Col termine di Busto dell’Antenato ci si riferisce a dei piccoli busti antropoidi dipinti che avevano la funzione di focalizzare la venerazione degli antenati durante il Nuovo Regno. La maggior parte di questi erano realizzati in calcare o arenaria ma alcuni esemplari più piccoli erano di legno e di terracotta. Raramente portavano iscrizioni (il busto di Muteminet, qui sotto mostrato, è una delle poche eccezioni), ma la predominanza di pittura rossa (il tipico colore della carnagione maschile nell’arte egizia) suggerisce che la maggior parte di questi manufatti rappresenti dei personaggi maschili.
Ci sono circa 150 esemplari giunti fino a noi, circa metà dei quali proviene da abitazioni e da cappelle funerarie degli operai specializzati del villaggio di Deir el- Medina.
Il culto degli antenati, ciascuno dei quali era definito col termine “akh iker en Ra”, “spirito eccellente di Ra”, era un importante aspetto della religione popolare tra gli abitanti del villaggio.
Questi “spiriti eccellenti” sono anche raffigurati su circa cinquantacinque stele dipinte tuttora disponibili che, al pari dei busti, potrebbero con tutta evidenza essere state oggetto della venerazione dei parenti dei defunti che ne richiedevano l’intercessione per ottenere il favore delle divinità.
In queste stele il defunto non portava mai il titolo o l’indicazione della sua funzione, come avviene in altri tipi di iscrizione, ma veniva raffigurato seduto da solo davanti a una tavola d’offerta, in atto di annusare il profumo di un fiore di loto aperto, simbolo della vita e rinascita.
Gli antenati, apprezzati per le virtù che possedevano in vita, erano sollecitati per diverse ragioni: come intermediari tra uomini e dei, venivano interpellati per ottenere protezione, consiglio o intercessione, in caso di castighi, pericoli o litigi.
La presenza delle stele dedicate agli antenati e dei loro busti all’interno delle abitazioni testimonia lo stretto legame esistente ancora tra i vivi e i morti nella vita quotidiana del villaggio.
Riferimento
I Shaw, P. Nicholson. The British Museum Dictionary of Ancient Egypt. The American University in Cairo Press – 1995
MUTEMINET
Busto antropoide in calcare dell’antenato che raffigura Muteminet, suonatrice del sistro. Riporta i nomi di Mutenimet e della Divina Triade Tebana: Amon, Mut e Khonsu.
Calcare, altezza 25 cm Deir el-Medina Museo Egizio di Torino – C. 3080
Il busto qui raffigurato, rappresenta un’antenata che Indossa una parrucca tripartita dipinta di nero, porta un largo collare a più fili di colore rosso.
Il busto proviene da un’abitazione privata dove era collocato in una nicchia e accompagnato da una tavola d’offerta e da un poggiatesta.
Quest’opera realizzata in pietra arenaria che rappresenta il comandante Neb-ra, viene datata intorno al 1292-1189 a.C. circa, durante il Nuovo Regno, XIX dinastia, e presenta un’altezza di 51 cm. La statua venne rinvenuta in una fortezza che proteggeva i confini Ovest dell’Egitto dai libici. Neb-ra prestò servizio come comandante sotto Ramesse II e deteneva diversi titoli, tra cui comandante di truppe, auriga del re, sorvegliante di terre straniere e capo del Medjay, una forza speciale dell’esercito. Era quindi il comandante in capo di una importantissima fortificazione sul fronte Ovest, il forte di Zawiyet (VEDI ANCHE: https://laciviltaegizia.org/2023/06/17/il-comandante-di-fortezza-neb-ra/).
Zawiyet è uno dei più importanti siti fortificati è situato sulla costa a 300 km ad Ovest di Alessandria. Ha una superficie di 20.000 mq ed è stato studiato da una missione britannica guidata da Steven Snape.
In quest’opera Neb-ra viene raffigurato come portastendardo. Le sculture che ritraevano i personaggi con uno stendardo erano poste all’entrata dei Templi e supplivano alla mancanza della persona fisica nel corso delle processioni.
In questa scultura, appare incedente con le braccia lungo il corpo, il torace è completamente nudo e le masse muscolari sono realizzate in modo stilizzato. Indossa una lunga parrucca intrecciata e un grembiule avvolgente. Nella mano destra porta un’insegna sormontata dalla testa di leone che rappresenta Sehkmet, dea della guerra. Attualmente possiamo ammirare l’opera presso il Museo di Luxor in Egitto
Fonte:
Wikipedia
Livio secco – Confini di pietra. Le fortezze dell’Antico Egitto – ed. Kemet
Calcare dipinto, altezza 64 cm Collezione Drovetti – C. 3032 Museo Egizio di Torino
Questa bella scultura in calcare bianco, con parti policrome, è uno dei reperti provenienti dal villaggio operaio di Deir el-Medina, situato sulla riva occidentale del Nilo, nei pressi dell’antica capitale Tebe.
Qui abitarono, a partire dall’inizio della XVIII Dinastia sino alla tarda età ramesside, gli artigiani incaricati di costruire e decorare le tombe della vicina Valle dei Re.
Designati comunemente ” servitori nella Sede della Verità”, questi uomini hanno lasciato numerose e spesso commoventi testimonianze della propria vita , provenienti soprattutto dalle loro piccole sepolture e cappelle funerarie, costruite a ridosso dell’abitato.
Anche Penmernabu, proprietario della scultura, era un “servitore nella Sede della Verità”, come risulta dalle iscrizioni incise sulla statua.
Egli è qui raffigurato in ginocchio nell’atto di offrire al dio Amon – Ra un piccolo altare su cui si trova una voluminosa testa d’ariete che oscura in parte la figura del dedicante.
L’ariete era l’animale sacro del dio Amon-Ra, destinatario dell’offerta, il dio, definito “Signore delle Due Terre”, in quanto nume tutelare della monarchia egizia era una delle principali divinità venerate a Deir El-Medina. La testa dell’animale è dipinta a colori vivaci che contrastano con il bianco prevalente della scultura.
Al dio è indirizzata anche la preghiera scritta frontalmente, dove Penshenab invoca per sé la protezione divina.
