Piccola Guida Turistica

LA STATUA COLOSSALE DI RAMSES II

Il colosso ancora semisepolto nella sabbia, in una fotografia del 1897.
FOTO A QUESTO LINK: egyptmuseum.com/colossus-of-ramesses-ii-at-Menphis-1897

Questa statua, originariamente alta circa 14 metri, è scolpita in un unico blocco di pietra calcarea e mantiene tracce dei colori originari; fu scoperta nel 1820 dall’esploratore Giovanni Battista Caviglia ed è molto ben conservata anche se nel corso dei millenni le gambe e la mano sinistra sono andate perse, rendendo impossibile ricollocarla in posizione eretta.

Il colosso appena liberato dalla sabbia, in una fotografia del 1897.
FOTO A QUESTO LINK: egyptmuseum.com/colossus-of-ramesses-ii-at-Menphis-1897

In origine, insieme ad un’altra identica, mai ritrovata, decorava l’ingresso meridionale del tempio di Ptah; essa venne proposta sia al granduca Leopoldo II di Toscana che al British Museum, ma alla fine rimase in Egitto perchè il trasporto sarebbe stato molto dispendioso e sarebbe stato necessario tagliarla in vari pezzi.
La particolare struttura dell’edificio che la ospita permette di guardarla dall’alto e di apprezzarne I particolari.

Il colosso oggi.
Foto mia

Queste statue colossali finemente dipinte avevano il fine di stupire i sudditi e gli stranieri di passaggio nonchè di magnificare il ruolo ed il potere divino del sovrano.

Egli era spesso rappresentato con indosso i simboli del proprio potere sul paese e sui suoi abitanti: la corona doppia dell’Alto e del Basso Egitto nonchè lo scettro uncinato ed il flagello, simboli di Osiride, primo re d’Egitto.

Il viso della statua, che ho posizionato in verticale per poterne meglio apprezzare la delicatezza.
FOTO A QUESTO LINK: https://www.egypttoursplus.com/memphis-egypt/

In questo caso Ramesse stringe in pugno un rotolo di papiro: per scoprire di cosa si tratta, andate a leggere l’articolo di Patrizia Burlini sul nostro sito, a questo link: https://laciviltaegizia.org/…/02/08/dimmi-coshai-in-pugno/

Il sovrano veniva altresì rappresentato in modo idealizzato, perennemente giovane, bello e prestante perchè i sudditi dovevano avere la certezza che sarebbe stato in grado di assolvere ai suoi doveri nei confronti del popolo e di salvare l’Egitto dal caos.

Particolare della parte centrale della statua: il gonnellino finemente pieghettato, trattenuto in vita da una cintura recante i cartigli del re, nella quale è infilato un pugnale con la classica impugnatura che termina con due teste di falco contrapposte.
FOTO MIA

Compito del Faraone infatti era quello di mantenere la Maat, difendendo le Due Terre dai nemici, garantendo ordine e giustizia, facendo in modo che il sole sorgesse ogni giorno dopo aver compiuto il suo pericoloso viaggio notturno e propiziando ogni anno la piena del Nilo che rendeva fertile la terra.

Accanto alla gamba destra di Ramesse, in dimensione ridotta, è scolpita l’immagine di uno dei suoi figli, probabilmente Khaemwaese figlio di Isisnofret, che fu Sommo sacerdote del Tempio di Ptah a Menfi e dai 50 anni fino alla sua morte fu principe ereditario, essendo deceduti prima di lui i suoi fratelli maggiori.
FOTO MIA

Per ottenere il favore degli dei il re costruiva templi in loro onore, sulle cui pareti faceva scolpire scene che li rappresentavano mentre ricevevano offerte dal re e gli mostravano la loro approvazione.

http://teachinghistory100.org/objects/about_the_object/

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MENFI, LA PRIMA CAPITALE DELL’EGITTO UNITO

Menfi fu forse la più grande e splendida metropoli del suo tempo, caratterizzata da grandiosi templi, magnifici palazzi, estesi edifici amministrativi e sontuose residenze private; nel periodo della sua massima estensione essa raggiunse probabilmente i centomila abitanti ed oltre ad essere stata per lungo tempo la capitale del regno fu fino al II secolo d. C. un importante centro commerciale e religioso che attirava moltissimi mercanti e pellegrini.

Il Nilo, la città di Menfi nella pianura alluvionale e la necropoli di Sakkara nel deserto: ricostruzione di Jean-Claude Golvin, a questo link: https://jeanclaudegolvin.com/en/memphis/

Oggi della gloria passata non rimangono che modeste tracce per lo più risalenti al Nuovo Regno, al Periodo Tardo ed al Periodo Romano, site nei pressi del villaggio di Mit Rahina, dove alcune statue e frammenti calcarei scolpiti sono esposti in un piccolo museo e nel parchetto limitrofo.

Di ritorno al Cairo ci fermiamo brevemente, più che altro per rendere omaggio a quella che fu la prima capitale delle Due terre unite.

Menfi venne edificata alla fine del quarto millennio a. C. all’ingresso del Delta del Nilo, in una zona insolitamente stretta della valle già abitata fin dal neolitico, dalla quale il Sovrano poteva controllare gli accessi fluviali al Delta ed al Mediterraneo e le numerose rotte commerciali che attraversavano il deserto collegando le oasi del Sahara al Mar Rosso.

Menfi: sulla sinistra il recinto che racchiude il grande tempio di Ptah e tutte le costruzioni ad esso annesse; sulla destra il recinto del tempio di Hathor. Il perimetro della città è segnato da un canale che consente ai natanti provenienti dal Nilo di circumnavigarla e di raggiungere i templi a valle delle piramidi di Sakkara.
Ricostruzione di Jean Claude Golvin, a questo link: https://jeanclaudegolvin.com/en/memphis/

Il fondatore della città fu probabilmente Narmer (chiamato anche Menes), primo sovrano dell’Egitto unificato, tant’è che nella regione si sono ritrovate molte tombe di alti dignitari vissuti durante la I dinastia; il nucleo originario dell’insediamento fu una cittadella fortificata protodinastica simile al complesso funerario di Djoser, costruita in mattoni di fango e circondata da un’imponente cerchia di mura e forseda un canale collegato al Nilo edospitante templi, cortili cerimoniali, palazzi e caserme.

Fantasiosa ricostruzione del tempio di Ptah e del muro bianco, a questo link: https://www.journeytoegypt.com/en/blog/memphis-egypt

Manetone riferisce che il nome più antico dell’insediamento fu “inb-HD” ossia “muri bianchi”, dal nome della cinta muraria in mattoni crudi intonacati di bianco o rivestita di calcare scintillante al sole, che racchiudeva anche il complesso del Tempio di Ptah, ossia la “Casa del Ka di Ptah” (Hut-KA-ptH) che divenne in seguito sinonimo dell’intero paese (Hutkaptah = Aegypto – Egitto).

Alla fine della VI dinastia la città mutò nuovamente il nome in Mn-nfr (“Il duraturo e bello” o “La perfezione è stabile”, tradotto in Memphis dai greci) dal nome del vicino complesso piramidale del sovrano Pepi I che finì per designare tutta la zona.

La città dell’Antico Regno si espanse intorno al nucleo protodinastico a nord di Mit Rahina, vicino alle tombe della I dinastia; in seguito si spostò verso il villaggio in conseguenza dei cambiamenti del corso del Nilo.

Probabilmente fin da allora nella città si trovavano le principali officine reali, con certezza esistite nel Nuovo Regno in quanto documentate da una serie di iscrizioni e fiorenti in epoca tolemaica e romana così come emerge dal ritrovamento di laboratori artigiani e dalla datazione delle ceramiche e degli utensili da cucina in essi rinvenuti in loco dal 2001 ad oggi dalla prof. Galina Belova e dal team del Centro per gli Studi Egittologici dell’Accademia Russa delle Scienze di Mosca.

Menfi divenne subito il centro amministrativo del regno ed acquisì il ruolo di capitale probabilmente con Djoser, che scelse la vicina Sakkara come sede del suo complesso funerario e della sua rivoluzionaria piramide a gradoni; con Userkaf, primo re della V dinastia, la città ebbe uno sviluppo notevole grazie all’edificazione del grandioso tempio in onore del dio Ptah, protettore della città, nonostante il sovrano avesse spostato la necropoli reale ad Abusir ed avesse privilegiato il culto di Ra edificando il primo di una serie di templi solari.

Verso la fine della VI dinastia, in conseguenza del lunghissimo regno di Pepi II, per troppi anni incapace di governare con autorevolezza, il potere centrale cominciò a sgretolarsi ed i nomarchi locali iniziarono a governare in modo indipendente, segnando il tramonto dell’Antico Regno e l’inizio del Primo periodo intermedio.

Nonostante l’incerta situazione politica interna ed il trasferimento della capitale ad Eracleopoli intervenuto tra l’VIII e la IX dinastia, Menfi mantenne il suo prestigio come luogo di culto e lo protrasse anche nel corso del Medio Regno sebbene Mentuhotep II, tebano vincitore della guerra promossa dai suoi predecessori contro i re di Eracleopoli l’avesse spogliata delle sue ricchezze portandole a Tebe, divenuta nuova capitale delle Due Terre.

La Casa di imbalsamazione del Toro Apis, che veniva venerato a Menfi in quanto sacro a Ptah; alla sua morte le sue spoglie mummificate venivano deposte nei grandi sarcofagi del Serapeum. In primo piano la grande lastra di alabastro sulla quale veniva deposto il cadavere del toro per la mummificazione.
FOTO DA INTERNET. SE L’AUTORE LA RICONOSCESSE COME PROPRIA, SARA’ MIA PREMURA RIMUOVERLA O ATTRIBUIRNE LA PATERNITA’

Nel Secondo Periodo Intermedio il Basso Egitto venne conquistato dagli Hyksos che depredarono nuovamente Menfi per abbellire Avaris, scelta come loro capitale.

Con la cacciata degli invasori e la riunificazione dell’Egitto ad opera di Ahmose I ebbe inizio il Nuovo Regno: Tebe divenne il cuore politico delle Due Terre regno mentre Menfi rifiorì come centro religioso e commerciale, mantenendo il suo prestigio anche sotto la dominazione assira, persiana, macedone e romana, pur essendo stata offuscata dallo splendore di Alessandria, trasformata da Tolomeo II in un centro culturale di primaria importanza attraverso la realizzazione della grande biblioteca e dell’università.

Menfi sopravvisse fino al II secolo d.C. quando con l’ascesa del cristianesimo il suo astro tramontò definitivamente in quanto i templi e i santuari cessarono di essere frequentati ed andò in rovina; nel VII secolo d.C., epoca dell’invasione araba i suoi edifici vennero smantellati per riutilizzare i pregiati materiali per la costruzione di Fustat, prima capitale dell’Egitto islamico, assorbita poi dal moderno Cairo.

Cappella di Seti I – foto di Mohamed Badry

Oggi il sito è stato incluso dall’UNESCO nella lista del patrimonio mondiale nel 1979 d.C. come luogo di speciale significato culturale; nonostante ciò Menfi è una città ancora oggi poco investigata, perchè la pianura alluvionale tra il Nilo e Sakkara dove essa sorgeva è oggi sede di campi coltivati, di palmeti, di moderni agglomerati abitativi (il villaggio di Mit Rahina ed i suoi sobborghi) e di strutture turistiche che rendono difficoltosi o addirittura precludono gli scavi.
Solo nel 1985 è stato possibile stabilire con esattezza la posizione del tempio di Ptah e dell’originario insediamento umano, e fino a pochi anni orsono erano stati riportati alla luce solo modesti resti di un tempio del Nuovo Regno forse dedicato al culto di Ramesse II, le vestigia dei palazzi di Merenptah e di Apries (Haaibra Wahibra, sovrano della XXVI dinastia), il famoso colosso di Ramesse II in calcare siliceo ed una grande sfinge in alabastro che in origine doveva trovarsi all’ingresso del tempio di Ptah insieme a numerose altre.

Il nucleo protodinastico dell’insediamento sembrava perduto in quanto in zona non era mai stata trovata alcuna struttura di data anteriore al Medio Regno, sia per l’importante innalzamento della pianura dovuto al limo depositato nei millenni dalla piena del Nilo, sia per il cambiamento del corso del fiume.

Nel 2015 il Centro per gli Studi Egittologici dell’Accademia Russa delle Scienze di Mosca che sotto la guida della Prof. Galina Belova dal 2001 sta scavando a Menfi ha tuttavia effettuato una notevole scoperta nell’area chiamata Kom Tuman, portando alla luce oltre le fondamenta di un massiccio muro difensivo, largo ben otto metri e rivestito su entrambi i lati con un intonaco a base di calcare dallo spessore medio di 5 cm che alla luce del sole appare bianco.
Dopo avere analizzato i riferimenti testuali alla città più antica ed averli confrontati con le testimonianze archeologiche, la prof. Belova è giunta alla conclusione (confermata e condivisa dal ministero delle Antichità egiziano) che si tratti del leggendario “muro bianco” e che Kom Tuman potrebbe essere l’ubicazione dell’antica fortezza egizia, ancora esistente nel 130 d. C. in occasione della visita in Egitto dell’imperatore Adriano e di Antinoo.

Un frammento del muro bianco.
FOTO A QUESTO LINK: https://www.researchgate.net/…/319618302_Kom_Tuman… di G. Belova e di S. V. Ivanov.

In effetti nel rapporto di scavo relativo al 2021 si legge che il muro, tutto intonacato di bianco faceva parte di un massiccio bastione posto a difesa di un grande edificio ad uso militare in uso ancora quantomeno all’epoca persiana; i numerosi strati rinvenuti nell’area hanno testimoniato che l’edificio originario era molto risalente nel tempo e che quello più esterno venne edificato probabilmente nel Nuovo Regno.
La prosecuzione degli scavi non è stata semplice, in quanto si è reso necessario demolire degli edifici moderni ed affrontare l’ostilità della popolazione, al punto che la polizia turistica e il dipartimento di sicurezza di Giza hanno dovuto intensificare la protezione del sito e degli egittologi.

