Piccola Guida Turistica, Tombe

LA TOMBA DI KHAEMWASET (QV44)

Biografia del principe

Il nome completo dell’occupante della QV44 era Ramses-Khaemwaset, che significa “Nato da Ra – Colui che appare a Tebe”; suo padre ammirava a tal punto Ramses II che non solo cercò di emularne la grandezza ma diede anche ai propri figli gli stessi nomi che costui aveva scelto per i propri (Amonherkhepshef, Montuherkhepshef, Pareheruenemef, Meriatum, Khaemwaset).

Non solo, arrivò anche al punto di riutilizzarli per i principi nuovi nati qualora il primo ad averlo ricevuto fosse morto prematuramente, così creando non poche complicazioni agli studiosi che hanno cercato di ricostruire il suo complesso albero genealogico.

Khaemwaset fu probabilmente figlio di Tyti, una delle grandi spose reali di Ramses; non deve essere confuso né con il suo omonimo e famoso figlio di Ramses II (si veda il bel post di Francesco Alba sul nostro sito a questo link:

https://laciviltaegizia.org/2021/11/27/khaemwaset/) né con gli omonimi fratellastri saliti al trono come Ramses IX e Ramses XI (si vedano gli interessanti contributi di Piero Cargnino sul nostro sito a questi link:

https://laciviltaegizia.org/2023/12/22/il-faraone-ramses-ix/ e https://laciviltaegizia.org/2023/12/23/il-faraone-ramses-xi/)

Egli è raffigurato nelle processioni dei principi reali sulle pareti del tempio di Medinet Habu, dove è indicato come defunto (si ricorderà che le didascalie di queste processioni, fatte scolpire da Ramses III, vennero aggiunte da Ramses IV dopo la sua intronizzazione); probabilmente fu fratello minore di Amonherkhepshef e sia lui che il fratello Pareheruenemef ebbero il titolo di “primo figlio del re del suo corpo”, perché, verosimilmente, furono i primogeniti di due diverse spose reali.

Come il figlio di Ramses II, anche questo Khaemwaset fu sacerdote di Ptah (nella tomba viene definito “sacerdote sem di Ptah il Grande, che è a sud del suo muro, signore di Anch-tauj -Menfi-, figlio del re, Khaemwaset, benedetto”) visse ed esercitò il suo ministero a Menfi nel tempio dedicato al dio, ma non fece in tempo a scalare i gradi della gerarchia ecclesiastica né a salire al trono perché morì in giovane età, durante il regno di Ramses IV, che si fece carico della sua sepoltura così come si desume da un’iscrizione posta sul frammento del suo sarcofago in granito rosa attualmente esposto al Museo Egizio di Torino.

Il frammento di sarcofago che si trova a Torino (S.05215).

La sua scoperta e le caratteristiche architettoniche

La tomba QV44 si trova alla fine del ramo sud della Valle e si inoltra nella montagna per circa venti metri lungo un asse rettilineo est-ovest, perpendicolare rispetto alle tombe precedenti così come la vicina QV 43.

L’attuale ingresso della tomba

Essa fu scoperta il 15 febbraio 1903 dall’italiano Francesco Ballerini, principale collaboratore di Ernesto Schiaparelli, nel corso della prima campagna di scavi condotta dalla Missione Archeologica Italiana in Egitto, che riportò alla luce anche la QV 43 appartenuta a Setiherkhepshef, un altro figlio di Ramses III probabilmente salito al trono con il nome di Ramses VIII.

La tomba al momento della scoperta – Dall’Archivio fotografico Museo Egizio di Torino – catalogo online. CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=157918774

Essa ha origine in una rampa d’ingresso lunga tre metri, si allarga in due successive camere fiancheggiate la prima da un annesso per parte dotato di un basso soffitto, la seconda da due nicchie e si chiude con una terza stanza di forma quadrata.

La seconda stanza ha una volta leggermente a botte con stelle bianche su sfondo beige e forse avrebbe dovuto essere la camera sepolcrale, poi realizzata nella stanza quadrata; il progetto originario, infatti, venne modificato già all’epoca, in quanto al momento della scoperta della tomba la fossa predisposta nella stanza intermedia per accogliere il sarcofago era già stata riempita di sabbia.

Quando la struttura fu terminata si rese necessario allargare i portali lungo il corridoio tra le stanze per permettere di introdurvi il massiccio sarcofago in granito; esse furono scolpite con nuove decorazioni che tuttavia non vennero completate con il colore.

La mummia di Khaemwaset probabilmente fu spostata altrove già in tempi antichi ed il suo sarcofago fu riutilizzato nel Terzo Periodo Intermedio, epoca in cui verosimilmente l’ipogeo venne adibito a sepoltura comune; al momento della scoperta, infatti, la rampa d’accesso e la galleria centrale della tomba erano occupate da oltre 40 sarcofagi lignei semidistrutti ed accatastati e da oltre 90 mummie risalenti alla XXV e XXVI dinastia, violate dai ladri e smembrate dalle iene.

Il corridoio d’ingresso della tomba al momento della scoperta, con i sarcofagi di epoca successiva ancora presenti in loco. Fotografia di Francesco Ballerini – Archivio fotografico Museo Egizio di Torino

L’ingresso venne ritrovato sigillato con un muro a secco, e, in mancanza di prove di un riutilizzo di epoca romana, si presume che l’ipogeo sia rimasto chiuso fino all’epoca copta ed araba, quando fu nuovamente aperto e saccheggiato; dei corredi che certamente vi erano stati deposti sono sopravvissuti solo alcuni mobili, una reticella funeraria decorata con uno scarabeo alato e con l’immagine dei quattro figli di Horus e cinquanta scarabei in pasta di vetro.

La decorazione del corridoio d’ingresso

Ptah nel suo santuario.

La QV44 è interamente decorata, così come la QV55, con scene dai colori intensi e brillanti che mostrano il viaggio del defunto nell’aldilà; il principe, raffigurato giovanissimo ed ancora con la treccia dell’infanzia, è accompagnato dal padre Ramses III ad incontrare le principali divinità dell’Oltretomba ed affronta le creature che custodiscono le porte del regno di Osiride.

Il principe al seguito del padre che indossa la corona dell’Alto Egitto e dà la mano ad Anubi.
Immagine di Elvira Kronlob

Entrando nel vestibolo, a sinistra si trova un’immagine di Ptah, seguita da una scena che mostra Khaemwaset con il padre Ramses III che indossa la corona dell’Alto Egitto di fronte ad Anubi ed a Ra Harakhty; sulla destra invece si trova il re che fa offerte a Sokar.