La cura e l’attenzione dello scultore si sono concentrate sopratutto nella realizzazione delle teste dell’uomo e dell’ariete, le parti più importanti ed espressive dell’intera composizione, mentre il corpo del dedicante, che Indossa un lungo gonnellino plisettato, è abbozzato con minor precisione.
Il volto bianco di Penmernabu è animato da un’accesa policromia. La parrucca nera è composta da lunghe ciocche scalate sotto le quali emergono piccoli riccioli che scendono sulle spalle. Gli occhi sono bistrati, secondo la moda egizia, mentre la bocca, dipinta di rosso, sembra avere un fremito di vita.
Sulle spalle di Penmernabu sono raffigurate due piccole figure dipinte di blu, simili a tatuaggi. In questo modo il dedicante della scultura ha voluto sottolineare la propria devozione verso Amon-Ra, qui con alte piume sul capo e scettro uas in mano, e verso la regina Ahmosi-Nefertari, raffigurata sull’altra spalla , che fu oggetto di profonda venerazione tra la comunità operaia di Deir el-Medina.
Fonte
I grandi musei : Il Museo Egizio di Torino – Silvia Einaudi – Electa
Il complesso templare di Luxor, identificato con la collina primordiale, fungeva da residenza meridionale del dio Amon – Ra e si presentava, in molti sensi, come luogo di rigenerazione delle forze divine.
In occasione della festa di Opet, Amon-Ra si spostava da Karnak a Luxor, per compiere la propria rigenerazione ; la componente divina del sovrano risultava così rafforzata dall’unione con i poteri vivifici della divinità.
Durante la festa delle decadi, poi, il dio veniva condotto da Karnak, passando per Luxor, a Medinet Habu, sulla riva occidentale del fiume, per assicurare la perennità della creazione.
La datazione degli edifici più antichi della zona di Luxor è ancora dibattuta, è certo che i sovrani thutmosidi si siano fatti erigere un grande tempio.
Nel grande cortile di Ramses II si è conservata una stazione delle barche tripartita destinata ad accogliere le imbarcazioni della triade divina di Karnak : Amon Mut e Khonsu.
Le grandi colonne papiroformi in granito rosso e l’architrave della facciata risalgono ai tempi di Hatshepsut ; Ramses II riutilizzò questi elementi, apponendovi il proprio nome.
Non è tuttavia possibile accertare se la costruzione risale ai tempi di Hatshepsut o se i diversi elementi siano stati presi da un altro edificio.
Amenofi III sostituì il tempio thutmoside con un grandioso santuario.
Il grande colonnato di Amenofi III, costruito verso la fine del suo regno. Le enormi colonne papiroformi richiamano piante di papiro con le ombrella aperte. Non è certo che i lavori architettonici furono portati a termine sotto Amenofi III o se furono completati durante il regno di Tutankhamon. Il grande colonnato in origine era chiuso da alte pareti e da un soffitto. Sia il soffitto che la parte superiore delle pareti sono andati perduti.
Attraverso un grande colonnato, formato da due file di sette colonne alte ciascuna 21,20 metri, si accede a un cortile scoperto, circondato da due ordini di colonne papiroformi a sud del quale si trovava una sala ipostila leggermente sopraelevata, dove erano collocate in origine, grandissime statue di Amenofi III che più tardi Ramses II fece spostare nel proprio cortile.
Il cortile delle feste di Amenofi III era una delle costruzioni più suggestive del Nuovo Regno. È qui che si svolgevano i rituali delle grandi feste e che si presentava il re, coi propri poteri divini. La notevole ampiezza del cortile, circondato da una vera e propria selva di colonne, superava quella di ogni sala costruita fino ad allora. Contrariamente a quelle dell’imponente colonnato d’accesso, qui furono utilizzate colonne fascicolate che riproducevano piante di papiro. Il deterioramento delle pareti del cortile non permette di ricostruire l’apparato iconografico.
La scelta del numero complessivo delle colonne, dodici file di otto, nel cortile e nella sala legata alla concezione ermopolitana della creazione, alla base della quale figuravano otto divinità primigenie.
Anche la sala successiva conteneva otto colonne; a sud-est di questo ambiente si trovava una cappella, nella quale in occasione della festa di Opet veniva esposta la statua de Ka del sovrano, sede della forza divina del re.
Santuario delle barche nel primo cortile del tempio di Luxor. Ramses II fece integrare nel suo santuario delle barche tripartito alcune colonne e un’architrave risalenti al regno di Hatshepsut e di Thutmosi III. Quando si intervení sulle iscrizioni, in due casi si omise di correggere la forma femminile della parola ” amata”, è quindi possibile attribuire con certezza questi elementi architettonici alla regina
Seguendo l’asse del tempio, seguivano poi la sala della tavola delle offerte, il santuario delle barche e un’altra sala trasversale, sorretto da dodici colonne, questo ambiente era definito come il luogo mitico del cammino del sole, al di là del quale si trovavano le tre camere destinate ad accogliere le statue della triade tebana.
A oriente del santuario delle barche sorgevano due camere che contenevano le raffigurazioni della così detta ” leggenda della nascita”, ovvero il racconto delle origini divine del re e della sua designazione per volere del padre Amon-Ra.
Incoronazione di Amenhotep III (vedi: LE CORONE EGIZIE). Parte meridionale della sala di apparizione. Immediatamente dietro alla grande sala ipostila sorgeva la sala di apparizione. Qui si celebrava ogni anno il rinnovamento della natura divina del re e del suo Ka. Nella decorazione della sala il tema dell’incoronazione occupa un posto di primo piano. Nella scena qui riprodotta il sovrano è al cospetto del padre Amon, questi posa una mano sulla corona, adorna delle diverse insegne regie e divine e delle corna d’ariete di Amon. Il sovrano impugna nella mano destra lo scettro heqa e nella sinistra un segno della vita che sottolinea le sue qualità divine.
Un sensazionale ritrovamento nel cortile di Amenhotep III, risalente al 1989, consente di farsi un’idea della varietà delle figure che vi erano collocate : in una profonda fossa sono state rinvenute ventisei statue di sovrani e divinità risalenti al Nuovo Regno e all’Età Tarda.
