca; è in piedi nella tipica posa femminile, con le braccia lungo i fianchi. Il dorso di entrambe le mani aperte è raffigurato con i pollici rivolti all’indietro, una posa convenzionale ma del tutto impossibile. Il piede sullo sfondo è leggermente avanzato, presumibilmente perché per l’iconografia egizia doveva essere visibile. Intorno alla lunga parrucca indossa il diadema a nastro ed esibisce un ampio collare e bracciali e cavigliere abbinati, simboli del suo importante ruolo a corte. Le bretelle della sua elegante tunica di lino bianco, molto di moda nella sua epoca, coprivano in realtà il seno, che appare esposto per pura convenzione artistica. La sua pelle era originariamente gialla. Ha una vita molto sottile, un seno abbondante e braccia eccessivamente lunghe. Questa nobildonna era alla testa di una processione di nove altre parenti di Djehutyhotep, comprese le figlie. Dietro di loro c’erano la moglie di dimensioni un po’ più grandi e lo stesso Djehutyhotep che sovrastava tutti.
H: 72 cm.; Spessore: 12 cm.; L: 33 cm.
https://www.britishmuseum.org/collection/object/Y_EA1150
© The Trustees of the British Museum . Condiviso con licenza Creative Commons (CC BY-NC-SA 4.0)

Questo rilievo raffigura Kagemni, visir e probabilmente genero di Teti (inizio VI dinastia) per avere sposato una delle sue figlie, e proviene dalla sua mastaba di Sakkara. Il nobiluomo tiene nelle mani i simboli del suo potere ed ha la fronte cinta dal diadema a nastro. 
https://commons.wikimedia.org/…/File:Tomb_of_Kagemni…
Autore della foto: Prof. Mortel.
File rilasciato con licenza Creative Commons Attribuzione 2.0 Generica

IL MEDIO REGNO – L’APICE DELLA RAFFINATEZZA

IL DIADEMA DI SITHATHORIUNET

L’oreficeria raggiunse in Egitto l’apice della sua evoluzione nel corso della XII dinastia grazie alla conquista dei territori a sud del paese fino alla seconda cataratta del Nilo ed al conseguente afflusso di grandi quantitativi di oro dalla Nubia.

Gli scavi condotti da Jacques de Morgan nel 1894 a Dashur, presso le piramidi di Sesostri III hanno permesso di riportare alla luce tombe di principesse (forse in origine piccole piramidi), all’interno delle quali, nascosti in nicchie, sono stati rinvenuti cofanetti in ebano ormai deteriorati che contenevano i gioielli appartenuti a Sithathor e Mereret, miracolosamente sfuggiti agli antichi razziatori che già nell’antichità avevano profanato e saccheggiato le sepolture.
L’anno successivo, scavando presso la piramide di Amenemhat II rinveniva le tombe e i gioielli delle principesse Iti e Khnumet.

Nel 1914 Flinders Petrie e Guy Brunton, indagando ad El-Lahun il complesso piramidale di Sesostri II scoprirono la sepoltura a pozzo della principessa Sithathoriunet (“Figlia di Hathor di Dendera”), probabilmente figlia e moglie di quel faraone, sorella di Sesostri III e defunta dopo l’ascesa al trono del nipote Amenemhat III (1860 a.C. o 1846 a.C.), dato che nella sua tomba furono rinvenuti oggetti recanti il nome di questo sovrano.

Foto Hans Ollermann, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0&gt;, da Wikimedia Commons

All’interno si trovavano solo il suo sarcofago in granito rosso e una serie di vasi canopi; anche in questo caso tuttavia la fretta impedì ai ladri di trovare i cinque cofanetti con la parte più preziosa del corredo funerario comprendente gioielli, uno specchio, rasoi e vasetti per cosmetici, nascosti in una nicchia nel muro poi intonacata.

Tra i fantastici oggetti si trovava anche il diadema della fotografia, che rappresenta evidentemente l’evoluzione preziosa di quello indossato più di sette secoli prima da Nofret.

Esso è costituito da una fascia circolare d’oro decorata al centro con un ureo eretto e con rosette lavorate a cloisonné e costituite ognuna da quattro fiori di ninfea che si incontrano al centro con quattro foglie della stessa pianta inserite negli spazi tra loro.

Nell’antico Egitto queste piante acquatiche erano associate alla rinascita, al sole, alla potenza di Ra e per la loro simmetria radiale anche alle stelle.

Dalla parte centrale posteriore del diadema si levano due penne rimovibili e dal lato inferiore pendono sei bande ritagliate in lamina d’oro, fissate in modo da poter oscillare liberamente.

L’ureo è in oro, anch’esso mobile, ed è intarsiato con lapislazzuli, corniola e forse amazzonite ed ha gli occhi di ossidiana, mentre le rosette sono intarsiate con lapislazzuli, corniola e faience verde o amazzonite.

Il diadema era destinato ad essere indossato sopra una parrucca composta da decine di lunghe ciocche trattenute da fascette in oro.

L’oggetto si trova ora al museo del Cairo (n. di catalogo JE 44919), mentre la maggior parte del corredo, inizialmente offerto da Petrie al British museum, fu alla fine acquistato dal Metropolitan Museum di New York ove è tuttora esposto.