Le varie campagne di scavo hanno inoltre permesso di rinvenire laboratori per la lavorazione del vetro, della maiolica e del rame contenenti fornaci in buone condizioni, crogioli con resti di pigmento blu sulle superfici interne e grumi di pigmento utilizzati per la realizzazione del “blu egizio”, frammenti di vasi in maiolica, amuleti, figurine e stampi in terracotta per la loro produzione, mole, martelli e pietre per lucidare, pesi di varie misure, resti di forni fusori per il rame, oggetti difettosi in leghe di rame e scorie derivanti dalla fusione del rame.

Lo scarico di uno dei laboratori, costituito da due giare poste una dentro l’altra, che conducevano l’acqua fuori dalla stanza.
FOTO A QUESTO LINK: https://www.researchgate.net/…/319618302_Kom_Tuman… di G. Belova e di S. V. Ivanov.

Insieme alle ceramiche di produzione locale ne sono state rinvenute anche altre provenienti dalla Grecia ed anfore cnidie del IV e III secolo a.C..

Nel corso delle campagne successive al 2015 sono continuati a Kom Tuman gli scavi delle rovine del Palazzo di Apries, già noti nel 1909 ed identificati come tali da F. Petrie, e sono venuti alla luce molteplici ambienti; sono stati inoltre iniziati i lavori in un’area denominata “Zona del Tempio” in quanto caratterizzata da numerosi blocchi isolati di granito e pietra calcarea che di solito sono associati ai templi.
Inoltre gli anziani del luogo ricordavano che quando erano giovani si potevano ancora notare enormi colonne affondate nel terreno; nel 2021 inoltre sono stati ritrovati nello strato più recente del terreno frammenti di blocchi con iscrizioni geroglifiche che segnalano l’antica esistenza di un grande edificio, forse il tempio di Mitra citato nelle fonti scritte che lo collocano proprio in questa zona.

Rovine del tempio di Hathor
Foto di pubblico dominio

FONTI:

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LA MASTABA DELLA PRINCIPESSA SESHSESHET IDUT

Prima di lasciare Sakkara ci tratteniamo per una velocissima visita alla mastaba di Seshseshet Idut, che sorge nei pressi della piramide di Unas e poco ad est della mastaba di Mehu; dobbiamo però rinunciare a quella di Wathye, anch’essa vicina, perchè chiusa al pubblico.

L’ESTERNO DELLA MASTABA
Foto di Berthold Werner a questo link
https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Saqqara_BW_16.jpg
Questo file è licenziato in base ai termini delle licenze Creative Commons 3.0

Troverete alcune informazioni su questa principessa in un articolo pubblicato sul nostro sito a questo link: https://laciviltaegizia.org/…/la-mastaba-di-seshseshet…/

Io vi proporrò alcune belle immagini dei rilievi parietali della sua mastaba (leggete le didascalie delle foto!) ed alcuni dettagli che serviranno a contestualizzare il personaggio.

LA PRINCIPESSA IDUT. Ella ha un’insolita acconciatura ed indossa un elegante abito bianco con spalline larghe; sta annusando un fiore di ninfea, simbolo di rinascita e di eterna giovinezza.
FOTO A QUESTO LINK: https://www.meretsegerbooks.com/gallery/522/mastaba-of-idut

Idut era probabilmente una delle figlie di Unas, che fu l’ultimo sovrano della V dinastia, in quanto l’unico figlio maschio che egli ebbe dalla Grande Sposa Reale Nebt, il principe Unas-Ankh, morì prima di lui; la principessa venne sepolta a Sakkara nella mastaba che Ihy, visir di Unas, aveva fatto costruire per se stesso vicino alla piramide del suo re.

FAUNA NELLE PALUDI.
Le paludi sulle rive del Nilo erano ricche di fauna: qui sono stati rappresentati uccelli di varie specie che hanno nidificato sugli ombrelli di papiro; alcuni stanno ancora covando le uova (si vedano i nidi posti nella metà inferiore del rilievo), mentre in altri si è già verificata la schiusa e i genitori sono alla ricerca di cibo per i piccoli. Nel nido in alto a sinistra un uccello dal lungo becco sta portando il nutrimento per tre vivaci pulcini che l’attendono, mentre nel nido sulla destra si è appena verificata una tragedia.
Un piccolo carnivoro, forse una mangusta, è riuscito ad afferrare tra i denti un piccolo strappandolo dal nido, mentre i genitori, disperati, svolazzano agitatissimi per metterlo in fuga e salvare il resto della nidiata. In basso sulla destra un altro predatore si sta avvicinando pericolosamente ai nidi.
Al centro, in basso, una bella farfalla tra due eleganti uccellini.
FOTO DI KAIROINFO4U A QUESTO LINK: https://www.flickr.com/…/man…/5298933906/in/photostream/

Si è ipotizzato che Teti, primo re della VI dinastia, lo avesse privato della sua ricca tomba ed addirittura del suo sarcofago perchè si era opposto alla sua successione al trono; nessuno può spiegare con certezza i motivi di questa usurpazione, ma è certo che Ihy asubì un scrupolosa damnatio memoriae, tant’è che nella tomba il suo nome si trova solo una volta.

LA CACCIA ALL’IPPOPOTAMO.
La scena mostra due ippopotami contro i quali i cacciatori hanno scagliato i propri arpioni legati con delle funi, alcuni dei quali sono andati a segno. I pachidermi, inferociti per il dolore, si rivolgono verso gli occupanti delle barche e ruggiscono, spalancando le fauci e mostrando le zanne affilate per incutere timore agli avversari.
FOTO DI SAILKO A QUESTO LINK: https/commons.wikimedia.org/wiki/File:V_dinastia,_tomba_di_idut,_2360_ac_ca._ippopotami.JPG

La mastaba, alla quale si accede dal lato sud, comprende una cappella e dieci ambienti, cinque dei quali decorati e gli altri usati come magazzino.

La prima camera mostra le raffigurazioni convenzionali dell’Antico Regno: uomini sulle barche che pescano, scribi che riscuotono i tributi dai capi villaggio e gli evasori fiscali puniti a bastonate.

IL GUADO DELLA MANDRIA.
Gli uomini sulla barca per indurre la mandria ad affrontare l’attraversamento pericoloso delle acque (il coccodrillo è già in agguato sul fondale) trascinano un vitellino che, spaventato, muggisce e si gira verso la madre che lo segue, e così tutti gli altri bovini.
FOTO DI SEILKO A QUESTO LINK https://commons.wikimedia.org/…/File:V_dinastia,_tomba…

Sulla porta della camera successiva si trova il rilievo di una statua della principessa trainata alla tomba mediante una slitta; nel registro in alto vi è una sfilata di portatori di offerte.

I registri superiori mostrano poi scene di allevamento, di raccolta del papiro e di costruzione di barche, mentre in basso vi sono le raffigurazioni della caccia all’ippopotamo, della pesca con le reti e del guado di un canale da parte di una mandria di bovini condotta da servi a bordo di una barca di papiro.

LA PESCA CON LA RETE E CON LA LENZA.
Due uomini su di una barchetta di papiro che segue quella ben più lussuosa di Idut stanno pescando, uno con una rete e l’altro, seduto davanti, con una lenza dotata di molti ami; quest’ultimo ha un coltello in mano (o un bastone) per uccidere la preda che ha abboccato. La sua pesca è stata fruttuosa, perchè ha di fianco un cesto pieno di pesci. FOTO DI SAILKO A QUESTO LINK: https://commons.wikimedia.org/…/File:V_dinastia,_tomba… 

Le sponde paludose del Nilo sono raffigurate in modo molto naturalistico: nell’acqua nuotano numerosi pesci di diverse specie e vivono uccelli, piccoli animali carnivori, pericolosi coccodrilli ed ippopotami aggressivi.

La parete opposta di questa stanza è dedicata a scene funerarie e i restanti registri mostrano il sarcofago della principessa trainato fino alla tomba, accompagnata da un sacerdote lettore e da ballerini “mww”; sulla parete nord sono ancora raffigurati degli scribi al lavoro.

I MACELLAI
La scena raffigura i servi che macellano un bovino e gli tagliano la zampa, destinata ad essere offerta ad Idut. Essi portano legata alla vita una cote con la quale il primo affila il proprio coltello. Sulla destra altri due si sono caricati sulle spalle una zampa e forse, le costole di un animale e si avviano per deporla sul tavolo delle offerte.
FOTO DI KAIROINFO4U A QUESTO LINK: https://www.flickr.com/…/in/album-72157625687719462/

Un breve passaggio conduce a destra in altre due camere sulle cui pareti sono raffigurati alcuni uomini che portano vitelli da sacrificare mentre altri ingaggiano una battaglia giocosa su barche di papiro.

Le due ultime stanze, la cappella e il vano che la precede erano destinati alla preparazione e alla presentazione delle offerte: Idut compare sulla porta della prima camera, mentre annusa il profumo di un fiore di ninfea; anche qui sono rappresentate offerte e le classiche scene dei macellai che con i loro coltelli affilati uccidono i bovini per preparare le cosce destinate al sacrificio.

LA FALSA PORTA
FOTO DI WMPEARL A QUESTO LINK: https://commons.wikimedia.org/…/Category:Mastaba_of…

Idut è raffigurata anche sulla parete sinistra, seduta ad un tavolo per le offerte con un vasetto di unguento profumato; verso l’estremità del muro si trova una nicchia contenente la falsa porta, fiancheggiata da cinque registri di portatori di offerte.

Lungo la parete di fondo sorge un altare destinato alle offerte per il ka della principessa defunta, sopra il quale è appena visibile una rappresentazione della medesima che le riceve. Una scena simile è raffigurata sulla parete di destra.

IL TRASPORTO DELLA STATUA DI IDUT
Tre servi mediante una corda ed a forza di braccia stanno trainando al serdab la statua della principessa collocata sopra una slitta.
Uno di loro rovescia dell’acqua sul terreno per purificarlo e per renderlo scivoloso in modo da facilitare l’operazione; un quarto personaggio sta compiendo riti davanti alla statua.
FOTO DI KAIROINFO4U, a questo link: https://www.flickr.com/…/in/album-72157625687719462/

La mastaba presenta un serdab sul lato settentrionale, isolata dal resto della cappella; la camera funeraria si trova sul fondo del pozzo sul lato orientale della costruzione e le sue pareti erano decorate con liste di offerte ed offerte.

FONTI:

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LA MASTABA DI MEHU

Sempre procedendo verso nord transitiamo davanti alla mastaba del visir Mehu, aperta al pubblico per la prima volta nel settembre 2018 dopo la sua scoperta, avvenuta nel 1940 ad opera di una missione archeologica egiziana, e non possiamo esimerci da una rapida visita.

L’ingresso della mastaba: è ancora visibile il muro di mattoni di fango che era stato eretto nell’antichità, secondo gli studiosi durante il breve regno di Userkara, per nascondere la sepoltura di Mehu, genero del Faraone Teti, che probabilmente era stato fatto assassinare proprio dal suo successore, il quale aveva usurpato il trono al legittimo erede Pepi I.
FOTO DA INTERNET. Se l’autore la riconoscesse come propria, sarà mia premura sostituirla o attribuire i dovuti crediti.

QUI TROVATE IL LINK PER LA VISITA VIRTUALE DELLA TOMBA: ENTRATE E MERAVIGLIATEVI.

https://my.matterport.com/show/?m=xmDbt2rfa82

La sua fama è assolutamente meritata; a mio parere è una delle più belle e meglio conservate di Sakkara; restaurata in modo magistrale, mantiene intatti i vividissimi colori applicati 4500 anni orsono ed offre una panoramica completa dei protocolli decorativi delle tombe della sua epoca.

Mehu fu un altissimo dignitario di Teti e visse anche il breve regno di Userkara ed il primo periodo di quello di Pepi I (VI dinastia – 2300 a. C. circa); i suoi numerosissimi titoli onorifici (ben 48) sono incisi sulle pareti della sua camera funeraria e sul suo sarcofago: tra di essi figurano quello di sovrintendente dell’Alto Egitto, scriba dei documenti reali, visir, capo dei giudici, direttore del palazzo e sovrintendente di tutte le opere reali.

Mery Ra Ankh (il nome è scritto a sinistra in alto, in parte racchiuso in un cartiglio – Mery Ra – in segno di omaggio, trattandosi di uno dei nomi del re) davanti al quale sono state accumulate moltissime offerte, elencate nei registri superiori a sfondo bianco; sopra di esse i sacerdoti celebrano riti

La sua posizione di privilegio derivava, probabilmente, dall’essere genero del Faraone, avendo sposato la principessa Iku, “figlia del re del suo corpo”, ossia una delle nove figlie di Teti.

Mehu è raffigurato su entrambi i lati del portale d’ingresso della tomba, che immette in una piccola camera decorata con le tipiche scene di caccia e pesca nelle paludi; sulla parete meridionale di sinistra si trovano raffigurazioni che mostrano l’uccellagione, la riparazione delle reti e la preparazione del cibo per gli uccelli; sulla parete orientale si trovano rilievi che raffigurano volatili nei loro nidi.

Offerenti
FOTO MIA

Da questa sala inizia un corridoio lungo e strettissimo decorato con scene di vita quotidiana, tra le quali la raccolta della frutta e del grano, la preparazione del pane e della birra, la cottura di uccelli per un pranzo, la pesca con le reti, le navi da carico, i velieri e la lavorazione dei metalli; sui lati sono raffigurate file di servi che portano offerte al titolare della tomba.

Nel primo registro colorato in alto si notano dei sacerdoti che celebrano dei riti ed effettuano lustrazioni; segue una lunga processione di offerenti di beni di ogni genere, il cui elenco è trascritto nella parte superiore sinistra dell’immagine, non colorata.
FOTO MIA

Sul lato nord del corridoio una porta conduce ad un ampia stanza con due colonne a sezione quadrata con immagini di Mehu sui lati; le pareti dell’ambiente sono ornate da scene di offerte e di coltivazione, mentre sulla parete di fondo, dietro i pilastri, si trova una falsa porta dedicata a Kahotep, figlio di Mehu.

Scorcio di una cappella
FOTO DA INTERNET. Se l’autore la riconoscesse come propria, sarà mia premura sostituirla o attribuire i dovuti crediti.