Il reperto più spettacolare è una statua di Amenofi III stante su una slitta, ma anche il gruppo statuario di Haremhab inginocchiato davanti al dio della creazione Atum testimonia l’importanza di questo ritrovamento
Statua per processione di Amenhotep III. Pietra Arenaria silicificata, altezza 2,10 metri Luxor, The Luxor Museum of Ancient Egyptian Art – J 838.
La statua di Amenofi III su una slitta di processione è un pezzo eccezionale : il sovrano vi figura in posizione classica, con il piede sinistro avanzate, ma la presenza della slitta non ha alcun riscontro nell’iconografia scultorea. Il basamento e l’alto pilastro dorsale indicano chiaramente che il personaggio trainato sulla slitta non è il sovrano, bensì una sua statua. Il re Indossa la Doppia Corona con l’ureo sulla fronte, la barba regale e un gonnellino da cerimonia con un festone di urei al centro. Alcune parti della statua, sul petto e sulle braccia, sono un po’ ruvide ed è probabile che in origine fossero dorate, corrispondono infatti a un collare, a un pettorale e ad alcuni bracciali
Il dio Atum è il faraone Horemheb Diorite, altezza 190 cm, profondità 151,5 cm,l arghezza 83,5 cm Luxor, The Luxor Museum of Ancient Egyptian Art – J 837 Nel corso di ordinari lavori di consolidamento nel tempio di Luxor è stata scoperta nel 1989 un’importante Cachette contenente alcune statue di divinità. Il primo reperto portato alla luce è stato il gruppo statuario con il faraone Horemheb inginocchiato in atto di omaggio ai piedi del dio Atum. L’atteggiamento apparentemente fisso e severo del dio primigenio ne esprime tutta la dignità ; esso è raffigurato con la Doppia Corona e con iin mano l’ankh, il segno della vita.
A giudicare dalle ceramiche rinvenute, la sepoltura delle statue può essere messa in relazione con la ristrutturazione delle camere posteriori del tempio, effettuata intorno al 300d.C., quando i romani le utilizzarono per celebrarvi il culto imperiale.
Fonte
Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konemann
Gruppo scultoreo Ramses II con Amon-Ra e Mut. Granito rosa, altezza 174 cm. Museo Egizio di Torino, Collezione Drovetti – C. 767.
Questo gruppo scultoreo costituisce una chiara summa del culto religioso che gli antichi egizi dedicarono alla principale divinità del Nuovo Regno : il dio Amon-Ra, venerato nel grande tempio tebano di Karnak, luogo di provenienza della triplice statua.
Il faraone, Ramses II vi è raffigurato seduto su un largo trono fornito di spalliera, tra le figure di due divinità.
Alla destra del sovrano si trova Amon-Ra, mentre alla sinistra è rappresentata Mut la moglie del dio che costituisce, con quest’ultimo e con il figlio Khonsu, la triade alla quale fu consacrato il maggiore complesso templare di Tebe.
I tre personaggi si abbracciano creando un curioso intreccio di membra che attira lo sguardo dell’osservatore.
Questo gesto, tipico delle statue raffiguranti i coniugi, denota il profondo legame che esisteva tra il sovrano e le due divinità tutelari della monarchia, sottolineando altresì il ruolo di Ramses II come figlio di Amon-Ra e Mut, al posto di Khonsu.
In quanto tale il faraone risulta di conseguenza come un dio vivente in terra, intermediario tra il mondo divino e quello umano, destinatario della vaneraziond popolare.
I volti delle tre figure accennano a un sorriso, tipico della statuaria dell’epoca, e si differenziano principalmente per i diversi copricapi che conferiscono vivacità all’intera composizione.
A sinistra: il dio tebano, l’ unico ad avere la barba posticcia, indossa una bassa corona svasata, sormontata da due alte piume che costituiscono il suo tradizionale emblema.
Al centro: la dea, fasciata in un lungo abito aderente che sottolinea la morbidezza del suo corpo lasciando trasparire alcuni dettagli anatomici, indossa una parrucca tripartita , tipica dell’iconigrafia femminile sia regale sia privata. Su di essa, ornata frontalmente con l’ureo, è appoggiato un basso modio che sorregge a sua volta le corna liriformi al cui interno si trova il disco solare.
A destra: il faraone concentra sul suo capo tutti i principali simboli della regalità : il nemes che incornicia il volto, il tradizionale serpente posto sulla fronte, le due corna di ariete che evocano l’animale sacro al dio Amon, il disco solare che sottolinea la natura divina del sovrano e infine due alte piume striate dalla sommità arrotondata.
Lo schienale del gruppo scultoreo è decorato con iscrizioni geroglifiche che riportano la titolatura e il nome del sovrano, entro il cartiglio, oltre ai nomi delle due divinità.
Fonte:
I grandi musei : Il Museo Egizio di Torino – Silvia Einaudi – Electa
Un bellissimo rilievo in calcare dipinto raffigurante Ramses II, forse proveniente dal tempio del faraone ad Abydos e realizzato nei primi due anni di regno.Lo stile suggerisce che sia stato realizzato dagli stessi artisti che hanno decorato il tempio adiacente di suo padre, Sety I.Ramses è rappresentato con il nemes, ureo e barba cerimoniale. I colori vividi si sono preservati grazie al clima in Egitto. Il braccio è alzato probabilmente in gesto di offerta.(Testo di Patrizia Burlini) MATERIALE: calcare, pigmento DATA: ca. 1279-1213 B.C.E. Dinastia XIX, nuovo Regno DIMENSIONI 15 × 3 × 17 in., 48.5 lb. (38.1 × 7.6 × 43.2 cm, 22kg) ACCESSION NUMBER 11.670 CREDIT LINE Museum Collection Fund Brooklyn museum, New York https://www.brooklynmuseum.org/opencollection/objects/3066
Ramses II, noto anche come Ramesse II, Ramsete II, e dagli antichi come Usermaatra Setepenra, ossia “colui che mantiene l’equilibrio e l’armonia, potente è la giustizia di Ra, eletto di Ra”.