IL DIADEMA DI SENEBTISI

Anche questo fragile diadema di filo d’oro unico nel suo genere, decorato sulla fronte con uno strano ornamento nel quale alcuni studiosi vedono un doppio ureo stilizzato, risale al primo Medio Regno ed appartenne a Senebtisi, una donna vissuta intorno al 1800 a.C. (XII dinastia), nota solo per il suo ricco corredo tombale, trovato nel 1907 a Lisht nord, fossa 763, da una missione del MET di New York, ove oggi esso si trova (Numero di adesione: 07.227.6lA).
La sua tomba inviolata si trovava in una camera sotterranea posta in fondo ad un pozzo funerario che sorgeva vicino al complesso di Senwosert, visir di Senwosret I ed Amenemhat II, per cui si è ipotizzato che potesse essere sua figlia.
In realtà i suoi beni non hanno fornito indizi sull’identità dei suoi genitori o di suo marito, nè sull’importanza della sua famiglia; ella viene semplicemente definita come Sathapy (figlia di Apis) e Signora della casa, ma la tomba era così ricca da escludere che potesse appartenere ad una persona comune.
La mummia di Senebtisi era stata inumata in tre sarcofagi di legno mal conservati, il più interno dei quali antropoide, ed indossava tre ampi collari, bracciali, cavigliere, diverse collane di perline ed aveva allacciata alla vita una cintura dalla quale pendevano file di perline; nella tomba furono altresì rinvenute armi e insegne reali; accanto ai sarcofagi, in una nicchia, si trovava una cassa con i quattro vasi canopi ed ai piedi di essi erano stati deposti molti vasi di terracotta.
Nella tomba sono state rinvenute anche molteplici rosette decorative in lamina d’oro, che in passato si pensava fossero decorazioni per parrucche.

Le rosette in lamina d’oro

Uno studio dettagliato delle fotografie della sepoltura le mostra raggruppate, suggerendo che fossero cucite su un pezzo di stoffa arrotolata o piegata, piuttosto che distanziate sui capelli. Le rosette erano simboli stellari associati in particolare alle donne, e venivano usate per decorare finte pelli di leopardo e mantelli o drappi funerari (si veda, ad esempio, il drappo di Tut decorato di stelle). Date le loro piccole dimensioni sembra molto probabile che provenissero da un mantello.

L’ipotetica ricostruzione dell’acconciatura di Senebtisi (fotografia di Albert Shoucair per il libro Jewels of the Pharaohs di Cyril Aldred, 1971. Thames and London Limited)

Per ulteriori notizie sul suo prezioso corredo funerario, del quale il diadema offre un’idea sbiadita, andate sul nostro sito a questo link: https://laciviltaegizia.org/…/29/la-collana-di-senebtisi/

I DUE DIADEMI DI KHNUMIT

Come si è già detto, una ventina di anni prima della scoperta della tomba di Sithathoriunet da parte di Petrie, Jacques de Morgan aveva riportato alla luce a Dashur le sepolture di quattro principesse del Medio Regno, tra le quali quella inviolata di Khnumit, figlia di Amenemhat II presso la cui piramide aveva trovato l’estremo riposo e forse sorella e moglie di Sesostri II.

Il primo diadema di Khnumit

In un annesso alla camera sepolcrale vennero rinvenuti i canopi, resti di offerte ed il corredo funerario che comprendeva vasetti per cosmetici ed altri oggetti di uso personali, oltre a meravigliosi gioielli, tra i quali i due diademi policromi sotto rappresentati, “eredi” di quelli in voga nella IV dinastia.

L’immagine pubblicata nel giornale “L’Illustration” dell’11 maggio 1895 raffigurante De Morgan al momento della scoperta del diadema.

Il primo (foto in alto) è formato da dieci fili d’oro intrecciati, con applicazioni di numerosi fiorellini a cinque petali simili a stelle (ed al geroglifico che la rappresenta) in turchese e granelli tondi in lapislazzuli, a loro volta fermati da sei motivi cloisonnés a forma di croce di Malta con i bracci a forma di ninfea in turchese ed il cuore in cornalina.

Esso è esposto al Museo del Cairo, con il numero di inventario JE 31104 – CG 52859

Il secondo diadema di Khnumit

Il secondo era destinato probabilmente ad uso cerimoniale, presenta motivi floreali e campanule stilizzate, lavorate con paste vitree e pietre dure ed è esposto al museo del Cairo, n. di inv. CG 52860.

Per una dettagliata descrizione rimando al post di Grazia Musso sul nostro sito a questo link: https://laciviltaegizia.org/…/il-diadema-della…/; richiamo semplicemente l’attenzione sul piccolo avvoltoio ad ali spiegate al centro del diadema (nella foto non si vede tantissimo, è sullo sfondo), emblema reale destinato ad apparire sulla fronte della principessa e personificazione della dea Nekhbet.

Esso tiene in ciascun artiglio un segno shen simbolo di eternità, decorato al centro con una corniola; il dorso e le ali sono costituiti da un’unica lamina d’oro, leggermente curvata ed incisa sia all’esterno che all’interno, mentre la testa, il corpo e le zampe sono cavi e realizzati separatamente; è sopravvissuto solo uno dei due occhi di ossidiana.

Aggiungo infine che probabilmente erano previsti anche pennacchi decorativi, in quanto nella parte anteriore del diadema, dietro ad un fiore di giunzione, è saldato un tubicino destinato al loro inserimento.