All’estremità occidentale del corridoio si apre una sala nella quale sono raffigurati sacerdoti con offerte e scene di musicisti e danzatori; una porta sulla destra conduce ad altre due cappelle; quella centrale apparteneva a Mehu, mentre le altre erano destinate a Mery Ra Ankh (sorvegliante della regione di Buttu ed ispettore dei profeti della piramide di Pepi oltre che detentore di altri 21 titoli, secondo alcuni suo figlio, secondo altri l’originario titolare della tomba al quale Mehu l’avrebbe usurpata) ed a suo nipote Kahotep II.

Ballerine ad una festa
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La cappella di Mehu, nella quale è stato trovato il suo sarcofago, presenta sulla parete occidentale la famosa falsa porta in calcare dipinto di rosso per simulare il pregiato granito, ed i testi e le scene sono stati tracciati in giallo oro.

La falsa porta. FOTO MIA
Parte superiore della falsa porta

A questo link sul nostro sito troverete un notevole lavoro di @Nico Pollone che ci ha offerto la trascrizione, la traslitterazione e la traduzione del testo geroglifico tracciato sulla falsa porta. https://laciviltaegizia.org/wp-content/uploads/…/falsaport….

Nella stele superiore della falsa porta è raffigurato il defunto seduto davanti ad un tavolo ricco di offerte e sulle pareti laterali numerosi servi che gli portano le offerte e il catalogo delle medesime.

Offerente
FOTO DA INTERNET. Se l’autore la riconoscesse come propria, sarà mia premura sostituirla o attribuire i dovuti crediti.

Alla camera funeraria sotterranea si giunge attraverso un passaggio inclinato, il cui accesso si apre sul pavimento della corte.

Questi rilievi, emersi in tutto il loro splendore dopo un accurato restauro, furono creati sicuramente dagli artigiani che lavoravano al servizio del Faraone e venivano retribuiti dallo Stato; nel corso della V e della VI dinastia, infatti, il sovrano concedeva ai cortigiani più importanti il privilegio di avvalersi della loro opera per farsi costruire le proprie mastabe; si trattava di personale altamente specializzato e selezionato, che aveva acquisito grande esperienza ed abilità nell’utilizzo dei modesti strumenti all’epoca disponibili.

Sulla sinistra una delle colonne a base quadrata sui cui lati è raffigurato Mehu; sulla destra la falsa porta di Kahotep, raffigurato seduto davanti ad un tavolo di offerte che ne riceve altre da una serie di portatori
FOTO DA INTERNET: Se l’autore la riconoscesse come propria, sarà mia premura sostituirla o attribuire i dovuti crediti.

Le loro opere erano assolutamente anonime in quanto non venivano realizzate per ragioni estetiche quanto per un fine utilitaristico, consistente nel procurare al defunto le risorse per la vita nell’aldilà (raffigurare sulle pareti della tomba le offerte equivaleva a metterle concretamente a sua disposizione) e per magnificarne il potere.

La realizzazione del rilievo presupponeva la preventiva preparazione della parete, che doveva essere pulita, lisciata e poi intonacata con uno strato di gesso; quindi con pittura rossa o nera venivano disegnati i contorni delle figure che dovevano poi essere lavorate con uno scalpello di rame, lisciate con una pietra levigata e poi dipinte.

Vita nei campi; l’oggetto a forma di scudo è un enorme covone di grano che verrà caricato sull’asino per essere poi trebbiato ed immagazzinato. Foto di Richard Mortel da Flickr

La pittura veniva realizzata con la tecnica definita “a tempera”, che prevedeva l’utilizzo di pigmenti diluiti in acqua ai quali veniva aggiunto collante vegetale o animale; il colore veniva steso con pennelli ottenuti da legnetti fibrosi sfilacciati alle estremità, e i pigmenti ed i collanti venivano conservati in ciotoline di terracotta, nella valva di una conchiglia o in un coccio concavo.

Vita nei campi; l’oggetto a forma di scudo è un enorme covone di grano che verrà caricato sull’asino per essere poi trebbiato ed immagazzinato. Foto di Richard Mortel da Flickr

La decorazione prevedeva sempre numerosi registri orizzontali, talvolta anche dei sub-registri, all’inizio o alla fine dei quali di solito veniva rappresentato il titolare della tomba di dimensioni molto grandi davanti ad un tavolo di offerta.

FONTI:

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LA STRADA PROCESSIONALE DI UNIS

ED I RILIEVI DEI BEDUINI AFFAMATI

Tornando sui nostri passi per raggiungere il parcheggio facciamo una piccola deviazione sulla destra per vedere la strada rialzata del complesso piramidale di Unis, ultimo sovrano della V dinastia.

L’ultimo tratto della rampa processionale, che sbuca nella grande stanza antistante la piramide di Unis. Foto di Jon Bodsworth a questo link: http://www.egyptarchive.co.uk/html/saqqara_pyramids_02.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Rampa_processionale…

Essa aveva origine sulle rive di un antico lago, sul retro del tempio della valle dove venivano preparate le offerte per il culto del sovrano, seguiva il percorso di un wadi naturale e terminava al tempio funerario adiacente al lato orientale della piramide che era circondato da un muro di cinta che definiva lo spazio sacro.

Essa è lunga circa 750 metri, e l’egittologo inglese Iorwerth Edwards stima che avesse pareti costituite di blocchi di calcare alte 4 metri e spesse 2,04 metri e che fosse larga circa 2,65 m.; in origine era una specie di galleria con una stretta fessura lungo l’asse del soffitto che permetteva alla luce del sole di illuminare le scene sulle pareti, delle quali sono rimaste solo poche tracce su blocchi isolati.

Un tratto della rampa processionale https://it.wikipedia.org/wiki/Rampa_processionale…

Secondo la ricostruzione di Hassan esse raffiguravano nella parte più ad est scene di vita quotidiana degli egizi: selvaggina del deserto, raccolta di fichi e miele, del grano (probabilmente parti del ciclo delle “stagioni”), artigiani al lavoro (orefici, vasai, vetrai), scene di mercato, portatori di offerte, battaglie tra Egizi ed Asiatici ed il trasporto via nave da Assuan delle colonne di granito per la costruzione dei templi piramidali.

Man mano che la strada procedeva verso occidente e quindi verso l’Aldilà, le scene diventavano solenni e concentrate sulla figura del re: il rito Heb-Sed, il monarca in trono di fronte alle processioni di dèi e personificazioni dei nòmi che gli portavano le offerte. A sud della parte superiore della strada rialzata furono collocate due navi realizzate in blocchi di calcare.

La parte di rampa ricostruita, sulle cui pareti interne sono state collocate le copie dei rilievi della carestia. https://it.wikipedia.org/wiki/Rampa_processionale…

Alla fine della strada rialzata c’era una grande sala che si affacciava su di un cortile aperto circondato da stanze e da un portico delimitato da pilastri sul quale si affacciava il tempio funerario che ospitava le statue del re e dove avvenivano le offerte; all’angolo sud-est del recinto c’era una piccola piramide satellite per il Ka del sovrano.

Oggi la strada è stata in parte restaurata, e della decorazione originaria sono sopravvissuti intatti solo due rilievi (in loco di sono delle copie, mentre gli originali sono custoditi uno al Museo del Cairo e l’altro al Louvre), che raffigurano uomini magrissimi, stremati dalla fame, probabilmente beduini che abitavano nel deserto orientale.

Il rilievo custodito al museo Imhotep
https://madainproject.com/famine_relief_from_unas_causeway
Il rilievo custodito al Louvre.
Calcare con deboli resti di pittura.
Misure: 38 x 20 x 1,4 cm.
Numero di inventario: E 17381
https://collections.louvre.fr/ark:/53355/cl010005798

Gli studiosi si chiedono se le immagini fotografino una vera carestia verificatasi durante il regno di Unis per il cambiamento climatico che segnò il terzo millennio a. C. e la conseguente siccità dovuta all’intermittenza delle piene del Nilo, oppure se rappresentasse la generosità del sovrano nell’aiutare le popolazioni affamate.

FONTI:

https://madainproject.com/famine_relief_from_unas_causeway

ESPINEL A. D., “Blocks from the Unas causeway recorded in Černý’s notebooks at the Griffith institute, Oxford”, in Old Kingdom, new Perspectives. Egyptian Art and Archaeology 2750–2150 b. C., Oxford, 2011

ESPINEL D. A., “Around the columns. Analisys of a relief from the causeway of Unis mortuary temple”, in Bulletin de l’Institut Francais d’archeologie oriéntale, Cairo 2007.

CWIEK A., “Relief decoration in the royal funerary complexes of the Old Kingdom studies in the development, scene content and iconography”, Warsaw University, 2003

Piccola Guida Turistica

LA TOMBA DI HOREMHEB

Dopo una bella scarpinata raggiungiamo la zona a sud della piramide di Djoser dove sorge un gruppo di tombe del Nuovo regno, le più importanti delle quali sono quella di Maya e Merit e quella che Horemheb si fece costruire prima di salire al trono, durante il regno di Tutankhamon.

La ricostruzione delle tombe di Maya e Merit (a destra), della sorella di Ramses II Tia (al centro) e di Horemheb (a sinistra) opera di JEAN-CLAUDE GOLVIN – IMMAGINE DA INTERNET

Pur essendo splendide esse sono poco gettonate, non solo perché piuttosto lontane dal circuito tradizionale, ma anche perché per visitare quella di Horemheb occorre pagare un salato biglietto a parte (e comunque un bel bakhshish ai custodi….).

La nostra guida Monalisa ci ha avvertiti del rischio di non riuscire ad entrare, perchè è ormai il primo pomeriggio, il sole è a picco e può essere che il guardiano che dovrebbe aprirci le tombe se ne sia già andato a casa; peraltro siamo fortunati, perchè dopo averlo chiamato a gran voce compare e si mette a nostra disposizione con estrema gentilezza.

Ho già descritto la tomba nella quale si fecero seppellire Maya, il potente tesoriere di Tutankhamon, e sua moglie Merit: potrete trovare l’articolo sul nostro sito, a questo link: https://laciviltaegizia.org/2023/08/04/maya-tesoriere-di-tutankhamon/

Illustrerò quindi la Tomba di Horemheb, la più sontuosa di quelle dell’area, la cui costruzione venne iniziata quando egli era già un influente personaggio e fu progressivamente ampliata quando venne nominato capo delle forze armate e responsabile degli affari esteri del regno e si distinse per le sue vittoriose campagne militari nell’area Siro Palestinese ed in Nubia.

All’epoca Menfi era tornata ad essere la capitale amministrativa del regno, ed è per questo che egli aveva inizialmente scelto di farsi inumare a Sakkara, la Necropoli della città; lì, infatti, furono seppellite la prima moglie Amenia, morta prima che diventasse Faraone, e poi la sua Grande Sposa Reale Mutnodjmet, mentre egli trovò l’ultimo riposo in una nuova magnifica sepoltura nella Valle dei Re (la KV57).

Horemheb era figlio di un oscuro funzionario di Eracleopoli, e nulla si sa sulla sua carriera prima del regno di Tutankhamon; alcuni studiosi hanno ipotizzato che potesse essere il militare di nome Pa-Aten-em-Heb (“Aton è in festa”) che era stato un fedelissimo di Akhenaton e che in seguito mutò il suo nome in Hor-em-Heb (“Horus è in festa”).

Quello che è certo è che con tenacia e abilità scalò i vari gradi del potere fino a diventare Generalissimo dell’esercito e Primo di tutte le opere del re ed insieme a Maya e ad Ay, del quale aveva sposato la figlia Mutnodjmet, compose il consiglio di reggenza durante il regno di Tutankhamon, che lo nominò Iry-pat (principe ereditario) e Idnw (rappresentante del re per l’intero Paese), così come si apprende dalle iscrizioni sulle pareti della sua tomba di Sakkara.

Sul pilastro posteriore di una sua statua conservata al Museo Egizio di Torino, inoltre, si legge: «Il cuore del re fu soddisfatto del Suo lavoro, condividendo le Sue decisioni. Egli lo fece Signore della terra perché mantenesse la legge della terra come Principe ereditario. Egli era unico, senza eguali. Tutti i piani per le Due Terre vennero dalle Sue mani. Tutti concordavano con quanto diceva quando veniva convocato dal re….»

La pianta della tomba.
Da Pinterest a questo link: https://i.pinimg.com/…/afc165ffe33d987981db3b13c9a84f19…

La tomba di Horemheb venne scoperta attorno al 1820, probabilmente da Amalia Nizzoli, della quale ho già parlato, che ancora giovanissima diresse per conto del marito uno dei primi scavi a Sakkara; gli oggetti raccolti in quella campagna vennero poi venduti al pittore bolognese Pelagio Palagi, il quale, alla sua morte, li donò alla sua città natale.

Ecco perché alcuni bellissimi rilievi provenienti dalla tomba si trovano a Bologna; molti altri pregevoli frammenti furono prelevati nel XIX secolo da studiosi e tombaroli e sono esposti nei musei di tutto il mondo, mentre nell’edificio originario sono oggi collocate delle copie.

In seguito la tomba scomparve nuovamente sotto la sabbia e fu riscoperta nel 1975 insieme a quella di Maya da Geoffrey Almeric Thorndike Martin e dalla sua squadra che la ripulirono in quattro stagioni di scavi; i frammenti ritrovati nel corso di tale attività sono oggi esposti al museo Imhotep.

Anche la tomba di Horemheb, così come le altre dell’epoca di Tutankhamon a Sakkara, riproduce nelle forme un «Tempio dei Milioni di anni», ispirato ai templi amarniani ed a quelli solari della V dinastia: per questo aveva un orientamento est – ovest, camere sepolcrali sotterranee, una sovrastruttura “a cannocchiale” ed una piramide in miniatura posta sul tetto o dietro la cappella centrale.