Protocollo completo di Ramesse II
Ramses II salì al trono verso il 1304 o verso il 1279 1278, secondo il modo in cui viene interpretata la data sathiaca del Papiro Ebers. Molto giovane successe al padre Seti I e il suo regno fu uno dei più lunghi e sfarzosi. Senza dubbio è il faraone più famoso della storia egizia di cui ne è divenuto il simbolo al pari delle piramidi; la sua epoca rappresenta l’apice dello splendore e della ricchezza dell’Egitto.
Ramses II lasciò un’incancellabile traccia nella storia del vicino oriente; seppe Infatti imporsi in un’epoca molto importante per i continui confronti tra i grandi imperi orientali.
Grande costruttore coprì La Valle del Nilo di monumenti lasciando tracce di sé ovunque ( i più notevoli): ad Abido, a Luxor, a Karnak e a Tanis, che divenne la sua capitale.
Tempio di Karnak e i suoi Piloni.
Tempio di Karnak: sala ipostila. Osservando trasversalmente la sala i postila, sugli architravi sono ben visibili i nomi e i titoli di Ramesse II. I cartigli del sovrano si riconoscono chiaramente anche sulla colonna più vicina, insieme a una scena raffigurante Amon Ra e Amunet che ricevono manifestazioni di devozione da parte del re.
Il grande Pilone costruito da Ramesse secondo per il tempio di Luxor.
A Luxor ingrandì Il meraviglioso tempio di Ammone, costruito da Amenofi III, dotandolo di un cortile di 3000 mq. circondato da Portici. La sua ” politica assolutista si riflette nell’architettura per l’accumularsi di colossi i regali.
Il re diventa una vera e propria ossessione: negli intercolumni si erge dritto, tre volte più alto di un uomo; dinanzi ai Piloni, enormi statue del re seduto, inquadrano la porta. Nel grande cortile di Luxor undici figli di Ramesse sfilano incisi sulle mura.
Note: Ramses II fece costruire il pilone e lo fece precedere da due obelischi. Uno solo è in sito, l’altro è quello di place de la Concorde a Parigi (fu donato nel 1836). Fece costruire anche due sue statue colossali ai lati della porta, una delle quali, quella mutila è qui ritratta, nelle quali è raffigurato seduto in trono con accanto la regina Nefertari, e altre quattro statue in piedi di cui solo una, mutila, rimane. Nei rilievi è narrata la sua campagna contro gli Ittiti e i loro alleati e della battaglia cruciale di Qadesh, accompagnato dal testo geroglifico del cosiddetto “poema di Pentaur” che di quello scontro narra le vicende, esaltando il valore personale del re. Collocazione: Milano (MI), Raccolte Grafiche e Fotografiche del Castello Sforzesco. Civico Archivio Fotografico, fondo Vedute Estere, VE ALBO E 326-2/20. Titolo: Egitto – Luxor – Tempio di Luxor – Obelisco
A sinistra dell’ingresso principale di Luxor, un colosso purtroppo danneggiato raffigura Ramesse II assiso. Sulla base dell’obelisco sono raffigurati babbuini con le braccia levate nell’atto di adorare il sole all’alba.
L’obelisco di Luxor in place de la Concorde a Parigi.
In origine, erano due obelischi, costruiti dal faraone Ramses II circa 3200 anni fa, i quali erano posti all’ingresso del tempio di Luxor, in Egitto.
Nel 1829 Mehmet Ali Pascià, Wali e Chedivè dell’Egitto, offrì in dono alla Francia i due obelischi. Il primo obelisco arrivò a Parigi il 21 dicembre 1833. Tre anni dopo, il 25 ottobre 1836, il re Luigi Filippo lo inaugurò al centro di place de la Concorde.
L’altro obelisco rimase a Luxor in Egitto. Negli anni ’90 il presidente François Mitterrand rinunciò ufficialmente al secondo obelisco in favore degli egiziani.
Luxor: i figli di Ramesse II. Bassorilievo.
Rilievo di Ramses II orante. Staatliches Museum Ägyptischer Kunst, Monaco di Baviera.
Sulle mura del grande pilone di Luxor Ramesse II fece scolpire, sul modello dei quadri di Seti I, le fasi della campagna dell’anno V del suo regno contro gli ittiti. Il piano di battaglia è raffigurato dettagliatamente: descrive al popolo la vittoria del re e in geroglifici colorati è scritto il poema di Pentaur.
Delle sei statue colossali di Ramesse II, quattro sedute e due in piedi, che fiancheggiavano l’entrata del complesso templare di Luxor, ne restano solo due. Dei due obelischi in granito (davanti al portale), uno è nel sito, l’altro si trova a Parigi in Place de la Concorde.
Ramses II arricchì ed ampliò lo stupendo tempio di Ammone, dotandolo di un cortile di 3000 mq. circondato da portici e di un pilone a suo nome proprio davanti al colonnato come memoriale della battaglia di Qadesh.
Pur molto interessante l’opera non presenta più le qualità dei rilievi di Seti I: la nuova generazione di scultori, pur molto abili, ha perduto quel soffio di vita e quel desiderio di realismo, a volte eccessivo, propri della grande scuola amarniana.
Il Ramesseum visto nel suo insieme
Ramesseum: sala ipostila
Il suo tempio funerario noto come Ramesseum, sulla sponda occidentale del Nilo a Tebe, conserva ancora oggi molto della sua grandiosità primitiva, ma dal punto di vista architettonico non può essere paragonato alla sala ipostila di Karnak. E come al Luxor, e a Karnak sulle mura è spiegata la battaglia di Qadesh.
Come a Luxor e a Karnak sulle mura del Ramesseum è spiegata la battaglia di Kadesh: qui la città di Dapur nella Siria settentrionale, alleata degli Ittiti, è attaccata dall’esercito di Ramses. I soldati egiziani, tra i quali quattro principi designati con i rispettivi nomi, con scudi scatenano un assalto dal basso protetti da coperture e iniziano a scalare le mura con le scale a pioli. I difensori rispondono con archi e frecce, o con pietre, mentre alcuni abitanti, catturati fuori della città, supplicano i soldati con offerte di non fare loro del male. Da una scena del Ramesseum, tempio funerario di Ramesse II. Disegno di B. Garfi.