IL DIADEMA DI ABISHEMU, RE DI BYBLOS

Diadema di Abishemu, re di Byblos, conservato a Beirut presso il Museo Nazionale.
La fotografia enfatizza l’oggetto in modo notevole. In realtà si tratta di una lastrina sottile in oro lunga circa 15 cm. ed alta non più di 1,5 cm., evidentemente destinata ad essere legata sulla nuca con un cordino o altro. Essa è decorata a sbalzo con un fregio composto da segni ankh, djed e was; sopra di essa si erge un ureo in argento niellato in oro.
Immagine tratta dal libro di Henry Stierlin, L’oro dei Faraoni, Bologna 2001

I sovrani egizi continuarono anche durante il Medio Regno ad utilizzare i diademi tradizionali a fascia, simbolo del loro potere in quanto sormontati dall’ureo, e tale manifestazione di regalità venne adottata anche dai monarchi di alcuni piccoli regni sui quali l’Egitto esercitava la propria supremazia.

Il diadema sotto raffigurato appartenne ad Abishemu, sovrano della città-stato fenicia di Byblos, che sorgeva in Libano, nei pressi dell’odierna Jbeil; verosimilmente fu vassallo dell’Egitto tra la fine della XII e l’inizio della XIII dinastia, quando sul trono delle Due Terre sedeva Amenemhat III.

In quell’epoca la città stabilì importanti legami commerciali con la Mesopotamia, l’Anatolia, Creta e l’Egitto e gli artigiani locali crearono manufatti di grande raffinatezza, adottando motivi artistici provenienti dalle culture limitrofe.

Pettorale d’oro cesellato, ad imitazione di un ousekh egizio
che risale ad un’epoca compresa tra il 2100 ed il 1550 a. C. circa.
Esso è decorato con un falco che tiene due segni shen negli artigli ed ha le ali spiegate; fu ritrovato nella tomba della nocropoli reale di Byblos appartenente al re Ip Abi Shemu.
H: 12 cm.; L.: 20,5 cm.
Museo del Louvre, Parigi.
Numero di inventario AO 909
Immagine a questo link:
https://collections.louvre.fr/ark:/53355/cl010169781

L’influenza più significativa venne esercitata dall’Egitto, in quanto i signori di Byblos assunsero a modello la monarchia faraonica, adottarono i titoli reali ed amministrativi egizi, la scrittura geroglifica ed alcune tradizioni religiose e sfoggiarono i beni di lusso che venivano importati dalle Due Terre o fatti copiare dalle maestranze locali.

Nelle necropoli e nei templi infatti sono stati scoperti numerosi reperti di provenienza o in stile egizio e doni preziosi inviati da Amenemhat III allo stesso Abishemu e da Amenemhat IV al successore di costui Ip Shemu Abi.

La tomba di Abishemu (individuata dal numero I ed attribuita a lui per il ritrovamento al suo interno di frammenti di terracotta con il suo nome, scritto in geroglifici) venne casualmente alla luce il 16 febbraio 1922, quando forti piogge provocarono una frana nella scogliera costiera di Jbeil.

Essa si ispirava alle mastabe egizie ed era costituita da una sovrastruttura a forma di parallelepipedo, oggi praticamente scomparsa, con una base in pietra e malta nella quale si apriva l’ingresso di un pozzo funerario che conduceva alla camera sepolcrale sotterranea.

Retro di un pettorale in oro in origine lavorato a cloisonnée (ora gli intarsi sul recto sono completamente perduti) rinvenuto nella Tomba I a Byblos ed oggi custodito al Museo Nazionale di Beirut.
Anche questo oggetto è di evidente produzione egizia ed ha un fine protettivo, garantito dai molteplici simboli che sono incisi su di esso.
La decorazione è speculare e comprende l’immagine della dea Hathor raffigurata come la vacca sacra che nutre il faraone con il suo latte divino, offrendogli energia e protezione.
La dea reca sul dorso il cartiglio con il nome di intronizzazione di Amenemhat III (Nemaatra).
Sopra di esso la dea Wadjet in forma di cobra e l’occhio udjat, simbolo di prosperità, del potere regale e di buona salute, che la rappresenta ed un fiore di ninfea, emblema araldico dell’Alto Egitto.
Al centro dal basso uno scettro was ed un segno ankh dividono due immagini del faraone bambino che mostra affetto filiale nei confronti della dea Hathor, sormontato da un disco solare dal quale si dipartono due urei e due segni ankh, le corna e le due piume simbolo di Amon fiancheggiate da uno stelo di papiro, emblema araldico del Basso Egitto.
Immagine tratta dal libro di Henry Stierlin, L’oro dei Faraoni, Bologna 2001 

Scavi successivi permisero a Pierre Montet di scoprire altri otto sepolcri attribuibili ai re che governarono la città tra il XIX e l’XI secolo a. C. e che furono denominate con i numeri da II a IX; le più antiche (da I a IV) risalivano al XIX secolo a.C. ed erano le più raffinate; le prime tre, trovate intatte, contenevano ricchi corredi funerari che comprendevano oggetti preziosi e gioielli egizi o in stile egizio (vasi in ossidiana e oro, pettorali in oro cesellato o intarsiato, anelli e bracciali con scarabei, uno specchio d’argento con un manico papiriforme in legno ricoperto di foglia d’oro ed un secondo con manico di legno a forma di testa d’anatra ricoperto di foglia d’oro, khopesh in bronzo ed oro finemente decorati, un coltello d’argento e vasi in oro, argento, bronzo, alabastro e terracotta).