Il re che fa offerte a Ra Harakhti.
Il dio Sokar.

Accanto all’ingresso della camera laterale destra vi sono due immagini del principe al seguito del padre; in una Ramses offre incenso al dio della terra Geb ed in un’altra tiene la mano di Shu; l’ingresso della camera laterale sinistra è invece presidiato da Anubi e Thot.

Ramesse III (a destra), elegantemente abbigliato, effettua fumigazioni e lustrazioni davanti al dio della terra Geb, che indossa la corona del Basso Egitto.
Fotografia di Francois Oliver (Meretseger Books, Parigi) per il pubblico dominio (con attribuzione).
Ingresso della camera laterale destra: il principe al seguito del padre che tiene la mano del dio Shu.
Thot che presidia l’apertura che conduce nella camera laterale sinistra.

Alla fine del lato destro della parete, il re e il giovane principe offrono incenso al dio Atum.

Ramses III che dà la mano a Ra-Harakhti

La decorazione delle due camere laterali (o annessi).

I due annessi laterali hanno uno schema decorativo simile: divinità isolate affiancate dal principe che appare da solo davanti ad altri dei con le braccia alzate in segno di adorazione.

Il principe rende omaggio ad Hapi, il Figlio di Horus con la testa di babbuino, nel testo geroglifico erroneamente indicato come Duamutef, dalla testa di sciacallo.

Nella stanza di sinistra troviamo le dee Neith e Selket ed Iside e Nephtis, mentre Khaemwaset si trova sulle pareti laterali di fronte ad Anubi ed ai figli di Horus.

Il principe Khaemwaset davanti a Duamutef, uno dei figli di Horus (che tuttavia il testo geroglifico individua come Hapi, il quale, tuttavia ha la testa di babbuino.
Fotografia di Kairoinfo4U (album Flickr) Licenza: CC-BY-NC-SA-2.0
Il principe rende omaggio a Imset, o Amseti, il Figlio di Horus antropomorfo.

Nella stanza di destra vi sono scene di adorazione dei figli di Horus e di altre divinità, tra le quali Harmakis (il dio ieracocefalo del sole nascente e del tramonto, personificazione della funzione divina dei faraoni, simbolo della resurrezione e della vita eterna), Bak dalla testa di ibis ed un altro dio dalla testa canina non meglio identificato.

Ramses rende omaggio a Qebehsenuf, il Figlio di Horus raffigurato con la testa di falco.
Il principe rende omaggio al dio Bak.
La strana divinità dalla testa di cane.

Sulle pareti di fondo di entrambe le camere vi è la medesima scena: due figure contrapposte di Osiride in trono affiancate da un fiore di ninfea e dalle dee Neith (a destra) ed Iside (a sinistra).

La parete di fondo con le due scene contrapposte di Osiride dinanzi ad Iside (a sinistra) ed a Neith (a destra)

La decorazione del corridoio che conduce alla camera sepolcrale.

Il corridoio che conduce all’ingresso della camera sepolcrale è presidiato su entrambi i lati da coppie di demoni guardiani dei cancelli armati di grandi coltelli, disposti lungo il tragitto davanti ai portali che sono chiamati a sorvegliare ed identificati nelle iscrizioni che si trovano sopra di essi.

Hanno nomi inquietanti, alcuni dei quali vi trascrivo così come li ho trovati: in alto si trova Sekhenur il Grande Conquistatore, poi abbiamo Miu il Gatto, Saupen il Protettore e Colui che costringe al declino, provoca debolezza ed emerge come morte.


Abbiamoo l’Iracondo, Colui che accende il suo braciere e Colui che dal volto vigile esce dagli inferi.

Il principe si presenta reggendo alternativamente il flabello Swt, il ventaglio Khu o lo scettro Heqa e per varcare le porte che lo condurranno davanti ad Osiride dovrà affrontare queste creature che lo lasceranno passare se dimostrerà di conoscere il loro nome.

Piccola Guida Turistica, Tombe, XX Dinastia

LA TOMBA DELLA REGINA TYTI (QV52)

La regina nelle vesti di un sacerdote Iunmutef mentre effettua un’offerta di incenso. https://commons.m.wikimedia.org/…/File:QV52_Tomb_of…

Biografia della regina ed introduzione alla descrizione della tomba

Tyti era una sovrana della XX dinastia, ma di lei si sa poco, poiché la sua tomba nella Valle delle Regine reca iscrizioni che la identificano come figlia, sorella, moglie e madre di un re ma che non offrono indicazioni che consentano di dedurre la sua esatta collocazione nell’albero genealogico di Ramses III.

Per anni gli studiosi hanno discusso il tema ed oggi sembrano essere giunti unanimemente alla conclusione che ella fu una delle Grandi Spose Reali del sovrano e forse madre di Ramses IV (ruolo che altri attribuiscono invece alla Grande Sposa Reale Iside-Ta-Hemdjert); l’egittologo francese Christian Leblanc suggerisce che potrebbe essere stata anche la madre dei principi Khaemwaset, Amonherkhepeshef e Ramses-Meryamun per via della decorazione molto simile delle loro tombe.

La sovrana davanti ad uno dei figli di Horus
da https://en.wikipedia.org/wiki/Tyti

Stranamente Tyti è raffigurata in alcune scene molto giovane, il che porta ad ipotizzare una morte prematura, in altre come una donna di mezza età, con un’acconciatura elaborata ed un copricapo piumato; sulla parete destra del corridoio che conduce alla camera funeraria, addirittura, appare nelle vesti di un sacerdote ritualista Iwn-mwt.f (da non confondere con l’omonima divinità, aspetto del dio Horus), nell’atto di offrire incenso.

Camera laterale destra – La regina scuote due sistri e rende omaggio ai Quattro Figli di Horus.
Fotografo: Francois Oliver (Meretseger Books, Parigi) per pubblico dominio (con attribuzione)

La tomba, notevolmente danneggiata in seguito a riutilizzi successivi databili al Terzo Periodo Intermedio, riproduce in scala minore i grandi ipogei reali del suo tempo in quanto è costituita da un lungo corridoio piano scavato nella falesia che conduce ad una camera sepolcrale circondata da annessi su tre lati.

L’ingresso della tomba scavato nella falesia

Tutto il protocollo decorativo rappresenta il viaggio che la sovrana defunta compie nell’Aldilà per raggiungere la Sala del Giudizio di Osiride, ed il momento in cui rende omaggio agli dei dell’Oltretomba ed incontra le creature ibride descritte nei testi funerari.