L’ingresso della tomba: la spianata davanti alla costruzione era in origine lastricata, ma è stata ora lasciata in terra battuta; il pilone d’ingresso, alto 7 metri e diviso in due, era realizzato in mattoni di fango e rivestito di pietra calcarea, alcune lastre della quale sono rimaste in loco.
Da Osirisnet.net

La sovrastruttura della tomba è lunga circa m. 65 e larga m. 20 ed è costituita da un pilone seguito da un cortile in origine porticato, da una sala delle statue fiancheggiata da due magazzini, da un secondo cortile porticato e da tre cappelle per le offerte (quella centrale originariamente con una piccola piramide sul tetto).

Ogni colonna del primo cortile reca una formella rettangolare sulla quale è raffigurato Horemheb in adorazione perpetua davanti al sole: a quanto consta, è l’unico sito egizio nel quale si trovano formelle decorative applicate alle colonne.
FOTO MIA

L’articolatissima parte sotterranea, non visitabile, risale alla V dinastia: Horemheb non si fece alcun problema a radere al suolo le mastabe più antiche che sorgevano dove egli intendeva costruire la sua tomba, e a riutilizzarne per sè le sottostrutture ed i materiali.

L’articolatissima sottostruttura.
PIANTA DI JON HIRST TRATTA DA OSIRISNET, a questo link: https://www.osirisnet.net/popupImage.php?img=/tombes/saqqara_nouvel_empire/horemheb_saqqara/photo/3D-plan.jpg&lang=en&sw=1280&sh=720

LA STELE DEL PRIMO CORTILE

Sul lato di fondo del primo cortile, di fianco all’apertura che conduce alla sala delle statue, in origine erano collocate due stele; una è frantumata in diversi pezzi, distribuiti presso vari musei, l’altra è solo un poco danneggiata sul bordo superiore e si trova ora al British Museum di Londra.

Essa è in pietra calcarea (H. cm. 195 – L. cm. 100) ed ha un profondo significato storico: segna il definitivo tramonto dell’atonismo, in quanto raffigura in rilievo sulla lunetta un disco solare alato con uraei pendente, sotto il quale Horemheb è rappresentato in piedi con le braccia alzate in adorazione davanti a Ra-Horakhty, Thot e Maat, facenti parte del pantheon da lui restaurato; vi sono altresì i resti di quindici colonne di geroglifici.

Il registro inferiore comprende un’iscrizione di venticinque righe orizzontali.

I corpi maschili, il disco di Horakhty, la veste e il nastro sulla fronte di Maat recano notevoli tracce di vernice rossa; il giallo è visibile in molti geroglifici e rimane del blu brillante sui bordi.

Riporto qui parte del testo, secondo la traduzione trovata in Osirisnet:

L’immagine è una foto della copia della stele scattata da me. E’ molto più chiara di quella dell’originale pubblicata sul sito del British museum dove essa è custodita.

https://www.britishmuseum.org/collection/object/Y_EA551

IL PORTICO DEL PRIMO CORTILE – L’ACCAMPAMENTO

I rilievi del primo cortile sono molto danneggiati; sopravvivono la rappresentazione di un accampamento militare e delle attività che vi si stanno svolgendo, mentre quelle che mostrano Horemheb nell’espletamento dei suoi doveri pubblici sono praticamente scomparse.

L’ACCAMPAMENTO.
Rilievo ORIGINALE custodito a Berlino, al Neues Museum.
Questa tenda, forse il quartier generale, si trovava al centro dell’accampamento, era la più grande e la meglio arredata: si notano diversi sgabelli pieghevoli con i loro poggiapiedi, giare sui propri supporti, un tavolino sul quale ci sono viveri e addirittura un vaso con mazzi di fiori. Attorno ad essa la vita si svolge serenamente: un auriga con ancora la frusta in mano è seduto sul pianale del suo carro, a terra, uno stalliere tiene due cavalli per una corda, un mulo bruca da un cesto, un ragazzino riconoscibile dalla treccia della fanciullezza porta un vassoio con del cibo.
Berlino, Neues Museum ÄM 20363
FOTO di Archai Optix – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Fragment_of_a_relief_from_the_tomb_of_Horemheb.jpg

Qui vi propongo le scene migliori sotto il profilo della conservazione ed anche a livello storico.

L’ACCAMPAMENTO: Rilievo ORIGINALE ora custodito al Museo Archeologico di Bologna. Al centro della scena si trova un padiglione da campo destinato al comandante; al piano superiore sono stoccati gli arredi e le provviste alimentari, a quello inferiore, sotto l’occhio vigile di Horemheb in persona, un soldato versa acqua per compattare il pavimento in terra battuta, mentre un altro lo spazza tenendo spalancata la porta.
Un terzo soldato, fuori dall’edificio a sinistra, appoggia la mano destra alla spalla in segno di deferenza nei confronti di un superiore che si sta allontanando oppure si sta massaggiando perchè è stato colpito dallo stesso per punizione. Dall’altra parte del padiglione, un uomo impartisce ordini a gran voce ad un portatore d’acqua che avanza verso di lui. Le stature diverse dei personaggi raffigurati suggeriscono il senso di profondità del campo nel quale si svolge l’azione, ma anche l’appartenenza dei militari a ranghi differenziati, ulteriormente ribaditi dalla presenza o meno della parrucca e dei bastoni del comando. L’estrema dinamicità della scena, fedele alla frenetica attività di un accampamento militare, costituisce l’elemento di maggior pregio del rilievo.
Materiale: calcare con tracce di colore
Dimensione: cm 62 x 106
Numero di inventario: KS 1888
FONTE DEL TESTO E DELL’IMMAGINE:
http://www.museibologna.it/…/48653/id/48720/oggetto/48724/ 
L’ACCAMPAMENTO
I due rilievi formavano un’unica scena; eccoli idealmente riuniti.
IMMAGINE A QUESTO LINK: https://nefershapiland.de/HaremhabGrabMemphis.htm
Horemheb in nome di Tutankhamon conferisce l’oro del valore ad un funzionario.
Di questa scena, molto deteriorata e rimasta in loco sulla parete nord, ho trovato solo in disegno. Essa ha un notevole valore storico perchè mostra il Generalissimo in scala molto grande che in sostituzione di Tutankhamon premia con l’”oro del valore” un personaggio con le braccia alzate in segno di ringraziamento.
Molti studiosi ritengono che quest’ultimo possa essere Pa-Ramessu, il futuro Ramses I: la parte di rilievo che riportava il nome del gran dignitario già più volte decorato con l’oro del valore ed ancora premiato da Horemheb è scomparsa, per cui non è possibile avere certezza assoluta della sua identità. Peraltro il futuro Ramses I fu compagno d’armi di Horemheb, e il nostro personaggio sfoggia un deciso naso aquilino, che caratterizza il profilo dei primi ramessidi, così come si desume dalle loro mummie.
IMMAGINE DA OSIRISNET
L’ACCAMPAMENTO.
Il rilievo, costituito da due parti perfettamente combacianti e suddiviso in due registri decorativi, mostra altre scene di vita militare, che troverete meglio dettagliate nelle prossime immagini.
Materiale: calcare con tracce di colore
Dimensione: cm 64 x 174
Numero di inventario: KS 1886
http://www.museibologna.it/…/47680/id/48720/oggetto/48724/
L’ACCAMPAMENTO.
Nel registro superiore, a sinistra, un ufficiale accompagnato da uno scriba e da un altro egizio armato di bastone sorveglia l’allenamento alla corsa di due uomini che si dirigono verso di lui.
FOTOGRAFIA By Sailko – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29274171
L’ACCAMPAMENTO.
Nella parte destra del registro e nella fascia sottostante (vedi foto), alcuni magazzinieri sistemano grandi quantità di derrate alimentari sotto l’attento controllo di un secondo scriba, raffigurato nella prossima immagine. Si notano pani di forma circolare, giare da vino, i frutti della palma dum racchiusi in voluminosi sacchi a rete e alcuni mazzetti di porri destinati ad essere distribuiti ai soldati, che venivano retribuiti in natura.
FOTOBy Sailko – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29274170
L’ACCAMPAMENTO.
A destra della precedente immagine gli scribi controllano l’approvvigionamento dei magazzini, ed i servi sistemano le provviste da distribuire alla truppa.
FOTO By Sailko – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29274172
L’ACCAMPAMENTO.
Gli inservienti preparano le razioni da distribuire ai soldati.
FOTO By Sailko – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29274177

L’ACCAMPAMENTO – I RILIEVI AI MUSEI DI BOLOGNA

Sono rimasta affascinata dai rilievi custoditi a Bologna, tant’è che sono andata al museo proprio per vederli dal vivo. Sono di una vivacità e di una ricchezza di particolari notevole. Ho scattato moltissime fotografie, e vi sottopongo quelle più dettagliate. Questo rilievo proviene dal primo cortile della tomba e fa parte della grande scena dell’accampamento militare.

Ecco una vivacissima scena che si svolge nell’accampamento di Horemheb; nel registro inferiore un messaggero arriva al galoppo perobabilmente per portare un dispaccio urgente al Generalissimo, e davanti a lui un ufficiale fa segno ad un portatore d’acqua di avvicinarsi per dissetarlo; dietro al cavaliere un gruppo di soldati sta trasportando un oggetto pesante, forse una tenda arrotolata; nel registro superiore due aurighi si stanno riposando accanto ai loro carri, mentre uno scriba (riconoscibile dall’astuccio scrittorio che tiene in mano) si sta dirigendo altrove ad ampie falcate.
MUSEO ARCHEOLOGICO DI BOLOGNA
FOTO MIA

Esso conserva ancora tracce di colore e misura cm. 62 x 126,5; troverete una descrizione particolareggiata nelle didascalie delle immagini.

Questa rappresentazione è insolita, in quanto gli Egizi non avevano l’abitudine di montare a cavallo e preferivano servirsene per trainare i carri; inoltre non erano particolarmente abili nel disegnare il nobile animale, che qui, invece,è stato reso in modo mirabile, anche nei più minuti particolari. Piuttosto è la posizione del cavaliere ad essere alquanto innaturale: in assenza di sella e staffe, che ancora non venivano adoperate – al massimo si usava porre una coperta sul dorso dell’animale -) una posizione così arretrata sulla groppa dell’animale sarebbe stata troppo precaria. E’ probabile che questo cavaliere non fosse un egizio, ma uno straniero al servizio del faraone.

Ulteriori informazioni sull’uso del cavallo da parte degli Egizi, a cura di Livio Secco

I cavalli furono importati in Egitto dagli Hyksos attorno al 1.600 a. C., erano piccoli (l’altezza al garrese, cioè alla spalla, non superava i 150 cm.) e poco resistenti anche dal punto di vista scheletrico; essi venivano utilizzati in coppia per il traino di bighe da guerra, cioè di carri leggeri ad un solo asse, al quale venivano aggiogati “a strozzo”, in quanto il traino a spalla venne introdotto solo nel Medioevo.

Gli Ittiti usavano inizialmente carri a due assi (il primo dei quali non era sterzante) ma erano pesantissimi ed avevano notevoli problemi di manovrabilità.

In ogni caso, dalla documentazione dell’epoca si evince che per il traino venivano preferiti emioni oppure onagri, cioè asini selvatici più mansueti e meno costosi dei cavalli.

I cavallini dell’epoca venivano cavalcati solo in situazioni di eccezionale urgenza, a pelo e senza staffe nè sella, comparse solo in epoca tardo romana; il cavaliere veniva scelto giovanissimo perchè era più leggero di un adulto, e montava a cavalcioni del posteriore e non del dorso dell’animale per distribuire il proprio peso sulla sua parte più robusta e muscolare e non gravare sulla spina dorsale indubbiamente fragile.

La mia critica all’antico scultore, che a mio avviso aveva posizionato il cavaliere in posizione anomala in groppa al destriero, è quindi del tutto fuori luogo.

Poste queste premesse di carattere generale, è chiaro che il cavaliere che arriva al galoppo nell’accampamento del Generalissimo è molto probabilmente un messaggero che porta un dispaccio urgente e di fondamentale importanza.

Il messaggero nel rilievo bolognese proveniente dalla tomba di Horemheb a Sakkara. FOTO MIA

La rappresentazione di un uomo a cavallo appare solo un’altra volta sui rilievi parietali egizi, più precisamente sulla parete destra della sala ipostila del tempio maggiore di Abu Simbel che illustra la battaglia di Qadesh.

Si tratta di un giovane armato che cavalca verso la terza divisione Ptah, probabilmente per invitare i comandanti ad accelerare il passo o ad inviare subito l’aliquota carri per soccorrere Ramesse, che si trovava in difficoltà in quanto la seconda divisione Ra era stata sbaragliata e la prima divisione Amon rischiava di essere travolta dall’attacco dei carri Ittiti.

La battaglia di Kadesh: rilievo nel tempio maggiore di Abu Simbel – disegno di Ippolito Rosellini.
Nel riquadro in rosso un messaggero armato galoppa verso la divisione Ptah per portare i nuovi ordini e farla intervenire a soccorrere il resto dell’esercito che stava avendo la peggio.
Ingrandimento del particolare riquadrato in rosso nella precedente immagine che evidenzia il messaggero e il suo particolare modo di cavalcare.

Per informazioni piu’ approfondite sulla battaglia di Kadesh si vedano gli articoli di Andrea PettaGiuseppe EspositoLivio Secco ed Ivo Prezioso sul nostro sito laciviltaegizia.org nella sezione dedicata alle grandi battaglie.