Ramesseum: foto d’epoca.
Ramesse II in uno dei rilievi sulla battaglia di Qadesh: domina la scena prima della Battaglia, è seduto nel campo e informa gli ufficiali e i generali della posizione in cui si trova l’esercito egiziano.
Ovunque si trova il segno di Ramesse II: a Karnak completa la decorazione della Grande Sala Ipostila; ad Abido viene eretto un tempio, o cenotafio in pietra calcarea che costeggia il santuario di Seti I.
Karnak: Grande Sala Ipostila; in primo piano colonne Ramesse II. In secondo piano si vede uno spicchio di una colonna di Amenhotep III con il capitello a fiore aperto. In fondo si vede il montante delle finestre a “claustra” tra la diversa quota delle colonne di Ramesse II e quelle di Amenhotep III.
ABIDO: Cenotafio di Ramesse II
ABIDO: Tempio cenotafio di Ramesse II. Si trova a nord-ovest del Tempio Cenotafio di Seti I e molto vicino al Tempio di Osiride. Costruita in pietra calcarea da Ramses II, segue lo schema dei templi funerari di Tebe dell’epoca di questo re. Per quanto riguarda la decorazione, sono ancora numerosi i rilievi con la relativa policromia, molti dei quali ottimamente conservati pur essendo all’aperto. Il Tempio è formato nella sua struttura da un Portale e da un Pilone in granito che danno accesso a un peristilio o patio circondato da pilastri di Osiride. Tutti i pilastri sono in pietra calcarea. Il patio lascia il posto ad un portico, al quale si accede per mezzo di una rampa a gradoni al centro
ABIDO: Cenotafio di Ramesse II I testi scolpiti sulla porta della prima sala del tempio dichiarano che L’opera è stata realizzata “come monumento per onorare suo padre Osiride… la costruzione di una soglia in pietra nera.”
ABYDOS: Nel 2019 è stata scoperta una sala reale e una pietra di fondazione del tempio di Ramesse II. Queste pietre venivano collocate nei quattro angoli dell’edificio, all’inizio dei lavori di costruzione. La titolatura di Ramesse nel nuovo ambiente a ridosso del suo tempio di Abido
È in Nubia soprattutto che gli architetti reali svolsero una attività eccezionale edificando sei templi rupestri. Qui è ampiamente documentata la “sua smania di autoglorificazione”; non possiamo però non esprimere la nostra ammirazione per gli stupefacenti templi di Abu Simbel, interamente scavati nella roccia: uno, con le quattro colossali statue di Ramesse II seduto che guardano il fiume, e’ consacrato ad Ammone e allo stesso re; l’altro ad Hathor ed alla regina Nefertari.
A Giovanni Battista Belzoni si deve il disseppellimento delle strutture templari di Abu Simbel, nella Nubia: voluti da Ramses II, i due templi, scavati nella roccia, nel corso dei secoli erano stati completamente ricoperti dalla sabbia. Dopo un lavoro estenuante, condotto a temperature al limite della sostenibilità fisica e con la riluttanza della manodopera, Belzoni riuscì ad entrare nel tempio principale il 1° agosto del 1817. Qui, sul muro settentrionale del santuario, appose la sua firma: un segnale indispensabile, vista la corsa alle antichità che si stava mettendo in moto, senza esclusione di colpi da parte dei partecipanti. Quando Belzoni giunse in vista dei templi di Abu Simbel eseguì questo bel disegno in cui si vedono il tempio di Ramesse II la cui facciata era ricoperta dalla sabbia e il piccolo tempio di Hathor e Nefertari. (Padova, Biblioteca Civica)
Giovanni Battista Belzoni nel ritratto del pittore Vincenzo Gazzotto conservato nei musei civici di Padova (foto Graziano Tavan)
Ad Abu Simbel l’architettura si fa scultura, tutto l’insieme acquista “opulenza e vivacità” e, come ampliamente dimostrato già al Luxor, la razionalità geometrica si trasforma ” in puro atto pittorico, il pilastro si fa statua “. Non c’è più davanti a noi l’architettura limpida e severa del più antico Egitto ma quella ” travagliata e barocca che in Egitto ha avuto la sua esperienza romantica “.
I due templi di Abu Simbel: sono interamente scavati nella roccia.
Abu Simbel: le 4 colossali statue di Ramesse II seduto che guardano il fiume Nilo. Ai suoi piedi statue più piccole rappresentano i familiari.
La sala ipostila del tempio Maggiore imita il cortile di un tempio in muratura. Ai pilastri che dividono l’ambiente in tre navate si appoggiano figure colossali del sovrano ritratto con tutte le insegne del potere e come se fosse avvolto in una veste che copre anche i piedi. I pilastri su ciascun lato del vasto ambiente presentano il re con la corona Bianca, a sinistra, e con la corona rossa a destra. La grande sala fu visitata per la prima volta da Belzoni nel 1817.
Per le colossali opere da lui avviate aveva bisogno di grandi risorse, non trascurò nulla per procurarsene e si dedicò personalmente alla loro organizzazione. Sotto Ramesse II tutte le cave d’Egitto lavorarono per più di 50 anni per fornire di materiali le decine di enormi edifici, di centinaia di obelischi e statue, addirittura di intere città.
Rilievo di Abu Simbel: battaglia di Qadesh. Allora scoccando frecce Ramesse secondo irrompe tra le fila dei nemici con il suo carro
Il tempio grande di Abu Simbel fu spostato, insieme al tempio piccolo, su un’altura situata a circa 210 metri di distanza dalla riva occidentale del Nilo, 65 metri più in alto rispetto all’area del tempio originario. Nella foto: la posizione originaria del tempio e nella parte superiore la posizione odierna.
Come il Ramesseum anche i templi di Abu Simbel sembra siano stati commissionati dopo poco tempo la salita al trono del faraone e finiti nell’arco di venti anni. Sette anni più tardi un violento terremoto danneggio’ la struttura, uno dei colossi crollo’ e l’attività di restauro,allora avviata, non riuscì a recuperarlo.