La decorazione della tomba

Il corridoio, la camera sepolcrale e gli annessi della tomba sono decorati con rilievi leggermente scolpiti, in origine dipinti con colori caldi su uno sfondo di intonaco bianco, grigio o giallo dorato.

Molte scene che decoravano le pareti della tomba sono andate perdute con il trascorrere dei millenni ed i colori di altre si sono sbiaditi; come già rilevato, la sovrana defunta è rappresentata mentre si avvia alla Sala della psicostasia rendendo omaggio agli dei ed incontrando i demoni dell’Oltretomba.

Una barca solare raffigurata sulla parete di fondo della camera funeraria.
Fotografo: Francois Oliver (Meretseger Books, Parigi) per il pubblico dominio (con attribuzione)

Gli stipiti dell’ingresso del sepolcro contengono i titoli di Titi ed i testi ad ella riferiti; la parte sinistra del corridoio conserva scene che la mostrano davanti a Ptah assiso nel suo santuario, Ra-Horakhty, Imset, Duamutef e Iside; sul lato destro si trova accanto a Ma’at e mentre rende omaggio a Thoth, Atum, Hapi, Qebsenuef e Nephthys scuotendo due sistri.

Thot e due dei Figli di Horus, a questo link: http://www.luxor-west-bank.com/qv52-tyti.html

Qebehsenuf con la testa di falco e Duamutef con la testa di sciacallo, sono due dei Quattro Figli di Horus ai quali la regina rende omaggio.
I “Figli di Horus” sono le quattro divinità preposte alla protezione degli organi interni dopo la mummificazione, che aiutarono Anubi ad imbalsamare il corpo di Osiride e divennero per questo patroni dei canopi.
Gli altri due erano Hapi con la testa di babbuino ed Imset, o “Amseti”, raffigurato con testa umana.
Fotografo: Francois Oliver (Meretseger Books, Paris) per pubblico dominio

Un portale scolpito sull’architrave con un’immagine di Nekhbet ad ali spiegate e con raffigurazioni di Neith e Selkis conduce alla camera funeraria, il cui soffitto è decorato con stelle bianche su sfondo dorato; questa stanza ha forma quadrata ed annessi su ciascun lato.

Particolare dell’architrave dell’ingresso della camera sepolcrale con un’immagine di Nekhbet ad ali spiegate. https://thebanmappingproject.com/tombs/qv-52-queen-tyti, fotografia di Bianca van Sittert & Briana Jackson

Sulla parete a sud (quella di fondo) sono rappresentate barche solari e la regina che scuote un sistro davanti ai Quattro Figli di Horus ed agli dei Geb, Nefertum ed Harheken accovacciati; la parete nord (quella che la divide dal corridoio) mostra a sinistra dell’ingresso demoni guardiani.

Uno dei guardiani in forma leonina che appaiono sulla parete nord della camera sepolcrale.
Fotografo: Francois Oliver (Meretseger Books, Paris) per pubblico dominio.

Sulla parete est è dipinto un cancello presidiato da due babbuini e da una scimmia e creature mostruose in forma di avvoltoio ed ippopotamo descritti nei libri funerari, mentre sulla parete ovest sono raffigurati i guardiani dell’oltretomba.

Demone dell’Oltretomba, armato di coltelli.
da Trip Advisor, fotografia di Michele L.

I tre annessi laterali erano destinati a ospitare il corredo funerario della regina; quello posto sulla parete destra della camera sepolcrale mostra demoni con teste di sciacallo, serpente e coccodrillo che sorvegliano i vasi canopi, le anime di Pe e di Nekhen e la dea Hathor in forma bovina che esce dalla montagna tebana davanti ad un sicomoro alla destra del quale vi è la defunta in posa di venerazione.

Le anime di Pe (con la testa di falco) e di Nekhen (con la testa di canide) che figurano sulla parete destra della camera sepolcrale, raffigurate mentre compiono il tipico gesto con il quale salutavano il sovrano defunto nei riti di purificazione davanti agli dei.
Con il termine “Anime di Pe e di Nekhen” o “Seguaci di Horo” si indicano i mitici sovrani predinastici del Basso e dell’Alto Egitto che identificano le antiche forze spirituali delle due metà del Paese.
Pe infatti era l’antica Buto, mitica capitale del Basso Egitto, Nekhen invece era Hierakonpolis, antica capitale dell’Alto Egitto. 

Il soffitto della camera sepolcrale, da Trip Advisor, fotografia di Susan C.
La dea Hathor in forma bovina che esce dalla montagna tebana; dinanzi a lei un sicomoro dal quale esce una dea e la regina Titi adorante. Da Osirisnet

Nella camera opposta, il cui pavimento è crollato, ci sono tracce di una scena di Osiride oltre a raffigurazioni di Tyti di fronte ai figli di Horus.

Una delle camere laterali contiene la già citata raffigurazione della regina come sacerdote Iunmutef.

Anche le raffigurazioni dell’annesso posteriore sono abbastanza ben conservate. Su entrambi i lati dell’ingresso della parete anteriore la regina appare di nuovo in posizione di adorazione; sul lato sinistro della parete si trovano i Figli di Horus, mentre Geb, Nut, Nefertem e Harhekenu nelle vesti di Osiride siedono davanti a tavoli d’offerta con del cibo (pane). Sotto i tavoli ci sono brocche d’acqua.

Parte di una scena nell’annesso con il pavimento crollato.
Fotografo: Francois Oliver (Meretseger Books, Paris) per pubblico dominio.

I quattro figli di Horus sono visibili anche sul lato destro della parete unitamente ad Hu, Sia, Shu e Tefnut, anch’essi con aspetto osiriforme. Sulla parete posteriore Nephthys e Thoth, nonché Neith e Selket rendono omaggio ad Osiride.

Particolare della scena che compare ai lati dell’ingresso dell’annesso posteriore: divinità mummiformi siedono davanti a tavoli d’offerta recanti del pane, sotto i quali ci sono brocche d’acqua.
Da Trip Advisor, fotografia di Jean Sebastien 9276
Demoni dell’Oltretomba: si noti quello a destra con il viso di fronte, anzichè di profilo. Da Trip Advisor, fotografia di Susan C.

BIBLIOGRAFIA AGGIUNTIVA:

Grist, Jehon. “The Identity of the Ramesside Queen Tyti.” The Journal of Egyptian Archaeology, vol. 71, 1985, pp. 71–81. JSTOR, https://doi.org/10.2307/3821713.