Un ufficiale, riconoscibile dal bastone a forma di cuneo simbolo del suo grado e dall’elegante divisa, richiama l’attenzione del portatore d’acqua, forse per dissetare il messaggero dopo il lungo viaggio.
MUSEO ARCHEOLOGICO DI BOLOGNA
FOTO MIA
Sette soldati trasportano a spalla un pesante oggetto, forse una tenda arrotolata; tre di essi portano un elmo, o forse un copricapo, del tutto inusuale presso gli Egizi.
Divertente è il contributo offerto dall’ufficiale, l’ultimo personaggio sulla destra: mentre gli altri sudano sotto il peso si limita a dare indicazioni, fingendo in modo poco convincente di dare loro aiuto.
Un altro particolare interessante è l’abbigliamento dei soldati, che portano un perizoma di pelle sul quale venivano praticati moltissimi piccoli tagli verticali per renderlo più leggero e traspirante. Solo un rettangolo nella parte posteriore centrale era compatto, forse per motivi di decenza?
Alcuni perizomi simili a questi sono giunti fino a noi; ne parlerò prossimamente. 
Due aurighi sostano accanto ai rispettivi carri, tenendo in mano le briglie dei cavalli.
MUSEO ARCHEOLOGICO DI BOLOGNA
FOTO MIE

A proposito di questo rilievo osserva la nostra amica Marina Celegon (che ringrazio), nel suo interessante articolo il cui link trovate a fondo pagina: 

FONTI:

http://www.museibologna.it/…/47680/id/48720/oggetto/48723/

https://www.archeofriuli.it/lesotico-messaggero-del…/

LA SALA DELLE STATUE

RILIEVO IN LOCO: lo stipite sinistro della sala delle statue. Si tratta dell’unica tra le molteplici rappresentazioni di Horemheb in questa zona della tomba alla quale, dopo la sua ascesa al trono, è stato aggiunto l’ureo sulla fronte, appena visibile.
Sopra Horemheb seduto, si nota ripetuto per quattro volte il suo nome: ḥr-m-ḥb, ossia il falco ḥr sopra il quale troviamo la costola m e sotto il quale c’è il bacino d’alabastro ḥb (Horus è in festa).
Sotto, il determinativo del dignitario assiso ammantellato che indicava che si trattava di un alto funzionario defunto e la definizione tipica per il defunto che ha superato il giudizio di Osiride “mAa-xrw”, ossia “giusto di voce”.
FOTO MIA

Da un’apertura sulla parete di fondo del primo cortile si accede alla “sala delle statue”, cosiddetta perchè al suo interno sono state trovate statue di Horemheb ed i basamenti di statue di Anubi; essa ha forma rettangolare, misura m. 8,00 x 5,34 ed è fiancheggiata da due ambienti utilizzati come cappelle o come magazzino e più di recente, forse, come celle per i monaci del vicino monastero di San Geremia; essa un tempo era coperta da una volta a botte che crollando ha distrutto le pitture parietali dalle quale era decorata.

Su entrambi gli stipiti dell’ingresso si trova un’immagine di Horemheb (o di una statua che lo raffigura) davanti a una tavola di offerte; solo in una di esse porta l’ureo, aggiunto dopo la sua ascesa al trono; un sacerdote Iunmutef gli sta di fronte ed esegue fumigazioni con incenso ed il rito dell’apertura della bocca.

RILIEVO IN LOCO: La copia dello stipite destro della sala delle statue. Si noti l’ureo sulla fronte di Horemheb, aggiunto dopo il sua ascesa al trono. Il ventaglio che egli porta con sè, infatti, non era un attributo del re, quanto dei suoi figli e di coloro che gli erano particolarmente vicini, che venivano gratificati del titolo di “Portatore di ventaglio alla destra del re”.
FOTO MIA
Un’altra immagine a fianco di uno stipite (copia), raffigurante Horemheb davanti al quale vi è una tavola d’offerta e dietro la cui sedia si trova il suo segretario, di nome Sementaui, con la tavoletta da scriba in mano. Successivamente il nome dello scriba fu corretto in Ramose, perchè Sementaui è morto o è caduto in disgrazia.
FOTO MIA

All’estrema destra si trova il suo scriba militare Sementaui che compare anche altrove nella tomba, il cui nome e titolo furono in seguito erasi e sostituiti con quello di Ramose, o perchè morto, o perchè caduto in disgrazia.

RILIEVO IN LOCO: Il rito dell’apertura della bocca: davanti al defunto si trovano mazzi di fiori ed una tavola ricca d’offerte; il sacerdote sta celebrando il rito dell’apertura della bocca pronunciando le formule sacre ed effettuando delle fumigazioni con l’incensiere che tiene nella mano destra.
Dietro Horemheb, in piccolo, è raffigurato il suo segretario personale.
FOTOGRAFIA DI KAIROINFO4U DA FLICKR
Un’immagine più dettagliata del sacerdote, che porta ancora la treccia della giovinezza ed i cui tratti delicati sono stati resi con estrema precisione.
FOTO di Panegirici di Granovetter, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons a questo link https://commons.wikimedia.org/…/File:26672-_youth_with…

Le iscrizioni sugli stipiti sono molto interessanti e costituiscono una glorificazione della grandezza del Generalissimo e delle sue vittorie sulle città stato del Vicino Oriente ed in Nubia: ecco i testi, secondo la traduzione trovata su https://nefershapiland.de/HaremhabGrabMemphis.htm

I Ramessidi, che ad Horemheb dovevano il trono, istituirono un culto alla sua memoria, testimoniati da due architravi, risalenti a Ramses II, che mostrano la famiglia di sacerdoti funerari che aveva la responsabilità di curare la tomba e di eseguire i rituali.

IL PORTICO DEL 2° CORTILE

il secondo cortile ed il suo portico
FOTO da questo link: https://madainproject.com/memphite_tomb_of_horamheb_in_saqqara#gallery-5

Un breve passaggio sul lato occidentale della sala delle statue conduce al secondo cortile interno, più piccolo del primo ed anch’esso circondato da un portico sorretto da sedici colonne alte poco più di due metri; nell’angolo nord-ovest di questo cortile si trova uno degli ingressi alle camere sepolcrali.

Anche le pareti di questo portico sono ricoperte da rilievi molto ben conservati; alcuni dei blocchi erano ancora in situ, altri sono stati ritrovati dal team del prof. Martin tra le macerie del cortile e nell’area circostante e sono stati poi ricollocati nella loro sede originaria, altri ancora, rimossi dalla tomba all’inizio del XVIII secolo ed ora esposti in musei stranieri, sono stati sostituiti da calchi.

Sulla parte meridionale del muro est, sul muro sud nonché sul muro ovest del cortile vi sono scene con episodi della carriera di Horemheb, che documentano le sue vittoriose spedizioni militari e la decorazione con l’oro del valore, una pesante collana d’oro che il re attribuiva ai suoi sudditi più fedeli e meritevoli come riconoscenza per i servizi prestati.

Le immagini sono fortemente autocelebrative, in quanto non esiste alcuna prova storica di guerre o di campagne contro Libici, Nubiani o Asiatici durante il regno di Tutankhamon; il prof. Martin ipotizza che in realtà Horemheb condusse spedizioni punitive in quelle aree per ripristinare la sovranità dell’Egitto, fortemente indebolitasi durante il periodo amarniano per il disinteresse di Akhenaton.

COPIA DEL RILIEVO ORIGINALE
Immediatamente sotto la copia del rilievo bolognese troviamo quest’altro gruppo di prigionieri Nubiani. La scena è dotata di particolare vivacità, perchè i prigionieri, pur essendo in fila indiana ed essendo tutti seduti a terra, hanno altezze differenti, non guardano tutti nella medesima direzione ed alcuni gesticolano.
FOTO E TESTO MIEI
COPIA DEL RILIEVO ORIGINALE: Sul lato destro, Horemheb è rappresentato in piedi, di grandi dimensioni, con in mano il bastone simbolo del suo comando (figura che è sopravvissuta solo in parte); davanti a lui, un ufficiale costringe un capo nubiano ad abbassarsi di fronte al Generalissimo in segno di sottomissione. Gli scribi militari, dietro al capo nubiano sconfitto, registrano tutti i dettagli della sua resa.
Nel registro inferiore, altri due capi nubiani sono costretti a rendere omaggio al Generalissimo.
FOTO MIA
COPIA DEL RILIEVO ORIGINALE
Dietro gli ufficiali si trovano tre registri con lunghe file di prigionieri che rappresentano le città-stato libiche, del Vicino Oriente e della Nubia, sorvegliati dai soldati egizi armati di bastoni dalla forma a cuneo, in uso nella XVIII dinastia. Questo registro raffigura i nubiani, riconoscibili per i capelli ricciolini e per i grandi orecchini ad anello
I guardiani sono raffigurati di piccole dimensioni, forse per indicare che si tratta di giovani reclute, delle quali Horemheb era il responsabile supremo, ma nonostante ciò si dimostrano piuttosto rudi con i prigionieri: il soldato a sinistra afferra uno di loro per un braccio con entrambe le mani, quello più a destra sferra un pugno sotto il mento del povero nubiano…..
FOTO MIA
COPIA DEL RILIEVO ORIGINALE.
Dietro gli scribi sei ufficiali egizi, rappresentati molto più grandi dei prigionieri, abbigliati in uniforme di gala con tuniche plissettate e frangiate, sandali ai piedi, parrucche differenti l’una dall’altra (notate quella del secondo personaggio, fortemente stempiato….) e con in mano il bastone simbolo del loro grado prendono parte alla cerimonia della sottomissione
FOTO MIA

Le parti inferiori della parete nord mostrano invece scene del rito funebre, alcune delle quali si estendono anche alla parete est.

Qui vi mostro altri rilievi del secondo cortile, tra i più belli della tomba; gli originali si trovano al museo di Leida, salvo i due del registro superiore che sono uno a Vienna ed uno a Berlino.

Le scene, che devono essere lette da destra a sinistra, sono ambientate probabilmente nel palazzo reale di Menfi, dove Tutankhamon aveva trasferito la sua capitale per prendere le distanze dalle scelte del padre e da Amarna.

Una di esse rappresenta una delegazioni di libici, nubiani e asiatici inginocchiati o distesi a terra, che hanno raggiunto l’Egitto a cavallo con un estenuante viaggio per implorare la clemenza del Faraone e che, con l’ausilio di un interprete, chiedono ad Horemheb di farsi portavoce delle loro richieste.

Il sovrano è rappresentato sulla sinistra, insieme alla moglie Ankhesenamon, sul balcone del palazzo o comunque su di un piedestallo (il rilievo, purtroppo, si è conservato solo in parte); davanti a lui il Generalissimo, unico che ha titolo per parlare con il Faraone, riferisce le implorazioni degli ambasciatori.

Nel registro superiore composto da due blocchi è visibile un gruppo di Egizi che assiste alla scena.

Ho inserito descrizioni più precise nelle didascalie delle immagini.


Anche questi rilievi del portico del secondo cortile sono di una bellezza stupefacente; gli originali si trovano tutti al museo di Leida.

Così come quelle già viste, anche queste scene devono essere lette da destra a sinistra; esse sono ambientate probabilmente a Menfi, perchè raffigurano la cerimonia solenne della consegna ad Horemheb dell’ennesimo oro del valore: il Generalissimo è circondato dai servi che gli allacciano sull’uniforme candida e finemente plissettata la decorazione, mentre altri portano un contenitore con un cono di prezioso unguento profumato e vassoi con altri collari d’oro destinati a manifestare la riconoscenza del sovrano nei suoi confronti per i notevoli servizi resi alla corona.

Uno scriba assiste alla scena tenendo in mano il suo astuccio con i colori e i calami.

Anche in questo caso la figura di Horemheb venne completata con l’aggiunta di un diadema recante l’ureo in epoca successiva alla sua salita al trono.

Dietro di lui vi sono cortei di prigionieri asiatici che sfilano come bottino di guerra, non solo uomini ammanettati e tenuti “al guinzaglio” con una corda, ma anche donne e bambini.

Era abitudine degli Egizi portare in patria come ostaggi i figli dei capi delle popolazioni sottomesse per educarli nel Kap, la scuola di palazzo dove veniva cresciuto ed istruito anche il principe ereditario. In questo modo il Faraone si garantiva la fedeltà dei loro padri, e faceva sì che questi principi assorbissero la cultura egizia e fraternizzassero con l’erede al trono, con il quale sarebbero rimasti in buoni rapporti anche quando avrebbero fatto ritorno nel proprio paese per occupare ruoli di comando. Vi rimando alle didascalie delle immagini per informazioni più dettagliate


Nel registro posto sopra quello che ospita la sfilata di prigionieri asiatici si trova anche il famoso rilievo degli scribi che registrano il bottino, il cui originale si trova al museo archeologico di Firenze.

Nel secondo cortile si trovano altresì raffigurazioni del rituale di sepoltura di Horemheb ed in particolare file di offerenti, gruppi di prefiche e l’allestimento del banchetto funebre, allestito sotto dei pergolati montati per l’occasione.

RILIEVO IN LOCO. Un sacerdote sem, che indossa la pelle di felino, effettua lustrazioni, mentre una donna riccamente abbigliata con una lunga veste plissettata e trasparente, una parrucca a treccioline e un cono di profumo sulla testa porta in offerta fiori, anatre, pani e frutta.
FOTO MIA

APPROFONDIMENTO: IL MESSAGGERO

Dopo la pubblicazione del post sulla scena dell’accampamento nella tomba di Horemheb, Livio Secco mi ha fornito ulteriori informazioni sull’uso del cavallo da parte degli Egizi, che mi sembra interessante trasmettere anche a voi.

I cavalli furono importati in Egitto dagli Hyksos attorno al 1.600 a. C., erano piccoli (l’altezza al garrese, cioè alla spalla, non superava i 150 cm.) e poco resistenti anche dal punto di vista scheletrico; essi venivano utilizzati in coppia per il traino di bighe da guerra, cioè di carri leggeri ad un solo asse, al quale venivano aggiogati “a strozzo”, in quanto il traino a spalla venne introdotto solo nel Medioevo.

Gli Ittiti usavano inizialmente carri a due assi (il primo dei quali non era sterzante) ma erano pesantissimi ed avevano notevoli problemi di manovrabilità.

In ogni caso, dalla documentazione dell’epoca si evince che per il traino venivano preferiti emioni oppure onagri, cioè asini selvatici più mansueti e meno costosi dei cavalli.

I cavallini dell’epoca venivano cavalcati solo in situazioni di eccezionale urgenza, a pelo e senza staffe nè sella, comparse solo in epoca tardo romana; il cavaliere veniva scelto giovanissimo perchè era più leggero di un adulto, e montava a cavalcioni del posteriore e non del dorso dell’animale per distribuire il proprio peso sulla sua parte più robusta e muscolare e non gravare sulla spina dorsale indubbiamente fragile.

La mia critica all’antico scultore, che a mio avviso aveva posizionato il cavaliere in posizione anomala in groppa al destriero, è quindi del tutto fuori luogo.