Pettorale in oro lavorato a cloisonnée rinvenuto a
Byblos, nella Tomba Reale II appartenuta ad Ip-Chemou-Abi
Risale ad un’epoca compresa tra il 1900 a.C. ed il 1700 a.C. circa.
Oggi conservato al Museo Nazionale di Beirut.
La decorazione è tipicamente egizia, ricca di simbologia: si nota il falcone che regge tra gli artigli due segni shen e che con le sue ali spiegate avvolge e protegge il cartiglio del sovrano, sopra il quale si ergono uno scarabeo Khepri e due urei.
Fotografia di Jona Lendering, Licenza CC0 1.0 Universal, a questo sito
https://www.livius.org/…/byblos-royal-tomb-ii-ip…/

FONTI DEL TESTO E DELLE IMMAGINI:

Per il diadema di Senebtisi

Per i due diademi di Khnumit:

Gioielli, XVIII Dinastia

L’ANELLO NEWBERRY

AY SPOSÒ ANKHESENAMUN?

Tutankhamon morì senza eredi diretti ed i candidati più probabili alla successione erano il Gran Visir Ay ed il Generalissimo Horemheb, i quali, pur non essendo nobili, avevano raggiunto le più alte vette del potere grazie alle loro capacità, diventando membri del Consiglio di Reggenza del giovane sovrano ed inducendolo a restaurare l’ortodossia e ad abbandonare Akhetaton, riportando la capitale a Tebe.

L’anziano Ay era, probabilmente, fratello della regina Tiye e forse padre di Nefertiti, della quale sua moglie Tey era stata la nutrice; grazie a questi legami familiari ed alla sua lealtà alla corona acquisì grande autorevolezza a corte con Amenhotep III e poi con Akhenaton (che l’aveva gratificato con il titolo di “it-netjer” o “Padre del Dio”) e con Tutankhamon.

Il vigoroso Horemheb invece era il Comandante supremo dell’esercito settentrionale, scelto forse da Akhenaton (del quale era cognato per avere sposato Mutnodjmet, sorella di Nefertiti), difendeva valorosamente il turbolento confine con il regno ittita e contava sulla fedeltà tributatagli dai suoi soldati; il suo prestigio era tale che Tutankhamon l’aveva nominato “iry-pat” (“Principe Ereditario o Coronato”) e “idnw” (“Vice del Re” in tutto il paese).

All’improvvisa morte del giovane sovrano, tuttavia, il Generalissimo era impegnato in una campagna contro gli Ittiti, per cui Ay approfittò fulmineamente della situazione e si impadronì del potere prima che il rivale riuscisse a rientrare in patria a contendergli il trono: in effetti sulla parete di fondo della camera sepolcrale della tomba di Tutankhamon il vecchio dignitario appare già come Kheper Kheperu Ra (quarto protocollo di Ay), indossa la corona khepresh e l’ureo reale sulla fronte ed esegue il rito dell’apertura della bocca sulla mummia del faraone defunto, prerogativa del suo successore.

Kheper Kheperu Ra esegue il rito dell’apertura della bocca. Tomba di Tutankhamon
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=98957878

E’ controverso se per legittimare la sua pretesa al trono egli avesse anche sposato la giovane Ankhesenamon, figlia, sorella e vedova di re, di purissimo lignaggio e di indiscusso prestigio per avere restaurato il culto degli antichi dei.

Amuleto in faience turchese recante il cartiglio di Ay (quarto protocollo – Kheper Kheperu Ra Irmaat) Museo egizio del Cairo 60057. Photo of Juan Lazaro
 https://commons.wikimedia.org/…/File:Kheperkheperure_Ay

Dopo la morte di Tutankhamon ella scomparve dalla storia, il che induce a ritenere verosimile ciò che ipotizza il professor Aidan Dodson, e cioè che avesse abbandonato la corte ritirandosi a vita privata oppure che fosse morta; l’unico reperto risalente al breve regno di Ay che la menziona è un anello in faience azzurra recante il suo cartiglio affiancato a quello di Kheper Kheperu Ra, asseritamente trovato in un sito sconosciuto del Delta e descritto nel 1931 dall’egittologo Percy Newberry, dal quale esso prese il nome.

L’iscrizione sull’anello perduto, così come ricordata da Newberry. https://www.jstor.org/stable/3854904

L’anello gli venne offerto in vendita da Ralph Blanchard, titolare di un famoso negozio di antiquariato del Cairo, ma egli non ritenne di comprarlo ed in seguito se ne perse ogni traccia; nel 1973 un anello simile, in faience di colore beige e dall’incerta provenienza fu acquistato dal Museo di Berlino ove si trova tuttora esposto.

Sebbene i sovrani fossero soliti commemorare il proprio matrimonio con l’emissione di scarabei e non di anelli, alcuni studiosi, tra i quali il dott. Bob Brier, ritengono che questo manufatto provi che effettivamente quelle nozze avvennero.

In passato, infatti, molti egittologi ritenevano che in Egitto il potere reale si trasmettesse per linea femminile e che l’aspirante al trono (chiunque fosse, anche lo stesso figlio maggiore del sovrano) lo potesse conquistare solo legandosi alla figlia o alla sorella del suo predecessore; per regnare legittimamente, quindi, Ay doveva prendere in moglie Ankhesenamon, anche solo in modo cerimoniale: come ho già sottolineato, questa teoria fondata su basi estremamente fragili ha trovato non pochi oppositori.

L’egittologa britannica dott. Joyce Tyldesley ha ipotizzato addirittura che l’anello potesse essere un falso, sebbene Blanchard rilasciasse certificati di autenticità per i reperti che vendeva e fosse considerato un professionista serio; egli infatti occasionalmente fece affari con l’antiquario e falsario armeno Oxnan Aslanian, e già i suoi contemporanei Herbert Winlock e Caroline Ramson Williams sospettavano che costui gli avesse venduto oggetti contraffatti che egli avrebbe messo in commercio credendoli autentici.