I crediti delle immagini si trovano nelle didascalie delle stesse.

Piccola Guida Turistica, Tombe, XX Dinastia

LA TOMBA DI AMONHERKHOPESHEF (QV55)

Amonherkhopeshef, defunto, viene presentato ad Iside dal padre Ramesses III.
Il principe è rappresentato come un bambino e tiene in mano il ventaglio ad una sola piuma che lo qualifica come “flabellifero alla destra del re”, titolo riservato ai figli del sovrano ed alle persone a lui particolarmente vicine. Potrebbe anche simboleggiare la piuma di Maat e quindi la sua condizione di defunto giustificato.
FOTO: kairoinfo4u

Del principe Amonherkhopeshef si sa poco; Dodson ed Hilton lo identificano come Amonherkhopeshef B per distinguerlo da Amonherkhopeshef A figlio primogenito di Ramses II premorto al padre e da Amonherkhopeshef C figlio di Isis e di Ramses III divenuto re con il nome di Ramses VI.

Dall’intricato e controverso albero genealogico della XX dinastia così come ricostruito dai due studiosi si evince solo che era uno degli otto figli maschi di una regina non identificata e che era fratello di Ramses VIII e fratellastro di Ramses IV, Ramses VI e Pentawere, che insieme alla madre Tiye e ad alcuni cortigiani ordì la famosa Congiura dell’Harem nella quale il sovrano venne assassinato.

Le iscrizioni nella sua tomba nella Valle delle Regine attestano che egli portava i titoli di “figlio del re del suo corpo che ama”, “principe ereditario”, “scriba reale”, “grande comandante della cavalleria”; pare essere deceduto all’età di 15 anni, prima del padre.

Egli compare con estrema probabilità nella processione di dieci principi figli di Ramses III che il Faraone fece scolpire sulle pareti del tempio di Medinet Habu; egli omise di indicarne nomi e titoli, che furono fatti inserire da Ramses VI, il quale non necessariamente rispettò l’ordine di nascita.

Il corteo di principi è guidato da Ramses IV, seguito al secondo ed al terzo posto da due personaggi ai quali Ramses VI (Amonherkhepshef C) attribuì i propri cartigli reali ed i titoli a suo tempo portati dall’omonimo fratello defunto; nella processione figura anche un terzo Amonherkhepshef “Portatore di ventaglio alla destra del re, figlio del re del suo corpo” che forse è lo stesso Ramses VI con i titoli che rivestiva quando le immagini furono scolpite ed era ancora ben lontano dal trono.

I principi compaiono anche in un rilievo di Karnak ed in un altro di Medinet Habu nei quali sono ritratti mentre partecipano alla Festa in onore del dio Min e trasportano a spalla il palanchino sul quale è assiso Ramses III, ed infine otto di essi sono raffigurati nel rilievo di una cappella mentre fanno offerte al padre.

Particolare (ricostruito e colorato) della processione in onore di Min, alla quale partecipano i figli reali.

La descrizione della tomba

La tomba del principe Amonherkhepeshef fu scoperta nel 1904 da Ernesto Schiaparelli, all’epoca direttore del museo Egizio di Torino, ed ha la classica struttura a siringa: un lungo corridoio discendente a gradini porta a due ambienti successivi collocati sul medesimo asse ed infine ad una camera sepolcrale dal soffitto basso che contiene un sarcofago antropomorfo incompiuto di granito; sulla parete destra di ognuna delle due camere intermedie si apre un annesso.

Ramses III e suo figlio dinanzi al dio Imset o Amset, uno dei quattro figli di Horus.
Egli aveva la testa umana ed era un dio funerario, rappresentato sul vaso canopo contenente il fegato. Era collegato ad Iside.
FOTO di Kairoinfo4u, da Flickr

Essa venne rinvenuta già profanata nell’antichità, e non v’era traccia nemmeno della mummia del suo occupante, che tuttavia potrebbe essere stato inumato nella KV13, dove gli scavi hanno rivelato un sarcofago di Tausert riscolpito con il suo nome; nella QV55 venne invece rinvenuta una scatola contenente i resti di un feto di sei mesi, ancora oggi esposto nella tomba all’interno di una teca.

In questo rilievo il Faraone effettua fumigazioni in onore di Ptah, che si trova in piedi in un santuario; egli è raffigurato mummiforme e con una calotta blu sul capo.
Secondo la cosmogonia di Menfi era il dio che concepì il mondo con il potere dei suoi pensieri e delle sue parole.
Foto Mick Palarczyk e Paul Smit.

Un esteso intonaco dipinto a rilievo incassato sopravvive in tutto l’ipogeo, salvo che negli annessi e nella camera sepolcrale; il tema decorativo ha come protagonista il sovrano che accompagna il figlio deceduto al cospetto degli dei.

Ramses III rende omaggio ad una divinità. Del tutto particolare è la corona “cappuccio” indossata dal sovrano, simile alla calotta del dio Ptah, già attestata nell’Antico regno ed introdotta dai re kushiti. Essa veniva indossata durante i culti e si pensa che identificasse un figlio reale o divino. Solitamente gialla o blu era talvolta decorata con cobra, piume di struzzo o come in questo caso con il falco Horus. I resti di quella che sembra essere una di queste corone sono stati trovati sulla mummia di Tutankhamon. Essa consisteva in una fascia d’oro avvolta attorno alle tempie che fissava una calotta di lino, tenuta in posizione da un nastro annodato nella parte posteriore della testa e decorata con quattro cobra di perline di vetro di colore oro, rosso e blu.
https://www.reddit.com/…/Cow…/comments/tc6f6i/cap_crown/
FOTO di Kairoinfo4u

Le scene sono molto delicate e coloratissime; Amonherkhopeshef è rappresentato come un bambino (ha ancora la treccia dell’infanzia) e tiene in mano il ventaglio ad una sola piuma che lo qualifica come “flabellifero alla destra del re”, titolo prestigioso riservato ai figli del sovrano ed alle persone a lui particolarmente vicine oppure come defunto giustificato, in quanto simboleggia la piuma di Maat e l’esito positivo della psicostasia.

Ramses III e Duamutef, uno dei figli di Horus.
FOTO di Kairoinfo4u da Flickr

Egli quasi si nasconde timidamente dietro il padre, che rende omaggio agli dei più importanti del Pantheon egizio e lo presenta personalmente ad ognuno di loro.

Sulle pareti, inoltre, sono stati riprodotti alcuni capitoli del Libro dei Morti.