Poste queste premesse di carattere generale, è chiaro che il cavaliere che arriva al galoppo nell’accampamento del Generalissimo è molto probabilmente un messaggero che porta un dispaccio urgente e di fondamentale importanza.

La rappresentazione di un uomo a cavallo appare solo un’altra volta sui rilievi parietali egizi, più precisamente sulla parete destra della sala ipostila del tempio maggiore di Abu Simbel che illustra la battaglia di Qadesh.

Si tratta di un giovane armato che cavalca verso la terza divisione Ptah, probabilmente per invitare i comandanti ad accelerare il passo o ad inviare subito l’aliquota carri per soccorrere Ramesse, che si trovava in difficoltà in quanto la seconda divisione Ra era stata sbaragliata e la prima divisione Amon rischiava di essere travolta dall’attacco dei carri Ittiti.

FONTI: Ringrazio Livio Secco per le informazioni e le immagini che mi ha fornito sull’immagine del messaggero di Kadesh.

Per informazioni piu’ approfondite sulla battaglia di Kadesh si vedano gli articoli di Andrea PettaGiuseppe EspositoLivio Secco ed Ivo Prezioso sul nostro sito laciviltaegizia.org nella sezione dedicata alle grandi battaglie.

DIDASCALIA DELLE FOTO:

– Il messaggero nel rilievo bolognese proveniente dalla tomba di Horemheb a Sakkara. FOTO MIA

– La battaglia di Kadesh: rilievo nel tempio maggiore di Abu Simbel – disegno di Ippolito Rosellini.

Nel riquadro in rosso un messaggero armato galoppa verso la divisione Ptah per portare i nuovi ordini e farla intervenire a soccorrere il resto dell’esercito che stava avendo la peggio.

– Ingrandimento del particolare riquadrato in rosso nella precedente immagine che evidenzia il messaggero e il suo particolare modo di cavalcare.

FONTI:

Piccola Guida Turistica

LA MASTABA DI AKHTIHOTEP E PTAHHOTEP TSHEFI

Particolare di un portatore di offerte; egli tiene in mano un vaso per le libagioni, fiori di ninfea e ombrelli di papiro.
FOTO DA INTERNET. SE L’AUTORE LA RICONOSCESSE COME PROPRIA, ME LO SEGNALI E PROVVEDERO’ A SOSTITUIRLA O AD ATTRIBUIRE IL DOVUTO CREDITO.

Lasciata la mastaba di Ti raggiungiamo nuovamente il viale d’ingresso del Serapeum e ci dirigiamo verso l’area delle tombe del Nuovo Regno imboccando il sentiero parallelo al viale delle sfingi ed una stradina che porta verso sud e che in breve conduce alla mastaba di Akhtihotep e di suo figlio Ptahhotep Tshefi, che vissero attorno al 2400 a. C..

Uno scriba al lavoro: egli ha con sè la sua attrezzatura, costituita da un astuccio lungo e stretto nel quale conserva le cannucce che adopera per scrivere e delle “pastiglie” di colori solidi; come si usa fare anche oggi, tiene due “penne” dietro l’orecchio.
FOTO DA TUMBLR. SE L’AUTORE LA RICONOSCESSE COME PROPRIA, ME LO SEGNALI E PROVVEDERO’ A SOSTITUIRLA O AD ATTRIBUIRE IL DOVUTO CREDITO.

Questa visita in realtà non era prevista nel nostro programma, ma passiamo proprio davanti al complesso, per cui non resistiamo ed entriamo per dare un’occhiata veloce e scattare qualche fotografia. Potrete trovare sul nostro sito un ampio articolo e belle immagini pubblicate da Ivo Prezioso a questo link:

Quattro servi stanno costruendo una barca di papiro, legando strettamente insieme i giunchi con delle corde vegetali.
FOTO DA INTERNET. SE L’AUTORE LA RICONOSCESSE COME PROPRIA, ME LO SEGNALI E PROVVEDERO’ A SOSTITUIRLA O AD ATTRIBUIRE IL DOVUTO CREDITO.
Una processione di portatori di offerte: fiori, frutta, verdure, anatre già pronte per la cottura, anatre e oche vive, tessuti, vasi, pane, un orice, un’antilope, un ibex ed un bue legati con una corda.
FOTO MIA
Un’altra processione di offerenti.
FOTO MIA

Questa tomba appartiene a due alti dignitari e fu scoperta nel 1950 da Mariette in una depressione posta nei pressi della strada processionale che univa il tempio a valle di Unis alla sua piramide, a circa 200 metri dalla stessa.

Akhtihotep fu visir di Djedkara Isesi oltre che supervisore delle tesorerie, degli scribi dei documenti del re e dei granai, e sia lui che il figlio Ptahhotep Tshefi (o Ptahhotep II, per distinguerlo dall’omonimo e famoso nonno, titolare dell’adiacente mastaba D62) rivestirono il prestigioso ruolo di ispettori dei sacerdoti delle piramidi di Abusir durante il regno di tre sovrani, a cavallo tra la IV e la V dinastia.

Il defunto davanti alla tavola delle offerte, mentre annusa l’inebriante profumo di un unguento pregiato.
FOTO MIA

Ptahhotep Tshefi inoltre è ritenuto l’autore del testo noto come “Massime di Ptahhotep”, una serie di consigli saggi impartiti da un padre al figlio e che l’estensore, per conferirgli maggiore autorevolezza, attribuisce all’avo, anch’egli visir di Djedkara Isesi.

Il cartiglio di Isesi, il sovrano sotto il quale, probabilmente, Ptahhotep II vide decollare la sua carriera.
FOTO MIA

La mastaba D64 comprende due spazi decorati a nome di Akhtihotep ed uno a nome di Ptahhotep: i rilievi sono vivissimi, ed hanno in buona parte mantenuto la brillantezza dei colori originari; come gli altri già visti nelle altre tombe, mostrano scene di portatori d’offerta, di presentazioni di animali, di mietitura, di caccia con la rete, di costruzione di barche di papiro e di vita dei defunti, raffigurati seduti davanti al tavolo d’offerte, mentre fanno la manicure e assistono ad un concerto, durante banchetti o sacrifici, mentre cacciano.

Un musicista suona il suo strumento, mentre il suo compagno sembra stia battendo il tempo con le mani.
FOTO DA INTERNET
Una scena di caccia nel deserto: due cani addestrati (notate il collare) hanno aggredito un orice e un ibex facendoli cadere a terra ed azzannandoli alla nuca mentre due antilopi brucano tranquillamente. Nella parte superiore della scena una mangusta sta entrando nella propria tana.

Vi propongo qui le fotografie che abbiamo scattato in loco, insieme ad altre molto belle trovate in rete.

Piccola Guida Turistica

LA MASTABA DI TI

L’ingresso a pilastri che immette nel cortile porticato della mastaba
Foto mia

Usciti dal Serapeum ripercorriamo a ritroso per un breve tratto il Viale delle Sfingi per poi svoltare a sinistra e seguire la strada verso la mastaba di Ti e della sua famiglia (la moglie Neferhetepes e i suoi quattro figli), che sorge a circa cento metri a nord ovest dalla Piramide a gradoni; la visita è irrinunciabile anche se ci siamo già stati perchè è ricca di dettagli e si scoprono sempre scene nuove.

La statua di Ti visibile attraverso la fessura del serdab.
Foto mia

Essa fu scoperta da Mariette nel 1860 e si trova sotto il livello del suolo perchè nel corso dei secoli è stata sepolta dalla sabbia che l’ha preservata in ottime condizioni; pur essendo molto più piccola di quella di Mereruka è di grande impatto perchè ha ancora il cortile porticato antistante ed il serdab ed i rilievi ancora in buona parte integri su buona parte delle pareti.

Uno dei corridoi riccamente decorati.
FOTO DI ALDO VITRO’

Vi entriamo con reverenza ed attraversato il cortile veniamo accolti dallo stesso Ti (più esattamente dal suo Ka), che da 4.500 anni in forma di statua osserva il visitatore da una lunga fessura del serdab posto sull’angolo destro in fondo al portico: guardate sul nostro sito a questo link: https://laciviltaegizia.org/2023/11/10/serdab-statue-of-ti/ e troverete una notevole immagine di questa statua scattata e commentata da Jacqueline Engel.

Una delle false porte di Ti
FOTO DI SILVIA VITRO’

Egli sembra sorvegliare attentamente chi osa presentarsi al suo cospetto e nella sua fissità ha un atteggiamento altero: visti il suo potere e la sua ricchezza poteva ben permetterselo!

La cattura degli uccelli con la rete.
Nel registro in basso si vede il sovrintendente che dà il segnale di tirare la fune per chiudere la rete.
FOTO MIA
La cattura degli uccelli con la rete: gli uomini a terra, al segnale del loro capo, in piedi, tirano energicamente le funi per far richiudere la rete sugli uccelli che vi si sono posati.
FOTO MIA

Ti infatti era un altissimo funzionario che visse verso la metà della V dinastia, salì i gradini della sua strepitosa carriera al servizio di quattro sovrani (Neferirkara Kakai, Shepseskara, Neferefra e Niuserra) e pur non essendo di nobili origini sposò la principessa reale Neferhetepes. Nella mastaba sono scolpiti i suoi numerosi titoli sia civili che religiosi, che ne testimoniano la posizione sociale molto elevata e la grande influenza che gli derivava dalla vicinanza con il re: era definito, tra l’altro, “Amico Unico del Faraone”, “Amministratore del palazzo”, “Capo dei parrucchieri del re”, “Sacerdote ritualista” e risulta essere stato fu sovrintendente delle piramidi di Neferirkare e Niuserre e dei templi solari di Sahure e Neferefra.

Dopo aver falciato il grano, i contadini preparano ed ammucchiano i covoni (sotto) e poi, dopo averli messi nei sacchi hanno caricato gli asini per il trasporto. Un sacco è caduto a terra e gli uomini stanno cercando di rimetterlo sulla groppa del povero animale. Delizioso è l’asinello davanti alla fila che precede la madre (sopra).
Foto di Kairoinfo4u, da Flickr

Le parte ipogea della tomba, che si raggiunge da una scala nel centro del cortile, non è visitabile, ma i due corridoi interni, l’ambiente successivo e la cappella per le offerte, interamente decorate, portano il visitatore a fare un viaggio a ritroso nel tempo, ricostruendo come in un gigantesco diorama la vita che si svolgeva lungo le rive del Nilo nel corso della V dinastia.

Tre contadini dissodano il terreno con la zappa e dietro di loro un terzo semina.
Foto di Kairoinfo4u, da Flickr

Ti appare in tutta la sua grandezza (non solo metaforica, in quanto è raffigurato in dimensioni reali accanto agli altri personaggi minuscoli) mentre osserva il lavoro dei suoi servi (contadini, mandriani, macellai, carpentieri navali, scultori, ebanisti, vasai, orafi….) e le processioni di offerte che provengono dai suoi domini.

Gli impiegati amministrativi di Ti: uno scriba con in mano il suo materiale scrittorio ed altri due con il loro papiro già compilato (o da compilare).
Foto di kairoinfo4u, da Flickr

Anche con riferimento alla Mastaba di Ti mi limiterò a proporvi alcune tra le foto che ho scattato, non bellissime perchè gli ambienti sono lunghi e stretti e poco illuminati: sul nostro sito, al link seguente, potrete trovare un dettagliatissimo articolo scritto da Andrea Petta e Grazia Musso, con un bel repertorio fotografico https://laciviltaegizia.org/2021/03/06/la-mastaba-di-ti/

I mandriani guadano il Nilo con la mandria. Il fiume è rappresentato come una striscia blu. caratterizzata da incisioni a zig zag, che danno l’impressione del movimento e del fluire dell’acqua.
FOTO DI KAIROINFO4U DA FLICKR

Entrando nella mastaba di Ti l’occhio del visitatore è catturato dalla magnificenza del complesso architettonico e dall’insieme delle immagini, che coprono interamente le alte pareti, ma spesso gli sfuggono mille piccoli particolari di una suggestività unica.

Ne ho trovati alcuni in rete, che vi propongo qui: la scena con l’asino in primo piano è proprio divertente!

Questa scena divertente descrive gli sforzi dei contadini per convincere un asino recalcitrante a lasciarsi caricare con i covoni di grano da portare verso i magazzini.
Sulla sinistra un servo ha in mano un sacco enorme pieno di covoni, che sembra uno scudo verticale, che dovrà essere caricato sul dorso dell’asino. Il conducente dell’animale, davanti a lui, sembra avere fretta ed è irritato perchè l’asino è recalcitrante, gli afferra con la mano sinistra la zampa anteriore destra tesa mentre con la mano destra gli torce l’orecchio, esclamando: “Accettalo!” (il carico).
L’uomo dietro è ancora più furioso e sta per colpire con il suo bastone il povero somarello, insultandolo pesantemente: “Indossalo (il sacco), stronzo!”.
FOTO DA OSIRISNET
Questa scena è tenerissima: il somarello precede la fila degli asini che trasportano i sacchi di grano per stare vicino alla sua mamma, che è la prima del gruppo.
FOTO DA OSIRISNET
Il supervisore bastonato: gli egizi erano molto ironici, e spesso aggiungevano scene simpatiche alle decorazioni parietali, rese ancora più vivide dall’aggiunta di frasi illustrative, come se fossero dei fumetti. Questa scena, nella quale si vede “Il guardiano Iunenek” che bastona un “Capo del magazzino” forse è stata inserita dallo stesso decoratore della parete per vendicarsi di quest’ultimo che a sua volta lo aveva percosso.
FOTO DA OSIRISNET
L’offerente: questa giovane proviene da una delle fattorie di Ti, e porta i prodotti delle sue terre. Indossa un lungo abito trasparenti sbracciato, bracciali ai polsi ed un bel collare a più fili. Con un braccio sorregge sulla testa un cestino pieno di frutta e con l’altra tiene in braccio un piccolo di gazzella.
FOTO: DA TUMBLR

Vi trascrivo anche un breve frammento tratto dalla cronaca di viaggio di Amelia Edwards, l’egittologa inglese di cui vi ho già parlato, che ci dà un’idea delle sensazioni suscitate dalla tomba all’indomani della sua scoperta, non dissimili da quelle che ancora oggi offre ai visitatori.