La studiosa ha altresì affermato che l’oggetto potrebbe essere stato distribuito da Ay per enfatizzare il vincolo di parentela con Ankhesenamon (figlia di Nefertiti e nipote di Tiye) e conferire maggiore lustro al suo lignaggio non reale, oppure che l’artigiano che ne plasmò lo stampo e che verosimilmente non sapeva né leggere nè scrivere potrebbe aver commesso un errore nell’iscrizione di uno dei due cartigli.

In effetti nell’Egitto antico gli anelli in faience erano molto diffusi in quanto economici e di facile produzione, ma diversamente da oggi non simboleggiavano un vincolo matrimoniale; inoltre sulle immagini scolpite sulle pareti della tomba di Ay il ruolo di Grande Sposa Reale è rivestito da Tey, la donna che egli aveva sposato molto prima di diventare Faraone; sarebbe quindi da escludere che egli avesse sposato la giovane vedova e che le dovesse il trono.

A quanto risulterebbe dalle fonti, inoltre, costei non desiderava affatto legarsi all’anziano dignitario, che all’epoca aveva tra i 60 ed i 70 anni e che giudicava inferiore, in quanto è quasi unanimemente ritenuta l’autrice della famosa lettera ritrovata ad Hattusa con la quale una regina egizia, rimasta vedova e senza eredi, affermava di non volersi unire ad un suo “servo” e chiedeva a Suppiluliuma I di inviarle uno dei suoi figli con il quale governare le Due Terre e perpetuare la sua dinastia.

La questione è ancora aperta, nella speranza di trovare nuovi elementi di valutazione.

Troverete i crediti delle immagini nelle didascalie.

FONTI:

Percy Edward Newberry, “King Ay, the Successor of Tut’ankhamūn,” The Journal of Egyptian Archaeology Vol. 18, No. 1/2 (May 1932) https://www.jstor.org/stable/3854904

https://egypt-museum.com/ankhesenamun/

https://missremember.substack.com/…/the-man-who-sold…

https://themator.museum-digital.de/t/1023/1027

https://www.ancient-origins.net/…/hunt-ankhesenamun-how…

https://www.ancient-origins.net/…/daughter-disaster…

Amuleti, Gioielli

GLI AMULETI A FORMA DI MOSCA E L’ONORIFICENZA DELLA MOSCA D’ORO

Collana con le tre mosche d’oro della regina Ahhotep, ora al museo di Luxor (CG 52671). Essa è stata realizzata intorno al 1560-1530 a.C. e fu rinvenuta da A. Mariette nel 1859 a Dra’ Abu el-Naga’, a ovest di Tebe. I ciondoli sono lunghi 9 cm. ed hanno la forma di mosche stilizzate, con ali lisce sulle quali è stato saldato un pezzo lavorato a stampo che costituisce gli occhi sporgenti ed il corpo traforato. Sono appesi tramite un anellino posto sulla parte anteriore ad una catenella corta e finemente intrecciata.
Secondo periodo intermedio – XVII dinastia.
https://historicwomendaily.tumblr.com/…/golden-flies… 

I primi amuleti a forma di mosca in pietra dura, faience o vetro risalgono al periodo predinastico; forse si pensava che tenessero lontani gli insetti e che proteggessero dalle loro punture.

Un girocollo con ciondoli a forma di mosca, in oro e pasta vitrea. Alcuni interpretano i pendenti come fiori. 1550 – 1070 a. C., ora al Rijksmuseum van Oudheden di Leida.

Nell’Antico e Medio Regno la sagoma di una mosca veniva anche incisa sulle bacchette magiche, manufatti a forma di mezzaluna ricavati in avorio di ippopotamo e destinati a difendere il proprietario da possibili sventure, e l’utilizzo degli amuleti si protrasse anche nei secoli successivi fino al Nuovo Regno.

Amuleto in lamina d’oro a forma di mosca, realizzato su un nucleo, parte di un’onorificenza. Nuovo Regno. H: 2 cm. – L.: 1,20 cm. Peso: 2 gr. Profondità: 1,55 cm.
https://www.britishmuseum.org/collection/image/201365001 Inv. EA59417
© The Trustees of the British Museum . Condiviso con licenza Creative Commons

Alla fine del Secondo Periodo Intermedio i Faraoni, ispirandosi forse alla vicina cultura Kerma, i cui guerrieri venivano sepolti con armi e con grandi pendenti in bronzo ed avorio a forma di mosca, iniziarono ad utilizzare simili ciondoli in oro come onorificenza per i soldati che si erano distinti in battaglia.

La mosca nilotica quindi, simbolo di tenacia e determinazione forse perché punge ed infastidisce senza sosta gli animali, divenne anche espressione del favore reale.

Collana composta da dieci perline a forma di mosca, disposte una di fronte all’altra e schiena contro schiena. Il corpo delle mosche è stato realizzato in oro e sagomato, mentre le ali sono in vetro blu intarsiato. Gli occhi sono in diaspro e presentano un intarsio simile.
Lunghezza: 11,6 cm – Larghezza: 2,3 cm
Nuovo Regno – 1550 – 1069 circa.
https://data.fitzmuseum.cam.ac.uk/id/object/53754
Girocollo con decorazioni a forma di mosca, probabile terzo periodo intermedio.
Glencairn Museum (Bryn Athyn, Pennsylvania) n.15.JW.390, a questo link: https://www.glencairnmuseum.org/…/sacred-adornment…

Dopo la cacciata degli Hyksos dall’Egitto il re Ahmose ne insignì la madre, la regina Ahhotep, riconoscendole il ruolo fondamentale rivestito nella guerra di liberazione, facendo altresì erigere a Karnak una stele nella quale le rendeva grazie pubblicamente, incoraggiando il popolo a venerarla come colei che “ha compiuto i riti e si è presa cura dell’Egitto: ha curato i soldati egiziani, ha custodito l’Egitto, ha riportato indietro i fuggiaschi e riunito i disertori, ha pacificato l’Alto Egitto ed espulso i ribelli”.