Questo rilievo ritrae il dio Ptah-Tatenen. Tatenen era una divinità funeraria rappresentante la terra emersa dal Caos primordiale, che venne in seguito associata al principale dio menfita Ptah nella forma Ptah-Tatenen, creatore dell’energia primordiale.
Generalmente veniva rappresentato con aspetto mummiforme, la barba ed il “nemes” adornato con due piume, corna ritorte e disco solare. A questa divinità si attribuisce di aver portato nel mondo il pilastro djed che in seguito sarà associato al dio Osiride.
FONTE: https://it.wikipedia.org/wiki/Tatenen
Foto Mick Palarczyk e Paul Smit.

Questo rilievo raffigura Ramses III davanti a una divinità. Il sovrano indossa un magnifico gonnellino ed un corsetto e sulla testa porta un elmo decorato con anelli d’oro. Foto Mick Palarczyk e Paul Smit.
Il sovrano e suo figlio dinanzi a Ptah-Tatenen.
FOTO di Kairoinfo4u
Questo rilievo mostra Ramses III che abbraccia la dea Iside. Il re indossa la corona blu khepresh mentre la divinità esibisce sopra una parrucca blu il suo caratteristico copricapo avvoltoio sormontato da un modio decorato di urei dal quale si dipartono le corna bovine ed il disco solare. Foto Mick Palarczyk e Paul Smit.

Per informazioni sugli omonimi di questo principe, guardate sul nostro sito a questi link:

https://laciviltaegizia.org/…/il-principe-amon-her…/

https://laciviltaegizia.org/2023/12/10/il-faraone-ramses-vi/

I demoni guardiani dell’Oltretomba

Nella tomba del principe Amonherkhepeshef si trovano le immagini di alcuni demoni guardiani dell’Oltretomba.

Gli antichi egizi credevano nell’Aldilà, ma per raggiungere i Campi di Iaru, il luogo di pace destinato ai meritevoli, il defunto avrebbe dovuto affrontare un pericoloso viaggio attraverso gli inferi, lo stesso che ogni notte veniva percorso dalla barca solare del dio Ra.

Esso iniziava guadando il grande fiume nel cielo che separa la terra dagli inferi e che poteva essere attraversato solo dal traghettatore degli dei, una divinità dell’Oltretomba, che i Testi delle Piramidi indicano in Kherti.

Kherti, il cui nome dovrebbe significare “il massacratore” aveva la forma di un ariete mummificato in posizione accovacciata; nei Testi dei Sarcofagi questa funzione viene attribuita ad Aker, poi divenuto dio dell’orizzonte.

L’Oltretomba, che gli Egizi chiamavano Duat, era un mondo popolato da demoni e mostri ostili, caratterizzato da un paesaggio simile a quello terrestre, costellato tuttavia anche da laghi di fuoco, caverne, deserti e foreste di alberi di turchese; la strada che lo attraversava era sbarrata da porte e piloni chiusi con cancelli.

Ogni porta era presidiata da un serpente che sputava fuoco e da tre personaggi zoo-antropomorfici armati di grossi coltelli e di fruste e dal nome il più delle volte inquietante, che avrebbero potuto avere il sopravvento sul defunto, condannandolo per sempre all’oblio.

Qutgetef, guardiano dell’ottava porta. Foto: Smit e Palarczyc

I Faraoni dell’Antico Regno entravano in quel mondo oscuro accompagnati dalle invocazioni dei sacerdoti ed annunciando che si sarebbero fatti strada con la forza; le persone comuni, invece, si facevano talvolta seppellire con una mappa della Duat e con testi di incantesimi ed amuleti che li avrebbero aiutati lungo il cammino.

Se il defunto fosse riuscito a concludere il viaggio si sarebbe presentato nella Sala del Giudizio per dare conto della sua vita ad Osiride attraverso la “confessione negativa” (ossia per rendere la dichiarazione di non aver commesso una serie di 42 cattive azioni) e per la pesatura del suo cuore, che avrebbe dovuto dare riscontro alle sue parole.

Se quest’ultimo, infatti, fosse risultato leggero quanto la piuma di Maat, simbolo di rettitudine, avrebbe ottenuto la vita eterna negli idilliaci Campi di Iaru; se così non fosse stato, sarebbe stato gettato in una fossa infuocata ed il cuore sarebbe stato divorato da Ammit, un mostro con la testa di coccodrillo, la parte anteriore e la criniera di leone e la parte posteriore di ippopotamo ed ogni possibilità di rinascita gli sarebbe stata per sempre preclusa.

PER ULTERIORI INFORMAZIONI SUL TEMA, ANDATE SUL NOSTRO SITO A QUESTI LINK

https://laciviltaegizia.org/…/medicina-e-magia-i-demoni/

https://laciviltaegizia.org/…/il-terzo-sacrario-di…/

https://laciviltaegizia.org/?s=ammit

BIBLIOGRAFIA ULTERIORE:

REDFORD S., The harem conspiracy, 2002

Grazie infinite a Nico Pollone e ad Andrea Petta per il valido aiuto prestatomi nella ricerca delle immagini dei rilievi e del testo della dott. Redford.

Piccola Guida Turistica

LA VALLE DELLE REGINE

CENNI GENERALI

Sulla riva occidentale del Nilo, a sud e a sud-ovest della Valle dei Re, si trova una vasta rete di wadi tra i quali il più importante è la Valle delle Regine, oggi nota anche come Biban el-Harim, Biban el-Sultanat o Wadi el-Melikat ma chiamata nell’antichità Ta-Set-Neferu, ossia “il luogo della bellezza”.

A far tempo dal 1550 a. C. circa ed in seguito, fino alla fine della XX dinastia questo wadi e le sue diramazioni sono stati utilizzati come necropoli per le mogli del Faraone e per altri membri della famiglia reale.

Ramses III vi fece seppellire molti tra i suoi stretti congiunti: all’estremità occidentale del wadi principale si trovano le tombe delle regine Isis (QV51) e Tyti (QV52), che alcuni ritengono anche figlia o sorella del sovrano e dei principi Ramses (QV53) ed Amonherkepshef (QV55); in un wadi periferico che si dirama a sud-ovest da quello principale ci sono invece le tombe dei principi Khaemwaset (QV44), Pareherwenemef (QV42) e Sethirkhopshef (QV43) – quest’ultima inutilizzata, in quanto egli salì al trono come Ramses VIII e dovrebbe essere stato sepolto nella Valle dei Re, sebbene il suo ipogeo non sia ancora venuto alla luce.