Come ogni anno, come accade ormai da millenni, si ripete ad Abu Simbel il “Miracolo del Sole”, fenomeno che si verifica regolarmente, con una precisione da lasciar ancor oggi stupiti, due volte l’anno: il 22 febbraio e 22 ottobre. In questi due giorni, all’alba, i raggi del sole, oltrepassando la piccola porta incastonata tra i quattro colossi di Ramesse II, penetrano l’oscurità attraversando le due buie sale ipostile del tempio maggiore di Abu Simbel (la prima delle quali è sorvegliata da otto imponenti statue del sovrano nelle sembianze di un Osiride) fino a raggiungere il Santa Sanctorum ed illuminare il volto del grande faraone. Il Santuario contiene quattro statue assise, tutte hanno lo sguardo rivolto verso l’entrata e rappresentano il sovrano affiancato da tre delle principali divinità del pantheon egizio dell’epoca.
In questi fiabeschi templi l’architettura del Nuovo Regno raggiunse la sua più alta espressione!
Rilievo dalla tomba della regina Nefertari. La tomba della regina Nefertari, sposa prediletta di Ramesse II, resta uno dei più bei monumenti funerari realizzati in età ramesside.la decorazione è eseguita in rilievo. Le figure nonostante la loro bellezza manifestano la staticità di tutta l’arte del periodo. All’immagine degli Dei, ormai consolidata da una lunga tradizione, si contrappone quella della regina abbigliata con l’elaborati vesti, trasparenti e plissettate, in voga alla sua epoca.
Una curiosità: Ramesse II è l’unico faraone della storia egiziana al quale sia stata intitolata una via del Cairo
FONTE:
STORIA DELLA CIVILTA DELL’ANTICO EGITTO – JACQUES PIRENNE- SANSONI EDITORE FIRENZE
ANTICO EGITTO- ANALISI DI UNA CIVILTÀ-BARRY J. KEMP- ELECTA
WIKIPEDIA
ALAN GARDINER-LA CIVILTÀ EGIZIA-EINAUDI
RAMESSE II-T.G.HENRY JAMES
ARCHEOLOGIAVOCIDALPASSATO
ALTAIRMULTIMEDIA
L’EGITTO DEI FARAONI-FEDERICO A.ARBORIO MELLA-MURSIA
Legno, altezza 60 cm Museo Egizio di Torino, Collezione Drovetti – C. 3048
Tra le opere più raffinate provenienti dalla necropoli degli artigiani di Deir el-Medina, va annoverata questa statua lignea di pregiata fattura raffigurante un abitante del villaggio di nome Penbui, vissuto in epoca ramesside.
Il personaggio è raffigurato durante lo svolgimento di una processione religiosa, come testimoniano le due alte insegne che egli sorregge ai lati del corpo.
Sopra entrambe le aste si trova la figura di un dio: alla destra di Penbui è raffigurato Ptah e alla sua sinistra si è conservata in parte l’immagine di Amon-Ra.
A sinistra: Amon-Ra era il grande dio tebano nonché una delle principali divinità a livello nazionale. Il suo culto non poteva quindi mancare tra gli artigiani di Deir el-Medina che lo veneravano al fianco di divinità di carattere più popolare. Qui il dio è effigiato a torso nudo, con un gonnellino su cui poggia le mani. Dell’originaria corona sul capo rimangono solamente le tracce.
A destra: Nell’antico Egitto il dio Ptah era considerato il padrone degli artigiani e per questo era oggetto di culto tra la comunità di Deir el-Medina. Qui il dio è raffigurato secondo l’iconografia tradizionale, con una calotta aderente sul capo, la barba posticcia e un abito-guaina che gli avvolge il corpo. Nelle mani impugna lo scettro uas, emblema di potere.
La scultura è stata eseguita con una straordinaria cura per i dettagli e per il modellato del corpo, a dimostrazione dell’alto livello qualitativo raggiunto dagli artisti del villaggio.
Il volto di Penbui è incorniciato da una elaborata parrucca, tipica del periodo, e il lungo gonnellino che egli Indossa rappresenta, di per sé, un piccolo capolavoro di ebanisteria.
Il volto di Penbui, dai tratti idealizzati e dall’espressione serafica, è stato modellato con particolare grazia e morbidezza di forme. La preziosa parrucca che incornicia il viso è formata da un livello superiore di minute ciocche da cui fuoriescono riccioli più grandi che si posano sulle spalle. Il lavoro di intaglio eseguito dal l’artigiano per rappresentare la massa di capelli è di alto livello.
Le fitte pieghe della stoffa si incrociano all’altezza della vita creando un raffinato gioco di chiaro-scuri ulteriormente impreziosito dal davantino su cui si trova una colonna di geroglifici.
Altre iscrizioni ornano le due insegne laterali, il retro dei troni divini, il pilastro dorsale e il piedistallo della statua.
I testi, costituiti da formule di offerta e preghiere rivolte agli dei, contengono il nome e i titoli di Penbui, “guardiano nella Sede della Verità”, termine con cui si indicava la necropoli tebana.
Fonte:
I grandi musei : il Museo Egizio di Torino – Silvia Einaudi – Electa
Ushabty e cassetta porta ushabty di Nika. Ushabty: arenaria, altezza cm 13,5 – C. 2656 Cassetta: legno, altezza 30,5 cm., larghezza 25 cm. Museo Egizio di Torino – Collezione Drovetti
Con il termine ushabty, letteralmente ” colui che risponde”, si indicano le statuine che, a partire dal Medio Regno, entrarono a far parte dei corredi funerari.
Il loro scopo era quello di sostituire il defunto nei lavori agricoli che questi avrebbe dovuto svolgere nell’aldilà per procurarsi il sostentamento necessario alla sua nuova vita.
Per questo motivo le statuine tengono generalmente in mano le zappe con cui dissodare il terreno e un sacchetto contenente i semi a garanzia di un nuovo raccolto.
Il numero, la tipologia e la qualità degli ushabty rinvenuti nei corredi funerari sono estremamente vari.
Nel Nuovo Regno i sovrani e gli individui delle alte classi sociali potevano possedere centinaia di questi servitori in miniatura, fabbricati con diversi tipi di materiali: faience, terracotta, pietra, legno, bronzo.