Ciondoli a forma di mosca, ca. 1539–1292 a.C. Argento, cordoncino moderno, 12,7 × 16,5 × 1,3 cm Foto: Brooklyn Museum – N. di accesso 14.641 https://www.brooklynmuseum.org/en-GB/objects/8635
Collana in maiolica gialla, verde e blu, ed oro con amuleti a forma di mosca.
Secondo Periodo Intermedio – Inizio del Nuovo Regno (Dinastia 17–18 / ca. 1786–1482 a.C.). Da Tebe, Asasif, Tomba CC 37, Sepoltura 50, Scavi di Carnarvon
Dimensioni: L. 36,5 cm. Numero oggetto: 26.7.1374
Immagine di dominio pubblico a questo link: https://www.metmuseum.org/art/collection/search/552384

Il generale Ahmose-Pen-nekhbet, che servì Ahmose, Amenhotep I, Thutmose I, Thutmose II e Thutmose III nelle loro campagne militari, segnala orgogliosamente nella propria autobiografia di aver ricevuto ben sei mosche d’oro da Thutmose I quale ricompensa per il suo valore.

Una mosca realizzata con osso di ippopotamo, 1550-1295 a.C. (Museo di Brooklyn).
https://ru-egyptology.livejournal.com/61110.html
Amuleto in diaspro a bande verdi e bianche risalente al periodo tardo (Dinastia 25–30 Data: ca. 712–332 a.C.), lungo cm. 3. Numero oggetto: 55.172
https://www.metmuseum.org/art/collection/search/545200

Thutmose III decorò il generale Amenemheb detto Mahu per il suo contributo nelle campagne in Canaan e Nubia e Dedy, governatore del deserto a ovest di Tebe, Capo delle truppe del Faraone e titolare della tomba TT200 per essersi distinto nel corso delle campagne siriane; il maggiordomo reale Suemnut ne fu insignito da Amenhotep II, probabilmente per aver combattuto con valore in Siria, in quanto nella sua tomba tebana (TT92) sono raffigurati carri e armi in stile siriano; Amenhotep III premiò coloro che avevano difeso i confini dell’impero, respingendo le invasioni dei Libici e dei Nubiani, tra i quali l’unità dei Medjay, distintasi per il suo coraggio collettivo.

Amuleti a forma di mosca. Meroe (Nubia), maiolica, 743-653 a.C. Boston. MFA
https://ru-egyptology.livejournal.com/61110.html
Girocollo in oro con perline a forma di mosca, cilindriche e tubolari e con pendente a forma di mosca in lapislazzuli. Nuovo Regno.
Brooklyn Museum, numero di registrazione 08.480.198

Probabilmente la mosca d’oro fu usata più in generale anche come simbolo dell’apprezzamento del sovrano, in quanto la stragrande maggioranza dei 125 esemplari dei quali è noto il contesto di rinvenimento è associata a donne, evidentemente estranee al valore guerresco; è quindi verosimile che fossero doni preziosi e beneauguranti, tenuto conto del fatto che nei Testi dei Sarcofagi questi insetti sono collegati alla rigenerazione e alla rinascita.

Girocollo con ciondoli a forma di mosca in corniola – Nuovo Regno – 1550 -1250 a. C.
Venduto da Christie.

FONTI:

Età Ramesside, Gioielli, Mai cosa simile fu fatta

BRACCIALI DI SETHY II

Di Grazia Musso

Argento, larghezza massima cm 6,5
Valle dei Re, tomba anonima N. 56 – Scavi di Th. Davis 1908
Museo Egizio del Cairo – JE 39688

Ornamento diffuso, i bracciali erano indossati sia dalle donne che dagli uomini.

Questi esemplari provengono dalla Valle dei Re e sono stati ritrovati, insieme ad altri gioielli appartenenti a Sethy e alla sua consorte, la regina Tausert, in una tomba anonima, probabilmente usata come nascondiglio dai saccheggiatori che violarono le sepolture dei due sovrani.

I due monili d’argento, di fattura simile, sono composti da due parti unite da una cerniera e da un fermaglio.

La parte principale, che veniva portata sull’esterno del polso, è decorata da una scena che raffigura la regina Tausert in piedi, mentre offre al faraone un vaso e un fiore; Sethy è seduto su un trono e tiene nella mano sinistra una coppa e nella destra un fusto di palma, simbolo degli anni.

In alto sono riportati i cartiglio con il nome di Tausert, ” Grande Sposa Reale” e i nomi di nascita e di incoronazione di Sethy II ( Userkheperura Sethy).

L’altra parte dei bracciali è decorata da cinque bande sovrapposte che recano motivi floreali stilizzati.

L’argento, importato dall’oriente, era definito dagli Egizi ” il metallo bianco” ed era considerato una varietà di oro.

Fonte :
I tesori dell’antico Egitto nella collezione del Museo Egizio del Cairo g National Geographic – Edizioni White Star

Gioielli, Mai cosa simile fu fatta, XIX Dinastia

ORECCHINI DI TAUSERT

Di Grazia Musso

Orecchini di Tausert, consorte di Sethy II
Altezza cm 13,5
Valle dei Re, tomba anonima n. 56
Scavi di Th. Davis 1908
Museo Egizio del Cairo – JE 39675

Quest orecchini d’oro sono stati ritrovati, insieme ad altri oggetti preziosi appartenuti a Sethy II e alla regina consorte, in una tomba anonima nella Valle dei Re, utilizzata probabilmente come nascondiglio.

I due monili, di dimensioni considerevoli, venivano fissati alle orecchie innestano l’uno nell’altro, dopo averli infilati nei fori dei lobi, due tubicini saldati a una calotta e a una rosetta che recano incisi i cartiglio con i nomi di incoronazione e di nascita del sovrano.

L’ANALISI FILOLOGICA A CURA DI LIVIO SECCO QUI

I pendagli sono costituito da due elementi : una placca trapezioedale su cui sono riportati i cartigli di Sethy e sette ciondoli hanno la forma di frutti di ninfea.

Gli orecchini fanno la loro comparsa nella Valle del Nilo all’inizio del Nuovo Regno, probabilmente introdotti dagli Hyksos.

Questo gioielli erano un ornamento sia maschile che femminile.

Sembra che i maschi li portassero solo fino all’adolescenza.

Infatti nelle rappresentazioni figurate gli uomini adulti non hanno mai orecchini, anche se a partire dal periodo di Akhenaton, i lobi sono sempre forati.

Fonte

I Tesori dell’Antico Egitto nella collezione del Museo Egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star

Gioielli, Mai cosa simile fu fatta, XIX Dinastia

I BRACCIALI DI RAMSES II

Di Grazia Musso

Oro e lapislazzuli, diametro massimo cm 7,2
Tell Bast (Bubasti), Tesoro scoperto nel 1906
Museo Egizio del Cairo – JE 39873 = CG 52575 – 52576

I bracciali furono scoperti insieme ad altri gioielli e ad alcuni vasi i oro e argento nel corso di lavoro di sterto per la costruzione di una massicciata della linea ferroviaria che passava sul sito di Tell Basta, l’antica Bubasti.

Soltanto alcuni oggetti giunsero al Museo Egizio del Cairo, altri furono venduti e si trovano oggi al Metropolitan Museum of Art di New York e al Museo di Berlino.

Dovevano far parte di una stipe votiva o del tesoro di uno dei Templi di Bubasti.

Il fatto che accanto alla chiusura siano incisi a sbalzo i cartigli Ramses II induce a considerare i due bracciali come un dono offerto dal sovrano in persona ( le dimensioni sono quelle del braccio di un uomo) alla divinità locale, Bastet.

Ogni bracciale è in oro ed è composto da due parti, unite da una cerniera.

La decorazione è realizzata a granuli ed è basata su motivi geometrici.

Nella parte superiore è rappresentata un’anatra, dalla doppia testa e con il collo rivolto all’indietro, il cui corpo è formato da un frammento di lapislazzuli opportunamente lavorato.

La coda del volatile è invece realizzata in oro e prevede anch’essa una decorazione geometrica a granuli.

La parte inferiore dei monili è costituita da 17 barrette parallele, alternativamente lisce o striate, unite attraverso un foglio d’oro nel lato inferiore.

I due bracciali sono il prodotto di un’ oreficeria raffinata che prosegue la tradizione artigiana nell’ ambito della quale erano stati realizzati i gioielli di Tutankhamon con cui possono essere eseguiti precisi riscontri.

La compattezza dell’insieme è movimentata dai due colli delle anatre che si staccano nettamente e con grazia a superficie del gioiello.

Il connubio tra oro e lapislazzuli, pietra derivante dai commerci conl’Afganistan, assai utilizzato nella gioielleria egizia, risulta ancora una volta felice e attribuisce estrema eleganza all’insieme.

Fonte:

Tesori Egizi nella collezione del Museo Egizio del Cairo – F. Tiradritti – fotografie Arnaldo De Luca – Edizioni White Star

Gioielli, Mai cosa simile fu fatta, XVIII Dinastia

ORECCHINO dalla tomba di Horemheb

Di Grazia Musso

Oro e paste vitree, diametro cm. 3,9, peso 17,8 g
Saqqara, tomba di Horemheb
Scavi della spedizione anglo-olandese diretta da G. Martin 1977
Probabilmente regno di Akhenaton
Museo Egizio del Cairo – JE 97864

L’orecchino qui illustrato è stato trovato a Saqqara, nella tomba che il generale Horemheb si fece costruire prima di diventare faraone.

Il gioiello, d’oro massiccio, reca al centro un’immagine finemente cesellata di un sovrano sotto forma di sfinge con la corona azzurra ornata da ureo, la barba posticcia è un largo collare usekh.

Due bande circolari, decorate con un motivo a “V”, che alterna oro e pasta vitrea azzurra, conservata solo in parte, circondano la sfinge.

Sui bordi dell’orecchio sono applicati piccoli anelli granulati fra i quali originariamente erano inseriti elementi cilindrici in pasta vitrea ; probabilmente i cinque anelli inferiori sostenevano dei pendagli.

Sulla cima del gioiello è saldata una lamina d’oro a forma di collare-usekh.

L’orecchino veniva fissato facendo passare, attraverso il lobo forato, una piccola vite infilata in due anelli di cui uno solo si è conservato.

Il profilo della sfinge evoca l’effige di Akhenaton ed è probabile che il gioiello risalga al suo regno o ai primi anni del regno di Tutankhamon.

Fonte

I tesori dell’antico Egitto nella collezione del Museo Egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star.

Gioielli, Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno

LO SPECCHIO DI SIT-HATHOR-YUNIT

Di Grazia Musso

Da El Lahun, tomba di Sit-Hathor-yunit
XII Dinastia, regno di Amenemhat III
Argento, oro, ossidiana, pietre dure.
Altezza 28 cm.
Museo Egizio del Cairo
Scavi di Petrie 1914
JE 44820 = CG 52663

Nel tesoro della principessa, figlia di Sesostri II, si trovava questo specchio in argento.

Il prezioso manico in ossidiana , oro e pietre semipreziose, raffigura un papiro, fra lo stelo e l’umbrella aperta si incastona la testa aurea della dea Hathor.

Fonte

Antico Egitto di Maurizio Damiano – Electra

Gioielli, Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno

LA COLLANA DELLA PRINCIPESSA KHNUMIT

Di Grazia Musso

Oro, cornaline, turchese, lapislazzuli – Lunghezza cm 35
Dahshur, complesso funerario di Amenemhat II
Tomba della principessa Khnumit
Scavi di Jacques De Morgan 1894
XII Dinastia, regno di Amenemhat II 1932-1898 a. C
Museo Egizio del Cairo, JE 31116 = CG 53018.

La tomba, della principessa Khnumit, scavata nel 1894, fu portata alla luce nell’area ovest della piramide reale.

Al momento del ritrovamento, gli elementi della collana erano sparsi sulle bende della mummia.

Questa bellissima collana è composta da due file di perline in oro tra le quali erano fissate dieci coppie di amuleti, posti simmetricamente ai due lati di una composizione di segni geroglifici in cui il segno della vita anks sormontato il segno hetep, che rappresenta una tavola di offerta.

Dal centro verso le estremità si riconoscono il segno user, simbolo di potenza, un’immagine di Anubi, la dea avvoltoio Nekhbet e la dea cobra Uadjet, simbolo della signoria sull’ Alto e Basso Egitto, il sistro hathorico, l’occhio sacro di Horus, il vasetto khenem, il pilastro djed, il segno sema indicante la trachea simbolo dell’ unità, l’ape simbolo del Basso Egitto.

Alla fine inferiore delle perline d’oro è applicata una serie di pendenti a goccia variopinti, mentre l’allacciatura della collana è costituita da due teste di falco.

Eccetto le due catenine, tutti gli altri elementi sono incastonati in pietre dure: turchese, lapislazzuli e cornalina che si alternano sul gioiello formando una ricercata e armoniosa composizione cromatica.

Fonte:

Tesori Egizi nella collezione del Museo del Cairo – Francesco Tiradritti – fotografie Arnaldo De Luca – Edizioni White Star

Gioielli, Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno

LA COLLANA DI NEFERUPTAH

Di Grazia Musso

XII DinastiaRegno di Amenemhat III (1842-1794 a. C.)
Oro, cornalina , feldspato, pasta vitrea
Lunghezza 36,5 cm, Altezza 10 cm
Hauata, piramide di Neferuptah
Scavi del Servizio delle Antichità, 1956 – JE 90199.

La tomba inviolata della principessa Neferuptah, figlia di Amenemhat III, fu scoperta sotto una piramide di mattoni ridotta ad un cumulo di detriti a sud-est della piramide del padre.

All’interno del sarcofago di granito ne era stato collocato uno di legno che custodiva la mummia della principessa, ornata con un gran numero di preziosi gioielli.

La ricca collezione comprendeva gonnellini di perle, collane, anelli e bracciali eseguiti in oro e pietre semipreziose, secondo la raffinata tradizione orafa della XII Dinastia.

La collana usekh che decorava il petto della mummia rappresentava un tipo di ornamento molto comune nell’antico Egitto.

Le raffigurazioni parietali e le statue la mostrano spesso al collo di divinità, re, regine.

La funzione del monile non era puramente estetica, in quanto si riteneva che avesse anche valenze di allontanare o ad annullare un influsso magico maligno.

La collana è composta da sei fili alternati di perle tubolari di feldspato e cornalina, separati tra loro da piccole perle d’oro.

Il bordo inferiore è impreziosito da motivi a goccia intarsiati con feldspato, cornalina e pasta vitrea blu, delimitati in alto e in basso da due fili di perle d’oro disposte orizzontalmente.

Le estremità della collana terminano con due fermagli a testa di falco eseguiti in foglia d’oro sbalzata.

Da qui si di partono due fili di perle di cornalina e feldspato che giungono a una terza testa di falco simile alle precedenti, ma realizzata in scala ridotta.

Essa rappresenta il vertice del contrappeso manekhet, che doveva pendere dietro al collo e la cui composizione riprende il motivo della parte frontale della collana, essendo costituito da un’alternanza di fili di perline in cornalina e feldspato, di lunghezza crescente dall’alto verso il basso, separati da rigide barrette d’oro.

Il bordo inferiore del contrappeso termina con dieci pendenti di cornalina a forma di goccia.

Le tre teste di falco conservano ancora al loro interno tracce di argento che indicano l’originaria presenza di un nucleo di tale materiale perforato a cui erano fissati i numerosi fili di perle della collana.

La collana al Museum of Egyptian Civilization – Foto Mohamed Mostafa

Fonte:

Tesori egizi nella collezione del Museo Egizio del Cairo – Francesco Tiradritti – foto Arnaldo De Luca – Edizioni White Star