La zona è soggetta a cedimenti geologici ed è caratterizzata da rocce di modesta qualità, inclini ad assorbire l’acqua ed a frantumarsi, per cui nel corso dei millenni le periodiche inondazioni ed i terremoti hanno reso inaccessibili quasi tutte le oltre cento tombe che in essa sono state scavate.

Attualmente sono visitabili solo la QV44, la QV52 e la QV55.

NOTA: per quanto riguarda la tomba di Nefertari, nuovamente chiusa al pubblico e peraltro già trattata su queste pagine, potrete trovare gli interessanti articoli sul nostro sito a questi link: https://laciviltaegizia.org/…/05/16/la-tomba-di-nefertari/ e https://laciviltaegizia.org/2023/03/15/nefertari-qv66/

FONTI DI QUESTO E DEI SUCCESSIVI POST DI QUESTA RUBRICA:

https://biblioteca.museoegizio.it/…/la-tombe-du…/2612

https://madainproject.com/tombs_in_valley_of_the_queens…

https://thebanmappingproject.com/…/qv-55-prince…

https://it.wikipedia.org/wiki/QV55

https://nefershapiland.de/ramsesiii_familie.htm

https://collezioni.museoegizio.it/it-IT/material/S_5215

https://it.wikipedia.org/wiki/QV44

https://www.wikiwand.com/…/Khaemuaset_(figlio_di_Ramses…)

https://thebanmappingproject.com/…/qv-44-prince-khaemwaset

https://archeologiavocidalpassato.com/…/tomba-di…/

http://www.griffith.ox.ac.uk/topbib.HTML

http://www.louxoregypte.fr/…/la-vallee-des-reines.html

https://destination-egypte.fr/vallee-des-reines-louxor/

https://it.wikipedia.org/wiki/QV44

DODSON A., HILTON D., “The Complete Royal Families of Ancient Egypt”, Cairo, 2004

Piccola Guida Turistica

IL DESERTO BIANCO

FOTO DI SILVIA VITRO’
“Dio ha creato le terre con i laghi e i fiumi affinché l’uomo possa viverci, e il deserto affinché possa ritrovare la sua anima“. Detto tuareg

Al tramonto il disco solare che si abbassa all’orizzonte incendia l’ambiente circostante con una luce arancione che piano piano scolora nel rosa e poi nel grigio mentre cala il buio; Silvia ed io raggiungiamo una piccola altura dalla quale si gode una vista spettacolare a 360° e cominciamo a scattare fotografie a raffica, conquistate dalla bellezza del momento e del luogo.

FOTO MIA

Nel frattempo la nostra guida ha predisposto il campo nei pressi di un’imponente formazione rocciosa, coprendo con dei tappeti un’area dello spiazzo sabbioso accanto alla jeep e proteggendola con un paravento realizzato con teli multicolori, quindi, aiutato da Silvia che sbuccia le patate, prepara la cena a base di pollo alla griglia e verdure.

Ecco l’area nella quale ci accampiamo.
Foto di Silvia Vitrò
Il bivacco davanti al roccione
FOTO DI SILVIA VITRO’
Il campo.
FOTO DI SILVIA VITRO’

Il profumino delizioso del cibo in cottura attira un piccolo fennec, evidentemente abituato alla presenza discreta degli uomini, che a debita distanza si disseta con l’acqua che gli mettiamo a disposizione in un bicchiere.

il piccolo fennec ha sentito il profumo del pollo alla griglia!
FOTO DI SILVIA VITRO’
Le impronte lasciate dal nostro piccolo amico dalle grandi orecchie.
FOTO DI SILVIA VITRO’

Tornerà di notte molto più spavaldo, e al debole chiarore del fuoco che si sta spegnendo si avvicinerà al punto da poterlo accarezzare solo allungando la mano: restiamo immobili per non spaventarlo e lo osserviamo mentre gironzola indisturbato alla ricerca di qualche cosa di buono da mangiare, lo sentiamo rovistare e alla fine, probabilmente dopo aver trovato gli avanzi del pollo, lo vediamo trotterellare via.

Per dormire ci stendiamo su materassini posti uno accanto all’altro: siamo lontanissimi dalla “civiltà”, soli nella notte illuminata dai bagliori del fuoco, dalla luna e da un milione di stelle splendenti che sembrano enormi e talmente vicine da poterle toccare, ma ci pervade una sensazione di grande pace, al punto che non vorremmo cedere al sonno per goderne il più possibile.

La vastità del deserto, il silenzio, la solitudine, il cielo e la via Lattea sopra di noi ci fanno sentire parte dell’Universo e ci riportano alla nostra vera dimensione. Lì l’uomo non è il padrone del mondo, è solo un granello di sabbia in mezzo a miliardi di altri granelli di sabbia.

FOTO DI SILVIA VITRO’

Al mattino, il sole si leva presto ed implacabile e la guida ci prepara una colazione degna di un grand’hotel, quindi smonta il campo e ci accompagna a vedere le formazioni rocciose note per la loro forma curiosa: la Sfinge, il Coniglio, Nefertiti, il Pollo ed il Fungo.

Le rocce dette “il pollo e il fungo”
FOTO DI SILVIA VITRO’
La via lattea illumina la roccia chiamata “il coniglio”.
FOTO DA INTERNET

E’ con una punta di tristezza che ci rimettiamo in viaggio verso la civiltà; sarebbe stato bello spingersi verso le Oasi più a Sud ed il Grande Mare di Sabbia….. però si dice che quando si riparte dal deserto, non lo si lascia mai per sempre…. e così cominciamo a sognare il prossimo viaggio.

FOTO MIA

Il mio racconto termina qui; spero di essere riuscita a coinvolgervi ed auguro ad ognuno di voi di poter andare in Egitto, o di tornarvi, perché le emozioni che questo fantastico paese comunica vanno ben oltre il descrivibile.

Piccola Guida Turistica

LA PORTA DEL DESERTO BIANCO

E LA VALLE DI AGABAT

L’uscita dello stretto passaggio che sbuca nella valle di Agabat
FOTO MIA

Ad un tratto, d’improvviso, all’uscita di uno stretto passaggio un grande scivolo di sabbia dà accesso all’ampia valle di Agabat, considerata “la porta del Deserto Bianco”; si tratta di un’area anticamente percorsa da un fiume, caratterizzata da formazioni rocciose a forma di pandizucchero che si ergono dal terreno coperto di sabbia arancione e da placche calcaree.

L’ultima parte dello scivolo di sabbia e le formazioni a pandizucchero della Valle dell’Agabat
FOTO MIA

Procedendo lungo la valle il paesaggio si apre e le montagnole dorate sono piano piano sostituite da una foresta di jargangher, le ben note formazioni che caratterizzano il Deserto Bianco, createsi nel corso dei millenni a causa dell’azione del vento e della sabbia.

Esse si ergono dal terreno ricoperto di placche di un bianco lunare e rendono il paesaggio surreale e affascinante: enormi funghi di pietra, pinnacoli ed alti monoliti all’interno dei quali si aprono delle caverne chiamate stargates, talvolta utilizzate come tana dai fennec, le piccole volpi del deserto dalle grandi orecchie.

Si cominciano a vedere i primi “funghi” del deserto bianco.
FOTO MIA

Queste formazioni rocciose contengono microrganismi marini e conchiglie fossili che provano che 40 milioni di anni fa la depressione di Farafra era sommersa dal mare; dopo il ritiro delle acque la zona si è trasformata in una savana erbosa disseminata da alberi e bassi arbusti (ancora oggi sono presenti oltre 300 sorgenti sotterranee che permettono la coltivazione di ulivi e palme da dattero), popolata da rinoceronti, leoni, gazzelle, vari erbivori e nuclei umani che circa cinquemila anni orsono, in seguito alla progressiva desertificazione, si spostarono verso la valle del Nilo in cerca di migliori condizioni di vita.

Eccoci finalmente arrivati!

Qui il tempo sembra essersi fermato: il paesaggio è immobile, il silenzio è assoluto, la luce è abbagliante e non si vedono segni del passaggio dell’uomo: la sabbia dorata è compatta ed intervallata dalle ampie placche gessose, le tracce lasciate dalle jeep dei precedenti visitatori sono state cancellate dal vento, e solo un minuscolo focolare con poca cenere e pezzetti di legno combusto prova che qualcuno, prima di noi, si è accampato lì.

Uno stargate.
FOTO MIA

La nostra guida trova un grande spiazzo accanto ad alcune varie formazioni rocciose e si dedica ad allestire il campo, mentre noi cominciamo ad esplorare, portandoci sulla sommità di una collinetta dalla quale si può godere un panorama stupendo e dove ci fermiamo in attesa del tramonto, scattando fotografie a raffica.

Piccola Guida Turistica

IL PARCO NAZIONALE DEL DESERTO BIANCO

E LA LEGGENDA DELLA PIETRA DELLA PROFEZIA

Lasciati alle spalle il Deserto nero e la montagna di cristallo si continua verso sud ovest in un ambiente desolato fino a raggiungere i margini della depressione di Farafra, a circa 370 km dal Cairo, dove inizia il Deserto bianco (Sahara el Beyda), che prende il nome dal colore delle sue rocce calcaree e gessose e che si estende per oltre 2000 chilometri quadrati fino a Siwa a nord e al confine con la Libia a ovest.

Perchè possiate localizzare la zona nella quale si trovano i luoghi desertici descritti in questi post, ho inserito questa mappa: si nota la strada che parte dal Cairo in direzione sud ovest verso l’oasi di Bahariya, si immette nel Deserto Bianco, raggiunge l’Oasi di Farafra e poi prosegue verso le Oasi di Dakhla e Kharga.
CARTINA TRATTA DA QUESTO SITO: https://medium.com/…/the-white-desert-in-egypt…

Nel 2002 al fine di proteggere l’area, le cui placche nivee rischiano di frantumarsi a causa del continuo passaggio delle jeep dei turisti, è stato istituito l’omonimo Parco Nazionale, il cui accesso è contingentato e necessita di particolari permessi.

Oltre ad un settore del Deserto Bianco comprende anche le Oasi di Farafra, di Ain El Maqfi ed Ain El Wadi, parte del Grande Mare di Sabbia ed il Wadi Hennis, per complessivi 300 chilometri quadrati.

Lungo la via ci si ferma in una minuscola oasi dove una sorgente d’acqua alimenta una grande piscina in cemento nella quale ci si può immergere per trovare refrigerio, ma preferiamo sostare solo brevemente per raggiungere la nostra meta prima possibile.

La fresca acqua sorgiva che viene convogliata nella piscina; sullo sfondo il deserto nero. Grazie ad un’istallazione di pannelli fotovoltaici, la piccola oasi dispone anche della corrente elettrica.
FOTO MIA

Per raggiungere il parco nazionale è necessario lasciare la strada asfaltata e seguire piste sabbiose non tracciate che solo le guide locali conoscono.

La tappa successiva è un’ampia zona gessosa coperta da innumerevoli sassolini neri: ve ne sono di tubolari lunghi due o tre centimetri, altri tondeggianti e grandi come una ciliegia, altri ancora dalle forme stellate: sembrano lapilli eruttati da un vulcano primordiale o minuscoli meteoriti piovuti dal cielo in un’era lontanissima.

LE PIETRE DELLA PROFEZIA sono rocce pseudomorfe, il che significa che i minerali dai quali erano originariamente composte (marcasite e pirite) sono stati sostituiti nel corso di milioni di anni da altri (limonite ed ematite – tutti ferrosi, ed è per questo che sono così pesanti-) ma hanno mantenuto la struttura cristallina originaria.
FOTO DA SITO DI VENDITA INTERNET

Li raccogliamo per guardarli meglio, e ci rendiamo conto che sono molto pesanti: la guida le chiama “fiori di pietra”, ma scoprirò in internet che sono le cosiddette “pietre della profezia”, rocce piuttosto rare delle quali sono stati trovati solo pochi depositi.

PERCHE’ SI CHIAMANO PIETRE DELLA PROFEZIA?Secondo la leggenda queste misteriose pietre vennero così chiamate dal beduino che per primo, nella notte dei tempi, le trovò e ne sperimentò il potere, perchè ne tenne in mano una mentre meditava ed ebbe una visione profetica.
FOTO DA SITO DI VENDITA INTERNET
Chi ci crede ritiene che esse siano un potente strumento di guida spirituale, che aiutino a capire quale sia il percorso della propria vita e quali siano i passi da compiere, che stimolino il Terzo Occhio permettendo di intuire gli eventi futuri, che migliorino la memoria e la capacità di pensare con chiarezza, che aiutino a raggiungere stati di meditazione più profondi ed a compiere viaggi astrali. In internet se ne trovano in vendita anche ad oltre 100 Euro l’una!
FOTO DA SITO DI VENDITA INTERNET

Nella didascalia delle immagini troverete informazioni più approfondite in relazione alla leggenda dalla quale hanno tratto il nome questi cristalli ed ai loro incredibili poteri; inoltre vi suggerisco di andare a guardare a questo link le belle foto scattate da Andrea Vitussi all’area ed alle pietre di molte forme differenti: .

https://www.facebook.com/share/p/urCPnRYLfEKhoQRa

Man mano ci si avvicina alla meta il percorso si fa molto più avventuroso: bisogna affrontare dune ondulate nelle quali le ruote della jeep rischiano di affondare, zigzagare tra le rocce che creano quasi una barriera protettiva a quel mondo incantato.

Ad un tratto, d’improvviso, all’uscita di uno stretto passaggio il Deserto bianco rivela il primo dei suoi mille volti, lasciandoci ammutoliti di fronte a tanta bellezza….. appuntamento al prossimo post!

FONTI:

Piccola Guida Turistica

LA MONTAGNA DI CRISTALLO

Abbandonato il Deserto nero ci dirigiamo verso sud e ci fermiamo nei pressi di una collina chiamata Montagna di Cristallo, costituita da agglomerati di grandi cristalli di barite e di calcite (non di quarzo come si legge quasi ovunque) sui quali si riflettono i raggi del sole. Essi sono il risultato di un processo di cristallizzazione unico, che ha avuto luogo milioni di anni fa, a quanto pare quando un grande meteorite colpì la Terra causando temperature molto elevate.

Queste straordinarie formazioni rocciose vennero scoperte per caso alcuni decenni orsono, quando la collina venne scavata ed il materiale ottenuto fu utilizzato per la realizzazione della strada da Bahariya a Farafra; per salvaguardare il luogo lo Stato l’ha incluso nel White Desert National Park ed ha introdotto il divieto assoluto di asportare frammenti di cristalli, anche se essi si trovano nella sabbia, staccati dall’agglomerato principale.

Per ulteriori interessanti informazioni di carattere geologico, vi suggerisco di leggere l’articolo a questo sito:
https://www.b14643.de/Sahara/Crystal-Mountain/index.htm


Per visualizzare meglio la straordinaria composizione di queste rocce, vi suggerisco di aprire le fotografie.

FOTO MIE E DI SILVIA VITRO’

Piccola Guida Turistica

IL DESERTO NERO

Le alture più importanti del Deserto nero evidenziano sulla sommità la struttura colonnare delle rocce basaltiche che le compongono.

L’ultima tappa del nostro viaggio è dedicata alla porzione del Deserto Occidentale compresa tra l’oasi di Bahariya e quella di Farafra, che presenta una straordinaria varietà di paesaggi.

Il bravissimo amico Ahmed Galal ci ha organizzato un mini tour di due giorni con una jeep super accessoriata e sicura per escursioni di questo genere; pur potendo trascorrere la notte in uno degli alberghi siti lungo il tragitto, non abbiamo avuto alcuna esitazione ed abbiamo scelto di dormire sotto le stelle, rinunciando anche alla tenda per immergerci completamente nella magia del luogo.

Avvicinandosi al Deserto nero

Il percorso dal Cairo verso l’Oasi di Bahariya è piuttosto lungo (circa cinque ore in auto) e senza particolari attrattive, ma lo affrontiamo con entusiasmo nell’attesa dei magnifici scenari che si apriranno ai nostri occhi.

Giunti all’Oasi ci viene offerto un pranzo tipico in una caratteristica abitazione locale, quindi si riparte verso l’infinito con una guida del posto molto efficiente, che pur parlando pochissimo inglese ci ha reso un servizio ineccepibile.

L’interno dell’abitazione beduina.
Nel deserto non può mancare un buon bicchierino di thè nero e dolcissimo.

Dopo circa un’ora di strada il paesaggio, fino a quel momento pianeggiante, comincia a mostrare le prime modeste alture, fino a quando si giunge nel Deserto Nero, una zona caratterizzata da numerose colline coniche, alcune delle quali sono piccoli vulcani dormienti

Un’altra panoramica del Deserto nero, lontano dalla pista.

Questi rilievi che si susseguono uno dopo l’altro si sono formati in seguito ad eruzioni risalenti ad epoche remotissime (si parla di milioni di anni orsono) e sono costituite da rocce basaltiche che sgretolandosi nel corso del tempo hanno ricoperto il terreno sabbioso di polvere, di minuscoli sassolini e di grandi pietre nere, conferendo al luogo il suo colore particolare e creando un’atmosfera da film di fantascienza.

Le caratteristiche del terreno viste da vicino

In effetti sembra di essere atterrati su di un altro pianeta, brullo, arido, silenzioso, dove l’attività vulcanica ha cancellato ogni forma di vita.

Parcheggiata l’auto, ci avventuriamo a piedi ad esplorare la zona, ognuno per conto proprio; in uno spiazzo pianeggiante ai piedi della collina più maestosa notiamo una particolare struttura di pietre collocate in cerchi concentrici che si trova anche nel deserto algerino e che è nota con il nome di “tomba preislamica”.

La tomba preislamica
Un’altra veduta della tomba preislamica.

A quanto ne so, non si hanno notizie se non che furono realizzate prima della dominazione araba.

FONTI DI QUESTO E DI TUTTI I POST SEGUENTI SUL DESERTO

  1. https://www.lonelyplanetitalia.it/articoli/itinerari-di-viaggio/egitto-deserto-bianco-deserto-nero
  1. https://www.evaneos.it/egitto/viaggio/destinazioni/1138-deserto-nero/
  1. https://www.cairotoptours.com/it/Guida-turistica-Egitto/Oasi-d-Egitto/La-montagna-di-cristallo#

https://www.quotidiano.net/itinerari/viaggi/tutti-i-colori-del-deserto-egiziano-n8ey8jy6

FOTO DI Silvia Vitrò

Piccola Guida Turistica

IL MUSEO ALL’APERTO

Il museo di Menfi, anch’esso con sede a Mit Rahina, è un’esposizione all’aperto di reperti monumentali del Nuovo Regno ritrovati in zona e riferibili all’antica città; il parco che lo ospita è limitrofo all’edificio coperto costruito attorno alla grande statua distesa di Ramses II, nel quale sono esposti frammenti delle antiche costruzioni ed alcune statue.
Vi sottopongo i più significativi manufatti che si possono ivi ammirare: troverete informazioni dettagliate ed i crediti nella didascalia delle immagini