FONTI:

  • OSIRISNET
  • EDWARDS A., A thousand miles up the Nile, 1831, cit.
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IL SERAPEUM

Il corridoio principale del Serapeum

Usciti dalla mastaba di Mereruka ci portiamo nell’area ad est della piramide di Djoser percorrendo la strada che conduce al Serapeum, in passato fiancheggiata da Sfingi.

Del maestoso viale si era persa ogni traccia fino al 1850, quando Auguste Mariette scoprì una sfinge sepolta nella sabbia e si rammentò che il geografo greco Strabone aveva segnalato l’esistenza, in quella zona, del Serapeo e di un viale di Sfingi.

Una delle sei sfingi che fiancheggiavano il viale d’accesso al Serapeum, oggi al Louvre.

In effetti, confidando nelle indicazioni trovate nel testo antico, Mariette cominciò a scavare e portò alla luce il viale e moltissime sfingi (sei delle quali si trovano ora al Louvre), una serie di statue di filosofi e poeti greci ora in assai misere condizioni, il tempio di Serapide e le catacombe sotto di esso note come “Serapeum”.

L’ingresso del Serapeum

Il Serapeum custodisce gli immensi sarcofagi nei quali da Amenhotep III fino ai Tolomei vennero sepolti i tori Apis, sacri a Ptah: mi limiterò a brevi osservazioni ed a pubblicare le fotografie che abbiamo scattato in occasione della nostra visita, in quanto potrete trovare un’ampia trattazione a cura di Andrea Petta sul nostro sito a questo link: https://laciviltaegizia.org/2021/02/23/il-serapeum-e-i-suoi-misteri/

Uno dei sarcofagi con il coperchio appena spostato.
Il pesante coperchio di un sarcofago posto a parziale chiusura di un corridoio laterale

Oggi l’asse centrale del Serapeum è stato restaurato in modo egregio e le parti visitabili (il vestibolo ed il grande corridoio) sono di notevole impatto e molto ben illuminati, anche se hanno perso l’atmosfera dark che dovevano avere un tempo, quando i pochi visitatori si facevano luce con le candele e bruciando polvere di magnesio in un vaso ed ancora circolavano macabre storie di turisti incauti che si erano persi per sempre nel labirinto dei cunicoli laterali nei quali si erano avventurati da soli.

Le nicchie che ospitavano le stele collocate per ricordare le visite alla necropoli, poi asportate per essere esposte nei musei; essi recavano il nome del visitatore e del sovrano in carica e l’anno di regno, ed hanno fornito importanti indicazioni per ricostruire il periodo storico.

L’egittologa Amelia Edwards così racconta l’esperienza della sua visita al Serapeum poco dopo la sua scoperta:

Un’incisione geroglifica su di una parete

L’autrice racconta che chi le riferì quest’ ultimo aneddoto non le rivelò il nome del nobile ladro di antichità perché era “andato incontro ad una tragica fine in un altro emisfero” ma considerato che si trattava di un arciduca e che i reperti, con il nome di collezione Miramare, vennero poi trasferiti al Kunsthistorisches Museum di Vienna le risultò agevole identificarlo.

Si trattava certamente dell’Arciduca Massimiliano d’Asburgo, fratello minore di Francesco Giuseppe imperatore d’Austria e Re d’Ungheria; egli fu viceré del Lombardo Veneto dal1857 al 1859 e poi imperatore del Messico, ma dopo tre anni di regno fu giustiziato dagli oppositori repubblicani a soli 35 anni d’età.

LE FOTOGRAFIE SONO STATE TUTTE SCATTATE DA ME, SALVO QUELLA DELLA SFINGE, CHE PROVIENE DA INTERNET.

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LA MASTABA DI MERERUKA DETTO MERI

Mereruka, qui giovane e prestante, nella posa canonica e solenne del visir nell’esercizio delle sue funzioni, con in mano i simboli della sua carica. Foto di Sémhur

I sovrani dell’Antico regno concedevano ai propri parenti ed ai funzionari più fedeli l’onore di essere sepolti accanto a sé ed in effetti a nord della piramide di Teti e vicinissime ad essa, una adiacente all’altra, si trovano le mastabe di Mereruka, Kagemni e Ankhmahor che furono suoi visir, ed i primi due anche suoi generi avendo sposato le sue figlie.

L’ingresso della mastaba reca ai due lati immagini speculari di Mereruka, con l’indicazione del suo nome (Mereruka detto Meri, leggibile da destra a sinistra sulla riga in geroglifico posta proprio sopra Mereruka) e dei suoi titoli. FOTO MIA

Conoscevamo queste sepolture, ma abbiamo deciso che valesse la pena di visitare nuovamente la mastaba di Mereruka, che incanta per i suoi rilievi parietali e che con i suoi trentatre ambienti rivestiti di lastre di calcare è la più grande fino ad ora scoperta in Egitto.

Questa raffigurazione è insolita,in quanto gli Egizi si facevano rappresentare nelle proprie tombe come sempre giovani ed aitanti, perchè quello era l’aspetto che avrebbero avuto nell’Aldilà. Qui, invece, Mereruka viene sorretto dal figlio Meri-Teti e da un funzionario, e quindi era probabilmente anziano e bisognoso di aiuto. FOTO MIA

Essendo destinata ad ospitare anche sua moglie Watekhethor detta Sesheshet ed il suo figlio maggiore Meri – Teti (che ereditò i suoi titoli onorifici e ricoprì il ruolo di Ispettore dei lavori della piramide di Teti e di Ispettore dei sacerdoti della piramide), è suddivisa in tre zone: quella riservata a Mereruka è composta da 21 sale, mentre gli ambienti restanti sono divisi tra i congiunti; le camere funerarie, non visitabili, si trovano sul fondo di pozzi.

Sesheshet, defunta, seduta sul suo scranno annusa un fiore di ninfea simbolo di rinascita; davanti a lei una tavola d’offerta carica di beni. Questa immagine è raffigurata specularmente sulle due pareti poste di fianco ad una falsa porta nella sua camera per le offerte, decorate con processioni di offerenti che si dirigono verso di lei. Foto di cairoinfo4u da Flickr

Gran parte delle sale sono prive di decorazione in quanto utilizzate come magazzini e serdab (esiste in loco in una nicchia la copia di una magnifica statua del defunto di dimensioni superiori al normale, il cui originale è al museo del Cairo), ma i molti rilievi parietali superstiti documentano in modo fedele e vividissimo la vita di un Egizio di alto rango nel corso della VI dinastia.

Meri-Teti da ragazzo, ancora con la treccia dell’infanzia, raffigurato in piccole dimensioni ai piedi del padre; ha in mano un’upupa ed un fiore di ninfea.
FOTO di Gerhard Huber, a questo link: https://global-geography.org/…/Saqqara_-_Mastaba_of…

Le scene, che in alcuni punti hanno ancora ampie tracce del colore originario, sviluppano le tematiche decorative tipiche dell’epoca: gli Egizi credevano infatti che raffigurare nella mastaba il defunto mentre svolgeva le sue attività terrene e godeva delle sue ricchezze gli avrebbe permesso di continuare anche nell’Aldilà a vivere secondo il medesimo stile.

La falsa porta in una delle sale delle offerte per Mereruka; essa è ricavata da un’unica grande lastra di pietra, e purtroppo la parte superiore è andata distrutta. E’ completamente scolpita con il nome ed i titoli del defunto.
FOTO di Heidi Kontkanen, da Flickr

E così troviamo Mereruka in dimensione eroica rappresentato mentre assiste alla fustigazione di chi non ha pagato i tributi, alla coltivazione dei campi, alla pesca ed alla caccia da parte dei suoi servi, al lavoro degli artigiani e mentre si diverte cacciando e pescando nelle paludi o partecipando ad una festa con musici e ballerine.

Falsa porta di Meri – Teti, raffigurato nella stele centrale, qui poco visibile.
FOTO di Heidi Kontkanen da Flickr

Pur trattandosi di raffigurazioni convenzionali, l’ambiente nel quale sono collocati i personaggi è estremamente realistico, al punto che è possibile riconoscere la specie a cui appartengono i pesci e gli animali che in gran numero compaiono sulle pareti.

La magnifica statua di Mereruka posta in una nicchia della sala ipostila, fiancheggiata da due rilievi speculari che lo rappresentano con il gonnellino dalla particolare forma e lo scettro indicatori del suo rango.
FOTO MIA

Nelle zone più strettamente destinate ai riti ed alle offerte, invece, sono raffigurate le consuete processioni di servi che portano ai defunti beni di ogni genere affinchè possano goderne in eterno.

Falsa porta nella zona della mastaba dedicata a Watetkhethor, moglie di Mereruka e figlia del faraone Teti
FOTO di kairoinfo4u, da Flickr

LO SPETTACOLO DI DANZA ACROBATICA E LA PUNIZIONE DEGLI EVASORI FISCALI

Immagine di ragazze che danzano, nel corso di uno spettacolo che si svolge davanti a Mereruka
FOTO di Jose Javier Martin Espartosa, da Flickr
Un’altra parte della scena della bastonatura: a sinistra gli scribi sotto un baldacchino tengono nota delle imposte pagate e dietro di loro tre evasori fiscali accasciati e doloranti perchè sono stati bastonati.
Segue una scena di bastonatura: il condannato è piegato in avanti e tenuto fermo da un incaricato, mentre un altro con il bastone sta per sferrargli un colpo sulla schiena.
FOTO MIA
Mereruka aveva anche il compito di sovrintendere alla riscossione delle imposte; qui gli incaricati stanno punendo con la bastonatura un uomo che ha omesso di pagare quanto dovuto.
Il condannato è seduto, abbracciato ad un palo ed immobilizzato per le braccia, in modo da esporre la schiena alle bastonate del funzionario statale che sta per assestargli un forte colpo brandendo il bastone con due mani.
FOTO di kairoinfo4u da Flickr
Quattro ragazze si esibiscono in una danza acrobatica sotto gli occhi di Mereruka, posto alla sinistra e qui non visibile; alla destra un altro gruppo di giovani batte il tempo con le mani e danza.
FOTO di kairoinfo4u da Flickr

 LA CACCIA NEL DESERTO E LA NUTRIZIONE FORZATA DELLE IENE

I cani da caccia più diffusi in Egitto nell’Antico Regno erano chiamati “Tesem”; gli esperti ritengono che fossero gli antenati degli odierni Basenij.
Essi erano simili ai moderni levrieri ma avevano una struttura scheletrica massiccia che attribuiva loro un fisico solido e scattante, caratterizzato da fianchi stretti, arti e collo lungo, muso allungato, orecchie erette ed appuntite, code arricciate, denti affilati e mascelle potenti.
Il cacciatore li aizzava contro la preda ed essi, da soli o in branco, l’assalivano senza alcuna esitazione e la facevano cadere a terra per poi azzannarla alla gola ed ucciderla.
FOTO di Fugzu da Flickr

Le immagini che troverete descritte con maggiori particolari nelle didascalie rappresentano la caccia nel deserto e la nutrizione forzata delle iene.
Gli Egizi cacciavano i grossi erbivori per procacciare cibo; il sovrano, invece, si dilettava nella caccia al leone, inoltrandosi nel deserto sul suo carro (e con un buon numero di aiutanti) ed abbattendolo con l’uso di arco e lancia.

La scena è suddivisa in registri che si intersecano, dando l’impressione di una grande concitazione. Nella prima scena del registro superiore un uomo ha catturato con il lazo un orice, mentre la seconda scena, suddivisa in due sottoregistri che si completano vicendevolmente, un ibex dalle corna ricurve è stato fatto cadere a terra e azzannato da nove cani, cinque dei quali si trovano nel sottoregistro superiore.
Nel registro inferiore un uomo trattiene un cane per il collare e gesticolando ne aizza un altro che morde alla nuca un’antilope le cui zampe posteriori stanno cedendo; davanti a loro altre due antilopi ed un ibex, ignari del pericolo, continuano a brucare.
All’estrema destra un cane salta sulla schiena di un orice dalle lunghe corna.
In uno stretto sottoregistro posto sulla sinistra sopra le prime due scene sono rappresentati un ibex, un riccio e due cuccioli di gazzella; sopra l’ultima scena a destra un riccio si affaccia timidamente dalla sua tana. Foto di kairoinfo4u da Flickr

L’uccisione del leone da parte del re faceva parte dell’iconografia tradizionale dell’Egitto antico per il suo significato simbolico importante: si veda a questo proposito l’articolo sul nostro sito a questo link: https://laciviltaegizia.org/…/il-leone-nellantico-egitto/

L’attività venatoria raffigurata nelle immagini che vi propongo sembra essere finalizzata all’acquisizione di cibo, in quanto i nobili normalmente cacciavano sui carri e avevano battitori che trovavano i gruppi di animali e li dirottavano nella loro direzione per facilitarne la cattura o l’uccisione, che essi ponevano in essere personalmente.

Anche qui la scena è suddivisa in registri che si intersecano, dando l’impressione di una grande concitazione. Nella prima scena del registro inferiore un cane ha aggredito alle spalle un orice che sta per cadere a terra e lo sta mordendo alla nuca; un altro orice, terrorizzato ed impotente, si guarda indietro ad osservare la scena.
Nella scena centrale un leone sta mordendo sul muso un bovide e glielo ghermisce con la zampa dalle unghie affilate.
A destra un ibex dalle corna ricurve è stato fatto cadere a terra e azzannato alla gola da un cane, mentre un’antilope, rimasta intrappolata sotto il corpo della preda, cerca disperatamente di alzarsi per fuggire.
Il registro superiore è diviso in due sottoregistri; inquello inferiore si vede un’antilope caduta a terra di schiena aggredita da una muta di nove cani, cinque dei quali si trovano in quello superiore; l’ultima scena sulla destra, che occupa entrambi i due sottoregistri, un uomo trattiene un ibex con un laccio mentre altri due sono sfuggiti alla cattura.
Agli estremi di uno stretto sottoregistro posto sopra la seconda e la terza scena sono rappresentati due ricci che escono dalle rispettive tane, un cucciolo di gazzella ed una lepre acquattati tra i radi cespugli. Foto di kairoinfo4u da Flickr

Le ultime due immagini mostrano l’alimentazione forzata delle iene, che venivano catturate, tenute in cattività e messe all’ingrasso per essere mangiate in seguito, oppure per essere usate per cacciare essendo abilissime nel seguire le tracce lasciate dalle prede.