A seconda delle epoche lo stile degli ushabty cambiò, rispecchiano mode e tendenze artistiche contemporanee, come nell’esemplare di Nika, caratterizzato dalla tipica acconciatura del periodo.
Sul corpo di questa statuina è scritta una formula tradizionale in cui l’ushaty dichiara di essere pronto a “rispondere” al defunto che gli chiede di lavorare al posto suo.
Molto spesso questi piccoli e devoti servitori erano depositi all’interno di cassette lignee decorate con vivaci scene policrome, come quella appartenuta allo stesso Nika.
Fonte
I grandi musei : Il museo Egizio di Torino – Silvia Einaudi – Electa
Basanite, altezza 194 cm. Museo Egizio di Torino, Collezione Drovetti – C. 1380
“L’Apollo del Belvedere Egiziano” : così Champollion definì questa meravigliosa opera scultorea , che egli ebbe modo di vedere per la prima volta durante il suo soggiorno a Torino dal giugno del 1824 al febbraio del 1825.
La statua è tutt’oggi un capolavoro indiscusso e il simbolo del Museo Egizio di Torino.
La scultura raffigura Ramses II seduto sul trono, vestito con abiti da cerimonia : una lunga tunica di lino plissettata che ne esalta le forme, e la corona khepresh.
Questa corona fece la sua comparsa nella XVIII Dinastia.
Nelle raffigurazioni è generalmente dipinta di blu, probabilmente realizzata in pelle e decorata con dischi d’oro applicati sulla sua superficie, qui resi con piccole incisioni circolari.
Il sovrano è caratterizzato da alcuni simboli della regalità, quali l’ureo, che svetta sulla fronte e lo scettro heka che è impugnato saldamente con la mano destra
Il potere del re è ulteriormente sottolineato dall’immagine di nove archi, incisi sulla base della statua, che Ramses II calpesta con i propri sandali.
Gli archi sono un antico emblema dei popoli nemici dell’Egitto che vengono qui, metaforicamente, sottomessi e vinti dal sovrano.
Sulla parte anteriore del basamento sono inoltre effigiati due prigionieri con le braccia legate al papiro e al loto, le piante araldiche e simbolo del paese.
In questo modo si è voluto simboleggiare il controllo esercitato dal sovrano sui territori del sud e del nord dell’Egitto.
Ai piedi di Ramses II, sulla sua destra, è raffigurato in dimensioni ridotte, uno dei numerosi figli del faraone.
Il fanciullo indossa una tunica plissettata e ha una massiccia ciocca di capelli che scende dalla tempia sinistra, caratteristica tipica dell’iconografia egizia, nel rappresentare bambini e adolescenti.
Sulla parte frontale del trono, in posizione opposta rispetto alla figura del figlio, si trova l’immagine di Nefertari, la Grande Sposa Reale.
La regina Indossa un lungo e attillato abito plissettato, ha il capo sormontato da corna divine liriformi che cingono il disco solare su cui svettano due alte piume.
Questo complesso ornamento sottolinea la natura divina della regina.
La statua faceva parte del ricco “bottino” di antichità recuperato da Rifaud a Tebe nel 1818 su incarico di Drovetti.
Fonte
I grandi musei: il Museo Egizio di Torino – Silvia Einaudi – Electa
Gli edifici del primo cortile del tempio di Amon-Ra e il tempio orientale di Ramses II a Karnak.
Di Grazia Musso
I colossi osiriaci di Ramses III, nella corte del tempio, lato ovest.
Dalla banchina di fronte al tempio iniziava un viale di sfingi criocefale del dio Amon, recanti iscrizioni del nome di Ramses I che conduceva al vestibolo della grande sala ipostila.
A nord di questa via processionale, Sethy II fece successivamente costruire una tripla cappella dove si trovavano le barche della triade tebana.
Questo santuario, dovuto a Sethy II, si trova nel primo cortile del tempio di Amon, quasi di fronte al tempio di Ramses III, poco più a ovest e con la facciata che guarda verso sud, ossia verso l’asse principale del tempio. Il santuario contiene solo le tre celle per le barche di Amon, Mut e Khons.
La stazione della barca era preceduta da statue reali portainsegne, due delle quali colossali, oggi conservate al Louvre di Parigi e al Museo Egizio di Torino.
Altre statue di questo tipo, di dimensioni minori, si trovavano all’interno della grande sala ipostila; alcune di esse sono conservate all’interno dell’edificio, mentre altre sono visibili al Museo Egizio del Cairo.
Fu l’unica attività edilizia promossa da Sethy II, oltre alla propria tomba a Tebe Ovest.
Sethy allargò lo spazio tra il secondo e il terzo pilone, di un centinaio di metri di larghezza e profondo la metà, divenne uno dei luoghi più celebri dell’architettura egizia : delimitato anche sui lati da grandi mura, che riunivano i due piloni, si trasformò nella grande sala ipostila.
Una parte della colonnato centrale della grande sala ipostila di Karnak, vista dall’ala laterale sud, parte orientale. In alto è visibile una delle finestre di pietra, con delle griglie, per permettere il passaggio di luce e aria.
Alle due originali file centrali, ciascuna di 6 colonne che sostengono un soffitto di 23 metri di altezza, si aggiunsero altre 14 file di colonne.
Oggi la sala ipostila appare come una foresta di pietra con 134 enormi colonne di cui quelle centrali sono più alte di un terzo, ricavando così uno spazio in cui erano inserite delle alte finestre di pietra con delle barre verticali, da queste alte aperture filtravano sottili fasci di luce che davano alla via centrale una luce crepuscolare.
Veduta delle immense colonne della parte centrale della grande sala ipostila di Karnak. Gli architravi che svettano a 23 metri di altezza, poggiano su capitelli che hanno forma di umbrella di papiro aperte. Il significato dell’immenso ambiente era quello di riprodurre nel tempio, simbolo dell’universo, la foresta primeva da cui era iniziata la creazione.
Sia per questo che per la sua grande concezione architettonica la sala ipostila si può considerare la prima vera cattedrale del mondo.
Ramses II terminò la sala ipostila decorando la parte sud: sulle colonne e sulle pareti della sala appaiono i sovrani con varie divinità, le decorazioni sono sia in rilievo ( parte nord, di Sethy I) che a rilievo a incavo ( parte sud, di Ramses.
Nel corso della XIX Dinastia le processioni con le barche rivestivano grande importanza in occasione delle due principali feste annuali.
Ogni sovrano doveva condurre personalmente la processione almeno una volta, all’inizio del proprio regno, mentre in seguito potevano sostituirli statue con la sua effige.
In occasione degli ampliamenti del tempio principale a ovest, Sethy I e Ramses II realizzarono anche altri edifici, nell’area orientale del complesso consacrato ad Amon.
Alcuni frammenti di grandi sfingi indicano l’esistenza di una via processionale a est.
Le colonne poggiano su grandi basi e a loro volta sono edificate su fondamenta che in alcuni casi si sono rivelate essere composte da talatat dei monumenti di Akhenaton.
L’ Antico tempio orientale risalente al periodo thutmoside venne restaurato: nel vasto spazio libero davanti ad esso, Ramses II fece erigere un tempio dedicato a Ra-Horakhty e al culto del sole nascente.
Al suo ingresso erano poste due grandi effigi osiriache del sovrano.
Dall’interno di questo tempio proviene la statua più bella di Ramses II che oggi si trova al Museo Egizio di Torino (che verrà descritta nei prossimi giorni).
L’importanza delle numerose processioni e delle loro vie all’interno del grande complesso di culto è testimonianza del fatto che per compiere il cammino di andata e di ritorno tra il tempio principale e quello orientale il corteo doveva passare accanto al muro di cinta del tempio thutmoside, per questo motivo Ramses fece decorare le pareti esterne di questo tempio più antico con scene votive.
Veduta delle mura di cinta. Le massicce mura di cinta del complesso di Amon-Ra, che racchiudono anche il tempio delle feste di Thutmosi III, furono costruite in epoca thutmoside. Ramses II fece decorare in parte le pareti esterne delle mura con scene di culto, rappresentazione di quelle che si svolgevano realmente all’interno del tempio.
I sovrani ramessidi lasciarono numerose iscrizioni lungo l’asse nord- sud del tempio, risalente alla XVIII Dinastia, su entrambi i lati della via processionale.
Quando la grande sala ipostila fu completata, Ramses II rinnovò il cortile di sud-est, davanti al settimo pilone, che era il punto d’incontro dei due assi principali del tempio e si creava una sorta di incrocio delle processioni.
Zona d’ingresso del tempio di Amon-Ra. In epoca ramesside un viale fiancheggiato da sfingi dalla testa di ariete , dette pertanto criocefale, conduceva dalla banchina all’attuale secondo pilone (largo 99,88 metri), costruito da Horemheb, della XVIII Dinastia, costituiva allora la facciata del tempio. Successivamente davanti all’edificio ne furono innalzati altri e il complesso fu chiuso a occidente, mediante la costruzione di un altro pilone, risalente probabilmente alla XXX Dinastia.
Vi si trovano grandi iscrizioni, raffigurazioni e le stele di quasi tutti i sovrani ramessidi.
Una particolare importanza riveste l’iscrizione di Ramses II posta sulla parte esterna del muro occidentale del cortile e che contiene il testo del trattato di pace tra il sovrano egizio e il re degli Ittiti.
Sul lato est, circa a metà cortile, si trova l’iscrizione trionfale del figlio e successore Merenptah, con la quale il faraone celebra la propria vittoria sull’alleanza tra i libici e i popoli del mare.
Numerose iscrizioni ricordano le fondazioni, le donazioni, le statue regie, le effigi divine e la statuaria privata.
Nel corso dei secoli re e alti funzionari riempirono i cortili e le vie che dai piloni conducevano al santuario di statue e stele di ogni forma e materiale non deve quindi stupire che nell’Età Tarda molte delle statue che fiancheggiavano le vie processionali siano state sepolte in questo cortile, per ragioni di spazio.
Il cortile della Cachette. Cortile più interno dell’asse nord-sud e settimo pilone. Il cortile, detto della Cachette dal ritrovamento di migliaia di statue che vi erano nascoste, scoperte all’inizio del secolo, svolse già dal Medio Regno un ruolo importante. Il muro di recinzione a est e a ovest venne decorato dai sovrani ramessidi con scene rituali. Sulla parete esterna del muro occidentale, Ramses II fece rappresentare scene di battaglia contro i siriani e vi fece apporre un testo che riproduceva la versione egizia del trattato di pace stipulato con gli ittiti nel ventunesimo anno del suo regno.
Furono riportate alla luce dall’archeologo francese George Legrain tra il 1903 e il 1906, grazie ad un difficile lavoro, ostacolato tra l’altro anche dall’alto livello della falda freatica.
Le effigi degli dei nella camera di culto, nei santuari delle barche, nei vestibolo e nelle sale ipostila avevano la funzione di accogliere le ricche offerte presentate dal re.
Esse incarnavano plasticamente ciò che era espresso nelle raffigurazioni bidimensionali sulle pareti del tempio.
Ramses II al cospetto della regina Ahmosi-Nefertari. Il faraone è dinnanzi alla “sposa divina, madre divina, grande sposa regale, signora delle Due Terre Ahmosi-Nefertari”. Essa era la sposa del faraone del fondatore della Dinastia Ahmosi e madre di Amenofi I. In questo rilievo Ahmosi-Nefertari, al cospetto degli dei, assicura vita e salute a Ramses II.
All’esterno del santuario e delle sale chiuse, dove le processioni attraversava o i cortili e sfilavano davanti ai piloni sotto gli occhi dei sacerdoti e degli alti funzionari, erano poste le statue reali portainsegne.
Esse raffiguravano la persona del re nella pietra perciò in forma duratura, assicurando così la partecipazione a quelle cerimonie che solo a lui spettava condurre.
Allo stesso modo, fuori dal tempio vero e proprio, nei grandi cortili, erano collocate statue e sfingi gigantesche che recavano i tratti del re ma allo stesso tempo simboleggiavano anche le divinità.
Fonte:
Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz, Matthias Seidel – Konemann