La nutrizione forzata di una iena: le zampe posteriori dell’animale sono state legate, mentre quelle anteriori sono tenute ferme da un servo, mentre un altro infila a forza tra le fauci brandelli di volatili. Foto di kairoinfo4u da Flickr

Alcuni studiosi, tuttavia, sostengono che gli animali rappresentati nei rilievi siano in realtà dei proteli, ienidi poco più grandi di una volpe che si cibano di insetti, soprattutto termiti.

Nutrizione di una iena: questo animale è più collaborativo, e i servi lo accarezzano sulla schiena e gli offrono quella che sembra una pagnotta di cibo.
FOTO DA https://global-geography.org

https://www.cacciainfiera.it/…/a-caccia-nella-storia…/

CELEGON M., IL CANE ONORATO DAL RE, A QUESTO LINK https://www.archeofriuli.it/il-cane-onorato-dal-re/

LA FAUNA ITTICA

Come ho già detto la ricchezza di particolari delle scene della mastaba di Mereruka è incredibile: insetti, pesci, mammiferi e volatili sono raffigurati con notevole verosimiglianza, tant’è che è facile riconoscere le singole specie.

Questo particolare fa parte di una scena di pesca con la rete: i pescatori si trovano su di una barca di papiro e stanno tirando a sè una lunga rete che ha intrappolato numerosi pesci. A sinistra si nota un muggine, poi un barbo dagli strani bargigli e dall’aculeo velenoso sul dorso, ed infine il persico africano.
FOTO di Cairoinfo4u, da Flickr
La scena continua mostrando sopra una tilapia dalla curiosa pinna dorsale ed un altro barbo, e sotto un pesce che non so identificare ed un altro muggine.
FOTO di Cairoinfo4u, da Flickr
L’ultimo tratto della scena di pesca raffigura un persico africano, seguito da un pesce palla d’acqua dolce, da un muggine (sopra) e da un barbo.
FOTO di Cairoinfo4u, da Flickr

Nelle scene già pubblicate abbiamo visto i cani, l’ibex (che è una capra del deserto simile ad uno stambecco), l’orice dalle lunghe corna a forma di falce, l’antilope dalle corna ondulate, il leone, il bovide, i cuccioli di gazzella, la lepre, il riccio e la iena.

L’ossirinco, che usa il muso a proboscide per smuovere il fondale alla ricerca di vermi e larve d’insetti; non erano rari gli amuleti con la forma di questo pesce, considerato protettore del defunto e garante della sua rinascita nell’Aldilà.
FOTO MIA
Una tilapia nilotica. Questo pesce era un simbolo di fertilità sacro alla dea Hathor ed era legato a Ra per il suo colore rossastro; esso era considerato garante della rinascita.
E’ probabile che anche il persico africano (nome latino “lates”) condividesse una simbologia simile, tant’è che in epoca romana gli abitanti di Latopoli ponevano mummie di Lates nelle tombe dei propri cari.
FOTO MIA

Nelle acque del fiume sono state rappresentate anche molte specie di pesci, alcune oggi estinte; popolano tuttora il Nilo il barbo, la tilapia nilotica, il persico africano, l’ossirinco dalla caratteristica proboscide, l’anguilla, il muggine.

In questo rilievo molti pesci nuotano in acque rappresentate verticalmente, alcuni ritengono per per indicare zone lontane dalla riva, altri per poter rappresentare il pescatore in posizione eretta e quindi più solenne.
Si possono riconoscere – salvo mio errore – due tilapie nilotiche (il pesce a forma ovale con una lunga pinna dorsale), tre anguille, un persico africano (in basso, in orizzontale, con la forma allungata e la coda a ventaglio), un pesce palla d’acqua dolce (sulla destra, con il ventre gonfio), un citarino (sotto il pesce palla, a forma romboidale), due muggini (uno sopra il persico africano e gli altri due sopra di esso andando verso l’alto), due ossirinchi (uno sotto il persico africano e l’altro sopra, al centro). Quegli strani pesci sulla destra con i baffi e la coda a ventaglio credo che siano barbi; non riconosco quella specie di pesce gatto sopra la tilapia.
FOTO DA OSIRISNET.NET

LA FAUNA DELLE PALUDI

Le rive paludose del Nilo, dove il sovrano ed i nobili si dilettavano a cacciare gli ippopotami oppure gli uccelli ed a pescare con gli arpioni, brulicavano di vita e gli artigiani decoratori dell’Antico Regno seppero riprodurre fedelmente sulle pareti delle mastabe la bellezza di questo ambiente naturale.

La caccia alle quaglie con la rete, che veniva tesa e poi richiusa dai cacciatori quando i volatili si erano posati sulla sua superficie. Foto da osirisnet.net

Negli ambienti palustri vivevano altresì manguste, coccodrilli (ora scomparsi dall’Egitto) e molteplici uccelli, alcuni dei quali, così come i pesci, vennero adottati come fonogrammi nella scrittura geroglifica: oche, anatre, l’ibis nero, l’ibis crestato, l’ibis sacro, l’airone imperiale (l’uccello Benu legato al culto solare: si veda sul nostro sito a questo link: https://laciviltaegizia.org/?s=benu), il falco, il pellicano, l’upupa, la cicogna, il fenicottero, la gru, il cormorano ed il martin pescatore.

A sinistra in questa immagine troviamo, appollaiato su di un ombrello di papiro, un ibis sacro e sopra di lui un rapace (?), in un nido costruito sopra un altro ombrello di papiro.
Al centro, arrampicata sullo stelo di un papiro, una mangusta (trattenuta per la coda da un uomo) si dirige decisa verso il nido sulla destra con l’evidente intenzione di mangiare gli uccellini, mentre i genitori (credo siano due martin pescatori) tentano svolazzando minacciosi intorno a lei di proteggere il loro piccolo. In basso a destra un nido con un’oca o un’anatra. Foto: osirisnet.net

Un altro animale che compare nel repertorio decorativo delle mastabe dell’Antico Regno è l’ippopotamo, rappresentato mentre viene cacciato dal defunto o dai suoi servi sotto la sua supervisione.

Esso distruggeva i raccolti e costituiva un’insidia per la navigazione, che spesso avveniva su fragili barche di papiro; il papireto paludoso sulle rive del Nilo costituiva la falsa porta simbolica del passaggio verso l’Aldilà, la zona di confine tra il caos ed il mondo della Maat, che doveva essere difeso combattendo le forze del male, rappresentate dagli animali pericolosi per l’uomo.

La caccia agli ippopotami: sotto la supervisione di Mereruka (qui non visibile) i suoi servi in precario equilibrio sulle barche di papiro scagliano i propri arpioni sui pachidermi, che ruggiscono per il dolore e spalancano le fauci per intimorire il nemico. Gli arpioni sono dotati di un uncino che aggancia la punta alle carni della preda, e di una corda che permette di tenerla legata o di recuperare l’arma qualora il colpo non dovesse andare a segno.
Si notino, appoggiate alle foglie delle piante palustri, due ranocchie e più in alto due cavallette .
La rana del Nilo fu l’unico anfibio venerato in Egitto: essa era simbolo di fertilità, in quanto deponeva moltissime uova, e di rinascita, perchè evolveva da girino alla forma adulta proprio in concomitanza con la piena del Nilo.
FOTO DI HEIDI KONTKANEN DA FLICKR

La caccia al pachiderma poteva anche simboleggiare le prove che il defunto doveva superare per ottenere l’Aldilà: secondo gli Egizi dell’Antico e Medio Regno, infatti, nelle paludi delle acque primordiali, dove sorge il sole e nasce la nuova vita nell’Aldilà, si trovava un ippopotamo, che il defunto doveva affrontare per raggiungere il proprio destino ultraterreno.

Per un’analisi più approfondita in merito alla simbologia della caccia all’ippopotamo, si veda sul nostro sito a questo link:

FONTI:

LA CAMERA SEPOLCRALE

Sebbene fosse chiusa al momento della nostra visita, desidero mostrarvi le immagini della camera sepolcrale che ho trovato in rete, a mio avviso particolari, soprattutto le scene rimaste in fase di abbozzo, tracciate in nero sopra lo schizzo di partenza, in colore rosso.

L’accesso alla camera avviene tramite una scala a chiocciola che scende lungo un pozzo profondo m. 15,5 in origine riempito di detriti fino a metà, che sul fondo si piega verso ovest allargandosi nella camera sepolcrale tutta rivestita di lastre di calcare bianco, salvo il soffitto, dipinto di rosso e nero per simulare il granito.

Essa è larga m. 4,3, lunga m. 10,25 ed alta m. 3,1 ed era difesa da una saracinesca di sicurezza spessa 20 cm., mantenuta in posizione da una scanalatura nelle due pareti laterali.

Il grande sarcofago in pietra calcarea occupa completamente l’estremità occidentale della camera ed il massiccio coperchio venne posizionato grazie ad una rampa pavimentata ancora in loco.

La decorazione parietale non presenta immagini di servitori, funzionari, familiari o animali vivi perchè la camera è riservata al solo Mereruka defunto, che dovrà “risvegliarsi” e prendere possesso delle offerte per rigenerare il suo Ka. Anche nei testi gli scribi hanno evitato i segni rappresentanti esseri umani, oppure li hanno troncati.

L’unica parete dipinta è quella ad est, che troverete meglio descritta nella didascalia della foto.

LA PARETE EST
L’unica parete ad essere stata dipinta è quella ad est, suddivisa in quattro registri che mostrano offerte di ogni genere per il Ka di Mereruka (vasi, prodotti alimentari essiccati, cereali, contenitori di grano – in basso, di colore nero con una finestrella beige -, pane, pesce, bovini macellati), analiticamente enumerate nei testi, che elencano anche i numerosi titoli del defunto. Foto: kairoinfo4u su Flickr

Le pareti a lato del sarcofago e retrostanti ad esso sono dipinte con un motivo di stuoie o tende tese su telai sopra il quale è stato iscritto il solito elenco dei titoli portati dal defunto; sul retro compaiono anche tre registri, ciascuno disegnato con una fila di vasi contenenti i sette oli sacri, cassette per le offerte, natron, giare e tessuti.

LA PARETE OVEST DELLA CAMERA SEPOLCRALE ED IL SARCOFAGO
Nell’immagine si notano le pareti della camera rivestite di calcare bianco ed il soffitto di roccia naturale dipinto in modo da imitare il pregiato granito. Il grande sarcofago in calcare riempie interamente lo spazio tra le pareti laterali. Il lato est del pesantissimo coperchio, rivolto verso l’entrata, elenca il nome ed i titoli di Mereruka. Davanti ad esso è ancora in loco la rampa costruita per posizionarlo. Le parti di parete che circondano il sarcofago sono decorate con un disegno di stuoie tese su telai che si estende anche sul lato anteriore dello stesso. Sopra di esso, aderente al soffitto, una linea orizzontale di testo si estende dalla parete nord a tutta la parete ovest ed elenca nuovamente i titoli del defunto. Sulla parete posteriore, verso il basso, compaiono anche tre registri, ciascuno disegnato con una fila di vasi contenenti i sette oli sacri, cassette per le offerte, natron, giare e tessuti (che non si vedono perchè davanti c’è il sarcofago) accompagnati da un testo che chiarisce che gli stessi sono “Per il Ka di Mereruka / Meri”. Foto da osirisnet.net

Il sarcofago reca sulla superficie e sul lato est del coperchio e su tutte e quattro le superfici all’interno del cofano testi con i titoli di Mereruka ed il suo nome.

Sulle PARETI NORD e SUD è stato tracciato un elenco di offerte costituito da 99 voci distribuite in tre registri, a loro volta suddiviso in tre sottoregistri: in alto è presente il testo descrittivo; successivamente l’indicazione della singola confezione (es. vaso, contenitore, giunto, ecc.); in basso c’è la quantità raffigurata.
Il sarcofago reca sul lato superiore ed est del coperchio e su tutte e quattro le superfici all’interno del cofano testi con i titoli di Mereruka ed il suo nome. Foto da osirisnet.net
PARETE NORD, PARTE DESTRA
Le offerte sono disegnate in nero sul bianco del calcare e apportano le correzioni allo schizzo iniziale tracciato in rosso. La decorazione è incompleta perchè non è stata colorata.
LA PARETE SUD, ad essa speculare, è praticamente identica ma molto meno conservata. Foto da osirisnet.net
PARTICOLARE DELLA PARETE NORD, PARTE DESTRA: si notano cumuli si offerte: vasi di varia forma contenenti granaglie o vino, un cesto con oggetti tondeggianti e verdure, mazzi di cipolle, un’anatra, la testa e la coscia di un bovino, fiori e boccioli di ninfea, contenitori vari. Foto da osirisnet.net
UN ALTRO PARTICOLARE DELLA PARETE NORD, anche qui si notano cumuli si offerte: contenitori e vasi di varia forma, un mazzo di lattuga ed uno di cipolle, un’anatra ed un’oca, una coscia di bovino, un mazzo di fiori. Mi incuriosisce quella serie di anelli che non so interpretare; escludo che si tratti di oro, perchè in tutta la tomba non sono raffigurate offerte di preziosi, anche se vi è una scena relativa alla lavorazione dell’oro. Qualcuno ha un’idea? Foto da osirisnet.net
PARTICOLARE DELLA PARETE NORD: si notano altre offerte: ancora vasi di varia forma, un cesto con oggetti tondeggianti (frutti di sicomoro?) due mazzi di lattuga, un’anatra, due cosce di bovino. Foto da osirisnet.net
PARTICOLARE DELLA PARETE SUD: offerta di dieci oche, di un grande cespo di lattuga, di un mazzo di fiori (parzialmente visibile in alto) e di vari vasi. Foto da osirisnet.net

Troverete notizie dettagliate su Mereruka e Kagemni ed immagini delle loro fantastiche mastabe sul nostro sito a questi link: